Rassegna stampa 6 agosto

 

Giustizia: omicidi in calo, più vittime sulla strada e sul lavoro

 

Comunicato Censis, 6 agosto 2008

 

Numero di assassinii in calo e più basso che in Europa, si muore 2 volte di più sul lavoro e 8 volte di più sulle strade.

Gli omicidi in Italia continuano a diminuire. In base ai dati delle fonti ufficiali disponibili elaborati dal Censis, sono passati da 1.042 casi nel 1995 a 818 nel 2000, fino a 663 nel 2006 (-36,4% in 11 anni). Sono molti di più negli altri grandi Paesi europei, dove pure si registra una tendenza alla riduzione: 879 casi in Francia (erano 1.336 nel 1995 e 1.051 nel 2000), 727 casi in Germania (erano 1.373 nel 1995 e 960 nel 2000), 901 casi nel Regno Unito (erano 909 nel 1995 e 1.002 nel 2000).

Anche rispetto alle grandi capitali europee, nelle città italiane si registra un numero minore di omicidi. Nel 2006 a Roma si sono contati 30 casi, quasi come Parigi (29 omicidi, ma erano 102 nel 1995), 33 a Bruxelles, 35 ad Atene, 46 a Madrid, 50 a Berlino, 169 a Londra, che aveva toccato la punta massima (212 omicidi) nel 2003.

Piccoli numeri se paragonati alle morti sul lavoro. Nel 2007 sono stati 1.170 i decessi per motivi di lavoro in Italia, di cui 609 in infortuni "stradali", ovvero lungo il tragitto casa-lavoro ("in itinere") o in strada durante l’esercizio dell’attività lavorativa. L’Italia è di gran lunga il Paese europeo dove si muore di più sul lavoro. Se si escludono gli infortuni in itinere o comunque avvenuti in strada, non rilevati in modo omogeneo da tutti i Paesi europei, si contano 918 casi in Italia, 678 in Germania, 662 in Spagna, 593 in Francia (in questo caso il confronto è riferito al 2005).

I numeri crescono ancora se si considerano le vittime degli incidenti stradali. Nel 2006 in Italia i decessi sulle strade sono stati 5.669, più che in Paesi anche più popolosi del nostro: Regno Unito (3.297), Francia (4.709) e Germania (5.091). Gli altri Paesi hanno fatto meglio di noi negli interventi tesi a ridurre i decessi sulle strade. Nel 1995 la Germania era "maglia nera" in Europa, con 9.454 morti in incidenti stradali, ridotti a 7.503 già nel 2000, per poi diminuire ancora ai livelli attuali.

Nel 1995 in Francia i morti sulle strade erano 8.892, ridotti a 8.079 nel 2000, per poi diminuire ancora ai livelli attuali. La riduzione in Italia c’è stata (i morti erano 7.020 nel 1995, 6.649 nel 2000, fino agli attuali 5.669), ma non in maniera così rapida, tanto da diventare il Paese europeo in cui è più rischioso spostarsi sulle strade.

Si muore di più, dunque, durante le attività ordinarie che non a causa della criminalità o di episodi violenti. I morti sul lavoro sono quasi il doppio degli assassinati, i decessi sulle strade 8 volte più degli omicidi. Tuttavia, gran parte dell’attenzione pubblica si concentra sulla dimensione della sicurezza rispetto ai fenomeni di criminalità.

"Gran parte dell’impegno politico degli ultimi mesi è stato assorbito dall’obiettivo di garantire la sicurezza dei cittadini rispetto al rischio di subire crimini violenti", osserva Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, commentando i dati. "Tuttavia, se si amplia il concetto di incolumità personale, e si considerano i rischi maggiori di perdere la vita, risalta in maniera evidente la sfasatura tra pericoli reali e interventi concreti per fronteggiarli. Il luogo di lavoro e la strada mancano ancora di presidi efficaci per garantire la piena sicurezza dei cittadini, e spesso si pensa che perdere la vita in un incidente stradale sia una fatalità. I dati degli altri Paesi europei dimostrano che non è così".

Giustizia: vero "allarme sicurezza" è soprattutto sul lavoro

di Antonio Giorgi

 

Avvenire, 6 agosto 2008

 

Negli ultimi undici anni il numero degli omicidi volontari è calato in Italia del 36,4 per cento, dato senza paragoni in Europa. In diminuzione risultano i delitti caratterizzati da violenza grave nei confronti della persona, vale a dire ferimenti, lesioni, sequestri.

Siamo dunque un Paese perfettamente tranquillo, vivibile, virtuoso? Evidentemente no, se il problema della sicurezza resta prioritario nell’agenda del governo e alimenta le preoccupazioni dei cittadini alla prese con la violenza spicciola quotidiana, l’arroganza degli spacciatori, l’odiosa attività delle bande che scippano le vecchiette, la protervia delinquenziale di chi si dedica al borseggio, alla truffa, alle rapine a mano armata, alla tratta di ragazze - spesso minorenni - da avviare alla prostituzione. Anche se si muore di meno per mano omicida non si vive sereni per l’aggressività di balordi di piccolo o medio calibro che spadroneggiano non solo nelle grandi periferie urbane, ora controllate anche dai militari.

Calati gli omicidi, il vero rischio mortale si corre semmai - e il fatto è estremamente preoccupante - sui luoghi di lavoro o mentre si va al lavoro (1.170 vittime nel 2007, secondo il Censis), e intanto non si arresta lo stillicidio di incidenti sulle strade. Una valutazione a lume di buon senso deve indurre ad attribuire al termine sicurezza una connotazione estensiva ed onnicomprensiva degli accadimenti che incidono sulla vita e sul benessere dell’uomo.

Se così è, non si tratta solo di garantire la persona dal crimine come, perfino con troppa enfasi, si promette di fare oggi per rispondere a paure diffuse alimentate a volte anche da una certa fobia nei confronti dello straniero e del diverso. Sicurezza è anche fare in modo che nei cantieri, nelle fabbriche, nelle officine, nelle fonderie non si debbano piangere tre morti al giorno, un prezzo che una società civile deve rifiutarsi di continuare a pagare.

Forte dell’autorevolezza riconosciuta all’istituto che rappresenta, il direttore del Censis Giuseppe Roma segnala una evidente sfasatura - perfino una certa schizofrenia, potremmo aggiungere noi - nella declinazione delle problematiche della sicurezza e nell’individuazione di soluzioni praticabili, condivise perché condivisibili. Pugno di ferro contro scippatori e spacciatori (va bene, doveroso), estremo rigore davanti ai clandestini, il bastone e la carota per gli zingari, l’espulsione per gli irregolari, via dalle strade gli accattoni...

A volte la linea dura può essere necessaria, non è di questo che qui stiamo parlando. Ma uguale determinazione andrebbe dispiegata - e non da oggi, il problema è annoso - per rispondere alla crescente domanda di sicurezza, nel senso di reale tutela fisica, che sale dal mondo del lavoro, un ambito che non ha bisogno di nuove leggi ma di una puntuale applicazione di quelle esistenti.

Se l’impegno di cui il governo dà prova in queste settimane venisse esteso al miglioramento dell’incolumità personale nei cantieri e sulla strada, il Paese farebbe un grande passo avanti in termini di civiltà dopo un 2007 drammatico.

In questa auspicabile strategia all’insegna dello slogan "sicurezza anche sul lavoro" la strada non va dimenticata per due ragioni. La prima è che, sbollita la novità della patente a punti e venuto meno il suo effetto spauracchio, sull’asfalto si contano ancora troppe vittime nonostante i controlli serrati abbiano reso più tranquille le notti dei weekend. La seconda attiene al dramma dei morti in itinere: dei 1.170 infortuni mortali dello scorso anno 609 si sono verificati mentre la vittima andava o tornava dal luogo di lavoro, oppure hanno coinvolto operatori di imprese che lavorano alla manutenzione della rete viaria. In un Paese davvero sicuro, il miglior tributo alla memoria di questi 1.170 caduti è fare in modo che di morti bianche la cronaca non debba più occuparsi.

Giustizia: Peace Reporter; i soldati per sicurezza nei cantieri

 

Avvenire, 6 agosto 2008

 

"Soldati per le strade? Meglio nei cantieri edili. È sul lavoro che si combatte la battaglia per la sicurezza". Peace Reporter scrive al ministro della Difesa: "Fermiamo la strage bianca. I numeri degli infortuni sul lavoro sono quelli di una guerra. E per combattere una guerra servono i militari: Impegniamoli in una vera missione di pace".

L’Italia è di gran lunga il Paese europeo dove si muore di più sul lavoro, quasi il doppio della Francia, il 30% in più rispetto a Germania e Spagna. Oggi il Censis ha lanciato l’allarme sulle morti bianche: "Si muore di più sul lavoro o sulle strade - ha scritto il Centro studi investimenti sociali - che non ammazzati da un colpo di pistola. Le vittime sul lavoro sono quasi il doppio degli assassinati e i decessi in incidenti stradali otto volte più degli omicidi. "Tuttavia - spiegano al Censis - gran parte dell’attenzione pubblica si concentra sui fenomeni di criminalità".

Peace Reporter lancia una proposta: indirizzare nei cantieri i militari impegnati per garantire la sicurezza nelle città. "A fronte di decine di migliaia di cantieri aperti - scrive l’editorialista del sito - in Italia ci sono solo 3.750 ispettori del lavoro". La soluzione avanzata da Peace Reporter è contenuta nello slogan che apre l’intervento: "Militari per la sicurezza sì, ma sul lavoro". La lettera indirizzata al ministro Ignazio La Russa è chiara: "Affiancare i militari agli ispettori del lavoro. Anche questa è un’idea da sessantottini?"

Giustizia: Legambiente; Governo pensi ai morti in incidenti

 

Dire, 6 agosto 2008

 

L’organizzazione ambientalista commenta i dati del Censis: "Il governo assuma questa emergenza come priorità in materia di sicurezza". Per Legambiente "urgente una mobilità diversa".

"In un momento in cui il governo dichiara di porre al centro delle proprie preoccupazioni il problema della sicurezza giungono dal Censis dati tutt’altro che confortanti: l"Italia detiene il record europeo di morti sul lavoro e sulla strada. È questa la vera emergenza, e a giudicare dai fatti decisamente sottovalutata".

Così Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente, commenta i dati resi noti oggi dal Censis sulle vittime della strada e sul lavoro in Italia. "Se l’Italia è il paese in Europa dove si muore di più sulla strada è evidente che sono urgenti interventi più decisi di quelli attuati sinora - prosegue Cogliati Dezza -.

La patente a punti ha dato in un primo tempo buoni frutti ma i suoi effetti non sono sufficienti. Possiamo e dobbiamo fare di più, come dimostrano anche i risultati raggiunti da altri Paesi europei. A cominciare da un maggior controllo e una maggiore repressione delle infrazioni più pericolose al codice della strada, dalla riduzione dei limiti di velocità, anche in autostrada, e dalla messa in sicurezza delle tratte stradali più pericolose".

"Ma per arginare la strage degli incidenti stradali - sottolinea il presidente di Legambiente - è necessario anche organizzare una mobilità diversa, potenziando i trasporti pubblici e la mobilità su ferro, sulla quale è opportuno spostare gran parte del trasporto merci, per togliere i tir dalla strada e dare la possibilità ai pendolari di scegliere il treno.

Il 70% degli spostamenti annuali degli italiani in automobile avviene su una distanza inferiore ai 10 km e il Censis rileva come molti degli incendi stradali succedano lungo il tragitto casa lavoro: un servizio per i pendolari efficiente consentirebbe senz’altro di ridurre i rischi d’incidente".

La mobilità pendolare nel nostro Paese è infatti in costante crescita (+ 14,5% tra il 2001 e il 2007) e riguarda circa 13 milioni di persone, di cui la maggior parte predilige l’auto e solo il 14,8% sceglie il treno per l’insufficienza del servizio pubblico. "È questa grave emergenza delle morti per incidente - conclude Cogliati Dezza - che chiediamo al governo di assumere come priorità in tema di tutela dei cittadini".

Giustizia: decreto per poteri speciali ai sindaci sulla sicurezza

 

Ansa, 6 agosto 2008

 

L’annuncio è stato dato dal ministro Maroni al termine della Conferenza Stato-Città e Autonomie Locali che si è svolta al Viminale.

È stato firmato dal ministro dell’Interno Maroni il decreto, in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, che attribuisce ai sindaci poteri speciali in materia di sicurezza urbana e incolumità pubblica. L’annuncio è stato dato dal ministro Maroni al termine della Conferenza Stato-Città e autonomie locali, da lui stesso presieduta, che ha espresso parere favorevole sul provvedimento. All’incontro era presente anche il sottosegretario all’Interno Davico.

Con questo decreto i Sindaci vedranno ampliati i loro poteri di intervento, prevenzione e contrasto, tra cui figurano: le situazioni urbane di degrado quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, l’accattonaggio e i fenomeni di violenza legati all’abuso di alcol; le situazioni di danneggiamento al patrimonio pubblico e privato; l’incuria, il degrado e l’occupazione abusiva di immobili; l’abusivismo commerciale e l’illecita occupazione di suolo pubblico; i comportamenti, come la prostituzione in strada e l’accattonaggio molesto che offendono la pubblica decenza e turbano gravemente l’utilizzo di spazi pubblici.

Non si tratta, pertanto, di sindaci sceriffi ma "quello che vogliamo creare - ha spiegato proprio il ministro - è una sinergia sul territorio tra strutture di polizia, prefetti e sindaci. Questi ultimi, però, d’ora in poi avranno un ruolo da protagonisti per garantire la sicurezza sul territorio. I sindaci - ha proseguito Maroni - potranno utilizzare questi nuovi poteri per difendere l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. Con il primo termine si intende l’integrità fisica della popolazione mentre con il secondo un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa del rispetto delle norme che regolano la vita civile. Ora mi aspetto idee creative sulla sicurezza da parte dei sindaci".

Maroni, nel corso della conferenza stampa, si è anche soffermato su altri aspetti che riguardano da vicino il rapporto tra Stato e Autonomie Locali annunciando che "a settembre firmeremo un protocollo di intesa con l’Associazione Nazionale Comuni Italiani per utilizzare il fondo 2009 di 100 milioni di euro per finanziare gli interventi sulla sicurezza urbana".

Giustizia: i "super-sceriffi... disarmati" del ministro Maroni

di Marino Longoni

 

Italia Oggi, 6 agosto 2008

 

Altro che sceriffi, super-sceriffi. Con il decreto attuativo del dl sicurezza, ai primi cittadini vengono attribuiti poteri amplissimi. Potranno infatti emanare ordinanze (non necessariamente contingibili né urgenti) per disciplinare tutte quelle situazioni che possano causare pericoli alla popolazione, all’arredo urbano, alla pubblica decenza, al decoro o alla viabilità.

Un ventaglio di situazioni all’interno del quale si potrà collocare una miriade di interventi. Dalla lotta allo spaccio di droga al contrasto alla prostituzione, all’accattonaggio, ai writer, alle occupazioni abusive. Senza escludere la guerra ai venditori abusivi o agli occupatori in qualsiasi modo del suolo pubblico.

Non avranno più problemi, quindi, dal punto di vista normativo, i sindaci che volessero ordinare lo sgombero dei campi nomadi o imporre il divieto all’accattonaggio o all’attività di lavavetri. Anche perché le ordinanze, se impugnate da cittadini o da gruppi organizzati, potranno essere valutate dal Tar solo in ordine alla "manifesta irragionevolezza": i giudici amministrativi non potranno entrare nel merito delle ordinanze e delle scelte operate.

Non c’è dubbio che l’attribuzione di super-poteri ai primi cittadini esprime lo spirito dei tempi: il bisogno di sicurezza sempre più sentito ormai non solo nelle metropoli, ma anche nei piccoli e medi centri urbani. Il dilagare della micro-criminalità, le difficoltà di integrazione dei sempre più numerosi extra-comunitari, la devianza giovanile, richiedevano una risposta da tempo. Ora questa è arrivata.

Ma è presto per cantare vittoria, per poter considerare archiviato il problema. Le ordinanze rischiano di trasformarsi in grida manzoniane. L’attribuzione di poteri enormi ai primi cittadini, senza aver provveduto ai necessari strumenti operativi, rischia infatti di trasformare le ordinanze in una sorta di novelle grida manzoniane. Si possono emanare disposizioni contro i writer, ma chi ha poi gli strumenti per farle rispettare? Si può imporre alle lucciole di non mettersi in mostra, ma di notte è difficile disporre di pattuglie di vigili da sguinzagliare negli angoli più bui della città. Soprattutto nei centri di piccole e medie dimensioni. Insomma, un provvedimento che rischia di ritorcersi contro i primi cittadini che spesso l’avevano invocato: perché ora non avranno più alibi contro le richieste di sicurezza, ordine, decoro. Ma si troveranno spesso nelle condizioni di mancanza di uomini o di fondi per poter garantire il rispetto delle ordinanze. Con il rischio di cadere nella demagogia.

Giustizia: super-poteri sindaci; commenti e reazioni politiche

 

Dire, 6 agosto 2008

 

Ferrero: "L’idea di Maroni è un’aberrazione pericolosa"

 

"Il ministro dell’Interno Roberto Maroni vorrebbe attribuire super-poteri ai super-sindaci. Al di là delle facili battute su proposte che sembrano titoli di film di (cattiva) fantascienza, l’idea di attribuire poteri speciali ai sindaci (contro spacciatori, prostitute, mendicanti e vu-cumprà, per non dire di immigrati e zingari) è profondamente sbagliata e pericolosa". Lo dice il segretario di Rifondazione Comunista Paolo Ferrero il quale sottolinea che "la divisione di compiti tra forze di polizia, dipendenti dal ministero dell’Interno, e sindaci delle città italiane, eletti dal popolo ma già dotati di diversi poteri di ordine pubblico, è un’aberrazione perché aprirebbe la strada ad un uso distorto discrezionale dell’autorità di pubblica sicurezza, in modo del tutto contrario a quello tipico di uno stato democratico".

 

Bertolini: "I sindaci con più poteri agiscano con rigore"

 

"I sindaci, ai quali il governo ha conferito più poteri in materia di sicurezza, devono dimostrare ora di meritare la fiducia accordata". Lo afferma Isabella Bertolini, membro del direttivo del Gruppo Pdl della Camera dei Deputati. "I sindaci, ai quali il governo ha conferito più poteri in materia di sicurezza - sottolinea -, devono dimostrare ora di meritare la fiducia accordata. I primi cittadini d’Italia sono chiamati ad un compito difficile, complicato, delicato: dimostrare di saper agire con rigore ed efficacia attuando un provvedimento che fornisce strumenti adeguati per garantire e tutelare la sicurezza e l’incolumità dei cittadini italiani". Un decreto, aggiunge Bertolini, "che migliorando il coordinamento tra sindaci, prefetti e forze di polizia può risultare decisivo per la gestione dell’ordine pubblico e per la prevenzione dei fenomeni criminali ed illegali".

 

Rizzi (Lega): "I sindaci della Padania in prima linea"

 

"I sindaci della Padania non vedono l’ora di schierarsi in prima linea a tutela della sicurezza dei propri cittadini". È quanto Fabio Rizzi, parlamentare della Lega, in merito all’annuncio del ministro Maroni dell’imminente Dl per i super-poteri ai sindaci. "È un traguardo importante grazie anche al nostro ministro Maroni - conclude - che tanto ha fatto e tanto farà per la sicurezza di tutti i cittadini".

Giustizia: Chiamparino; ok il decreto, ma adesso dateci risorse

di Lodovico Poletto

 

La Stampa, 6 agosto 2008

 

"Io non sono a favore delle iniziative spettacolari. Quelle che ti garantiscono per un giorno i titoloni sui giornali e le telecamere in piazza. Queste cose io non le faccio. Prima di pensare a ordinanze particolari le faremo valutare dal nostro ufficio legale".

In attesa del volo che lo riporterà a Torino, dopo una giornata di incontro con il ministro Sandro Bondi, il sindaco Sergio Chiamparino parla del decreto attuativo che concede maggiori poteri ai sindaci in tema di sicurezza urbana e incolumità pubblica. E un po’ storce il naso: "Il decreto va bene purché ci diano anche le risorse per attuare i provvedimenti. Insomma, è inutile concedere più poteri ai primi cittadini se poi mancano gli uomini alle forze dell’ordine, oppure non c’è la benzina per far girare le volanti della polizia. Il problema è che senza soldi non si fa nulla".

 

Ma qualche iniziativa a costo zero, o quasi, potrà pur essere adottata, o no?

"Lo ripeto: io non sono per le iniziative spettacolo. Per quelle che danno ai giornali l’opportunità di fare titoli a caratteri cubitali. Quello da me non ci sarà".

 

Ma il ministro Maroni ha detto che si aspetta un po’ di creatività dai sindaci. Non è vero?

"D’accordo la creatività. Ma bisogna evitare che sia come quella del collega di Novara (che ha vietato ai cittadini di stare nei parchi di notte, a gruppi di più di due persone). Quella secondo me è creatività eccessiva".

 

Quindi un’iniziativa analoga non intende adottarla per il parco del Valentino?

"Ripeto, quella è un’idea insulsa. E poi che si può fare in un parco come il Valentino che è enorme? No, da me quelle robe lì non arriveranno mai".

 

Ma qualcosa farà pure lei, non è vero?

"Sì, ma prima sarà studiato dai nostri uffici, individuando le priorità. E questo per non fare demagogia, o giocare sull’immagine".

 

Proviamo a fare qualche esempio?

"Abbiamo già allo studio un’idea contro alcuni locali notturni della città".

 

Contro i fracassoni?

"Non soltanto. Abbiamo raccolto tutte le segnalazioni di polizia, vigili e carabinieri in cui si dice che in quei posti si spaccia droga. Ecco, adesso stiamo lavorando per riuscire ad intervenire in modo serio contro di loro".

 

Vuole chiuderli definitivamente?

"Voglio, se possibile, chiuderli. E per questo dobbiamo studiare le strade da imboccare. Perché, se basta un ricorso al Tar per annullare tutto, allora è inutile farlo".

 

Ma perché proprio i locali?

"Perché mettono davvero a rischio la sicurezza urbana e l’incolumità pubblica. E questo per colpa delle frequentazioni, dello stato di illegalità".

 

E contro lo smercio di droga nei parchi o lungo certe arterie?

"Guardi lo spaccio è già vietato per legge. Al massimo noi possiamo intervenire per evitare che in una determinata zona della città si verifichino le condizioni che consentono ai pusher di operare tranquillamente".

 

Parliamo di prostituzione. Ha idee in proposito, magari come quelle del sindaco di Verona?

"Guardi, anche quella è una non iniziativa. Ha soltanto massimizzato le multe".

 

E allora contro che altro si può intervenire, secondo lei?

"Sui posteggiatori abusivi, ad esempio".

 

Ma non lo avevate già fatto, e non aveva portato a nulla?

"C’era un’ordinanza che riguardava soltanto la zona a ridosso degli ospedali. Adesso si potrebbe pensare di estenderla a tutta la città".

 

E poi?

"Servono i soldi per poter operare".

 

Insomma, lei dà un giudizio negativo sul decreto attuativo?

"Ma no. Diciamo che è uno strumento in più dato in mano al sindaco. Ma perché funzioni davvero servono risorse".

Giustizia: Dpr dà via libera all’assunzione di 3.913 poliziotti

 

Asca, 6 agosto 2008

 

È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il decreto del Presidente della Repubblica 26 giugno 2008, che autorizza l’assunzione di 3.913 unità di personale delle Forze di Polizia, 1.372 per l’Arma dei Carabinieri, 1.046 per la Polizia di Stato, 1.091 per la Guardia di Finanza, 216 per la Polizia Penitenziaria e 188 per il Corpo Forestale.

Il Dpr ripartisce, individuando i contingenti spettanti alle singole , il fondo per la tutela dell’ordine pubblico e la prevenzione e il contrasto del crimine stanziato dalla legge finanziaria per il 2008 (art. 3, comma 89, della legge n. 244/2007).

Con le prossime assunzioni, annunciate ieri dal sottosegretario all’Interno Mantovano a Bari, in occasione dell’avvio dell’impiego delle Forze armate nelle città per affiancare la Polizia nel controllo del territorio, il Governo rende operativa una misura che va a potenziare le dotazioni e quindi a rafforzare l’azione delle Forze dell’ordine.

L’autorizzazione è stata deliberata dal Consiglio dei ministri nella riunione del 21 maggio scorso, durante la quale sono state adottate, su proposta del ministro dell’Interno Maroni, le misure ricomprese nel "pacchetto sicurezza".

Giustizia: Torino; nasce "Osservatorio su media e sicurezza"

 

Comunicato stampa, 6 agosto 2008

 

La percezione di insicurezza è gran parte del problema dell’insicurezza. Si tratta di una cosa molto reale, che ha conseguenze pratiche molto importanti sulla vita e sui comportamenti delle persone. Contrapporre realtà (ad esempio i dati comparati sui reati commessi nel passato e nei diversi paesi) a percezione è un errore. Entrambe devono essere conosciute e considerate.

La percezione di insicurezza ha tante origini e tante ragioni: l’informazione è una di queste. Nel momento in cui si comincia a osservare l’informazione e le sue conseguenze su questo problema, conviene ricordare che essa non solo non è l’unica causa della percezione di insicurezza.

L’idea di costituire un osservatorio sulle caratteristiche della comunicazione su questi temi, sul modo, sul metodo e sul linguaggio con i quali la stampa e gli altri media affrontano e discutono il tema sicurezza vuole essere uno spunto per generare una riflessione nell’opinione pubblica attenta a questi problemi e in primo luogo tra gli operatori dell’informazione. Un contributo a una discussione responsabile, che avvenga ponendo il problema e cercando di farlo emergere e di illustrarlo attraverso l’analisi concreta del prodotto informativo su questi temi a Torino e in Piemonte. In altre parole sollevare una questione e contribuire a tematizzarla, informando sull’informazione e facendone in questo modo un possibile tema del dibattito pubblico.

Quel che si vuol fare non è un’analisi scientifica o quantitativa: non c’è né un ruolo, né competenze che giustifichino una tale pretesa. Almeno all’inizio ci si limiterà ad osservare uno o più casi - o le vere e proprie campagne sviluppate nel tempo che i diversi organi di informazione conducono - ad analizzare come sono affrontati , a comparare tra loro sulla stessa notizia i diversi media.

Raccogliendo e segnalando articoli sulla stampa locale torinese (compresi i giornali free press) in modo da predisporre un dossier con una "cronologia" di come un dato caso viene affrontato e discusso nelle varie testate e nelle varie tipologie di articoli (dall’editoriale all’intervista al reportage). Uno spazio dove possiamo leggere, raccogliere, segnalare all’Osservatorio vari casi e filoni raccontati sulla cronaca locale sul tema sicurezza (e immigrazione). Potete lasciare la vostra segnalazione con una mail a: carola.casagrande@senato.it.

Giustizia: niente differimento della pena per Bruno Contrada

 

Il Mattino, 6 agosto 2008

 

Niente differimento della pena per motivi di salute per Bruno Contrada, l’ex numero tre del Sisde condannato in via definitiva nel maggio 2007 a 10 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Lo ha deciso la sezione feriale penale della Cassazione, presieduta da Giuseppe Pizzuti, dichiarando "inammissibile" il ricorso presentato dal difensore dell’ex agente, l’avvocato Giuseppe Lipera, contro l’ordinanza con cui, il 3 aprile scorso, il tribunale di sorveglianza di Napoli aveva rigettato l’istanza di scarcerazione per differimento della pena. Anche il sostituto procuratore generale della Cassazione, Enrico Delehaye, con requisitoria scritta, aveva chiesto che il ricorso fosse rigettato.

Contrada, 77 anni, per oltre un anno detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, ha ottenuto dal tribunale di sorveglianza di Napoli gli arresti domiciliari lo scorso 24 luglio, che sta scontando a casa della sorella Anna a Varcaturo nei pressi di Napoli.

"È ingiusto, continua l’accanimento verso di me", ha commentato lo stesso Contrada secondo quanto riferito dalla sorella Anna. La donna racconta che il fratello ha appreso la notizia con "rabbia e delusione". "È un ennesimo atto di abuso nei suoi confronti - dice Anna Contrada -, mio fratello continua a voler andare a Palermo, è quella casa sua. Oggi è andata in scena l’ennesima ingiustizia".

Lettere: i soldati nelle città? non è un’operazione di facciata!

di Beppe Battaglia

 

Lettera alla redazione, 6 agosto 2008

 

I soldati nelle città non sono un’operazione di facciata. Nella storia, l’esercito è stato schierato, oltre che per le guerre, nei casi di calamità naturali: un terremoto, un’epidemia e cataclismi di vario genere, ma sempre dopo che sono successi, a fronte di una situazione tragicamente emergenziale e dispiegata dove gli strumenti ordinari nulla possono.

In realtà, dopo la campagna forsennata sulla sicurezza, fortemente sostenuta dall’editoria dei media, che ha visto la gara a chi la spara più grossa tra i partiti, prima, durante e dopo le elezioni dell’aprile scorso; e questo nonostante i dati statistici, i fatti, dicevano allora e continuano a dire che la quantità dei delitti è in decrescita!

Ma i fatti, i dati oggettivi non contano più, "non valgono un cazzo" dice il sindaco di Venezia (solo per citare uno di quelli che la sanno lunga, di sinistra - sic - che ha ostentato la sua sicumera dai teleschermi) "conta invece la percezione delle cose"; ossia, non contano i fatti, conta l’idea che l’editoria dei media s’inventano ogni giorno ed ogni notte ...per servire meglio gli interessi dei nuovi padroni del vapore, quelli che non mettono le mani nelle tasche dei cittadini, ma solo perché ai cittadini hanno già portato via anche le braghe e quindi non ci sono più tasche dove infilare le mani! Ma a forza di gridare "al lupo", "al lupo" è lecito pensare che "il lupo" davvero si produca.

L’operato disinvolto, arrogante, superficiale, semplicistico e rozzo come non mai del governo e anche dell’opposizione, ha già prodotto tanti e tali disastri da ritenere ragionevole un risveglio tragico dopo il sonno della ragione. Si potrebbe dire che... l’inganno ha le gambe corte e gli ingannatori (di mestiere) lo sanno troppo bene per non correre ai ripari per tempo.

Lettere: un Comitato femminile per abolizione dell’ergastolo

di Clare Holme

 

Lettera alla Redazione, 6 agosto 2008

 

Un Comitato femminile di sostegno alla protesta degli ergastolani: questa proposta é per tutte voi signore e signorine che vi chiedete cosa si può fare, come si possa sostenere la lotta di chi chiede l’abolizione dell’ergastolo... ecco un’idea!

Uniamoci in un Comitato che renda visibile "fuori" la protesta di chi sta "dentro"! Penso a tante donne - mogli, figlie, sorelle, mamme, fidanzate e amiche e conoscenti di ergastolani - che magari organizzi una marcia - in bianco ragazze? - o un raduno in concomitanza della protesta che tra qualche tempo avrà luogo nelle carceri.

Un messaggio semplice, legale e diretto: ribadire quello che sta scritto nell’articolo 27 della costituzione italiana ovvero che le pene devono avere fini riabilitativi - che l’ergastolo non ha di certo! Se credete come me che sia una lotta giusta e che l’affetto, l’amore e l’amicizia passino anche attraverso l’azione, allora mettiamoci in rete! La mia mail è clareholme@yahoo.it e il mio indirizzo e telefono sono reperibili dall’Associazione Pantagruel di Firenze. Ciao a tutte! Confido nella vostra capacità di amare forte.

Lombardia: don Virgilio Balducchi; situazione è insostenibile

 

Dire, 6 agosto 2008

 

In Lombardia "situazione insostenibile". Lo sostiene don Virgilio Balducchi, cappellano del carcere di Bergamo e delegato dei padri spirituali degli istituti di pena lombardi: "A due anni dall’indulto, a Bergamo, ci sono 500 detenuti per 280 posti".

A due anni dall’indulto la situazione nelle carceri lombarde è di nuovo insostenibile. A dirlo è don Virgilio Balducchi, cappellano del carcere di Bergamo e delegato dei padri spirituali degli istituti di pena lombardi. "Il sovraffollamento - dice don Virgilio Balducchi - ha raggiunto i livelli precedenti alla legge del 2006. A Bergamo, a fronte di una capienza di 280 persone, sono state già superate le 500 presenze. E in un incontro avuto la scorsa settimana con gli altri cappellani della Lombardia ho potuto riscontrare che la situazione è la stessa quasi ovunque". Secondo don Virgilio Balducchi, "siamo ai livelli pre-indulto, anche se a essere tornati in carcere non sono soltanto coloro che ne erano usciti grazie all’atto di clemenza del Parlamento".

Situazione difficile anche a Brescia, dove Mario Fappani, garante dei detenuti del Comune, denuncia una situazione difficile nella casa circondariale "Canton Mombello:" "Un edificio vecchio di oltre un secolo e con una tollerabilità massima certificata di 290 posti la scorsa settimana è arrivato a contenere 450 persone, per il 75% stranieri appartenenti a decine di nazionalità. Il caldo afoso di questi giorni contribuisce a pregiudicare ancora di più la tollerabilità della vita in carcere".

A Bollate, invece, la situazione resta nella norma: i detenuti sono poco più di 700, spiega la direttrice Lucia Castellano, la struttura ne potrebbe ospitare fino a 970 anche se la sua capienza attuale è inferiore perché alcuni settori del carcere, pur non essendo pieni, non possono ricevere altri detenuti: "Nel settore femminile, ad esempio, ci sono solo 40 persone a fronte di 100 posti disponibili, ma il numero non può aumentare perché mancano le agenti di polizia". A agosto sarà un mese difficile anche a Bollate: "La maggior parte della attività si interrompono - aggiunge il cappellano, don Antonio Sfondrini -. Terminano la scuola e le attività integrative, diminuiscono il personale e i volontari".

Milano: caldo e poco personale… agosto è il mese più difficile

 

Dire, 6 agosto 2008

 

Il Garante dei detenuti della Provincia di Milano ha svolto una ricognizione negli istituti di pena. Oltre al sovraffollamento, i maggiori problemi sono risultati le condizioni igieniche e la dignità delle persone.

Anche nelle carceri di Milano la situazione si sta avvicinando a quella precedente all’indulto. Lo dice Giorgio Bertazzini, Garante dei detenuti della Provincia di Milano, che nelle settimane scorse ha svolto una ricognizione negli istituti di pena della provincia in previsione di agosto, "il mese più difficile in ogni carcere, sia per il caldo che per la mancanza di personale e di volontari".

A essere sovraffollate, spiega Giorgio Bertazzini, sono soprattutto le due case circondariali: "A san Vittore, al posto delle 800 persone regolamentari, ce ne sono 1400, e gli ingressi arrivano anche a 70 al giorno. A Monza ci sono 800 detenuti quando potrebbero essere al massimo 400, e un centinaio di detenuti dorme con il materasso buttato sul pavimento".

In tutta la Provincia di Milano i reclusi sono circa 4mila, cioè esattamente il 50% del totale regionale, mentre le strutture del territorio potrebbero ospitare non più di 2500 persone. "Tra gli aspetti della vita in carcere più compromessi ci sono l’igiene e la dignità delle persone - dice Giorgio Bertazzini -. La carenza di fondi ha tagliato i kit di primo ingresso, diminuito la frequenza con la quale vengono cambiati materassi e biancheria". Anche le condizione economiche dei carcerati si sono aggravate: "A san Vittore, dove in passato molti detenuti provvedevano da sé a farsi da mangiare con cibi acquistati con i propri soldi, adesso il carrello per la consegna dei pasti arriva vuoto alla fine dei corridoi".

Bologna: Berselli (Pdl); situazione "Dozza" è tra le più critiche

 

Ansa, 6 agosto 2008

 

La situazione del carcere bolognese della Dozza è "drammatica, per il numero spropositato di detenuti" e per la "grave carenza di personale". Lo dice il Presidente della Commissione Giustizia del Senato, Filippo Berselli, dopo una visita alla Casa Circondariale di Bologna. La situazione, a suo giudizio, è "tra le più critiche del paese" per sovraffollamento di detenuti (previsti 483, presenti 1.042) e scarsità di personale (386 unità anziché le 567 fissate).

Ascoli: maxi-rissa tra venti detenuti, albanesi e nord-africani

 

Corriere Adriatico, 6 agosto 2008

 

Pomeriggio di sangue durante l’ora d’aria. Una maxi-rissa nel Supercarcere di Marino del Tronto ha coinvolto circa 20 detenuti stranieri. Uno di loro è in prognosi riservata e rischia di perdere un occhio. Altri hanno riportato ferite più lievi. Il grave fatto di violenza ha visto come protagonisti albanesi e marocchini che si sono picchiati selvaggiamente.

Sono volati pugni, gomitate e calci in testa. Una ferocia che può far pensare ad un regolamento di conti, ma lo scontro fisico sembra essere nato invece da un semplice insulto. Si è appreso poi che alcuni degli albanesi che hanno partecipato ai tafferugli sono dietro le sbarre perché accusati dell’omicidio di Petrit Keci di 30 anni, un loro connazionale ucciso e poi bruciato nelle campagne di Acquaviva Picena. La rissa ha fatto scattare subito i primi provvedimenti. I tre presunti killer sono stati trasferiti in un’altra struttura penitenziaria sempre nelle Marche.

Si tratta di Ervis Cela, che si consegnò ai carabinieri, del fratello Adrian Cela, arrestato a Pisa mentre cercava di fuggire in treno verso Nord, e di un terzo componente del gruppo fermato in Spagna e poi estradato. Sono tutti accusati di omicidio in concorso, sequestro di persona e occultamento di cadavere.

Ora la direzione del Supercarcere sta preparando una dettagliata informativa sul caso che sarà presto su tavolo del magistrato. Appare scontato, anche per la gravità delle condizioni del marocchino, ricoverato all’ospedale di Ancona, che la Procura di Ascoli aprirà una inchiesta. Si dovrà fare piena luce sul grave episodio accaduto al Marino del Tronto. Il ferito, che in un primo momento sembrava essere in pericolo di vita, è stato sottoposto ad un delicato intervento chirurgico nella speranza di riuscire a salvare l’occhio gravemente lesionato da un calcio.

Gli inquirenti cercheranno di scoprire chi ha sferrato il colpo all’africano, come e perché sia scoppiata la rissa, quali siano state le modalità di intervento degli agenti di custodia. Un caso grave che può riaprire il dibattito sulle difficoltà delle strutture penitenziarie troppo affollate e dove non è sempre possibile tenere separati i carcerati più pericolosi.

Il Supercarcere di Ascoli comunque ospita o ha ospitato negli anni, senza che accadessero episodi di particolare gravità, anche detenuti sottoposti al carcere duro o che possono presentare alti rischi per la sicurezza. Tra questi Leoluca Bagarella, considerato uno dei più feroci boss di Cosa Nostra e accusato di oltre 100 omicidi, Giovanni Senzani e Valerio Moretti, ideologi delle Brigate Rosse, Alì Agca, l’attentatore di Papa Giovanni Paolo II.

E ancora Raffaele Cutolo, boss della Nuova camorra organizzata, Renato Vallanzasca, rapinatore e capo banda della Comasina, Totò Riina e Giuseppe Madonia, boss di Cosa Nostra. Giovanni Farina, autore del sequestro Soffiantini e il cassiere della mafia Pippo Calò.

Asti: condannato agente addetto a posta, derubava i detenuti

 

La Repubblica, 6 agosto 2008

 

Era addetto allo smistamento della corrispondenza in arrivo in carcere, la Casa Circondariale di Asti. Ma non si limitava a distribuire lettere e missive. L’Assistente della Polizia Penitenziaria - poi incastrato dalle riprese di una microtelecamera fatta installare dalla procura - tastava le buste, apriva quelle più voluminose e rubava il contenuto: il denaro inviato ai detenuti dai parenti, soldi che sarebbero dovuti finire sui conti correnti interni dei destinatari.

La corrispondenza ordinaria la buttava via. Le raccomandate, invece, le richiudeva con la colla, le metteva da una parte ad asciugare e infine le consegnava. Il giochetto gli è costato l’arresto, i domiciliari e un anno e mezzo di condanna per peculato, pena sospesa. Ma la questione non è finita lì. La Procura regionale della Corte dei Conti ha citato in giudizio il poliziotto penitenziario con le mani lunghe e gli ha contestato la lesione all’immagine del corpo di appartenenza, "creando nocumento alla credibilità e al prestigio che devono connotare le istituzioni e denotando totale disaffezione al Corpo, oltre che notevole indifferenza ai valori dallo stesso propugnati".

I legali, all’ultima udienza, hanno chiesto l’assoluzione. Il collegio giudicante, tenuto conto delle scarse capacità economiche dell’accusato, nel frattempo destituito dal servizio, ha deliberato diversamente. Ha condannato l’agente che rubava i soldi dei detenuti a risarcire il danno di immagine, quantificato in quattromila euro.

Genova: porte aperte per il detenuto sbagliato, subito ripreso

 

Agi, 6 agosto 2008

 

Un detenuto venticinquenne nel carcere di Genova Marassi è riuscito ad evadere ieri pomeriggio per un errore avvenuto durante la "chiamata" delle persone che hanno il permesso di uscire. Secondo una ricostruzione per ora ancora vaga, il giovane, uno slavo, era agli arresti a Marassi insieme al fratello. Quest’ultimo aveva diritto all’uscita, il fratello no. Considerato che i due erano in cella insieme, che si assomigliano e portano lo stesso cognome, al momento di uscire una guardia carceraria ha chiamato il fratello che aveva diritto all’uscita e si è fatto avanti l’altro.

Il detenuto ha superato tutti i controlli ed ha varcato la porta blindata di piazzale Marassi. Poco dopo l’errore, la Polizia Penitenziaria ha lanciato l’allarme. È scattata una caccia all’uomo in tutta la città. Alle 23.40 il venticinquenne è stato riconsegnato all’amministrazione carceraria. Non sono ancora note le dinamiche della cattura.

Livorno: cane depresso, giudice concede arresti al "padrone"

 

Il Tirreno, 6 agosto 2008

 

È tornato a casa e ha potuto riabbracciare la sua cagnolina Lola. Il detenuto di 41 anni, che nelle scorse settimane aveva ricevuto in carcere la visita della sua adorata boxer, caduta in depressione da quando lui non era più in casa, ha ottenuto gli arresti domiciliari.

Una decisione del giudice del Tribunale del Riesame di Firenze a cui l’avvocato Riccardo Melani aveva presentato ricorso, depositando nell’istanza di richiesta anche gli articoli del Tirreno che parlavano del caso di Lola. "Abbiamo ritenuto rilevante anche ai fini legali questo caso singolare della malattia da cui è stato colto il cane a causa del distacco improvviso dal padrone. Non ho ancora a disposizione le motivazioni che hanno portato alla decisione del giudice. Ma posso dire che subito dopo la risonanza che l’episodio della visita del cane alle Sughere ha avuto sul giornale, ho integrato l’istanza già presentata al tribunale del Riesame depositando l’articolo".

E così la scorsa settimana, il 25 luglio, s’è celebrato l’appello, che ha dato ragione alle richieste dell’avvocato. Il percorso legale. D.M. è stato arrestato a gennaio, detenuto nel carcere delle Sughere. L’11 giugno c’è stata l’udienza davanti al Gup dove per D.M. è stata applicata la pena di due anni e otto mesi che doveva passare in giudicato il 25 luglio.

Una decisione però che non ha soddisfatto l’avvocato Melani e il suo assistito, che i primi di luglio hanno presentato un’istanza per ottenere gli arresti domiciliari. Tuttavia, il tribunale di Livorno ha respinto la richiesta del legale. "Nelle motivazioni, il giudice ha evidenziato che a suo avviso non era maturato nulla di nuovo rispetto alla posizione iniziale tale da far concedere i domiciliari.

Quindi abbiamo fatto ricorso: stare a casa infatti avrebbe permesso al mio assistito di avviare un processo di risocializzazione e di recupero. Per questo ho anche chiesto che potesse recarsi a lavoro". D.M., infatti, gestisce con passione un’attività commerciale. "Senza di lui, gli affari sono crollati e quindi la sua presenza diventa essenziale per l’azienda. Tuttavia, per ora il giudice ha respinto questa richiesta - aggiunge il legale.

Poi, dopo che è emerso il problema relativo al cane, ho presentato una nuova istanza al Tribunale del Riesame, sottolineando la sofferenza reciproca del mio assistito e dell’animale per la distanza. E di questo aspetto ho parlato anche durante l’udienza del 25 luglio". Abbraccio commovente. Appena tornato a casa, per prima cosa D.M. ha aperto le braccia per accogliere la sua Lola. Un incontro emozionante per tutti, per la boxer che, come risorta, ha iniziato a fare le feste come non mai, per il quarantunenne, che ha ritrovato il sorriso, spento dopo sette mesi di detenzione.

Felicità e commozione anche per i familiari, la mamma e il cugino in primis, alla vista della gioia che traspariva dagli occhi dei loro due "gioielli". Il rapporto tra i due è ripreso con tutta quella carica d’affetto che durante i mesi di distanza i due non avevano potuto manifestarsi. Lola è tornata a star bene e la sua vicinanza ha giovato anche al suo padrone.

Reggio Emilia: continuano ricerche di detenuto romeno evaso

 

La Gazzetta di Reggio, 6 agosto 2008

 

Continuano le ricerche della polizia per cercare di scovare il nascondiglio di Neculai Todirascu, romeno di 46 anni, che sabato sera è riuscito ad eludere la sorveglianza degli agenti della polizia penitenziaria scappando dal reparto Infettivi del Santa Maria Nuova dove era ricoverato. Gli agenti stanno ascoltando diverse persone che in passato hanno avuto legami con l’uomo. Il rischio è che il 46enne sia già in viaggio per la Romania.

L’uomo era stato arrestato per il tentativo di furto in un bar, ma essendo ammalato lo avevano trasferito al reparto Infettivi dell’ospedale Santa Maria Nuova, piantonato da due agenti della polizia penitenziaria. Erano proprio stati gli addetti alla sua sorveglianza a chiedere alla dirigenza dell’ospedale la disponibilità del reparto Infettivi, mentre il Santa Maria aveva proposto un’ala dell’ospedale dotata di inferriate e spesso utilizzata proprio per controllare meglio i detenuti che vengono accompagnati all’ospedale.

Sabato sera Neculai Todirascu ha rotto il vetro di una finestra della camera dell’ospedale, situata al primo piano, ed è fuggito. Non appena la polizia penitenziaria ha scoperto che il rumeno era scomparso, è scattata la caccia all’uomo (un metro e 80, pizzetto biondo, maglia bianca e pantaloncini corti), ed ora la polizia lo sta cercando sia in città che in provincia.

Nelle ultime ore sono stati aumentati i posti di blocco e la polizia, che ha coinvolto nelle ricerche anche i carabinieri e gli agenti della Municipale di Reggio, stanno cercando di predisporre un piano in grado di anticipare le mosse dell’evaso. Per evitare, soprattutto, che il 46enne rumeno riesca a passare il confine e trovare rifugio nel suo paese d’origine.

Torino: mostre per riflettere su limitazione di spazio e libertà

 

Dire, 6 agosto 2008

 

Un’offerta culturale dedicata agli spazi carcerari. Due iniziative, a Torino, che parlano di detenzione. La prima, "Flexibility", che ha come sfondo e contenitore il carcere "Le Nuove", la seconda alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo che si intitola "You Prison: riflessioni sulla limitazione di spazio e libertà". Il carcere "Le Nuove" è stato costruito sotto il regno di Vittorio Emanuele II tra il 1857 e il 1896. Vi finiscono durante la prima guerra mondiale i militari; nel biennio rosso gli operai Fiat; dal ‘22 al ‘45 gli antifascisti, e fra l’8 settembre ‘43 e il 25 aprile del ‘45, vi sono imprigionate 10.775 persone. La mostra sulla flessibilità è un’occasione per accedere ai famigerati bracci, con celle singole e numeri sulle pesanti porte di ferro. Fino al 1945 c’era una singola cella per ogni detenuto, lunga 4 metri, larga 2,26, alta 3 metri, con una finestra a bocca di lupo per vedere soltanto il cielo. Nel braccio femminile, una targa dell’epoca recita "infermeria", e si apre una stanza fredda, dalle pareti bianche, che dà su un giardino circondato da mura e filo spinato.

Negli anni ‘80 la Casa Circondariale "Vallette" sostituisce il carcere "Le Nuove"; nel 1986 viene emanata la legge Gozzini; nel 1989 la sezione femminile ritorna a "Le Nuove" dopo l’incendio che vede morire detenute e vigilatrici per soffocamento. Negli anni ‘90, per ragioni di sovraffollamento, entrano stranieri dal Magreb, malati di Aids, tossicodipendenti, collaboratori di giustizia, ragazze madri straniere, soprattutto nigeriane. Fino al 2003 "Le Nuove" vengono utilizzate come caserma per gli agenti di Polizia Penitenziaria e per i semiliberi. Sul muro esterno una scritta di Pietro Calamandrei: "Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati". Accanto, i volti di coloro che qui persero la vita.

Diversa l’esposizione "You prison", accolta in uno spazio museale lindo e moderno, che riflette sullo spazio della libertà. Il rapporto fra crimine/pena e spazio, il rapporto fra reato e detenzione, diversi modi per concepire il luogo di pena. "Does punishment fit the crime?": il visitatore può scegliere lo spazio secondo il tipo di reato (contro lo stato, contro l’umanità, crimine violento): ovviamente, è tutto virtuale. Nell’opera di Marco Navarra, invece, la cella è un piccolo campo di concentramento che ricorda Guantanamo, per il filo spinato e soprattutto per le divise arancioni. La cella può essere anche produzione culturale, la reclusione uno spazio mentale: una biblioteca "in progress" composta da libri scritti in carcere (Ines & Eyal Weizman). Alcuni contengono visioni orribili, altre descrizioni di tentativi di fuga, o riflessioni sulla libertà. I volumi sono scritti in tutte le lingue del mondo, suddivisi in sezioni tematiche: murder, anti soviet agitation, armed robbery e altre.

La cella e lo sguardo divino: l’iraniano Vahabi propone uno spazio dove il detenuto è un peccatore, "God’s Watching" è scritto all’interno, e viene permesso al visitatore di cambiare il punto di vista, che è sempre dall’alto. Infine, la galleria dei video, dove sono proposte interviste a detenuti in carceri italiane (Gian Franco Baruchello), raccontate storie, come quella dei detenuti a New Orleans, non evacuati durante l’uragano Katrina. E le immagini: in "No Exit" di Trubkovich un gruppo di detenuti, del carcere di New York, è fatto marciare nudo a cielo aperto dopo l’insurrezione del 1971.

Immigrazione: Veneto; "patto d’accoglienza" per lavoratori

 

Dire, 6 agosto 2008

 

È la principale novità del Piano annuale 2008 in materia di immigrazione approvato dalla regione. Tra gli altri interventi: attivazione di un fondo immobiliare "etico", percorsi di inserimento per i minori, mediazione culturale.

La sperimentazione del patto di accoglienza e di integrazione per i lavoratori è la principale novità introdotta dal Piano annuale 2008 in materia di immigrazione della Regione Veneto. Gli altri interventi previsti riguardano l’inserimento lavorativo, l’alloggio, l’integrazione sociale e scolastica, la formazione. Il documento è stato approvato dalla giunta veneta, dopo il parere espresso senza nessun voto contrario dalla competente commissione del Consiglio regionale. A presentare il piano annuale è l’assessore ai Flussi migratori Oscar De Bona, che si dice soddisfatto soprattutto della velocità con la quale è stato concluso l’iter di approvazione, "consentendo così a tutti i soggetti interessati, pubblici e privati, di lavorare con un respiro temporale più ampio su una tematica così delicata sul piano sociale, che riguarda l’integrazione e l’accoglienza degli immigrati regolari".

Ma è soprattutto sul patto d’accoglienza che insiste De Bona, definendolo "uno strumento nuovo e qualificante con il quale verrà sancito un impegno formale reciproco tra la società ospitante e l’immigrato, il quale ne accetta le regole di convivenza, i valori e le leggi. Può quindi rappresentare un’ulteriore opportunità per affermare il valore dell’integrazione e produrre ricadute positive su tutta la comunità". Per quanto riguarda un altro aspetto centrale come l’alloggio, la Regione sta completando i preparativi per l’attivazione di un fondo immobiliare etico, attraverso cui sarà realizzato un programma di edilizia "sociale" destinato alle fasce deboli della popolazione, sia veneta che immigrata, per accedere ad alloggi a prezzi calmierati. Inoltre il piano d’interventi in materia di integrazione, affidati alle 21 Conferenze dei sindaci del Veneto, prevede percorsi di inserimento dei minori, iniziative per le donne e l’introduzione della mediazione culturale.

Il piano ha già ricevuto il consenso degli imprenditori e delle associazioni di categoria del Veneto, delle organizzazioni sindacali, degli enti locali e delle associazioni del volontariato regionale. "Il piano annuale - conclude De Bona - è indispensabile per pianificare gli interventi in una Regione come il Veneto che, con quasi 400mila immigrati, è la seconda regione in Italia per numero di presenze straniere".

Droghe: Torino; riqualificazione ambientale del "Tossic Park"

 

Notiziario Aduc, 6 agosto 2008

 

Partirà al più tardi nel mese di ottobre l’inizio dei lavori per la riqualificazione ambientale del Parco Stura, noto come Tossic Park, alla periferia nord di Torino. La giunta comunale ha infatti approvato il progetto definitivo per consentire la trasformazione del parco da ieri presidiato anche dagli alpini con le forze dell’ordine per contrastare lo smercio di droga.

Entro il mese di agosto saranno bandite le gare di appalto. Per il nuovo volto del polmone verde, il comune di Torino ha previsto un investimento di un milione e 750 mila euro, dei quali 540 mila per il primo lotto. Non è chiaro invece cosa verrà fatto per prevenire nuovi decessi per overdose e per contrastare l’emergenza socio-sanitaria che, allo stato delle cose, non potrà che riemergere altrove.

Servono provvedimenti strutturali, non di facciata. Il giorno dopo l’arrivo dei militari a Torino, impegnati al momento nell’area di Parco Stura ed all’ex Cpt, e nel giorno dell’approvazione, da parte della giunta comunale, della delibera che dà il via ai lavori di rifacimento della zona nota come "Tossic Park", il sindaco del capoluogo piemontese Sergio Chiamparino torna a ribadire la propria posizione sui temi della sicurezza. "Bisogna che qualcuno cominci ad affrontare queste questioni in modo strutturale. Se non si discute di un potenziamento di mezzi e uomini delle forze dell’ordine o non si affronta, dal punto di vista della giustizia, il problema della certezza della pena, temo, spero di sbagliarmi ma credo che non sarà così, che quanto sta avvenendo si tradurrà solo in provvedimenti di facciata".

E Chiamparino fa esplicito riferimento ai continui arrivi di clandestini sulle coste italiane: "bisogna che qualcuno si occupi del fatto che arrivano, ogni giorno, 500 clandestini sulle coste di Lampedusa e della Sicilia, flussi come non ci sono mai stati, e questo mentre si sta cercando di fare approvare il reato di immigrazione clandestina. Vuol dire che non si sta affrontando strutturalmente il problema". Altro tema quello della droga: "un tema che sta lì - ha osservato il sindaco di Torino - e tutti sembrano accettare il fatto che c’è un terzo della popolazione, in particolar modo giovani, secondo quanto riferiscono le statistiche, che ha a che fare con la droga".

A questo proposito a chi gli domandava se intenda riproporre il discorso delle "stanze del buco", Chiamparino ha risposto: "se si intende in questo modo un esperimento in sede sanitaria di somministrazione controllata, credo che sarebbe una sperimentazione da attuare". Quello che è però importante, secondo Chiamparino, "è occuparsi davvero di questi temi. Quando si nasconde per troppo tempo la polvere sotto il tappeto - ha concluso - basta inciamparsi per sollevare un polverone".

Droghe: Gran Bretagna; i conti col costo del proibizionismo

di Marco Bazzichi

 

Notiziario Aduc, 6 agosto 2008

 

Spendi e spandi ma il risultato non cambia mai: il narcotraffico è fiorente in barba all’impiego di forze dell’ordine e di denaro pubblico. È quanto emerge dall’ultimo rapporto della UK Drug Commission, secondo il quale la guerra alla droga fa sprecare miliardi di sterline. Sotto accusa sono in particolare i tradizionali metodi di lotta al crimine, che non funzionano mentre le sostanze illecite hanno fruttato alle organizzazioni che le controllano qualcosa come 5,3 miliardi di sterline in un anno. Nel 2005-2006, il Governo ha fatto spendere 380 milioni di sterline, a questo scopo. Ma il vero salasso per la spesa pubblica viene dal sistema giudiziario: per le droghe di "classe A" vanno via 4 miliardi di sterline. Tim McSweeney, uno degli autori del rapporto, ha dichiarato: "è incredibile come poco si parli del gran gettito di denaro nel rafforzare inutilmente la sicurezza in Gran Bretagna".

Ogni tanto, a dire il vero, salta fuori la notizia della cattura di un importante narcotrafficante o dell’irruzione in un capannone dove si produce droga, ma bisognerebbe anche far sapere che questi episodi non ne intaccano il mercato. E fa riflettere il fatto che il prezzo delle droghe pesanti si è sensibilmente abbassato dal 2000. Questo vale per la cocaina ma ancor più dell’eroina, il cui ribasso del 35% testimonia di quanto si sia diffusa.

Il business è ormai tale che per danneggiarlo concretamente, bisognerebbe ridurre dell’80% la quantità di droga che si trova nelle strade britanniche. L’anno scorso 1,5 tonnellate di eroina e 4,4 milioni di pasticche di ecstasy sono state sequestrate dalla Serious Organised Crime Agency, ma ogni anno, 20 tonnellate di eroina, 18 tonnellate di cocaina, 16 tonnellate di crack, 412 tonnellate di cannabis e 60 milioni di pasticche di ecstasy arrivano a destinazione, cioè in mano al consumatore. Questo, per la quantità.

Per quanto riguarda la qualità, il rapporto evidenzia che per mantenere i propri profitti i trafficanti riducono sempre più la qualità della merce: da ciò derivano i cosiddetti "danni collaterali" alla collettività, che si ritrova a spendere più soldi non solo nella lotta alla criminalità organizzata, non solo al semplice spaccio ma anche alle tossicodipendenze e ai danni alla salute. "È il fallimento delle politiche laburiste" tuona il ministro ombra agli Interni Domenic Grieve, che chiama il Paese alla "tolleranza zero".

Droghe: Francia; aumenta il consumo di eroina tra i giovani

 

Notiziario Aduc, 6 agosto 2008

 

Aumenta il consumo di eroina in Francia. Lo dice un rapporto dell’Osservatorio francese sulle droghe e sulle tossicodipendenze (Ofdt), che ha analizzato i dati raccolti nel biennio 2005-2007. Secondo i quali l’uso di eroina sta diventando molto comune e attira nuovi consumatori. Per lo più si tratta di giovani socialmente inseriti, poco consci dei rischi che corrono.

"I nuovi consumatori - si legge nel documento - mancano di informazione riguardo ai pericoli potenziali a cui si espongono, alle pratiche per ridurli e talvolta anche sulla natura stessa di questa sostanza". Che viene percepita erroneamente come una droga da party: il contesto in cui i giovani si avvicinano all’eroina è soprattutto quello delle feste techno, come i rave.

Altro aspetto della recrudescenza del consumo della polvere derivata dal papavero è la diversificazione delle modalità di utilizzo. Sempre più spesso, l’eroina viene sniffata, mentre diventa meno frequente l’iniezione in vena e sottocutanea, che implica il rischio di trasmissione di virus come quelli dell’Hiv o delle epatiti.

Stati Uniti: esecuzione in Texas, contrari gli Organi Federali

 

Ansa, 6 agosto 2008

 

Stato del Texas contro il resto del mondo, contro l’Onu e la Corte di giustizia dell’Aja, e anche contro il Congresso e la stessa amministrazione Bush: lo Stato della stella solitaria, capitale degli Stati Uniti in fatto di pena capitale, ha messo a morte con iniezione letale José Ernesto Medellín, un detenuto messicano di 33 anni al centro da cinque anni di un complicato caso internazionale.

Medellín è stato dichiarato morto alle 21.57 ora locale dopo che la Corte Suprema aveva respinto il suo appello in extremis. Con questa esecuzione il Texas si è messo contro anche le autorità federali americane che in questi anni, e anche nelle ultime ore, avevano chiesto alle autorità di Austin di dare al condannato una seconda possibilità legale. Fino ad oggi ogni corte ad ogni livello di appello aveva respinto i ricorsi presentati da Medellín e dai suoi legali per ottenere un rinvio dell’esecuzione e dar tempo al Congresso di varare una legge che permetta al detenuto di ridiscutere il suo caso in aula.

"Il Texas ha l’obbligo di rispettare i verdetti della Corte internazionale di giustizia", in quanto gli Stati Uniti sono membro dell’organizzazione, aveva detto invece ancora ieri da Città del Messico il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon. Il caso Medellín, insieme a quelli di una cinquantina di altri messicani attualmente nel braccio della morte in carceri statunitensi, rientrava in un contenzioso tra Usa e Messico in atto da anni. Medellín era reo confesso dell’omicidio e dello stupro di gruppo di una sedicenne texana, uccisa insieme a un’amica nel 1993 a Houston. Nel suo caso, come in quello degli altri detenuti messicani, gli Stati Uniti erano stati accusati di non aver garantito l’assistenza consolare prevista dalla Convenzione di Vienna.

Francia: scarcerata Marina Petrella, è in libertà condizionata

 

Ansa, 6 agosto 2008

 

Libertà condizionata, con divieto di lasciare il territorio francese e obbligo di dimora nella casa di Argenteuil, una volta dimessa dall’ospedale. Nelle parole della figlia Elisa, Marina Petrella "è libera, questa volta davvero". Così ha deciso la Corte d’Appello di Versailles sulla richiesta di scarcerazione dell’ex brigatista, oggi ricoverata all’ospedale Saint-Anne di Parigi per problemi di depressione e tendenze suicide.

A motivare questa scelta le numerose perizie mediche e psichiatriche, l’ultima di appena quattro giorni fa, in cui le condizioni di salute della Petrella erano definite "incompatibili con il suo stato di detenuta", perché necessitavano di cure costanti in una struttura specializzata. Nella situazione attuale, invece, pur essendo ricoverata in un ospedale psichiatrico l’ex brigatista non può essere sottoposta a terapie, ma solo ricevere le cure d’urgenza.

La decisione rasserena la famiglia e i membri del comitato di sostegno agli ex-terroristi italiani rifugiati in Francia, presenti in gran numero nella piccola aula in cui la sentenza è pronunciata, ma non interrompe l’iter dell’estradizione. "Sono molto emozionata e felice - ha dichiarato all’uscita dal tribunale la figlia maggiore della Petrella, Elisa Novelli, nata in un carcere italiano 25 anni fa - per la decisione del tribunale, che consente a mia madre di ritrovare il gusto della libertà. La nostra battaglia però prosegue, perché il procedimento di estradizione sia interrotto e la nostra vita francese possa ricominciare".

Il timore principale, spiega, è che in caso di ritorno in Italia Marina Petrella rimanga in carcere per tutto il resto della vita: "Fine pena mai, è così che lì definiscono l’ergastolo". E racconta come, da bambina, "quando andavamo in carcere, le guardie per spaventarci dicevano che quando i nostri genitori sarebbero morti, loro avrebbero tenuto le bare. Era un’immagine terribile".

Spettri da cui la famiglia era fuggita rifugiandosi in Francia, e che ora tornano a bussare alla porta. "La Francia ha protetto mia madre per 15 anni, per lei è stato l’inizio di un nuovo percorso. E io spero che mia sorella (Emma, che avrà 11 anni a dicembre) possa avere un futuro più tranquillo". La vicenda giudiziaria di Marina Petrella comincia il 21 agosto dell’anno scorso, quando si reca in commissariato ad Argenteuil, dove abita da anni, per una banale pratica burocratica, viene riconosciuta come ricercata e arrestata. Nei mesi successivi la famiglia, supportata dall’avvocato Irene Terrel, presenta tre richieste di libertà provvisoria, ma il 14 dicembre 2007 la Corte d’appello di Versailles dà l’ok all’estradabilità in Italia, confermata nel marzo 2008 dalla Cassazione francese. Il 19 giugno scorso, il premier francese Francois Fillon firma il decreto di estradizione, e subito scatta il ricorso al Consiglio di Stato, che ancora si deve pronunciare.

Perù: ex presidente Fujimori è detenuto in "cella" di 400 mq

 

Apcom, 6 agosto 2008

 

La prigione di Alberto Fujimori, trasformata in un’autentica corte "pellegrinaggio" di simpatizzanti, politici, cantanti e perfino sedicenti maghi, e mai visitata dalla moglie Satomi Kataoka, è attualmente sotto la lente d’ingrandimento della procura peruviana. Lo scrive il quotidiano spagnolo El Mundo.

Il detenuto più famoso del Perù gode periodicamente di un regime meno rigido rispetto agli altri e la politica applicata dalle autorità penitenziarie nei suoi confronti può definirsi a dir poco generosa. Per questo la procura ha disposto l’apertura di un’inchiesta, nel pieno di una polemica sul nuovo regime penitenziario dell’ex dittatore, passato da speciale a ordinario. Alcuni organi di informazioni e politici dell’opposizione hanno denunciato hanno denunciato che le migliori condizioni detentive sono state ottenute in cambio del presunto appoggio dei sostenitori di Fujimori al Partito Aprista, di Alan Garcia, per ottenere la presidenza del Congresso, basandosi su un’interpretazione "soggettiva e non tecnica" delle norme penitenziarie.

Nell’ultima settimana è venuto a galla che l’ex presidente ha ricevuto nella sua "cella" di 400 metri quadri alcuni membri del gruppo musicale uruguaiano Los Iracundos, simpatizzanti pittoreschi quanto la presunta fattucchiera 87enne Salomé Ybarguen.

Ma non basta. L’ex presidente, in terapia per un cancro alla lingua, ha ottenuto una linea diretta per effettuare telefonate di quasi 1.800 dollari in Giappone, dove vive Kataoka. La visita che ha fatto più discutere alla sede della Diroes (Direzione delle operazioni speciali della polizia), dove è recluso Fujimori, è stata quella del ministro degli Interni, Luis Alva Castro. Alva Castro ha ammesso di aver visitato la Diroes alcuni giorni prima dell’elezione del direttivo del Congresso; ma ha assicurato che non si è incontrata con Fujimori.

 

 

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