Rassegna stampa 5 agosto

 

Giustizia: i soldati nelle città tra arresti, applausi e polemiche

di Vladimiro Polchi

 

La Repubblica, 5 agosto 2008

 

Battesimo dei soldati nelle città italiane. Il primo contingente dei tremila militari dell’operazione "Strade sicure" ieri ha preso servizio davanti a posti fissi, centri per immigrati e in pattuglie miste. Ma il loro arrivo divide ancora la politica, con l’opposizione che parla di "un’operazione di propaganda, che serve solo a nascondere i tagli a sicurezza e difesa". Il ministro dell’Interno, intanto, si prepara a discutere oggi con l’Anci dei nuovi poteri che verranno assegnati ai sindaci, in materia di prostituzione, accattonaggio e spaccio di droga.

Il debutto dei militari viene accolto dai cittadini tra applausi e scetticismo, mentre in Parlamento si alza il livello dello scontro. Al centro del contendere, rimangono le pattuglie miste militari-poliziotti, con compiti di pubblica sicurezza. Magari non sarà "una soluzione risolutiva", ammette il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, passando in rassegna i soldati a Milano, ma "è un passo che va nella giusta direzione". La Russa liquida poi i critici del piano sicurezza come "ladri, banditi, stupratori e qualche post-sessantottino, che vede nella divisa qualcosa di negativo".

La reazione non tarda ad arrivare: "Ho troppo rispetto per i militari - attacca Antonio Di Pietro - per vederli ridotti al ruolo di comparse di Cinecittà". Critico anche il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini: "Noi amiamo i militari italiani, ci piace vederli nelle città, ma ci piacerebbe molto di più che il governo avesse dato le risorse richieste alle forze dell’ordine". Di propaganda parla il ministro ombra del Pd alla Difesa, Roberta Pinotti: "Nessuno ha paura dei militari, ma il loro utilizzo nelle città serve solo a coprire mediaticamente i tagli alla sicurezza. I nostri soldati hanno un alta professionalità, ma non sono formati per compiti d’ordine pubblico. Meglio sarebbe stato investire sugli straordinari della polizia".

La maggioranza risponde compatta alle critiche e Italo Bocchino, vice capogruppo del Pdl alla Camera, si spinge oltre, fino a ipotizzare di aumentare a 20-30mila il numero dei militari sulle strade, se l’esperimento avrà successo.

E i soldati, che dicono? Dopo qualche arresto e decine di identificazioni, i capi delle task force, come il colonnello Claudio Caruso a Roma, sottolineano che il "bilancio è assolutamente positivo" e che non c’è "alcuna difficoltà nel coordinamento con le forze dell’ordine".

Meno accomodanti le risposte dei sindacati delle forze di polizia: "L’utilizzo dei militari è pericoloso - dice il Sap - sono inesperti, non vorremmo accadesse qualcosa. E noi non facciamo da balia". Per il Silp-Cgil è il momento di dire "basta effetti speciali, servono scelte vere per la sicurezza". Anche perché "l’effetto placebo dell’impiego dei militari è destinato inevitabilmente a esaurirsi".

Giustizia: i soldati nelle città; reazioni e commenti dei politici

 

Dire, 5 agosto 2008

 

Diliberto: "I militari in strada, una fiction"

 

"L’esercito in strada? Una fiction, per stessa ammissione del governo". Lo sostiene Oliviero Diliberto. Spiega il segretario Pdci: "Il ministro La Russa dice, testuale, che l’esercito in strada serve a far aumentare la percezione di sicurezza ai cittadini. Ecco, non serve ad aumentare la sicurezza, ma la percezione della sicurezza. La Russa non vuole che i cittadini siano più sicuri, ma che percepiscano di esserlo. Cosa importa se scippi, furti e rapine continuano nello stesso numero e nelle stesse forme, l’importante è che il popolo percepisca di essere più sicuro perché è arrivato l’esercito". Conclude Diliberto: "Una finzione insomma. Non ne abbiamo mai avuto dubbi, ma questo governo, che non ha a cuore i problemi dei cittadini, ma solo la propaganda, è impareggiabile".

 

Gasparri: "Risponde a una domanda legalità"

 

"La presenza di militari nelle città a supporto delle forze dell’ordine in piena estate è dimostrazione di efficienza. Nessun militarizzazione del territorio- puntualizza il presidente dei senatori pdl, Maurizio Gasparri - Ma un saggio impiego di forze che lo Stato deve valorizzare per difendere i cittadini". "Solo a Roma quasi mille tra carabinieri e poliziotti saranno sostituiti da militari nella vigilanza fissa ad ambasciate e, quindi - rimarca Gasparri - potranno essere dirottati verso funzioni di più diretto contrasto al crimine e di vigilanza nelle zone a rischio. La proposta del Ministro la Russa dà ancora più senso al prezioso ruolo delle forze armate e l’ intesa con Maroni risponde alla domanda di sicurezza che sale dall’ Italia. Al lavoro, dunque, contro delinquenti e clandestini, perché vincano ovunque legge e ordine".

 

Di Pietro: "Comparse in un film"

 

Da oggi militari in città? Dice Antonio Di Pietro: "Ho troppo rispetto verso i militari per vederli fare le comparse nel film di Cinecittà". Insomma, polemizza il leader di Idv, si diano "più mezzi, più personale e più risorse alle forze di polizia", e "lasciamo che i militari - avverte Di Pietro - facciano il loro compito: difendere il paese da aggressioni esterne, che non ci sono, e operazioni di peacekeeping".

 

La Russa: "I militari non risolvono, ma la direzione è giusta"

 

"Io ed il ministro Maroni non abbiamo la pretesa che questo provvedimento sia risolutivo dell’attesa di maggiore sicurezza che viene dai cittadini. È però un passo nella direzione giusta". Così il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, commenta a Sky Tg24 l’arrivo dei militari nelle principali città italiane. "Concretamente - aggiunge - vi è una più forte percezione della sicurezza e la sua percezione è un elemento importante della sicurezza complessiva che risponde alle esigenze segnalate dai cittadini".

 

Mantini: "Il Duomo di Milano non è una piazza d’armi"

 

"Il Duomo di Milano evoca storicamente pace, preghiera e dialogo tra culture, l’idea di farne una piazza d’armi, con presidi militari è aberrante e inaccettabile. Sarebbe un autogol, uno spot negativo per Milano e l’Expo, senza alcuna giustificazione di ordine pubblico". Lo dice Pierluigi Mantini, deputato del Pd. "Chiedo al ministro La Russa - aggiunge - di evitare questo insulto a Milano, e al prefetto Lombardi di adoperarsi affinché, come a Roma, le forze armate non siano nel centro storico ma vengano impegnate nei quartieri a partire da Quarto Oggiaro". Mantini sottolinea che "non è una polemica di parte ma la constatazione dell’assoluta sproporzione della misura rispetto alle finalità di ordine pubblico".

 

Adoc: "Meglio più fondi e compiti alla Guardia di finanza"

 

"Invece di mettere i soldati per le strade, che servono a poco, in quanto Polizia e Carabinieri coprono egregiamente e con maggiore professionalità il territorio, sarebbe opportuno dare maggiori fondi e compiti alla Guardia di finanza, per combattere l’evasione fiscale. Che nel settore del commercio e della ristorazione appare crescente".

È l’opinione di Carlo Pileri, presidente dell’Adoc: "Ormai le ricevute fiscali sono diventate un fenomeno raro, in via d’estinzione". La contrazione dei consumi "è in atto da due anni, ma non è una novità - afferma Pileri - ma la situazione, volendo, è peggiorata". Secondo l’associazione di consumatori, oltre il potenziamento della Gdf, "è necessario far diminuire i prezzi dei prodotti di largo consumo del 10-15%, di alberghi, ristoranti e stabilimenti per rilanciare un turismo in profonda crisi". Occorre poi "liberalizzare i saldi tutto l’anno ed operare un taglio delle accise di almeno il 15% per carburanti, gas e elettricità", continua l’Adoc. Infine, Pileri propone di aggiornate l’indice Istat: "È necessario rivedere il metodo di rilevazione dei dati dell’indice Istat per l’inflazione, includendo anche le rate dei mutui, che interessano la maggior parte della popolazione, in modo da adeguare l’indice inflattivo all’inflazione reale. Che è di circa 3 punti percentuali più alta di quella rilevata con il metodo e il paniere attuale".

 

Sinistra Critica: "A rischio il lavoro di sensibilizzazione sulla pace"

 

Contrario all’arrivo di soldati per le strade del capoluogo lombardo Piero Maestri, consigliere provinciale "Sinistra Critica", che attacca il presidente Penati per non essersi opposto all’impiego dei soldati.

"Il lavoro di sensibilizzazione sulla pace svolto dalla Provincia di Milano rischia di essere cancellato da un continuo slittamento su altri temi come la sicurezza. A partire dal presidente Penati, che non si è detto contrario all’impiego dei militari". Lo dice Piero Maestri, consigliere provinciale di "Sinistra Critica", esponente del movimento contro la guerra e redattore della rivista "Guerre & Pace". Contrario all’arrivo di soldati per le strade del capoluogo lombardo, il consigliere attacca il presidente della giunta provinciale: "Interviene un giorno sì e uno no sulla questione rom e stranieri, ma non ha detto una parola quando, per tre volte di fila, si è verificata un’aggressione razzista ai danni di uno straniero".

Negativo, secondo Piero Maestri, l’utilizzo di militari per scopi interni previsto dal nuovo modello di difesa: "Da tempo - spiega Pietro Maestri - un nostro slogan dice che, se le guerre vengono definite oggi operazioni di polizia, quello che fa la polizia assomiglia sempre più alla guerra". Anche le forze dell’ordine, aggiunge, "assomigliano sempre più all’esercito, anche perché fra di loro aumenta il numero di chi arriva da alcuni anni di esperienza nel servizio militare volontario. Ma un militare che viene a pattugliare la Bovisasca dopo essere stato a Kabul - conclude Piero Maestri - a me fa solo paura".

Giustizia: un’estate calda... con gli anfibi, il fucile e gli occhiali

di Mariuccia Ciotta

 

Il Manifesto, 5 agosto 2008

 

Con gli anfibi, il fucile e gli occhiali mentre il mare è una tavola blu... mancano solo le pinne della famosa canzone di un’estate lontana in questo agosto surreale. Da ieri i militari presidiano le città italiane secondo il piano "pacchetto sicurezza". Quattro gatti in tuta mimetica che fanno paura ai turisti - "sembra un teatro di guerra" - e pure ai sindaci preoccupati per l’immagine poco vacanziera che ne deriva.

Soldati a caccia di bulli e di ladruncoli in un diario di aneddoti tragi-comici come quello dei granatieri di Sardegna che alla stazione Anagnina di Roma hanno consegnato uno scippatore rumeno ai carabinieri e la borsetta alla signora, per non parlare degli alpini a Torino di pattuglia al Tossic Park, capaci di identificare "trenta tossicodipendenti" in un batter d’occhio e dei cinquanta bersaglieri a Palermo, forti del ricordo dell’operazione anti-mafia "Vespri Siciliani". Nella capitale, i paracadutisti della Folgore fanno la guardia al Cpt di Ponte Galeria e non c’è più da ridere. A Catania, intanto, nel mirino degli uomini in uniforme estiva, camicia a maniche corte e pistola, c’è il lido dei catanesi, la Playa.

Sembra una commedia all’italiana, una di quelle con Totò e Peppino pronti ad avvistare nelle vie adiacenti del centro storico di Verona i settantacinque uomini in divisa, anche loro costretti a nascondersi nella città leghista di Tosi, per non sciupare l’effetto del balcone di Giulietta. Ma l’esibizione muscolare, che fa godere il ministro La Russa, felice del suo giochino di ferragosto, va al di là della sua scarsa potenza di fuoco.

È l’istantanea di un’Italia che ha ceduto alle sue più basse pulsioni, che si appella all’autoritarismo in nome della "sicurezza" senza sapere da dove viene il pericolo, disposta a sacrificare diritti e democrazia per arrivare a quel "fine mese" diventato un leit-motiv vuoto.

Tutto passa sotto silenzio, la ferita alla Costituzione con la schedatura degli stranieri, le impronte ai bambini, l’emendamento liquida-precari, le leggi per salvare l’imputato Berlusconi, il taglio dei fondi alla stampa libera, un paese visto all’estero come un’anacronistica dittatura.

L’esercito per le strade italiane è la fotografia di questo governo e di chi lo ha eletto. E se La Russa si offende a sentir parlare di "operazione di facciata", fa male. Dietro i corpi reali di quei pochi soldati, c’è infatti l’assedio simbolico di una cultura mortifera, la rottura di una sensibilità comune e l’affermazione della sua concezione del mondo, quella contro la quale si sono battute generazioni di democratici.

Il ministro della difesa afferma adesso con cipiglio che "oltre ai delinquenti, agli stupratori, a chi fa i furti e rapine, sono contrari alla presenza dei militari solo i post-sessantottini, i figli di chi gridava basco nero il tuo posto è al cimitero". I fucili spianati di oggi sono il trionfo dei suoi sogni di camicia nera, e pochi gridano ancora che se ne deve andare. Non al cimitero, ma in un posto altrettanto lontano dai vivi.

Giustizia: Eurojust più forte contro criminalità internazionale

 

Asca, 5 agosto 2008

 

Nuovo slancio alla cooperazione giudiziaria nel penale con le determinazioni del Consiglio Europeo, riunitosi il 24-25 luglio. I ministri della giustizia e degli interni dei 27 Paesi membri hanno infatti prodotto un documento riassuntivo dei principali obiettivi raggiunti, che a sorpresa riguarda il rafforzamento di Eurojust e la cooperazione giudiziaria in materia penale, vero e proprio tallone d’Achille del processo di armonizzazione delle norme nazionali.

Riguardo a Eurojust il Consiglio ha sottoscritto una dichiarazione di "approccio generale" nella quale è esplicitata l’intenzione di rafforzare l’agenzia permanente Eurojust, istituita nel 2002 per consolidare l’efficacia delle autorità competenti degli stati membri nella lotta contro gravi forme di criminalità internazionale e organizzata, che stimola e migliora il coordinamento delle attività in materia di indagini e azioni penali, e assiste gli stati membri per migliorare la loro efficacia in tale campo. La sua missione è quella di intensificare lo sviluppo della cooperazione a livello europeo sui casi di giustizia penale.

E per adempierla ha consolidato nel tempo il ruolo di principale interlocutore delle istituzioni europee quali il Parlamento, il Consiglio e la Commissione. L’idea di rafforzamento di Eurojust, secondo il Consiglio, passa per la creazione di una base minima di poteri giudiziari lasciati a livello nazionale e di un meccanismo di coordinamento sulle urgenze. Da migliorare, sottolinea il documento finale presentato in settimana, il sistema di trasmissione delle informazioni a Eurojust e soprattutto la cooperazione giudiziaria con i paesi terzi, in modo da consentire anzitutto ai magistrati di rafforzare la propria operatività delle indagini.

Già nelle riunioni del 18 aprile e del 6 giugno il Consiglio aveva indicato un orientamento in materia di Eurojust, più specificamente su alcuni articoli relativi alla composizione e alle funzioni della rete giudiziaria europea, sullo Statuto per i membri nazionali e sulle disposizioni permanenti di coordinamento.

Il Consiglio intende perciò rafforzare già da quest’anno la rete in Italia, Slovenia, Francia, Repubblica Ceca, Svezia, Spagna, Belgio, Polonia, Paesi Bassi, Slovacchia, Estonia, Austria e Lussemburgo. Attraverso la creazione di una base minima comune di poteri lasciati a livello nazionale e di un meccanismo di coordinamento delle urgenze.

Oltre che al miglioramento della trasmissione di informazioni destinate a Eurojust, dell’impegno a livello nazionale e al rafforzamento della cooperazione giudiziaria con i paesi terzi che lasci il giusto spazio di operatività ai magistrati (i cosiddetti "punti di contatto"). Nell’ambito della cooperazione giudiziaria in materia penale il Consiglio ha fatto presente che "dopo i recenti allargamenti dell’Unione nel 2004 e 2007 la cooperazione ha bisogno oggi di un nuovo slancio".

La cooperazione giudiziaria in materia penale ha mantenuto negli ultimi cinque anni un rapporto privilegiato con la rete Eurojust, basato su concertazione e complementarietà. I cinque anni trascorsi con la coesistenza di Eurojust e della Rete giudiziaria europea, secondo il Consiglio, "hanno dimostrato la necessità di mantenere le due strutture, ma di chiarirne meglio i loro rapporti". La Rete giudiziaria europea facilita i rapporti tra i punti di contatto nazionali (in particolare riguardo a gravi forme di criminalità).

E gli stessi punti di contatto forniscono un certo numero di informazioni di base alle autorità giudiziarie europee, in modo da permettere di stabilire un’efficace cooperazione giudiziaria o migliorare la cooperazione generale a livello comunitario. Il segretario della Rete giudiziaria europea è inoltre responsabile del fatto che le informazioni fornite siano messe a disposizione anche su un sito internet.

E il Consiglio ha stabilito che l’accesso in sicurezza a telecomunicazioni riservate sarà messo a punto per il lavoro operativo dei punti di contatto. In questo modo la domanda di cooperazione giudiziaria sarà espressa in tempo reale, e questo dovrebbe azzerare i tempi burocratici delle richieste. È previsto, perciò, che entro quest’anno venga creata una Rete giudiziaria in materia penale che è già stata approvata da Italia, Slovenia, Francia, Repubblica Ceca, Svezia, Spagna, Belgio, Polonia, Paesi Bassi, Slovacchia, Estonia, Austria, Lussemburgo e Portogallo.

Giustizia: Cgil; tagli alla sicurezza, l’ipocrisia oltre ogni limite

 

Comunicato stampa, 5 agosto 2008

 

Dichiarazione di Mauro Beschi, Segretario nazionale Fp Cgil responsabile Comparto Sicurezza. Mentre la manovra economica contro il lavoro pubblico, di cui parte importante è quello degli addetti ai corpi di Polizia, è di fatto approvata si leggono sulle agenzie, da parte di esponenti di Governo e maggioranza, indegne dichiarazioni di scuse, distinguo, promesse a futura memoria.

I fatti dicono che si decidono tagli di oltre tre miliardi di euro sui capitoli di spesa della "sicurezza" e "difesa"; una riduzione, nel prossimo triennio, di 40.000 operatori; la riduzione del 50% degli stanziamenti per remunerare le indennità direttamente connesse all’operatività; si riduce del 40% la retribuzione accessoria in caso di malattia; non si vuole detassare lo straordinario quando tutti sanno che spesso, data la carenza degli organici, i poliziotti sono costretti ad allungare i turni per garantire il servizio.

Ma, allora, di che stiamo parlando? Di fronte a queste scelte non servono le chiacchiere ma un cambio di politiche e se non si può o non lo si vuole fare meglio un dignitoso silenzio perché i poliziotti non meritano oltre al danno anche la beffa.

Giustizia: medicina; ma chi sono detenuti tossicodipendenti?

 

www.saluteincarcere.it, 5 agosto 2008

 

Nelle carceri italiane il numero di giovani tossicodipendenti è in aumento. Gli istituti di pena non sempre sono preparati ad accoglierli. La detenzione di individui tossicodipendenti è negli ultimi anni una delle questioni più discusse. La polemica non riguarda esclusivamente il sostegno psicologico ma abbraccia altri settori quali sociologia, medicina, criminologia e politica. Si discute riguardo la prevenzione, le modalità detentive, l’intervento giuridico e quello terapeutico. Ma del tossicodipendente detenuto si sa ancora troppo poco.

Alcuni studiosi e criminologi hanno cercato di definire diverse tipologie di tossicodipendenti detenuti. Innanzitutto i reati commessi da individui tossicodipendenti si possono dividere in:

Criminalità diretta: ovvero i reati commessi da soggetti in stato di intossicazione acuta o cronica, cioè sotto l’influsso della sostanza assunta.

Criminalità indiretta: ovvero i reati compiuti allo scopo di mantenere l’abitudine di consumatori di droga. La maggior parte dei reati consiste in piccoli e medi furti di auto, moto o parti di esse o furti negli appartamenti. La vendita dei beni rubati servirà per acquistare la dose.

Altre definizioni consuete sono quelle di: tossicomane-delinquente: in genere esclusivamente eroinomane, il quale ha prima avuto contatto con la droga e secondo spinto dalla necessità di procurarsela è incorso nel reato; o viceversa delinquente-tossicomane: ossia colui che fa parte dell’ambiente della malavita organizzata e secondariamente fa uso di sostanze stupefacenti.

Un’ampia fascia dei detenuti tossicodipendenti è considerata dai criminologi come soggetti affetti da disturbi sociopatici della personalità. Questi disturbi d’integrazione nella società e questa difficoltà di instaurare rapporti veri con gli altri sono derivati da un’insieme complesso di fattori, tra cui ha molta importanza la carenza di cure materne nell’infanzia e l’aver vissuto il periodo dell’infanzia e dell’adolescenza in situazioni di svantaggio socio-culturale.

Prima dell’inizio della tossicodipendenza queste persone manifestano già comportamenti anti-sociali e percepiscono l’ambiente come freddo ed ostile. La famiglia tipica di questa fascia di detenuti-tossicodipendenti è multi problematica, disorganizzata nei ruoli ed è evidente l’inadeguatezza delle figure genitoriali, non pronti o non capaci di crescere ed educare i figli.

L’avvicinarsi a questo tipo di detenuti-tossicodipendenti da parte degli operatori sociali è molto difficoltoso ed avviene solitamente nel carcere e nella comunità. Spesso può essere utile colmare le carenze di rapporti sociali e famigliari, attraverso l’offerta di un gruppo di aiuto "sostitutivo" (composto da figure professionali necessariamente formate e preparate) che diviene per il tossicodipendente un punto di riferimento che lo sosterrà nel lungo percorso di disintossicazione.

Giustizia: valorizziamo le competenze dei medici penitenziari

di Francesco Ceraudo (Presidente Amapi)

 

Il Sole 24 Ore, 5 agosto 2008

 

La salute in carcere è una priorità assoluta, soprattutto perché il recluso non ha la possibilità, di scegliere dove e da chi farsi curare. La riforma della medicina penitenziaria risponde a questa esigenza e crea le premesse per un profondo cambiamento culturale e strutturale. La Regione Toscana si è resa interprete di questa necessità dì cambiamento e sta portando avanti questo processo rivoluzionario con forte determinazione Si compie un ìmportante salto di qualità in un settore estremamente delicato e sofferente, anche in considerazione dei continui tagli imposti al settore dalle leggi finanziarie degli ultimi dieci anni.

Un passaggio epocale che la Toscana, prima in Italia, aveva significativamente anticipato mettendo a disposizione della popolazione detenuta l’approvvigionamento dei farmaci e di tutto il materiale sanitario.

La Regione ospita 13 Case Circondariali, quattro Case di Reclusione, un Ospedale Psichiatrico Giudiziario e un Istituto per Minorenni per un totale di circa 3.600 detenuti (gli effetti dell’indulto sono completamente scomparsi), mentre la capienza regolamentare si aggira intorno ai 2.800. Circa il 30% dei detenuti è tossicodipendente, 1.710 sono stranieri (Albania, ex Jugoslavia, Romania, Tunisia, Marocco, Algeria). Sono 52 i malati di Aids, ricoverati soprattutto al reparto di malattie infettive dell’ospedale penitenziario di Pisa.

Per adeguare le risposte della medicina penitenziaria alle esigenze della salute della popolazione detenuta è inderogabile la premessa di mettere al fianco del detenuto medici e infermieri qualificati professionalmente, motivati economicamente, rafforzati nella loro dignità professionale strettamente legata al riconoscimento della legittima esistenza della medicina penitenziaria come branca medica di confine sociale, somma di tutte le conoscenze mediche necessarie a trattare gli ultimi, gli emarginati, ovvero quelli che nessuno vuole curare.

Si avverte forte la necessità di valorizzare il patrimonio di conoscenze, competenze e di esperienze dei medici e degli infermieri che operano oramai da tempo nelle carceri. La continuità assistenziale in carcere deve essere il cardine intorno al quale si estrinseca la riforma della medicina penitenziaria. Il passaggio della medicina Penitenziaria al Servizio sanitario nazionale deve costituire una strada, che speriamo la più giusta è qualificata per tutelare la qualità di vita di chi è costretto a vivere e soffrire in carcere.

Piemonte: 925 mila euro per progetti contro la criminalità…

 

Asca, 5 agosto 2008

 

La Giunta regionale del Piemonte, su proposta dell’assessore al Welfare, Teresa Angela Migliasso, ha approvato il bando per l’assegnazione di contributi destinati a finanziare progetti di contrasto alla devianza e alla criminalità e a favore delle persone in esecuzione penale ed ex detenuti. Le risorse disponibili, stanziate dagli assessorati al Welfare, al Turismo e Sport, alla Cultura e al Commercio, ammontano a 925mila euro.

Gli interventi dovranno prevedere: strategie di prevenzione e di sensibilizzazione della popolazione sulle tematiche della legalità, della devianza e della pena; azioni di miglioramento delle condizioni di vita durante la detenzione attraverso l’offerta di opportunità formative e lavorative finalizzate al reinserimento e alla futura autonomia, iniziative culturali e sportive; iniziative di sostegno e accompagnamento alle persone beneficiarie del provvedimento dell’indulto o in uscita dal carcere. Sono previsti inoltre progetti specifici a favore delle donne detenute e dei bambini presenti negli Istituti penitenziari e per particolari fasce di popolazione in esecuzione penale: stranieri, sex-offender, tossicodipendenti, persone con problemi psichiatrici.

Le iniziative dovranno essere realizzate attraverso la collaborazione fra enti locali, enti pubblici, Amministrazione Penitenziaria e altri soggetti funzionali all’attuazione degli interventi, quali agenzie formative, associazioni culturali, sportive e di volontariato, cooperative, cooperative sociali e loro consorzi.

Bologna: nomina avvocato, telegramma a spese del detenuto

 

La Repubblica, 5 agosto 2008

 

Da oggi al detenuto occorre un telegramma per procurarsi l’avvocato difensore. E pazienza per le quasi certe difficoltà logistiche dell’operazione, ma riusciranno i tanti stranieri rinchiusi in cella a superare lo scoglio della lingua per nominare un proprio legale? La Camera penale, preoccupata dopo la decisione della direzione del carcere della Dozza di non trasmettere più al consiglio dell’Ordine degli avvocati, come avveniva ormai da sette anni, la scelta del difensore da parte di ogni singolo detenuto, ha deciso di scendere in agitazione, parlando di evidente violazione del diritto alla difesa che spetta ad ogni cittadino.

La novità, che nasce dall’interpretazione di una circolare ministeriale, ha suscitato la protesta dell’Unione nazionale delle Camere penali che ha formalmente chiesto al Dipartimento dell’ amministrazione penitenziaria di ampliare su tutto il territorio nazionale la prassi, in uso nella maggior parte delle case circondariali, di inoltrare via fax la nomina dei difensori al consiglio dell’Ordine degli avvocati di riferimento.

Dal 15 luglio, la direzione della Dozza ha interrotto questo tipo di comunicazione limitandosi ad avvertire il detenuto della facoltà di nominare un difensore. Una procedura di difficile attuazione soprattutto nel caso di detenuti stranieri. Il 24 luglio la Camera penale di Bologna, alla luce della nuova disposizione, ha informato la Procura. Il pm Luigi Persico ha scritto al direttore del carcere con la speranza che venga riportata in vigore una procedura che negli ultimi anni ha funzionato senza problemi.

"Ritengo necessario che la Dozza continui a inoltrare le nomine al consiglio all’Ordine a garanzia del diritto di difesa riconosciuto dalla legge", ha spiegato l’avvocato Elisabetta d’Errico, responsabile della Commissione carcere e componente del direttivo della camera penale.

Arezzo: portava hascisc al figlio detenuto, manette alla madre

 

La Nazione, 5 agosto 2008

 

Al carcere aretino di San Benedetto, prosegue ancora lo stato di agitazione della polizia penitenziaria ma questo non impedisce la massima efficienza del personale. Gli agenti, al comando del commissario Alessandro Salvemini, hanno infatti arrestato sabato mattina la madre di un detenuto mentre si apprestava a consegnare al figlio, durante i minuti di colloquio, cinque grammi di hascisc.

La donna non ha superato i controlli che negli ultimi tempi sono stati ulteriormente intensificati. La scoperta della droga ha fatto scattare un’appendice di indagine: gli agenti di polizia penitenziaria hanno infatti effettuato una perquisizione nella casa della donna trovando un altro piccolo quantitativo di sostanza.

Teramo: bambini disabili recitano "Biancaneve" per i detenuti

 

Il Centro, 5 agosto 2008

 

I detenuti della sezione alta sicurezza del carcere di Castrogno sono rimasti fortemente colpiti dalla rappresentazione teatrale "Biancaneve e i sette nani" che i bimbi con problemi psicomotori del Centro Diurno Ricciconti di Atri hanno tenuto nella Casa Circondariale. Un detenuto, Salvatore Rapisarda, ha inviato ai giornali una lettera in cui, a nome dei compagni dell’alta sicurezza, ringrazia "di cuore le associazioni, gli angeli e i loro genitori per l’evento ben riuscito.

Ci hanno fatto trascorrere una giornata straordinaria. Hanno trasmesso dentro i nostri cuori una gioia immensa, malgrado tutta la sofferenza e il dramma che provano e condividono giornalmente. Malgrado noi viviamo in privazione di libertà, capiamo che nella vita e nel mondo intero ci sono tante altre situazioni peggiori della nostra.

Questi ragazzi, le loro famiglie e le associazioni con il loro impegno e le loro fatiche ci hanno dimostrato che la vita va affrontata in qualunque modo si presenta". Rapisarda conclude ringraziando direzione del carcere, polizia penitenziaria, educatore e assistente sociale, e conclude: "Un saluto affettuoso da noi tutti detenuti".

Rimini: foglio di via alle prostitute, sono "soggetti pericolosi"

di Alessandra Nanni

 

Il Resto del Carlino, 5 agosto 2008

 

Se la legge non lo aiuta nella guerra alla prostituzione, il questore di Rimini ripesca una sentenza della Cassazione e inaugura il foglio di via per le lucciole che colonizzano Rimini, giudicandole "soggetti pericolosi". E riesce a dimezzarle, firmando 47 fogli di via in un mese e denunciandone 40.

Un vuoto, sui marciapiedi, che non si era mai visto prima. Almeno per ora, sperando che nel frattempo arrivi qualche decreto a dargli manforte. Perché Antonio Pezzano si aspetta a stretto giro di posta giuristi in campo e valanghe di ricorsi. L’idea, racconta il questore, è venuta "ragionando" con il senatore Filippo Berselli, presidente della commissione Giustizia del Senato, che poi presentò e successivamente ritirò un emendamento che riguardava proprio la possibilità di estendere alle "lucciole" quella pericolosità che consente l’allontanamento.

"In quella sentenza della Cassazione - spiega Pezzano - il questore poteva giudicare la pericolosità di un soggetto in modo autonomo, e applicare quindi il foglio di via e il divieto di ritorno per un massimo di tre anni. Per evitare che ci fossero contrasti giurisprudenziali, avevo chiesto al senatore Berselli di inserire nelle categorie pericolose anche le prostitute, ma quando l’emendamento è stato ritirato, ho deciso di andare comunque avanti, perché la norma non faceva altro che recepire quella sentenza della Cassazione. Già applicata in passato dal questore di Pisa, senza però trovare un seguito".

Il questore prosegue: "A Rimini, la situazione cominciava davvero a diventare pericolosa per l’ordine e la sicurezza pubblica. Le prostitute erano aumentate moltissimo, così come le proteste dei cittadini, il disagio, e anche un senso di frustrazione da parte degli agenti di polizia che non potevano fare altro che controllare i documenti, e rimandarle via. In questo modo, se tornano scatterà una denuncia e il questore potrà chiedere al prefetto il rimpatrio al paese d’origine. Insomma, alla fine dell’iter sarà possibile procedere all’allontanamento coatto, anche dei cittadini comunitari".

Come le romene, che qui in riviera rappresentano la maggioranza delle prostitute che affollano i marciapiedi di lungomare e Statale. E che appena ti avvicini, ti sventolano sotto il naso la loro appartenenza alla Comunità Europea. "Questo foglio di via - conclude Pezzano - è solo il primo passo, ma lavorandoci sopra e con l’aiuto di una legge, possiamo farcela. E anche loro l’hanno capito. Da quando sono cominciati i fogli di via, sono diminuite di parecchio. Prima erano a decine, nell’ultimo servizio che abbiamo effettuato ne abbiamo trovate sette". Ma Pezzano è sicuro che le lucciole si stiano preparando alla controffensiva giudiziaria. "Ecco perché una legge avrebbe tagliato la testa al toro".

Diritti: i micro-chips per il controllo mentale sono una realtà?

di Leena Rauni e Kilde Luukanen (Università di Stoccolma)

 

Spekula, 5 agosto 2008

 

Nel 1948, Norbert Weiner pubblicò un libro, "Cybernetics" sulla comunicazione neurologica e teorie di controllo, già in uso, all’epoca, in piccoli circoli. Yoneji Masuda "Padre della Società dell’Informazione", nel 1980 espresse la preoccupazione che la nostra libertà fosse minacciata in modo Orwelliano dalla tecnologia cibernetica, completamente sconosciuta alla maggior parte della gente. Questa tecnologia collega il cervello delle persone ai satelliti mediante micro-chips impiantati, controllati tramite super-computer situati in basi sotterranee.

I primi impianti cerebrali furono inseriti chirurgicamente nel 1974, nello stato dell’Ohio, Stati Uniti, e anche a Stoccolma, in Svezia. Elettrodi cerebrali furono inseriti nei crani di bambini, nel 1946, senza che i genitori ne fossero a conoscenza. Negli anni ‘50 e ‘60, impianti elettrici furono inseriti nel cervello di animali e umani, soprattutto negli Stati Uniti, durante le ricerche sulla modificazione del comportamento, e sul funzionamento del cervello e del corpo. Metodi di controllo mentale furono usati nel tentativo di cambiare il comportamento umano e i suoi atteggiamenti. Influenzare il funzionamento del cervello divenne un obiettivo importante dei sevizi segreti e militari.

Trent’anni fa impianti cerebrali risultarono, ai R-X, misurare 1 cm. Impianti successivi si rimpicciolirono fino ad essere grandi come un chicco di riso. Erano fatti di silicio, e quelli successivi persino di arsenio-ferrite. Oggi sono abbastanza piccoli da poter essere inseriti nel collo o nella schiena, e anche per via endovenosa in diverse parti del corpo, durante operazioni chirurgiche, con o senza il consenso del soggetto. È ormai quasi impossibile rintracciarli o rimuoverli.

È tecnicamente possibile inserire ad ogni neonato un microchip che potrebbe dunque servire per identificare la persona per il resto della sua vita. Simili piani sono stati discussi segretamente negli Stati Uniti, senza nessuna esposizione delle questioni relative alla privacy.

In Svezia, il Primo Ministro Olof Palme, diede il permesso, nel 1973, di inserire impianti nei detenuti, e l’accertamento dei dati dell’ex direttore generale Jan Freese, rivelò che a pazienti di case di riposo erano stati messi degli impianti alla metà degli anni ‘80. La tecnologia fu rivelata nel rapporto statale svedese del 1972/74 "Statens Officiella Utradninger" (SOU).

Gli esseri umani con impianti possono essere seguiti ovunque: Le funzioni cerebrali possono essere monitorate a distanza dai super-computer e persino alterate mediante il cambiamento delle frequenze. Cavie di esperimenti segreti sono state detenuti, soldati, malati di mente, bambini portatori di handicap, audiolesi e ciechi, omosessuali, donne single, anziani, scolari e qualsiasi gruppo di persone considerato "marginale" dalle elite di sperimentatori. Le esperienze pubblicate, dei detenuti della prigione statale dello Utah, ad esempio, sono shockanti.

Gli attuali micro-chips agiscono mediante onde radio a bassa frequenza che li rendono rintracciabili. Con l’aiuto dei satelliti, le persone con gli impianti possono essere rintracciate ovunque nel globo. Questa tecnica fu tra quelle testate nella guerra in Iraq, secondo il Dr. Carl Sanders, che ha inventato l’interfaccia biotico (IMI- Intelligence-manned interface), che viene iniettato alle persone. (Già durante la Guerra in Vietnam, ai soldati veniva iniettato il Rambo Chip, ideato per aumentare il flusso di adrenalina nel sangue).

I super-computer da 20 bilioni di bit al secondo, alla US National Security Agency (NSA), possono adesso "vedere e sentire" qualsiasi esperienza dei soldati nel campo di battaglia, con un sistema di monitoraggio a distanza (RMS). Quando un microchip di 5 micromillimetri (il diametro di un capello è di 50 micromillimetri) è piazzato nel nervo ottico, manda neuro impulsi dal cervello che inducono le esperienze, gli odori, le visioni e voci della persona con l’impianto. Una volta trasferiti e depositati in un computer, questi neuro impulsi possono essere rispediti al cervello della persona tramite il microchip perché li riviva. Usando un RMS, un operatore di computer a terra può mandare messaggi elettromagnetici (codificati in forma di segnali) al sistema nervoso, simulando una determinata prestazione. Con l’RMS si può indurre persone sane ad avere allucinazioni o a sentire voci nella propria testa.

Ogni pensiero, reazione, cosa udita o osservata causa una certa potenzialità, e percorsi neurologici nel cervello e il suo campo elettromagnetico, che adesso possono essere decodificati in pensieri, immagini e voci. Stimolazioni elettromagnetiche possono, d’altra parte, cambiare le onde cerebrali di una persona e simulare attività muscolare, causando dolorosi crampi vissuti come una tortura.

Il sistema elettronico di sorveglianza della NSA può simultaneamente seguire e gestire milioni di persone. Ognuno di noi ha una unica frequenza di risonanza bioelettrica nel cervello, proprio come abbiamo impronte digitali uniche. Con stimoli cerebrali completamente decodificati dalle frequenze elettromagnetiche (EMF), segnali elettromagnetici pulsanti possono essere inviati al cervello creando la voce desiderata ed effetti visivi, perché vengano percepito dal soggetto prescelto. È una forma di guerra elettronica. Ad astronauti statunitensi vennero inseriti degli impianti prima di essere mandati nello spazio, in modo che i loro pensieri potessero essere seguiti e tutte le loro emozioni registrate 24 ore al giorno.

Nel maggio 1996 il Washington Post ha riportato che al principe William di Gran Bretagna venne inserito un impianto all’età di 12 anni. In questo modo, se fosse stato rapito, un’onda radio con determinate frequenze avrebbe potuto essere puntata verso il microchip. Il segnale del microchip sarebbe stato rintracciato tramite un satellite collegato allo schermo del computer del quartier generali della polizia, dove gli spostamenti del principe avrebbero potuto essere seguiti. Avrebbe potuto trovarsi ovunque nel globo.

I mass media non si sono occupati del fatto che la privacy di una persona con un impianto scompare per il resto della sua vita. La persona può essere manipolata in molti modi. Usando frequenze diverse, il controllore segreto di questa attrezzature può addirittura modificare la vita emotiva di una persona. La si può rendere aggressiva o letargica. La sessualità può venire influenzata artificialmente. I segnali del pensiero e le riflessioni del subconscio possono essere letti, i sogni influenzati e persino indotti, tutto senza che la persona con l’impianto lo sappia o acconsenta.

In questo modo potrebbe essere creato un perfetto cyber soldato. Questa tecnologia segreta è stata usata dai militari in certi paesi NATO sin dagli anni ‘80, senza che la popolazione accademica o civile ne avesse mai sentito parlare. Di conseguenza, poche informazioni riguardo sistemi così invasivi di controllo mentale sono reperibili in riviste professionali o accademiche.

Il gruppo Signals Intelligence dell’NSA, può monitorare a distanza informazioni del cervello umano decodificando i potenziali provocati (3,50hz, 5 milliwatt), emessi dal cervello. Detenuti sottoposti ad esperimenti sia a Gotheburg, Svezia e Vienna, Austria, hanno scoperto di avere evidenti lesioni cerebrali. Ridotta circolazione sanguigna e mancanza di ossigeno nel lobo temporale destro risultano là dove impianti cerebrali erano di solito attivi. Un soggetto di nazionalità finlandese, sottoposto ad esperimenti, ebbe atrofia cerebrale e saltuaria perdita dei sensi, dovuti alla mancanza di ossigeno. Tecniche di controllo mentale possono essere usate per scopi politici. L’obiettivo dei manipolatori della mente, oggi, è indurre le persone o i gruppi presi di mira, ad agire contro le loro convinzioni e i loro interessi. Individui zombificati possono persino venire programmati ad uccidere e in seguito non ricordare niente del loro crimine. Esempi allarmanti di questo fenomeno si possono trovare negli Stati Uniti.

Si sta conducendo questa "guerra silenziosa" contro civili inconsapevoli e soldati, da parte di organismi militari e dei servizi segreti. Sin dal 1980, stimolazioni elettroniche del cervello (ESB) sono state segretamente usate per controllare le persone scelte senza il loro consenso o che ne fossero a conoscenza. Tutti gli accordi internazionali sui diritti umani proibiscono la manipolazione non consensuale degli esseri umani - persino in prigione, per non parlare della popolazione civile.

Dietro iniziativa del senatore degli Stati Uniti, John Glenn, nel gennaio 1997, cominciarono discussioni riguardanti i pericoli di irradiare la popolazione civile. Puntare le funzioni cerebrali della gente con campi elettromagnetici e raggi (da elicotteri e aeroplani, satelliti, furgoni parcheggiati, case vicine, pali del telefono, apparecchi elettrici, telefoni mobili, TV, radio, ecc…) fa parte del problema irradiamento, di cui si dovrebbero occupare apparati governativi democraticamente eletti. In aggiunta al controllo mentale elettronico, sono stati sviluppati anche metodi chimici.

Droghe che alterano la mente e diversi gas da inalazione, che agiscono negativamente sul funzionamento del cervello, possono essere diffusi nei condotti dell’aria o nei tubi dell’acqua. In questo modo sono stati testati anche batteri e virus in numerosi paesi. L’attuale supertecnologia, che connette le funzioni del nostro cervello attraverso micro-chips (o addirittura senza di essi, secondo le ultime tecnologie) a computer satellitari negli Stati Uniti o in Israele, rappresentano la più grave minaccia per l’umanità.

Gli ultimi super-computer sono sufficientemente potenti da monitorare la popolazione di tutto il mondo. Cosa succederà quando la gente sarà tentata da falsi presupposti, a lasciarsi impiantare micro-chips nel corpo? Un’esca sarà quella della carta d’identità microchip. Negli Stati Uniti è persino stata proposta segretamente una legislazione obbligatoria che criminalizza la rimozione della carta d’identità impiantata.

Siamo pronti per la robotizzazione dell’umanità e la totale eliminazione della privacy, inclusa la libertà di pensiero? Quanti di noi vorrebbero cedere la propria intera vita, inclusi i nostri pensieri più segreti, al Grande Fratello? Già esiste una tecnologia per creare un totalitario Nuovo Ordine Mondiale. Nascosti sistemi neurologici di comunicazione sono posizionati in modo da annullare il pensiero indipendente e controllare l’attività sociale e politica negli egoistici interessi privati e militari.

Quando le nostre funzioni cerebrali saranno ormai connesse ai super-computer, tramite impianti radio e micro-chips, sarà troppo tardi per protestare. Questa minaccia può essere sconfitta solo istruendo il pubblico usando la letteratura disponibile di biotelemetria e le informazioni scambiate ai congressi internazionali.

Uno dei motivi per i quali questa tecnologia è rimasta un segreto statale è l’esteso prestigio del "Diagnostic Statistical Manual IV", prodotto dalla American Psychiatric Assoiation (AA) statunitense, e stampato in otto lingue. Psichiatri al servizio dei servizi segreti degli Stati Uniti hanno contribuito senza dubbio alla stesura e correzione di questo manuale. Questa "Bibbia" della psichiatria nasconde lo sviluppo segreto delle tecnologie di controllo mentale, etichettando alcuni dei loro effetti come sintomi di schizofrenia paranoica.

Le vittime di controllo mentale sono così definite, automaticamente, come mentalmente malate dai medici che hanno appreso la lista dei "sintomi" DSM nella scuola medica. I medici non sono stati istruiti sul fatto che i pazienti potrebbero dire la verità quando raccontano di essere stati presi contro la loro volontà e usati come cavie per forme elettroniche, chimiche e batteriologiche di guerra psicologica. Il tempo finirà per cambiare la direzione della medicina militare e assicurare il futuro della libertà umana.

Immigrazione: Unione Europea; i Rom sempre più emarginati

 

La Repubblica, 5 agosto 2008

 

Un dossier sui "Rom e il caso Italia". Un diario puntuale dei fatti accaduti a partire dalla metà di maggio che denuncia il clima di intolleranza nei confronti dei nomadi che si è diffuso nel nostro Paese dopo il raid al campo di Ponticelli. E punta il dito contro il dibattito politico sull’argomento che è seguito che è stato "generalmente negativo".

Il testo che è stato commissionato all’indomani degli incidenti di maggio dall’Agenzia per i diritti fondamentali, un organo dell’Unione europea istituito recentemente che ha sede a Vienna (dal 16 luglio scorso il comitato scientifico è presieduto da Stefano Rodotà), passa al setaccio tutti gli attacchi ai campi e le aggressioni avvenuti e descrive i provvedimenti presi dal governo sull’onda dell’emergenza segnalando poi come abbiano coinvolto anche gli altri immigrati irregolari presenti nel paese.

Il rapporto diffuso ieri è a uso della Commissione europea e dei suoi paesi membri e lancia un invito alla riflessione soprattutto sulle misure prese dal governo italiano per rispondere agli eventi.

E se visto dall’Italia quanto è accaduto in quei giorni sembra già lontano, l’attenzione critica dell’Europa ritorna sulla vicenda di Ponticelli e il dossier sugli incidenti voluto dall’agenzia stigmatizza i fatti italiani sottolineando il fatto che hanno toccato "uno dei gruppi più vulnerabili d’Europa" e inserendoli in un contesto generale per dire che la strada dell’integrazione è ancora lunga e denunciare che in questa direzione vengono fatti progressi troppo lenti anche negli altri paesi.

Il rapporto segnala anche che la maggior parte dei campi presi di mira nel nostro Paese non erano autorizzati e che da noi i Rom vivono ai margini. E ancora: "Quanto è accaduto a Ponticelli mostra che per proteggere i diritti fondamentali nell’Unione europea i governi devono occuparsi anche del compito di far rispettare, proteggere e promuovere i diritti fondamentali non solo fornendo il supporto legale ma anche assicurando che questi siano applicati dalle autorità pubbliche", si legge.

Il testo ricorda che l’ostilità nei confronti dei Rom non è un fatto recente nel nostro paese e che neanche è limitato all’area del napoletano. Dopo aver fatto una carrellata dei provvedimenti e delle critiche che questi hanno ricevuto, compreso il controverso censimento dei nomadi, ricorda che "nel clima di xenofobia e razzismo generato in questo periodo sono state coinvolte anche altre minoranze non Rom".

Immigrazione: entro l’anno nuovo decreto flussi per 170mila

 

La Repubblica, 5 agosto 2008

 

L’Italia è pronta a riaprire le sue porte: migliaia di lavoratori extracomunitari potranno a breve mettersi in regola. Riparte, infatti, la "lotteria delle quote": subito dopo l’estate verrà approvato l’atteso decreto flussi 2008. I posti in palio? 170mila. Un modo per rispondere alle oltre 740mila domande d’assunzioni già presentate nel corso dell’anno e solo in minima parte accolte (finora poco più di 61mila).

Con il decreto flussi si fissano annualmente le "quote" di extracomunitari, che possono entrare in Italia per motivi di lavoro subordinato o autonomo. In realtà, come sanno bene tutti gli immigrati, il decreto è da anni (in mancanza di sanatorie) l’unica chance per uscire dalla clandestinità e mettersi in regola. L’iter però non è semplice, né privo di rischi: si fa domanda d’assunzione, si rientra nelle quote, si esce dal Paese col nulla osta e si rientra con un visto d’ingresso. Insomma, esci clandestino, rientri regolare. Sempre che, attraversando le frontiere, non ti venga consegnato un foglio d’espulsione.

Il "trucco" però riesce a pochi. Basta vedere come sono andate le cose col decreto 2007: 170mila i posti messi in palio, oltre un terzo per colf e badanti (nel 2006 le quote erano state ben di più: 470mila) La novità del 2007? Domande solo on-line. Una valanga: le richieste d’assunzione presentate sono state oltre 740mila (di cui 475mila per lavoro domestico e d’assistenza alla persona). E che fine ha fatto questa montagna di pratiche? Al primo agosto di quest’anno, solo 61.493 fortunati hanno ritirato il nulla osta all’assunzione, mentre quasi 8mila hanno avuto risposta negativa dalle questure. Il Viminale si è infatti trovato a dover gestire una mole di lavoro eccezionale e - va detto - ha fatto il possibile per accelerare i lavori di smaltimento delle domande. Il vero intoppo, in questa fase, sembrano essere le direzioni provinciali del lavoro, che infatti hanno "cestinato" oltre 27mila pratiche.

Molte le associazioni (come le Acli) e i sindacati che in questi mesi hanno chiesto la riapertura delle quote per soddisfare tutte le domande. Il governo prima ha negato la possibilità di ogni sanatoria, poi ha fatto decadere anche la possibilità di una regolarizzazione ad hoc per le badanti. L’unica concessione? Un decreto flussi 2008.

La notizia arriva da una risposta scritta data dal sottosegretario, Carlo Giovanardi, il 31 luglio 2008 a un’interrogazione delle deputate Pd, Livia Turco e Margherita Miotto. Notizia confermata in queste ore dai tecnici dei ministeri competenti: Interno e Welfare. "Entro fine anno - scrive Giovanardi - dovrebbe essere emanato un nuovo decreto di programmazione dei flussi d’ingresso per l’assunzione dall’estero di cittadini extracomunitari a carattere non stagionale. Tale decreto non potrà comunque superare le 170mila unità".

Sarà insomma un decreto fotocopia di quello del 2007, che verrà varato subito dopo l’estate. Ripartirà così la corsa alle domande, i vari clic day, le lunghe attese. Non si esclude però anche il ripescaggio delle domande già presentate.

Immigrazione: Padova, per combattere la fabbrica della paura

 

Dire, 5 agosto 2008

 

Oltre 400 persone hanno partecipato alla cena con le "categorie della paura", organizzata da 23 associazioni di Padova in Piazza delle Erbe. Trenta secondi di silenzio per tutte le vittime dei "viaggi della speranza".

Oltre 400 persone hanno partecipato domenica 3 agosto alla cena di condivisione con le "categorie della paura" organizzata da 23 associazioni di Padova, in Piazza delle Erbe. Un’occasione di convivialità nel "salotto buono" della città per chi "non accetta di vivere con paura il rapporto con gli altri, di dividere il mondo e la città in categorie: padovani e stranieri; regolari e clandestini; stanziali e nomadi". Di fronte al crescere di gesti di intolleranza e rifiuto e a provvedimenti politici "che non favoriscono la convivenza ma tendono a scaricare su alcune categorie, in genere i più poveri ed emarginati, le cause delle difficoltà che stanno aumentando per tutti", spiegano le associazioni, Padova si schiera contro la "fabbrica della paura".

"Riteniamo che questa città, questo mondo siano fatti di persone; che ogni persona ha i suoi problemi individuali, familiari, sociali; che i problemi stiano aumentando. Per tutti. - denunciano i promotori - Ma non crediamo che i più poveri siano la causa fondamentale di una crisi - economica, politica, morale - che è generale. Anzi è la crisi stessa che aumenta il numero di quelli che vengono messi ai margini della società: sempre più persone faticano - ogni giorno, tutti i giorni - per farcela. Rifiutiamo di considerare nostri nemici i più poveri: ma vorremmo - riconoscendoli come persone che hanno come tutti diritti e doveri - costruire con loro soluzioni e alternative, perché dalla crisi si possa progressivamente uscire. Tutti assieme. Noi pensiamo che clandestino sia una parola abusata. Una parola che non dice la verità". Don Albino Bizzotto, presidente e fondatore dei Beati costruttori di pace ha chiesto 30 secondi di silenzio per tutte le vittime dei "viaggi della speranza" in barcone o container, per le persone che hanno perso la vita alla ricerca di un futuro migliore per sé e per la propria famiglia.

L’iniziativa è promossa da Beati i costruttori di pace; Acs; Donne in nero; Ass. per la Pace; Movimento Federalista Europeo, Comunità Palestinese Veneto; Al Quds; Opera Nomadi; Giuristi Democratici ; Padova Donne; Associazione Migranti (Acli-Caritas-Cgil-Cisl-Uil); Emigrati Extracomunitari; Nigeriani; Azione Cattolica; Centro Aiuto SS Trinità; Coordinamento Immigrati; Granello di Senape; Comunità Cattolica Nigeriana; Progetto Interfaccia; Columna; Ebene; Consulta Immigrati; Sinistra Democratica.

Droghe: 3 ragazzi su 4 consumano alcolici e il 7% ne abusa

 

Notiziario Aduc, 5 agosto 2008

 

Il momento felice della giornata per molti lavoratori è l’ora dell’aperitivo: la moda dell’happy hour, nata in Gran Bretagna, da qualche anno spopola anche in Italia, soprattutto nella "Milano da bere", dove fioccano bar e iniziative che girano attorno a questo momento della giornata.

Ma la cosiddetta "ora felice" può anche impensierire. L’alcol in grandi quantità e a portata di portafogli può anche essere causa di un aumento di consumi tra i giovani: secondo l’Osservatorio nazionale sull’alcol, infatti, il 7% di loro ormai ne abusa almeno una volta a settimana e il primo approccio alle bevande alcoliche si è abbassato a 10-11 anni.

Per frenare il consumo di alcol scende in campo il gastroenterologo Nicola Caporaso dell’Università di Napoli che mette in guardia sui pericoli di questa cattiva abitudine: "L’analisi dell’Istituto superiore di Sanità dice che 3 ragazzi su 4 tra 16 e 25 anni bevono alcolici. Se si abbassa l’età a 15 anni, un anno in meno del limite di legge per poterli acquistare, i dati non cambiano: beve il 67%. Il problema è sia sociale che medico: negli adolescenti l’alcol viene metabolizzato con maggiore difficoltà e i danni al fegato ed al sistema nervoso sono maggiori che negli adulti. Così si facilita l’insorgenza di malattie del fegato, come la steatosi (o fegato grasso) e la steato-epatite che, nel corso degli anni, possono trasformarsi in cirrosi ed epato-carcinoma".

Per l’Organizzazione mondiale della Sanità fino ai 20 anni non bisognerebbe bere più di un bicchiere di vino, prima di allora infatti è minore la capacità di metabolizzare l’alcol. "Lo stile di vita e le modalità con cui ci si avvicina all’alcol (bevute quotidiane e lontane dai pasti), fumo e malnutrizione sono fattori altrettanto importanti nel determinismo del danno epatico", avverte il gastroenterologo, per il quale "un consumo superiore agli ottanta grammi al giorno, per dieci anni, aumenta di cinque volte il rischio di cancro del fegato.

Un ruolo lo svolgono anche il sesso e l’età: l’attività dell’alcol-deidrogenasi, infatti, risulta significativamente ridotta nelle donne giovani ed in quelle con più di sessant’anni. Negli uomini, invece, è del 50% in meno nella fascia che va dai 60 agli 80 anni". La cirrosi poi, secondo Caporaso, può essere fatale: "La sopravvivenza a cinque anni delle persone affette da cirrosi è del 90%, ma scende al 70% se il paziente continua ad assumere alcol e, addirittura, al 30% se quello stesso soggetto è scompensato".

Guantanamo: i colloqui dei detenuti sono stati videoregistrati

 

Agr, 5 agosto 2008

 

Videoregistrati gli incontri fra i rappresentanti dei governi stranieri e i loro concittadini rinchiusi nel carcere di Guantanamo. La misura straordinaria, scrive il Washington Post, sarebbe stata adottata dagli Stati Uniti nell’ambito della lotta al terrorismo. Secondo quanto riporta il quotidiano, le autorità americane ne avrebbero però informato tutte le delegazioni in visita nel penitenziario, specificando che si trattava di una precondizione affinché potessero avvenire i colloqui. Le procedure adottate variavano inoltre a seconda della provenienza dei detenuti.

 

 

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