Rassegna stampa 20 agosto

 

Giustizia: sei angosciato per il tuo futuro? odia… che ti passa

di Alessandro Dal Lago

 

Liberazione, 20 agosto 2008

 

Nel nostro sfortunato paese un’aggressione razzista finisce a fondo pagina o è minimizzata come un episodio qualunque, magari una baruffa tra ragazzi (è il caso di Genova). Succede da quando il governo di destra ha lanciato la campagna sulla sicurezza a tutti costi. Ma che rapporto c’è tra razzismo e sicurezza?

Mettiamola così: tutti i divieti nostrani, locali e nazionali, su cui la stampa di mezzo mondo sta ironizzando, hanno come bersaglio diretto e indiretto gli stranieri: vietato girare con i borsoni (Venezia), vendere sulle spiagge (mezza Italia), fermarsi a chiacchierare con le ragazze per strada, se sono - o sembrano - prostitute (Roma), sedersi in più di due sulle panchine (Novara), lavare i vetri agli incroci (Firenze), chiedere l’elemosina distesi (Firenze) o sui gradini delle chiese (Assisi), bere in pubblico dopo una certa ora (Genova)... Se non sono stranieri, saranno poveracci con la carta d’identità italiana, nomadi, ambulanti, mendicanti, gente che si comporta come stranieri.

Dietro l’ondata di divieti non c’è solo il normale sadismo istituzionale: c’è l’ossessione aggiuntiva dei sindaci di destra, a cui si sono aggiunti molti di centrosinistra, per il decoro, la disciplina in pubblico e in privato, le apparenze a tutti i costi. Ed ecco come questo paese, in cui i treni vengono soppressi per motivi arcani (quando non si spezzano in due), le università affondano, i salari sono bassi, l’economia cigola, e milioni non sanno come arrivare alla fine del mese, sta anche diventando tetro, militarizzato, oscenamente perbenista. Vieta che ti passa, vien voglia di dire. O per dir meglio, odia che ti passa. Alla fine, il circolo si chiude. Più si diventa tetri, frustrati e socialmente insicuri, più è facile prendersela con gli stranieri.

Il razzismo italiano tira in balle scemenze sulla razza nelle sue frange estreme, nazistoidi. Talvolta, se la prende con le religioni e straparla di etnie (la Lega). Ma il razzismo più diffuso, soprattutto nelle istituzioni e nell’opinione pubblica che conta (giornali e televisioni) è quello che tira una linea immaginaria tra un noi sempre più isterico e un loro sempre più ampio e minaccioso. È il razzismo della chiusura, dell’arroccamento, della fortificazione in casa, del bar in cui si battono i pugni del tavolo.

Ed ecco perché, se gli atti razzisti li commettono i ragazzotti di destra, gran parte degli altri finiscono per assentire, direttamente o no. Mentre tutta Europa ci guarda con sospetto, da noi il razzismo è innominabile perché è diventato cultura prevalente: magari non maggioritaria statisticamente, ma l’unica che ha diritto di parola. Se è solo la Chiesa a sollevare il problema, vuol dire che la società è al collasso. E mentre la destra gonfia i muscoli e si drappeggia con i divieti, in questo silenzio assordante nasce la sconfitta di ogni alternativa, politica e civile.

Giustizia: carceri senza educatori, sovraffollate e dimenticate

di Alessandro Tettamanti

 

Liberazione, 20 agosto 2008

 

"In Italia ogni 10 detenuti 6 sono in attesa di giudizio, in grande maggioranza stranieri o tossicodipendenti". Lo hanno visto con i loro occhi i Radicali che hanno passato il Ferragosto in 44 carceri su è giù per l’Italia. Molte le situazioni al limite: al Regina Coeli di Roma ci sono 877 detenuti, 100 in più rispetto alla capienza. Le condizioni peggiori sono nella terza sezione mai ristrutturata. La carenza di organico degli agenti crea difficoltà a far fronte con tempestività ai frequenti casi di autolesionismo, come ha fatto notare Antonella Casu, segretaria di Radicali Italiani che lì ha passato il ferragosto.

Del Poggioreale di Napoli ha parlato Andrea Furgiuele: sono presenti oltre il 20% di detenuti in più rispetto alla capacità massima attribuita alla struttura e sono "poche le possibilità di un reale impegno formativo, lavorativo o di altra natura all’interno". In Sardegna nel carcere San Sebastiano di Sassari l’acqua e le bibite dei detenuti vengono tenuti al fresco dentro un calzino bagnato perché funziona un solo frigorifero, mentre il cibo portato dai familiari è invaso dalle formiche all’interno delle celle. A denunciarlo Guido Melis del Pd con Irene Testa e Tiziana Marranci, militanti radicali. Non meglio le condizioni nei penitenziari di Bolzano , Lucca, Perugia e Viterbo. In quest’ultimo 421 sono i comuni e 49 a essere sottoposti alla "tortura democratica" del 41bis. Nel 2008 ci sono stati due suicidi.

Dopo la mobilitazione ferragostana, i militanti radicali hanno rivolto un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia, Angelino Alfano. Come primo punto hanno messo la carenza della figura dell’educatore: a fronte di una pianta organica che ne prevede 364, ne sono stati effettivamente assegnati 159, cioè il 43,7 % di quanti ne servirebbero. Al ministro si chiede di spiegare in quali tempi intenda chiamare in servizio gli educatori vincitori e quelli idonei del concorso bandito nel 2003 e che ha concluso il suo iter nel giugno di quest’anno.

"Il dato più allarmante è però quello relativo al sovraffollamento. - sostiene Maurizio Turco, deputato Radicale - Per alcuni con problemi psichiatrici il carcere non è proprio il luogo più adatto. Nelle condizioni attuali è difficile vedere i penitenziari come i luoghi addetti alla riabilitazione. L’indulto, assolutamente necessario, è stato visto come un piacere, un regalo da fare piuttosto che uno strumento per riuscire a governare meglio.

Ora, come nel gioco dell’oca, siamo tornati al punto di partenza, ad una situazione di pre-indulto. Quello che serve è l’amnistia. Va rilanciata ed è la condizione generale per la giustizia in questo paese dove chi ha i soldi per permettersi dei buoni avvocati non punta all’assoluzione ma alla prescrizione. Non è possibile che i tavoli dei magistrati siano intasati allo stesso tempo da casi di ladri di polli affianco a quelli relativi a gravi frodi verso lo stato - continua Turco - è necessaria l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale e la derubricazione di alcuni reati. Questa maggioranza è per una cultura dell’emergenza, e ci sta portando indietro di decenni sul piano dei diritti acquisiti.

C’è, sul mondo delle carceri, una disattenzione generale da parte della politica. Il volontariato deve tornare ad essere qualcosa in più. È lo stato che deve garantire il corretto funzionamento del sistema carcerario". A mò di esempio il "carcere modello" di Cremona, visitato dallo stesso Turco: "I detenuti fanno il miele, hanno gli educatori e dei rappresentanti eletti nel comitato di gestione interno del penitenziario".

Giustizia: la richiesta di "pena" e il carcere, un circolo vizioso

di Vincenzo Andraous

 

Liberazione, 20 agosto 2008

 

Il Parlamento ha chiuso i battenti, forse è questo il momento più propizio per riflettere sulla funzione del carcere, senza il sibilo fastidioso delle strumentalizzazioni. In Italia, di pena e di carcere si parla poco e male, come se il "recinto chiuso" fosse una periferia da rimuovere, da annotare su una pagina stropicciata e illeggibile. I reati diminuiscono, ma la percezione di insicurezza aumenta, in rete la quota di allarmismo quotidiano straripa pericolosamente, formulando la pretesa di risolvere ogni questione con la galera, con la pedagogia dell’asprezza.

Come se a una doverosa esigenza di giustizia da parte della vittima, non dovesse corrispondere l’onestà intellettuale di una pena erogata con umanità, quanto meno per tentare di ricomporre la relazione tra le persone secondo reciprocità e responsabilità. La certezza della pena deve comunque riconoscere l’importanza di un percorso di cambiamento, che non è realistico se non garantito da passaggi formativi e relazionali che spingono non solamente a apprendere quanto il proprio passato sia stato errato, ma anche a sentire il bisogno concreto e autentico di essere finalmente in relazione con gli altri.

Quanto c’è ancora di intuitivo e positivo del fare reciproco tra il dentro e il fuori, tra gli operatori penitenziari e i detenuti, per avere fiducia e forza sufficienti a mantenere alto nella sua dignità quel patto di lealtà stipulato con la collettività. Quanto è ancora realmente condiviso il concetto che esiste un prima e un dopo, che passa necessariamente attraverso un "durante" carcerario solidale perché costruttivo, non certamente vendicativo al solo scopo di placare momentaneamente la richiesta di sollievo di una società confusa e perplessa, ma basato su una progettualità educativa.

È un cane che si morde la coda, come per il disagio giovanile, per la droga, per i morti e le tragedie sul lavoro, sulle strade, si invocano norme intransigenti ma confidando sui soliti investimenti residuali, peggio, si configura un disincanto educativo a vantaggio di un non meglio specificato obiettivo condiviso, quello della cementificazione delle coscienze, come se limitarsi a rinchiudere dentro una cella l’errore e l’inganno, potesse vincere la sofferenza per l’ennesimo accadimento tragico, come se nella riproposizione di una sordità trattamentale, vi fosse insita la chiave di accesso per riconsegnare all’opinione pubblica equilibrio e dignità.

Dimenticando che in carcere, se il detenuto è collocato nella stessa condizione di quando vi è entrato, non solamente permarrà nell’indifferenza verso chi ha offeso, ma anche nell’impossibilità di comprendere il valore come persona e dignità umiliata. Sul carcere c’è tanto da fare più che da dire, soprattutto c’è tanto da sapere e conoscere per poter intervenire con la giusta volontà politica, ma la politica appare incapace di concorrere alla formazione dell’opinione pubblica, è più concentrata a moltiplicare i luoghi comuni, gli stereotipi possibili e impossibili, e ciò comporta una sequela infinita di rinculi, una confusione sugli interessi collettivi che ne tutelano diritti e garanzie.

Giustizia: Alfano; in agenda riforme di processo civile e penale

di Ugo Magri

 

La Stampa, 20 agosto 2008

 

Di punto in bianco Angelino Alfano, il Guardasigilli, fa sapere che a Via Arenula non stanno dormendo, anzi, negli uffici del ministero il lavoro ferve sebbene sia agosto, e tra un paio di settimane renderà pubblica l’agenda delle riforme per la Giustizia che aveva promesso al premier prima delle vacanze.

Partirà dal nuovo processo civile, con l’ambizione di collegarlo alla Finanziaria, per continuare poi col processo penale, e concludere più avanti con le modifiche alla Costituzione. Filtra da fonti governative che Alfano non intende presentarsi quale bieco esecutore dei diktat berlusconiani ma, almeno inizialmente, tenderà la mano al centrosinistra. E, per bene impressionare l’opposizione, sembra pronto a riprendere vecchie proposte del Pd, comprese le annose ricette della Commissione bicamerale presieduta, due lustri fa, da Massimo D’Alema.

L’annuncio del ministro ha una logica. Dal momento che il Cavaliere vuoi far procedere di pari passo federalismo e riforma della Giustizia, a ogni accelerazione della Lega ne deve corrispondere una di Alfano.

Calderoli si dà un gran daffare, va a incontrare Tremonti in montagna, la sua bozza sul fisco federale è quasi matura? Ecco che pure il Guardasigilli si precipita a colmare il ritardo. Così, quando Bossi picchierà i pugni sul tavolo, in Consiglio dei ministri a settembre, per ottenere il via libera alla rivoluzione che più gli preme, gli verrà chiesto in cambio dal Cavaliere di mettere la firma in calce alla "vendetta" targata Alfano contro le "toghe rosse".

L’opposizione partecipa a questa dialettica dando spago, inutile dire, alla Lega. Perfino un po’ smaccatamente. Tanto chele ultime sparate del Senatùr da Lorenzago ("Se il federalismo non passa, bisognerà procedere coni mezzi più sbrigativi..."), invece che un attentato alla democrazia vengono considerate innocue esuberanze, punibili con un buffetto. Latorre, dalemiano: "Possiamo stare tranquilli, Bossi non dà mai seguito alle minacce". Tonini, vicino a Veltroni: "Le sue uscite sembrano rivolte alla maggioranza. Certo, ai fini dei dialogo sarebbe meglio se evitasse...".

La demonìzzazione è alle spalle. Cota, capogruppo bossiano alla Camera: "Mi auguro sul federalismo il più ampio consenso...". Guarda caso, a fare la voce grossa contro la Lega è proprio l’alleato dì destra. Gasparri, di An: "Le forzature dialettiche non servono". Bocchino, anche lui An: "Non ci sarà bisogno di alcun mezzo sbrigativo, che non sta nel nostro programma..". Paradossi della politica. Regolata peraltro da leggi "scientifiche".

L’attrazione fatale che porta Calderoli e il suo dirimpettaio-ombra Chiamparino a scambiarsi complimenti sulle rispettive proposte, in un minuetto quasi settecentesco, è la stessa forza di gravità che, giorno dopo giorno, riporta Casini nell’orbita del Cavaliere.

Casomai la Lega puntasse a sganciarsi sulla giustizia, per non pagare dazio a Re Silvio sul federalismo, ecco l’Udc già pronta a colmare il vuoto. Cesa, segretario centrista, manda a Palazzo Chigi un limpido segnale che si somma a quelli dei giorni scorsi: "Siamo apertissimi al dialogo con la maggioranza, no alla linea dipietrista".

Cicchitto, presidente dei deputati Pdl, subito batte un colpo: "Benissimo, è positivo che in Italia, oltre al forcaiolo Di Pietro, ci sia pure un’opposizione garantista...". Insomma: se Veltroni prova a ficcare un cuneo tra Berlusconi e la Lega, il Cavaliere prepara (non si sa mai) la carta di riserva.

Abruzzo: Del Turco; quando il "giustizialismo" è al contrario

di Paolo Vecchioli

 

www.ilcapoluogo.it, 20 agosto 2008

 

Scrive l’avv. Paolo Vecchioli: "Nelle calure agostane ho inteso il flebile " ...non ci sto.." dell’on. Mantini, circa insinuazioni dei pm pescaresi su eventi della "Sanitopoli" che ha coinvolto Del Turco & C. tempestivamente visitato a Lamaccio dal nostro accertatore anche e finalmente delle buone caratteristiche del carcere in questione.

Mi è venuto immediatamente da pensare considerando i trascorsi dell’on. Mantini che i magistrati pescaresi secondo i quali il buon Del Turco avesse eluso gli effetti della custodia cautelare riuscendo ad avere contatti con l’esterno perché omaggiato di ben undici visite di amici degli amici, deputati e senatori e ciò anche a prescindere da divieti del pm a conferire con gli avvocati, dicevo mi ha fatto pensare che "chi di giustizialismo ferisce di giustizialismo perisce …" .

Infatti i magistrati, pescaresi nel caso che ci occupa, sono sempre gli stessi cioè quelli difesi politicamente a spada tratta e da non ridimensionare nella loro infallibilità ed irresponsabilità in ogni sede politica, cioè quelli che ben più di semplici insinuazioni o illazioni avevano proferito ed in altre e ben più importanti occasioni ed a carico, però, di suoi temporanei avversari politici e dico così perché gli eventi… non si sa mai.

La moglie di Cesare sarebbe stata al di sopra di ogni sospetto qualora identico comportamento avesse adottato, ad esempio, per ognuno degli otto suicidi e/o suicidati in carcere a Lamaccio compresa la direttrice che si è tirata una revolverata in bocca prontamente spacciata per una revolverata amorosa.

Non abbiamo mai saputo di visite nel carcere da parte di deputati e senatori, neanche durante l’epidemia dei suicidi nel carcere di Sulmona. C’è chi ha già dato e non ha mai chiuso il capitolo in questione, in particolare quello del povero Camillo Valentini, suicidato in carcere come gli altri sette e per il quale nessuno dei baldi undici visitatori del buon Del Turco ha sprecato mai una parola.

Per quel che mi riguarda è ributtante il giustizialismo di ritorno che difende la casta delle toghe intoccabili ed infallibili ed è penoso vedere le facce tramortite di chi di giustizialismo si è nutrito culturalmente e sentire i loro balbettii stridenti e terrorizzati.

Il noto Tribunale di Milano condanna l’extracomunitario mandato a morire a L’Aquila per il furto di un telefonino, detenuto, evidentemente, già sepolto in carcere e ben prima di morire mentre se una toga non va a lavorare perché malata alla schiena ed impedita dallo stare seduta se ne va in regata velica per il mondo, alla faccia del telefonino e del disvalore in genere e dell’allarme sociale, la condanna della toga è quella del ritardo di un anno per la liquidazione della pensione (N.B. sono comunque molti soldi e ciò fa male alle toghe ma questo è altro problema) e nessun altra toga prova vergogna e fa autocritica, vero on. Mantini, sen. Marini, on. Tenaglia & C.

Nessuna toga sodale che "non poteva non sapere", (absit injuria verbis) paga per aver permesso che un magistrato, oggi per fortuna radiato, sempre alla faccia del furto di un telefonino e dell’allarme sociale derivato, depositasse una sentenza dopo otto anni dal dibattimento e come in un processo fantasma senza altri inquirenti e giudicanti e senza dirigenza dell’ufficio del magistrato ritardatario nessun altro è responsabile.

Anche in quest’ultimo caso, on. Mantini, on. Tenaglia, sen. Marini & C. la pena, dopo che "i buoi avevano lasciato la stalla" (sic) è stata commisurata all’allarme sociale di cui basta non parlare e non scrivere mentre si può venire a spirare nel carcere de L’Aquila dopo la condanna a morte già in pratica eseguita per il furto milanese di un telefonino soprattutto se si è extracomunitario ,indifeso ma buono per la toga di turno che scarica adrenalina da giustizialista e fa carriera e statistica .

Quanto sopra non mi rende amara anche l’iniziativa di Giulio Petrilli, già responsabile dell’Aret cui sono solidale dopo le carognate del Vicario di Del Turco, tra l’altro di origine Aquilana ed immemore anche dei patti capestro cui L’Aquila è stata già costretta, infatti dopo di lui neanche d’estate si riunisce la Giunta nella sua sede naturale de L’Aquila, circa l’osservatorio nelle carceri che non risolve il problema della cultura della legalità che è errato lasciare in mano alle toghe mentre chiunque governi deve non solo rapportarsi con esse ma addirittura scendere a patti cosicché garantismo,come nel caso di specie e nella contingenza politica , diventa partigiano.

Anche Giulio Petrilli deve decidere se la battaglia di una vita finisce in un esecutivo regionale partecipato o da idioti che non vedono passare i 15 milioni di euro, sempre secondo il vangelo dei pm pescaresi, oppure da incapaci che è peggio e che adesso cavalcano la tigre delle elezioni anticipate per recuperare una verginità cui nessuno ha attentato appunto per i motivi di cui sopra.

Gestire l’Aret mentre, sempre secondo i pm pescaresi che hanno prove schiaccianti, qualcuno si frega 15 milioni di euro solo nella sanità e partecipe Prc n della stessa Giunta che governa in solidarietà accomuna alle guardie dipietriste che difendono il sistema-mangiatoia per poi, però dopo aver mangiato e per meri fini elettorali, alzarsi in piedi e pretendere di scrivere sulla lavagna i buoni ed i cattivi.

La giustizia è altro rispetto al giustizialismo ed ai privilegi da delirio d’onnipotenza delle toghe intoccabili ed infallibili e che ci regalano l’ennesimo governo Berlusconi ed il sociale è cosa diversa dal partecipare senza vedere e capire da stupidi e/o incapaci perché così il "pescarese" Paolini può decapitare l’Aret anche senza riunire la Giunta a Pescara. Però alla fine deputati e senatori eletti e/o Aquilani sono venuti fuori solo perché è andato dentro Del Turco & C. ma hanno difeso il futuro de L’Aquila Capoluogo di Regione?".

Umbria: Regione trasferisce la medicina penitenziaria alle Asl

 

Asca, 20 agosto 2008

 

La salute dei carcerati affidata alle Asl. La Regione dell’Umbria ha recepito il decreto che ha trasferito le funzione di sanità penitenziaria al servizio sanitario nazionale.

"Garantire ai detenuti prestazioni sanitarie pari a quelle erogate ai cittadini in stato di libertà": muove da questo presupposto - per l’assessore regionale alla sanità Maurizio Rosi - l’atto di indirizzo recentemente adottato dalla Giunta regionale dell’Umbria in materia di medicina penitenziaria. La delibera, rivolta alle Aziende Sanitarie Locali umbre nel cui territorio ricadono per competenza gli Istituti e servizi penitenziari, recepisce le indicazioni del Decreto riguardante il trasferimento delle funzioni di sanità penitenziaria al servizio sanitario nazionale.

Obiettivo del provvedimento, ora in fase di attuazione, è di tutelare la salute dei detenuti attraverso l’informazione e l’educazione sanitaria, l’attuazione di misure di prevenzione e lo svolgimento delle prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione previsti dal Ssn. Tra le prestazioni da erogare sono inclusi anche il sostegno del disagio psichico e sociale, l’assistenza sanitaria della gravidanza e della maternità, l’assistenza pediatrica e servizi di puericultura ai figli delle donne detenute o internate che convivono con le madri negli istituti penitenziari.

Le indicazioni dell’atto di indirizzo sono state recepite dalle Asl dell’Umbria che debbono garantire le prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione previste nei livelli essenziali di assistenza. Le Aziende, cui spetta anche la redazione di una apposita Carta dei servizi sanitari, stanno ultimando le procedure necessarie al completo trasferimento delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie, delle attrezzature e dei beni strumentali finora appartenenti all’ordinamento giudiziario.

Foggia: suicidi, violenze ed aggressioni, è emergenza continua

 

Comunicato Sappe, 20 agosto 2008

 

Il Sappe - Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria - maggior sindacato di categoria, deve denunciare ancora una volta le gravi difficoltà operative dovute al sovraffollamento del carcere di Foggia che ha ormai superato le presenze pre-indulto, a quota 600 detenuti (di cui circa un centinaio di stranieri ) a fronte di una capienza regolamentare di 370, a cui fa da contraltare una cronica carenza di unità di Polizia Penitenziaria stimabile in almeno 100 unità, senza dimenticare la fatiscenza della struttura più volte visitata da questa O.S., ove sono state riscontrate gravi carenze igienico-sanitarie ai danni di chi ci lavora e di chi sconta la pena.

In questo contesto lavora la Polizia Penitenziaria che con coraggio, professionalità e sacrificio riesce ad arginare tra mille difficoltà, una situazione ormai quasi al collasso ed numeri parlano da soli e ci raccontano di una guerra sottile, insidiosa, pericolosa che si combatte giornalmente. In circa un anno abbiamo contato a Foggia 2 suicidi, 8 tentati suicidi, 7 aggressioni tra detenuti o contro il personale, quasi 50 episodi di autolesionismo, oltre 80 episodi manifestazione di protesta (rifiuto vitto, inosservanza alla vita carceraria, rifiuto terapie mediche).

Tutto questo accade in un momento in cui la criminalità organizzata è tornata a far sentire alta la sua voce, ed è preoccupante che a fronte di tale situazione l’Amministrazione Penitenziaria Centrale continui nel suo immobilismo sia nel continuare a tenere in pressione una pentola che potrebbe esplodere in qualsiasi momento, sia nei confronti di una Sanità Pubblica che si ostina a generare caos, disinteresse, insicurezza.

Ci riferiamo alla decisione presa dell’Asl di chiudere presso gli Ospedali Riuniti di Foggia, il repartino (circa tre stanze con sei posti letto) che consentiva di piantonare i delinquenti più pericolosi e pronti a tutto, con una pur minima sicurezza sia per il Poliziotti Penitenziari che per la Comunità. Si vuole ricordare che negli ultimi tre mesi solo dal penitenziario di Foggia sono stati ricoverati oltre 60 detenuti presso il nosocomio del capoluogo Dauno, mentre da ormai molti mesi tale reparto è chiuso per ristrutturazione.

In sostituzione è stato assegnato alla Polizia Penitenziaria uno sgabuzzino completamente inidoneo ad effettuare piantonamenti, per cui i detenuti trasportati in ospedale, vengono poi controllati nelle corsie a stretto contatto con altri ricoverati. Ciò oltre a richiedere un ulteriore impiego di Poliziotti Penitenziari che mette ancora più in crisi il penitenziario Foggiano, crea serio rischio alla salute ed all’incolumità sia dei pazienti e dei loro familiari, nonché degli operatori sanitari. Infatti qualora si dovessero verificare episodi tragici legati a qualche tentata evasione, oppure ad un regolamento di conti da parte di clan avversi al detenuto ricoverato, potrebbero rimanere coinvolti negli avvenimenti innocenti testimoni, poiché chi metterebbe in essere tali azioni, non si creerebbe certo scrupoli per raggiungere i propri scopi.

Il Sappe ritiene che questa situazione debba terminare al più presto, per questo motivo chiede l’intervento del Provveditore Regionale e del Sig. Prefetto di Foggia, affinché al più presto possibile la Asl competente assegni alla Polizia Penitenziaria un spazio attrezzato (o ristrutturare al più presto quello disponibile), per poter consentire di effettuare il piantonamento di pericolosi delinquenti, con margini minimi di sicurezza sia per il personale stesso che per gli operatori sanitari, i malati ed i loro parenti. Il Sappe chiede al Provveditore Regionale, che finora ha ben agito in altre carceri della Regione, di farsi carico delle problematiche del Carcere di Foggia, sia per quanto riguarda il sovraffollamento dei detenuti ,sia la carenza del personale di Polizia Penitenziaria che per porre misure idonee atte a risanare gli ambienti di lavoro incriminati.

 

Il Segretario Regionale Sappe

Isp. Sup. Federico Pilagatti

Empoli: Icatt in crisi; 22 agenti, 6 operatori e 1 sola detenuta

 

Il Tirreno, 20 agosto 2008

 

Molto presto saranno tutti per lei, 22 guardie e 6 operatori del ministero tutti a disposizione di una detenuta, l’unica che rimarrà a breve nel carcere di Pozzale. L’esperienza empolese della custodia attenuata, un modello che ha riportato a vita normale e onesta decine di ragazze, sta svuotandosi e diventando uno spreco di soldi pubblici.

Dall’indulto in poi è iniziata la parabola in discesa perché non sono state trovate più detenute con i requisiti giusti. Il problema è che, a due anni dal provvedimento di clemenza, il ministero non ha messo in atto alcun correttivo o riconversione. Tutto questo quando ad appena 5 chilometri di distanza i pazienti-detenuti dell’Opg vivono in condizioni di estrema precarietà e pericolosità. Anche 10 in una cella.

L’emorragia di Pozzale è iniziata con l’indulto che ha cancellato le pene sotto i tre anni. Molte delle venti che erano ospiti della struttura, e che seguivano percorsi con reinserimenti professionali, sono uscite. In più non sono state trovate più candidate con i requisiti chiesti per l’accesso (meno di 40 anni e con condanne già definitive). In primavera erano cinque ragazze. Poi due sono state trasferite in un carcere senza attenuazioni perché sono state giudicate non idonee a una sorveglianza più "soft" quale è quella di Pozzale.

Al momento sono dunque tre. Ma, come spiega la stessa direttrice del carcere Margherita Michelini, il numero si assottiglierà entro breve tempo. "Una delle tre è straniera - dice - ha una pena sotto i due anni, ha chiesto di rientrare nel paese di origine e avrà questa possibilità. Un’altra sta usufruendo già di permessi e probabilmente presto le saranno concesse misure alternative".

Si rimarrà con una sola detenuta. Che appunto avrà tutto l’organico della casa a custodia attenuata a disposizione: 22 guardie, sei operatori, oltre al personale amministrativo. Vale a dire una spesa da tenere in piedi, solo per lo stipendio personale che si occupa della custodia, di circa 66mila euro al mese. E che, comunque, a volte non basta perché, a causa di tutele contrattuali, solo sei delle guardie possono fare i turni la notte. Per cui a volte è stato necessario l’invio di personale a rinforzo dal carcere di Sollicciano. A chi viene da fuori, tra l’altro, spetta l’indennità di trasferta e di straordinario.

A primavera, quando le detenute erano cinque, il Comune, la Regione e il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Maria Pia Giuffrida, si incontrarono per parlare del futuro della struttura. La volontà che emerse fu quella di non cancellare l’esperienza della custodia attenuata e di riportare il numero alla capienza prevista. Il provveditore si impegnò a fare un censimento a livello nazionale per individuare candidate con i requisiti per l’ingresso nella struttura empolese.

Ma il numero continua ad assottigliarsi inesorabilmente. "Al momento non abbiamo novità sulla sorte della struttura - spiega il direttore Michelini - a settembre ci sarà un nuovo incontro con il provveditore". L’auspicio sia per i contribuenti che per chi vive in carceri superaffollati è che sia decisivo.

Firenze: pazienti Opg Montelupo trasferiti all’Icatt di Empoli?

 

Il Tirreno, 20 agosto 2008

 

Dove dovrebbero starci in cento sono esattamente il doppio. E con i lavori in corso. Siamo nelle scuderie della villa medicea dell’Ambrogiana da decenni sede inadatta dell’Opg (Ospedale Psichiatrico Giudiziario). A ottobre la gestione della struttura cambierà, lascerà il ministero e passerà all’Asl che dovrà fronteggiare un’eredità pesantissima. In ogni caso al momento i detenuti-pazienti vivono in condizioni disumane.

Anche dieci ammassati in una cella, dove si fa fatica a passare tanti sono i letti allestiti. E soprattutto in situazioni che possono diventare esplosive da un secondo a un altro perché portano alla vicinanza 24 ore su 24 di persone che hanno gravi problemi psicologici. E che mettono a rischio anche la stessa incolumità di chi ci lavora ogni giorno. Guardie e operatori sanitari. Il disagio all’Ambrogiana è particolarmente grave ora perché è in ristrutturazione una sezione dell’ospedale, la terza. E i lavori finiranno solo a fine anno. Per far fronte a queste difficoltà era stato proposto proprio un travaso dei pazienti-detenuti della casa di cura dell’Opg, cioè quelli in sostanza con patologie meno gravi, verso la struttura di Pozzale dove al momento ci sono solo tre detenute. Un carcere che potrebbe ospitare fino a 50 persone. Che a Empoli riconquisterebbero il titolo di esseri umani.

Sulmona: da detenuti in 41-bis solidarietà a suore missionarie

 

Il Centro, 20 agosto 2008

 

I detenuti in regime di 41 bis, rinchiusi nel carcere di Sulmona, hanno donato un orologio in ceramica al vescovo dei Marsi, monsignor Pietro Santoro. Nell’orologio è raffigurato lo stemma della diocesi di Avezzano. L’omaggio, in occasione della festività dell’Assunta, rientra in una serie di iniziative di collaborazione tra il supercarcere di via Lamaccio e le suore dell’istituto Sacro Cuore di Avezzano. Le religiose stanno realizzando progetti per una missione in Albania.

I detenuti, con la vendita dei lavori di pittura e ceramica realizzati nei laboratori del carcere, hanno raccolto dei fondi. Nel corso di una cerimonia che si è svolta nel carcere di massima sicurezza, alla presenza del direttore Sergio Romice, di don Francesco Tudini, presidente dell’associazione "Liberi per liberare", di suor Rosetta Balani, vicaria provinciale e delle consorelle albanesi, di suor Violeta Koleci, suor Vida Gjoni, suor Luia Kohe e la volontaria suor Benigna Raiola, sono stati consegnati 5mila euro per la missione. Suor Rosetta Balani ha ringraziato i detenuti.

Don Francesco Tudini, invece, ha ricordato l’impegno dell’Associazione: "Quello che si fa a favore dei detenuti lo si fa con gioia. Abbiamo apprezzato le vostre abilità, i vostri lavori sono stati bene accolti e hanno interessato molte persone. Siamo orgogliosi delle vostre capacità. Tutto questo ci fa capire che dentro ciascuno di noi ci sono tanti doni, ma, come diceva San Paolo, spesso desidero il bene, ma mi trovo a fare il male. La cosa importante è mettere fuori le vostre buone qualità".

Libri: "Politica e giustizia ai tempi delle Br", di Raffaele Costa

 

Il Giornale, 20 agosto 2008

 

Un tuffo indietro negli anni più recenti e più tragici dell’Italia dei giorni nostri. Ci aiuta a farlo l’onorevole Raffaele Costa che domani pomeriggio alle 18.30, presso il Palafiori di Sanremo, presenterà il suo ultimo libro "Politica e giustizia ai tempi delle Br", diario di un sottosegretario liberale (1979-1980).

Sono passati trent’anni circa da quando Raffaele Costa redasse il suo "diario", pubblicato in queste settimane da Mondadori, diario di un sottosegretario allora responsabile - per delega governativa - di buona parte delle attività carcerarie.

Quando Costa descrisse, per 259 giorni consecutivi, ciò che accadeva nelle carceri, ma anche nella vita politica italiana, era il tempo delle Brigate rosse. Era scoppiato il caso Moro con le profonde ferite che aveva lasciato. Le Br continuavano a mietere vittime. Non pochi brigatisti finirono dietro le sbarre. Costa allora mise a fuoco un fenomeno particolare: mentre i brigatisti in carcere continuavano ad essere attivi, impegnati in veri traffici, spesso creando problemi, gli altri detenuti, nonostante la legge del 1975 che prevedeva ampie possibilità di lavorare all’interno degli istituti di pena, in realtà passavano il loro tempo a poltrire. Le due realtà si intrecciano.

Accanto al racconto di diversi episodi legati alle attività delle Br, il diario evidenzia come in realtà nelle carceri non ci fosse un’attività destinata al recupero del condannato lasciato, quasi sempre, in balia della solitudine inattiva, ovvero di compagno altrettanto privi di segnali positivi (il lavoro soprattutto) capaci di contribuire al loro recupero. E questi ultimi trent’anni hanno dimostrato che, come sostiene l’autore, "chi esce privo di capacità lavorative torna quasi sempre in carcere". Per creare condizioni diverse Costa dà un’unica indicazione: far lavorare i detenuti dietro le sbarre.

Immigrazione: Barra (Cri); 20% bambini rom non va a scuola

 

La Repubblica, 20 agosto 2008

 

Di oltre mille rom identificati, il 20% dei minori non frequenta le scuole e non è in grado di certificare alcuna vaccinazione obbligatoria. A un mese dall’avvio del censimento nei campi della Capitale la Croce Rossa Italiana diffonde i primi dati. Finora sono stati visitati meno della metà degli insediamenti abusivi (21 su 50).

"Sono 1.117 le persone censite volontariamente e altrettante le tesserine della Cri emesse" spiega Massimo Barra, presidente nazionale della Cri. Nei 210 nuclei familiari registrati i minori sono 412.1 ritardi nella scolarizzazione e le carenze nella documentazione sanitaria sono i dati più evidenti riguardo ai minori.

Barra, che ha affidato ieri ai microfoni dell’emittente televisiva SAT2000 il bilancio di questo primo step nella Capitale, sembra soddisfatto: "Tutto sta procedendo bene ú assicura ú quelli che si sono rifiutati di essere censiti sono stati solo una piccola minoranza". E la diffusione dei dati parziali diventa per il presidente della Cri anche l’occasione per tornare sulla querelle nata intorno all’ipotesi di prendere le impronte digitali ai minori.

"La Croce Rossa non si è mai sognata di prenderle a nessuno, anche perché non sapremmo come fare" ha specificato Barra, "lasciamole prendere a coloro che desiderano andare in visita negli Stai uniti". Gli uomini della Croce Rossa proseguiranno le attività di identificazione fino al 15 ottobre. I dati raccolti rimarranno alla Cri prima di essere trasferiti in forma anonima agli istituti di ricerca incaricati della mappatura dei campi romani

Droghe: Giovanardi; "test" a camionisti, tassisti e macchinisti

 

Il Giornale, 20 agosto 2008

 

Controllori di volo, camionisti, tassisti, e naturalmente macchinisti. L’elenco delle categorie di lavoratori che dovranno essere sottoposti ai test antidroga è ora nelle mani della conferenza Stato-Regioni, che 1’11 settembre dovrà promuovere o bocciare il protocollo messo a punto dal governo sull’" antidoping" per i lavoratori.

Con l’approvazione finale, saranno centinaia di migliaia I dipendenti di aziende pubbliche e private, compresi i piloti dell’Aeronautica, che dovranno essere controllati.

Il sottosegretario alla presidenza del consiglio Carlo Giovanardi ha deciso di far applicare una legge del 90 che per 18 anni non è stata presa in considerazione, laddove si prevedevano esami sull’uso di sostanze stupefacenti per tutti coloro che esercitano mansioni a rischio per "l’incolumità e la sicurezza" di altre persone.

Lo scorso anno, nel 2007, il precedente governo mise a punto un "atto d’intesa", ma soltanto adesso quel documento è diventato un vero e proprio protocollo, che tra venti giorni sarà discusso dalla Conferenza.’ Giovanardi ha intenzione di "far diventare operativo in pochissimo tempo", come spiega al Giornale, questo giro di vite sui controlli per i lavoratori, una volta che avrà avuto il via libera dalle Regioni.

E questo il piano più innovativo per la sicurezza e contro la droga, ma c’è poi il fronte della prevenzione degli incidenti stradali: un progetto sperimentale partirà da ottobre in quattro città campione (Foggia, Perugia, Verona e Cagliari) con test antidroga per ottenere la patente automobilistica, ma anche per il "patentino" dei ragazzini. Un sistema che il governo intende "estendere a regime - spiega ancora Giovanardi - in tutta Italia: per la sicurezza dei ragazzi e anche per quella delle altre persone coinvolte in incidenti".

L’elenco di categorie che invece già dall’anno prossimo potrebbero essere sottoposte ai test antidroga su tutto il territorio nazionale è definito. Dovrà provare di non drogarsi chi fabbrica fuochi artificiali, chi lavora in impianti nucleari, o dove si producono gas tossici. Ci sono poi tutte le categorie del trasporto pubblico: i conducenti con patente C, D, E, chi muove merci (anche nei porti), ma anche i guidatori di mezzi a noleggio e i tassisti.

I controlli verranno svolti anche sugli assistenti di volo, sui collaudatori, sui piloti. L’esame sarà svolto dal medico competente di ogni azienda una volta l’anno. In caso di risultati sospetti si passerà poi a un controllo di secondo livello svolto da strutture sanitarie specialistiche, come i Sert. La positività accertata prevede una sorta di percorso terapeutico, durante il quale il dipendente manterrà il proprio posto di lavoro ma con altre mansioni. Basterà essere valutato come consumatore occasionale di sostanze stupefacenti, e non solo come tossicodipendente, per essere, messo dietro a una scrivania.

Droghe: Olivero (Sermig); "no" all’esercito e alle "narco-sale"

 

La Stampa, 20 agosto 2008

 

Ernesto Olivero, davanti alle finestre del Sermig stanno arrivando i tossicodipendenti mandati via da Parco Stura. Cosa si sente di dire?

"Bisogna fare una scelta di onestà. Non si risolvono i problemi spostandoli, ma con il coraggio di chiamarli con il loro nome. Solo così diventano un’opportunità".

 

Belle parole, ma nel concreto?

"Qui ci si schiera per tutto. Ogni argomento viene affrontato in modo ideologico. Invece davanti al fiume sono uomini e donne che si stanno drogando. E drogarsi è come suicidarsi. Questo è il piano da cui partire: uomini e donne".

 

Cosa propone?

"Un giorno un ragazzo dell’Arsenale della Pace mi ha detto: "Ernesto, non sai cosa ti sei perso a non farti". Gli ho risposto: "Fatti un filmato mentre ti buchi e portamelo a vedere". Si è visto lui: distrutto, nel fango. "Come mi sono ridotto", mi ha detto. Così è iniziato un percorso. Servono bontà e severità insieme. Nessuna retorica".

 

Le narcosale possono essere utili?

"Non voglio la droga di Stato. Voglio dei centri di recupero seri, con persone capaci di far riprendere il sogno".

 

L’Arsenale della Pace sta per compiere 25 anni e qui davanti arriveranno i soldati. Possono servire per contrastare lo spaccio?

"Non ho problemi a dirlo: l’esercito non serve a niente. Non si può far rispettare la legge con le pistole. Non servono le carceri che puniscono, ma quelle che rieducano".

 

Continuano a scendere verso la Dora. Si bucano nell’indifferenza generale. Torino è ancora una città solidale?

"La chiave per capirlo è guardare chi ci finanzia. 3 per cento banche ed enti pubblici. 4 quattro per cento il Governo del Brasile. Tutto il resto è grazie alla gente. Solo così possiamo dare accoglienza a 3.870 persone. Anche agli uomini e alle donne che si drogano qui davanti".

Droghe: Radicali; ma Olivero non sa cosa sono le "narco-sale"

 

Notiziario Aduc, 20 agosto 2008

 

Intervistato da "La Stampa", Ernesto Olivero (capo del Sermig), alla domanda "Le narcosale possono essere utili?" risponde così: "Non voglio la droga di Stato. Voglio dei centri di recupero seri, con persone capaci di far riprendere il sogno".

Gli esponenti radicali torinesi Giulio Manfredi e Domenico Massano gli rispondono così: "Le narcosale sono centri socio-sanitari dove il consumatore si inietta, sotto controllo medico e in condizioni igieniche accettabili, la dose acquistata fuori, nel mercato nero, la droga dello Stato proibizionista. La distribuzione del farmaco eroina sotto controllo medico è un’altra cosa, non è fatta nella narcosala.

È grave che una persona autorevole come Ernesto Olivero non sappia o finga di non sapere la differenza fra narcosala e somministrazione controllata di eroina, come era grave che il sindaco Chiamparino giocasse su tale confusione per affossare, complice il ministro Livia Turco (e con l’altro ministro responsabile, Paolo Ferrero, colpevolmente inerte), l’istituzione di una narcosala a Torino. D’altronde, Olivero è coerente: dieci anni fa non voleva nemmeno che il pullman "Cango" per la riduzione del danno sostasse vicino al Sermig.

Siamo d’accordo con Olivero, invece, sul fatto che l’esercito non risolve alcun problema; dopo l’ intervento a Parco Stura, siamo al punto di partenza; i consumatori si sono sparsi nei quartieri, i cittadini protestano, gli spacciatori intascano.

Domenica pomeriggio abbiamo constatato di persona come al mercato di Porta Palazzo, sgombro dai banchi di frutta e verdura, fervessero gli scambi fra spacciatori e tossicodipendenti, con grida, rincorse, liti fra consumatori per accaparrarsi una siringa. Di fronte a tutto questo, a quando un tavolo comune fra forze dell’ordine e operatori sanitari per coordinare gli interventi?".

Usa: la Cia e le torture, dalla guerra fredda a Guantanamo…

di Elisabetta Ambrosi

 

La Repubblica, 20 agosto 2008

 

Una lunga ricerca sulle tecniche di interrogatorio e di indagine e sulle pressioni psicologiche meno misurabili delle violenze e in grado di aggirare i trattati internazionali. "Tra i candidati alla Casa Bianca solo Obama ha criticato l’uso di questi metodi". "Molte migliaia di musulmani sono stati arrestati senza nessun processo legale".

"Avevo deciso, disgustato da tanti anni di ricerca sull’uso della tortura, di abbandonarne lo studio. Ma quando, nell’aprile del 2004, la Cbs trasmise le prime foto di Abu Ghraib, con i prigionieri incappucciati, in piedi, con dei finti cavi elettrici che pendevano dalle braccia, ho immediatamente intuito cosa avevo di fronte: un’applicazione chiara dei metodi di tortura da sempre usati dalla Cia. Per questo, ho ripreso a scrivere su questo tema". Così Alfred W. McCoy, professore all’Università del Wisconsin ed esperto della storia dei servizi segreti più famosi al mondo, racconta la genesi del suo ultimo libro, Una questione di tortura (appena uscito in Italia per le edizioni Socrates, pagg. 344, euro 14).

Nelle oltre trecento pagine del volume - che ha ispirato il documentario Taxi to the Dark Side, premio Oscar 2008 - lo storico americano racconta come i metodi di interrogatorio della Cia, dalla guerra fredda alla guerra al terrore, siano rimasti gli stessi: tecniche basate su torture di tipo psicologico che, proprio grazie alla difficoltà di una loro chiara definizione, sono state sempre applicate, alla faccia dei trattati internazionali. In patria, ma anche all’estero, tramite l’addestramento alla tortura di agenti stranieri e il meccanismo della extraordinary rendition (cioè il trasferimento dei detenuti in paesi con minori protezioni legislative).

Con l’11 settembre e l’inizio della guerra al terrore, la tortura - secondo l’autore "né razionale né efficace, ma capace di esercitare un profondo fascino psicologico sui potenti e sui sudditi" - ha avuto una nuova, energica, legittimazione. I risultati? "Decine di migliaia di persone nel mondo musulmano sono state arrestate senza alcun processo legale, migliaia sono state torturate, centinaia uccise".

 

Lei sostiene che gli scandali di Abu Ghraib non sono stati causati da sporadiche "mele marce", perché i trattamenti riservati ai prigionieri rispecchiano esattamente quelli messi in atto dai servizi segreti nei decenni passati. Com’è arrivato a questa conclusione?

"Non c’è niente di casuale o improvvisato nei metodi usati ad Abu Ghraib in Iraq o Bagram in Afghanistan. Questi metodi nascono nei primi anni Cinquanta, quando la Cia strinse un’alleanza con i più importanti scienziati cognitivi del tempo per sviluppare nuove forme di interrogatorio, che facevano leva sui ricettori umani universali: vista, suono, tatto, gusto, sonno e senso del tempo".

 

Quali sono le caratteristiche di questa tortura, basata su quella che lei chiama "deprivazione sensoriale"?

"Questa definizione non riesce a rendere l’impatto profondo di un interrogatorio che prosegue per settimane con un inquisitore addestrato: il quale, come un dj demoniaco, alterna sopraffazione e negazione di stimoli sensoriali, mischiandoli in un mondo chiuso, privo di luce naturale o senso del tempo. I metodi di interrogatorio progettati dalla Cia - e studiati sulle caratteristiche specifiche della vittima, per minarne psiche e identità individuale - includono inoltre il "dolore auto-inflitto" (causato dal mantenimento della posizione eretta e di posizioni stressanti), e metodi ibridi come il water boarding: una tecnica antica che simula in maniera crudele la sensazione dell’annegamento".

 

Lei parla anche di una declinazione della tortura in senso culturale. Di che si tratta?

"Andando oltre lo schema collaudato della tortura basata sui ricettori sensoriali comuni a tutti, gli inquisitori di Guantanamo hanno sperimentato nuovi approcci legati alla sensibilità culturale dei musulmani, legati alle loro visioni del genere e della sessualità. E diretti verso specifiche fobie, come quella dei cani, che non a caso erano presenti ad Abu Ghraib".

 

Perché la Cia si è progressivamente orientata verso torture di questo tipo?

"Gli esperimenti condotti fin dal dopoguerra hanno mostrato come la somministrazione studiata di stimoli durante l’interrogatorio tende a far regredire la vittima, rafforzandone la collaborazione. Una delle caratteristiche principali della tortura "no touch", inoltre, è la sua qualità elusiva, al contrario della sua variante fisica che lascia lesioni o contusioni evidenti (anche se naturalmente le cicatrici psicologiche sono terribili). Ma il più grande vantaggio sta forse nel fatto che, essendo difficilmente racchiudibile in una definizione precisa, è più difficile proibirla e sanzionarla".

 

Lei racconta come, mentre da un lato gli Usa manifestavano appoggio formale alla difesa dei diritti umani, dall’altro hanno sempre utilizzato in maniera indiscriminata la tortura.

"Durante la guerra fredda, mentre per un verso Washington sosteneva pubblicamente il diritto internazionale, bandendo formalmente la tortura, per l’altro contravveniva alle convenzioni diplomatiche attraverso la ricerca clandestina della Cia e la diffusione della tortura. Quando la guerra fredda si è conclusa nel 1990, Clinton sottopose al Congresso, nel 1994, la Convenzione dell’Onu contro la tortura. Essa fu però ratificata solo dopo che vi furono incluse dettagliate riserve diplomatiche, che, concentrandosi sull’aggettivo "mentale", esclusero dalla definizione di tortura - riprodotta poi nella sezione 2340 del codice federale statunitense - proprio quelle tecniche che i servizi avevano messo a punto: dolore auto-inflitto, disorientamento sensoriale, con somministrazione violenta di stimoli e privazione di sonno, attacchi all’identità culturale e alla psiche individuale, metodi come il water boarding.

In questo modo, gli Usa hanno costruito una contraddizione destinata ad esplodere anni dopo con Abu Ghraib. Non a caso, dopo l’11 settembre, l’amministrazione Bush ha insistito pubblicamente sulla tortura come prerogativa presidenziale, facendo approvare nel 2006 una legge - The Military Commission Act - che consente alla Cia ampi margini per le violenze psicologiche. E che basa la definizione di tortura proprio sul significato assegnatole dalla sezione 2340 del codice".

 

Diritti umani da un lato e sicurezza dall’altro: un rapporto difficile che, dopo l’11 settembre, ha visto il pendolo sbilanciarsi a favore della sicurezza. Secondo lei, i cittadini americani sono d’accordo con questo spostamento?

"Mi sembra che la risposta degli americani alle rivelazioni dei media sulla tortura dopo la guerra fredda sia molto più rivelatrice delle reazioni all’11 settembre. Negli anni ‘90 non avevamo né nemici né timori, eppure quando la stampa cominciò a raccontare dell’addestramento americano alla tortura nell’America centrale, pubblicando estratti agghiaccianti dai manuali usati negli anni ‘80, non ci furono reazioni. In generale, nessun popolo si preoccupa del problema degli abusi, se sono fatti in nome della sicurezza. Ecco perché abbiamo bisogno del diritto internazionale".

 

Cosa avverrà su questo fronte se a vincere le prossime elezioni sarà il senatore McCain o, viceversa, il candidato democratico Obama?

"I repubblicani useranno l’11 settembre come strumento elettorale, puntando su una fusione di patriottismo e antiterrorismo. Se questa strategia funziona, una volta alla Casa Bianca McCain continuerà a porsi pubblicamente come oppositore della tortura, mentre privatamente continuerà a sostenerla come prerogativa dell’esecutivo. Tra tutti i candidati di questa campagna, solo Obama ha preso una posizione critica contro la tortura, poco pubblicizzata ma chiara, durante un incontro con i cristiani evangelici in Pennsylvania. Ecco perché mi sembra il solo candidato che cambierà la nostra politica su questo fronte".

Gran Bretagna: e i detenuti islamici preferiscono l’isolamento

 

Apcom, 20 agosto 2008

 

I detenuti musulmani, tra cui alcuni condannati per terrorismo, si sentono tanto a rischio in uno dei più grandi penitenziari di massima sicurezza del Regno Unito, Frankland, da preferire il regime di isolamento. È quanto rivela il responsabile del sistema penitenziario britannico, Anne Owers, in un rapporto anticipato oggi dalla stampa britannica.

Nel carcere di Frankland, nei pressi di Durham, sono stati registrati gravi episodi di violenza contro le minoranze nere ed etniche in generale, precisa Owers, e contro i musulmani in particolare. "Sono soprattutto i neri e i detenuti appartenenti a minoranze etniche a sentirsi insicuri, in particolare i prigionieri musulmani che cercano rifugio nel regime di isolamento - si legge nel rapporto citato dal Times - alcuni, non tutti, a causa della natura del loro crimine. Ci sono stati gravi episodi di violenza da prigioniero a prigioniero".

Il carcere di Frankland ospita oggi oltre 700 detenuti, ma le autorità stanno progettando di ampliarlo fino a una capienza di oltre 1.000 persone. Intanto ai musulmani è stato proibito di tenere preghiere collettive in cella, sui pianerottoli e nei cortili, per timore che fossero occasione di predicazione estremista.

 

 

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