Rassegna stampa 16 agosto

 

Giustizia: soldati ok, i reati in calo, più sbarchi ed espulsioni

 

Corriere della Sera, 16 agosto 2008

 

Il piano che prevede l’impiego di 3mila uomini delle Forze armate in diverse città italiane comincia a dare i primi frutti. Lo ha detto il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, nel corso della conferenza stampa che si è svolta al Viminale al termine della riunione del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica.

Positivi primi risultati militari in città - "Anche se è ancora presto per fare un bilancio, sono positivi i primi risultati del piano di impiego di tremila militari nelle città". L’operazione, ha sottolineato Maroni, "é utile a garantire maggiore sicurezza e l’hanno capito bene i cittadini. Alla fine dei sei mesi previsti valuteremo se proseguire per altri sei mesi". Questi i risultati dei primi giorni dell’impiego delle pattuglie miste, Forze armate - Forze dell’ordine: 37 persone arrestate, di cui 33 extracomunitari; 37 denunciate in stato di libertà, di cui 24 stranieri; 3.805 persone identificate; 1.139 veicoli controllati di cui dieci sequestrati.

Tra sei mesi, ha aggiunto Maroni, sarà fatto un bilancio sull’impiego dei militari nelle principali città italiane ed eventualmente sarà prorogato di altri sei mesi l’utilizzo dei militari come prevede il decreto.

Sbarchi raddoppiati - Il ministro poi ha snocciolato i dati dell’attività delle forze dell’ordine sui temi di cui si occupa il suo Ministero. C’è stato un raddoppio degli sbarchi di immigrati clandestini in Italia nei primi sette mesi dell’anno rispetto all’analogo periodo del 2007: sono passati da 8.266 a 15.378. A fornire i dati è stato il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, nella conferenza stampa al Viminale seguita alla riunione del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza. A fronte del raddoppio degli sbarchi, ha sottolineato Maroni, "c’è stato però un aumento delle espulsioni effettivamente eseguite, che sono state (4.082, +15,2%), dei respingimenti del questore (399, +25,9%), delle riammissioni (4.288, +5,1%) e dei rimpatri con voli charter (528, +57,7%)".

Reati in calo - "C’é stato un calo di reati in questi ultimi mesi, ma non per i Patti per la sicurezza che sono rimasti tutti sulla carta, tranne i nostri". Lo ha detto il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, al termine del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza riunito al Viminale. "Se bastasse la firma dei Patti per far calare i reati - ha spiegato Maroni - sarebbe troppo semplice. In realtà il calo è dovuto a diversi fattori, tra i quali la fine dell’effetto dovuto all’indulto e certamente anche per una più efficace azione delle forze dell’ordine. Ma è ancora presto per fare i bilanci, li faremo a fine anno".

Nel 2008 arrestati 86 latitanti - Nei primi sette mesi del 2008 sono stati catturati 86 latitanti della criminalità organizzata, di cui quattro inseriti nell’elenco di quelli più pericolosi. Nel 2008 sono stati 2.388 i beni sequestrati e 120 quelli confiscati alla criminalità organizzata.

Violenza stadi - "Ci sarà tolleranza zero nei confronti di chi va allo stadio non per seguire l’evento sportivo, ma con altre finalità". Il ministro ha annunciato la firma di un decreto per la costituzione di un Comitato di analisi per la sicurezza delle manifestazioni sportive, che si affiancherà all’Osservatorio, come organismo tecnico per valutare gli interventi da mettere in campo per garantire la sicurezza negli stadi. Al Comitato parteciperà anche un rappresentante dell’Aisi, l’Agenzia per le informazioni e la sicurezza interna, ex Sisde.

Sicurezza stradale - Negli ultimi tre mesi si è registrata una riduzione del 10% degli incidenti stradali. "Nei mesi di maggio, giugno e luglio 2008 sono raddoppiati gli accertamenti al codice della strada, e questo ha portato alla riduzione del 10% degli incidenti, del 10,8% delle persone ferite e del 6% delle persone decedute", ha detto Maroni. . "Dopo l’entrata in vigore del decreto al 30 luglio sono stati sequestrati 1.263 veicoli, di cui 1.138 per guida in stato di ebbrezza alcolica e 125 per guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti", ha spiegato Maroni. Il ministro ha aggiunto che sul tema della sicurezza stradale è "in corso una stretta collaborazione con la Commissione europea" che porterà all’utilizzo di fondi messi a disposizione dall’esecutivo dell’Ue e scarsamente utilizzati negli anni passati.

Letta: no aumento rischio terrorismo - "Non mi sembra ci siano elementi che possano far parlare di un livello di rischio terrorismo più alto per l’Italia". Lo ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi, Gianni Letta, parlando al Viminale, al termine del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza presieduto dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni. "C’é - ha spiegato Letta - un migliore livello di contrasto al terrorismo sia interno che internazionale. Comincia a dare i suoi frutti la legge di riforma dei servizi, sta nascendo l’organizzazione del Dis (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza) che coordina le due agenzie Aise e Aisi, in parte sono stati rinnovati i vertici e si lavora in perfetta armonia con una collaborazione che è molto produttiva".

Giustizia: Piano Italia sicura, controlli anche grazie ai soldati

 

La Repubblica, 16 agosto 2008

 

Guardia alta contro la criminalità a Ferragosto che, per la prima volta, vede schierati con funzioni di ordine pubblico anche i 3.000 militari. Le operazioni di polizia saranno seguite direttamente dal ministro dell’Interno Roberto Maroni che, dal Viminale, presiederà una riunione del Comitato nazionale per la sicurezza pubblica alla quale parteciperanno anche i vertici delle forze dell’ordine e dell’intelligence. Ecco il bilancio dei primi nove giorni di attività dell’Esercito in funzioni di polizia nelle grandi città: i soldati hanno fatto circa 2.800 interventi, con 45 accompagnamenti per identificazione, 28 arresti e 9 sequestri di sostanze stupefacenti.

A Roma 600 agenti nel ponte di Ferragosto svolgeranno un servizio straordinario di prevenzione sia in città che sul litorale. Controlli intensificati nel fine settimana anche a Torino, dove opereranno 300 pattuglie de i carabinieri, e a Milano, do-ve saranno dispiegati 424 militari tra le periferie e il centro della città. A Napoli vigileranno sul Ferragosto 200 agenti e 180 militari. A Firenze e provincia opereranno 73 pattuglie. A Palermo i carabinieri del Comando provinciale hanno predisposto uno specifico piano di sicurezza per cittadini e turisti.

Ferragosto all’insegna della sicurezza anche nella Locride, a San Luca (Reggio Calabria), ad un anno di distanza dalla strage di Duisburg. Calano di oltre il 10 per cento, intanto, i reati in Italia, con meno rapine e furti in città come Roma, Milano e Napoli. Nel primo semestre 2008 le statistiche confermano la netta inversione di tendenza cominciata nel giugno 2007. Calano i furti, in particolare quelli nei negozi e delle auto, e le truffe informatiche. Scende il numero dei delitti dal primo al secondo semestre 2007 e la linea in discesa si consolida e si accentua, in qualche caso, nei primi sei mesi del 2008.

Giustizia: Minniti (Pd); i nostri Patti su sicurezza funzionano

 

Il Sole 24 Ore, 16 agosto 2008

 

"Gli ultimi dati sull’andamento dei reati dimostrano che i Patti sulla sicurezza, varati con il nostro Governo, hanno funzionato" dice Marco Minniti, ex viceministro all’Interno e oggi ministro-ombra del Pd.

 

Quel modello è stato rilanciato dal ministro Roberto Maroni…

Sì. Il modello in effetti è stato rivisitato, ma il punto è sempre quello: l’asse strategico tra Stato e governo sul territorio. L’idea di una visione nazionale della sicurezza deve restare intangibile, ma ben vengano alleanze forti con i sindaci.

 

Torna lo slogan della "sicurezza partecipata"?

È indispensabile: per riconquistare il territorio occorre capacità di intervento sul piano sociale ed economico. Compiti degli Enti locali, con i quali lo Stato deve dialogare.

 

Si può accelerare questo processo?

Certo. I Patti dovrebbero essere estesi a tutti i capoluoghi di provincia. Però l’andamento positivo dei reati suggerisce anche una correzione di rotta a questo Governo.

 

In che senso?

Non fondare più le politiche di sicurezza sull’onda emotiva e il consenso a tutti i costi. Vanno fatte sì scelte di breve periodo ma anche di medio e lungo. Quelle immediate, da sole, non pagano. Anzi, il rischio è che senza decisioni di largo respiro l’inversione di tendenza, negativa stavolta, sia dietro l’angolo.

 

Sull’immigrazione l’effetto-annuncio può essere efficace, però…

Non è sempre così. Proprio il ministro Maroni ci ha detto alla Camera che gli sbarchi di immigrati quest’anno potrebbero arrivare a 30mila unità. Sono di fatto il triplo dell’anno scorso, nonostante le misure annunciate. Di grande deterrenza verbale e politica, vorrei ricordare.

 

Non ci sono dubbi, però, sulla necessità di gestire i problemi di sicurezza pubblica legati ai flussi di immigrati…

Il tema, infatti, è quello della lotta alla clandestinità È una questione europea, prima ancora che nazionale. Va affrontato percorrendo due binari, però. Il primo è l’integrazione di chi ha già una casa e un lavoro. La legge Bossi-Fini, in questo senso, ha mostrato tutti i suoi limiti. Il secondo aspetto è il dialogo con l’Europa e i paesi di provenienza.

 

Ma ci sono anche gli stranieri illegali in tutti i sensi…

Certo, ma la bontà delle procedure di espulsione si misura sul grado della loro efficacia.

 

Il governo attuale di certo spingerà al massimo su questo piano…

Però ha scelto la strada giudiziaria del reato di clandestinità. Non va bene: è un percorso tortuoso, oltre che discutibile, che alla fine renderà più difficile espellere gli illegali. In Spagna, dove i rimpatri sono aumentati del 50%, non è previsto quel genere di reato.

 

Lo scenario generale descrive comunque un’attenzione concreta della politica, di entrambi i fronti, sulla sicurezza…

Sì ma dobbiamo stare attenti a non mollare la presa. Da circa 15 anni, con un andamento a sinusoide ma con una tendenza negativa sempre più accentuata, diminuiscono le risorse per il settore.

 

I tagli sono stati fatti dai governi di entrambi gli schieramenti…

Non lo discuto. Però con quelli previsti da questo Esecutivo c’è il rischio di compromettere l’efficienza operativa delle forze dell’ordine. Il Pd ha chiesto di rivedere gli interventi economici. Speriamo davvero che il Governo ci ripensi.

Giustizia: colpe per insicurezza diffusa? la stampa si assolve

di Laura Squillaci

 

Il Sole 24 Ore, 16 agosto 2008

 

Da un anno a questa parte i reati nelle principali città sono in calo, eppure sembra che gli italiani non se ne siano resi conto. Continuano a percepire la criminalità come un’emergenza e il livello di sicurezza è considerato sempre basso. Da cosa dipende questa contraddizione? Una parte di colpa ce l’avrà forse anche l’informazione che crea falsi allarmismi?

Enrico Mentana, direttore editoriale di Mediaset, è sicuro di no: "Se un fatto di cronaca, come una donna incinta picchiata e maltrattata, lo riporta "Le Monde" allora è allarme criminalità; se ne parlano i giornali italiani allora è allarmismo".

Per il conduttore di "Matrix" la percezione della sicurezza non dipende dal modo di fare informazione. "Di fronte a determinati fenomeni la percezione negativa o positiva sopravvive al fenomeno stesso, si consolida. Questo è un dato di fatto, non c’entrano i giornali o i media. Bisogna essere cauti nel parlare di livelli di sicurezza percepita".

Proprio intorno al termine "percepito" si incentra il commento del direttore di "Libero", Vittorio Feltri, che rilancia: "I giornali non c’entrano nulla. L’errore sta nella percezione stessa. Che cosa vuol dire "percepito"? Un tempo non si diceva "il caldo percepito", "la sicurezza percepita". E poi: percepita in base a cosa? È un dato difficile da inquadrare. Noi giornalisti commettiamo tanti errori ma una cosa è certa: riportiamo i dati di un fenomeno. I dati sono dati. I cittadini, però, non devono limitarsi a leggerli, devono anche interpretarli tenendo conto delle cause sottostanti".

Non crede all’effetto dell’informazione sul sentire comune neanche il conduttore di "Porta a porta", Bruno Vespa. "Il problema è un altro. Mentre i delitti in genere sono diminuiti, quelli commessi dagli stranieri sono aumentati. È questo che spaventa la gente. Sono fenomeni che colpiscono, che hanno un effetto-eco, moltiplicativo. La gente comune non legge le statistiche ma si impressiona per i singoli casi". Resta un fatto: "I media devono essere cauti. Devono portare alla riflessione. Certo è - aggiunge Vespa - che il caso di un’anziana scippata e uccisa il titolo se lo porta da solo".

A mezza via si pone il punto di vista del direttore del Tg5, Clemente J. Mimun. Che sottolinea: "I giornali, tranne quelli specializzati, sono abituati a enfatizzare le notizie. Se è vero che esiste la ricerca di un sensazionalismo da parte nostra è anche vero che ci sono altri fattori da considerare. Primo fra tutti la scarsa capacità comunicativa delle istituzioni preposte. Una comunicazione che non è mai né tempestiva né costante".

D’altronde, a sentire Mimun, questo è un problema che in Italia esiste da sempre. Dai tempi di Ugo Pecchioli, storico responsabile del Pci per i problemi dello Stato, "che batteva sul tempo il Ministero dell’Interno nel fornire i dati sulla criminalità". Esiste poi una terza ragione che il direttore del Tg5 evidenzia come causa scatenante degli allarmismi di massa: "È l’effetto passaparola che molto spesso ingigantisce i fenomeni, facendoli apparire più grandi di quelli che sono".

Per trovare il primo mea culpa occorre spingersi dalle parti del "Manifesto". Qui la co-direttrice Mariuccia Ciotta, ammette: "I media enfatizzano molto le notizie di cronaca. Ma c’è di più. Amano calcare la mano sulla nazionalità dei criminali. Per cui prima si dice che a commettere il reato è stato un rumeno o un tunisino e poi si dà la notizia, ingigantendola. Quando a commettere un reato è un italiano, il discorso vale meno. E così la spirale di una criminalità dilagante viene alimentata".

Ciotta sposta il discorso su un piano più politico e chiama in causa l’Esecutivo: "Non bisogna stupirsi se la criminalità per gli italiani è un’emergenza se proprio il Governo Berlusconi ha puntato l’intera campagna elettorale sull’allarme sicurezza". Per la firma del "Manifesto" è inevitabile che la percezione dell’opinione pubblica scenda. Sotto la spinta non tanto dei giornali, quanto della televisione che "talvolta alimenta le paure".

Un’opinione condivisa da Salvatore Aloìse, corrispondente in Italia per il quotidiano francese "Le Monde". "Esiste sicuramente una relazione tra sicurezza e informazione - dice -. La percezione dei fatti dipende da come i fatti vengono raccontati. Il nostro giornale parla meno di cronaca e se lo fa, lo fa per raccontare, mai per enfatizzare. Quando guardo al panorama mediatico italiano mi rendo conto che la situazione è ribaltata". E aggiunge: "Ci sono dei periodi in cui la sicurezza va di moda è allora se ne parla a ripetizione. Altri periodi in cui non se ne parla affatto. Questo non vuol dire che i reati siano scomparsi, ma semplicemente che non se ne parla".

Giustizia: tra sicurezza e garantismo un equilibrio necessario

di Salvatore Carrubba

 

Il Sole 24 Ore, 16 agosto 2008

 

Ho trovato singolare, per non dire altro, una delle motivazioni con le quali i magistrati abruzzesi hanno concesso gli arresti domiciliari a Ottaviano Del Turco. Secondo il Gip, infatti, il numero eccessivo di visite ricevute dall’ex presidente della Regione Abruzzo in carcere (dove era rinchiuso da quasi un mese), avrebbe consentito comunicazioni con gli altri inquisiti, che invece l’isolamento, sia pure a casa propria, renderebbe ora più ardue.

Non solo l’opera di misericordia del visitare i carcerati sembra così derubricata a complicità sospetta; ma emerge anche un nuovo fronte di conflitto tra l’ordine giudiziario e quello legislativo. Tra le molte visite ricevute in carcere da Del Turco, infatti, ce ne sono state molte di diversi parlamentari che possono, com’è noto, visitare senza preavviso detenuti e istituti di pena.

Saremo tutti d’accordo, spero, che tale facoltà non rappresenti certo un privilegio di "casta", ma costituisca una facoltà per poter verificare di persona le condizioni dei detenuti e lo stato delle carceri italiane. Che poi, troppo spesso, i parlamentari utilizzino tale facoltà per fare visita solo ai propri conoscenti caduti nei guai o per cogliere qualche attimo di visibilità in occasioni di inchieste importanti è un altro discorso. L’opportunità rappresenta una garanzia per tutti, soprattutto in un Paese, come l’Italia, in cui le condizioni carcerarie sono quelle che conosciamo. Perciò, se mai, c’è da sperare che deputati e senatori se ne avvalgano più spesso.

Personalmente, sono un tenace garantista, ma anche un convinto assertore della certezza della pena: il cittadino inquisito va tutelato con scrupolo assoluto, anche dagli eccessi di carcerazione preventiva, ma se poi è riconosciuto colpevole deve scontare la pena, con un utilizzo giudizioso e misurato di sconti di pena e misure alternative. Ma anche in condizioni di civiltà e di rispetto della persona.

Curiosamente, in Italia succede il contrario: rigore assoluto nella fase delle indagini; lassismo, talora ai limiti dell’irresponsabilità, in quella di esecuzione della pena; e, comunque, per tutti, inquisiti e condannati, condizioni di vita difficili in carceri sovraffollate nelle quali, nonostante gli sforzi spesso eroici di molti responsabili, è ben difficile garantire condizioni di dignità.

Per questo ha fatto bene il ministro Renato Brunetta a rompere un tabù e a mettere sul tavolo anche il tema della possibile gestione privata delle carceri. Vi si è convertita anche la Francia, per affrontare la condizione attuale, determinata soprattutto dalla difficoltà a investire somme ingenti per realizzazione e ammodernamento di case di pena.

Immagino che il tema possa suscitare delle riserve: e non mi riferisco a chi, per pudori (o furori) ideologici, preferisce piuttosto mantenere l’inciviltà attuale; penso piuttosto a quella parte dell’opinione pubblica preoccupata dall’aumento dei reati (che poi magari, in realtà, sono in calo, come abbiamo letto ieri) e portata a credere che un sistema di garanzie sia incompatibile con la tutela della sicurezza. Occorre convincerla che sicurezza e garanzie possono non essere inconciliabili.

Certo, capisco che alla causa del garantismo non giovino le foto della villa da sogno nella quale un altro imputato eccellente si trasferisce in questi giorni per scontarvi gli arresti domiciliari: da parte di certi inquisiti, un po’ di senso della misura non guasterebbe, anche nel proprio interesse.

Giustizia: Alfano; grazie a operatori carcere per loro servizio

 

Apcom, 16 agosto 2008

 

"In una situazione di grande dolore qual è il carcere, in un momento difficilissimo per la congiuntura economica e di scarsità di risorse come l’attuale, gli operatori del Dipartimento e gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria non fanno mancare lo sforzo quotidiano di professionalità e dedizione. Sono, quindi, una reale rappresentazione della Repubblica italiana e dei suoi valori, rendono concreta la dimensione costituzionale dei diritti e dei doveri.

Il vostro lavoro è e deve essere motivo di orgoglio per tutti gli Italiani". È questo il messaggio del ministro della Giustizia, Angelino Alfano, letto questa mattina a Milano, in occasione dell’iniziativa della Polizia Penitenziaria, nell’ambito del progetto "Recupero patrimonio ambientale".

"Il mio pensiero - sottolinea Alfano - è rivolto al sacrificio quotidiano e all’impegno continuo di tutto il personale per assicurare i servizi e il buon funzionamento dell’Amministrazione. Nella ultima recente visita presso l’Istituto di Regina Coeli di Roma, ho avuto occasione di constatare direttamente l’impegno di tante persone, finalizzato al miglior servizio possibile che spesso si svolge con grandi difficoltà, anche strutturali. Ho incrociato tanti sguardi e stretto tante mani, che mi sembrava chiedessero al Ministro una cosa sopra le altre: il riconoscimento della dignità e della professionalità di operatori penitenziari".

"In occasione della manifestazione di oggi, organizzata dal Dap e dalla Polizia Penitenziaria a Milano - prosegue il Guardasigilli - la prego di far pervenire al personale tutto il mio apprezzamento e la mia vicinanza. L’iniziativa di favorire il lavoro dei detenuti è meritoria e deve essere sostenuta poiché è espressione concreta dei valori costituzionali della Repubblica, in più evidenzia una dimensione applicativa della funzione rieducativa della pena, che non è, dunque, solo afflizione, ma può e deve essere strumento di evoluzione e trasformazione, di riparazione e solidarietà. Rinnovo i miei sentimenti di plauso e di incoraggiamento a tutti gli operatori", conclude Alfano.

Giustizia: Radicali hanno visitato 17 carceri; i primi rapporti

 

Apcom, 16 agosto 2008

 

I Radicali Italiani hanno promosso ieri, in tutta Italia, una giornata di mobilitazione all’interno delle carceri italiane che ha visto coinvolti dirigenti, parlamentari e militanti radicali, insieme a deputati e consiglieri regionali del Pd e del Pdl. All’uscita da ogni carcere è prevista una conferenza stampa locale dove verranno date le informazioni sulle condizioni di detenzione dei carcerati.

Tra le carceri che visitate: Torino - Mariangela Cotto, Consigliere regionale Pdl, Bruno Mellano, Presidente di Radicali Italiani e Iolanda Casigliani, Segretaria Associazione radicale Satyagraha; Alessandria - Marco Cappato, deputato europeo radicale e Gian Piero Buscaglia militante radicale; Cuneo - Enrico Costa, deputato Pdl, Michele De Lucia, Tesoriere di Radicali Italiani e Bruno Mellano Presidente di Radicali italiani; Cremona - Maurizio Turco, deputato radicale - Pd, Sergio Ravelli, Vice Presidente Comitato nazionale di Radicali Italiani e Ermanno De Rosa Presidente associazione radicale Piero Welby; Bolzano - Luisa Gnecchi deputata Pd, Donatella Travisan e Elena Dondio, militanti radicali; Bologna - Marco Beltrandi deputato radicale - Pd, Fabrizio Gambarini e Zeno Godetti, militanti radicali; Firenze - Donatella Poretti, Senatore radicale - Pd, Antonio Bacchi e Claudia Sterzi, militanti radicali; Perugia - Maria Antonietta Farina Coscioni, deputato radicale - Pd, Walter Vecellio, Pierfrancesco Pellegrino e Andrea Maori, militanti radicali;

Roma Regina Coeli - Rita Bernardini, deputato radicale - Pd, Antonella Casu, Segretaria di Radicali Italiani e Sergio Rovasio, Segretario Ass. Certi Diritti; Viterbo - Maria Antonietta Farina Coscioni, deputato radicale Pd, Walter Vecellio e Prof. Osvaldo Ercoli, militanti radicali; Lecce - Elisabetta Zamparutti, deputato radicale - Pd, Sergio D’Elia, Segretario Associazione Nessuno Tocchi Caino; Catania Bicocca - Giuseppe Berretta deputato Pd e Gianmarco Ciccarelli, militante radicale; Sassari - Guido Melis, deputato Pd, Irene Testa, Segretario Detenuto Ignoto e Tiziana Marranci, Associazione Azione Radicale Sassari; Napoli - Guglielmo Vaccaro, deputato Pd, Andrea Furgiuele, militante radicale; Palermo Pagliarelli - Giuseppe Apprendi, deputato regionale Pd, Donatella Corleo, militante radicale; San Gimignano - Gianni Cuperlo e Susanna Cenni, deputati Pd e Giulia Simi militante radicale; Milano San Vittore - Giuseppe Benigni, consigliere regionale PD, Luigi Manconi, ex parlamentare e Alessandro Litta Modignani, militante radicale.

 

Antonella Casu: il carcere di Regina Coeli è di nuovo sovraffollato

 

Il carcere romano di Regina Coeli è "di nuovo in una situazione di sovraffollamento". A constatarlo è stata la delegazione di Radicali Italiani, composta dalla segretaria Antonella Casu, dalla deputata Rita Bernardini e dal segretario dell’associazione Certi Diritti Sergio Rovasio, che stamani per due ore e mezzo ha visitato la struttura carceraria.

Al momento, a Regina Coeli, sono reclusi 877 detenuti, cento in più rispetto alla capienza. Il sovraffollamento si concentra soprattutto, fanno notare i Radicali, nella terza sezione (188 detenuti rispetto alla capienza di 148) e nella sesta sezione (149 detenuti rispetto alla capienza di 104). Le sezioni quattro e cinque sono chiuse per ristrutturazione.

"La condizione peggiore dal punto di vista della sicurezza - ha spiegato Casu - è nella terza sezione, quella storica, che non ha mai subito lavori di ristrutturazione. Andrebbe chiusa e salvata nell’aspetto monumentale. Gli agenti di polizia penitenziaria sono 130 in meno rispetto alla pianta organica. Non ci sono problemi di rapporto tra agenti e detenuti, ma la carenza di organico degli agenti crea difficoltà a far fronte con tempestività ai frequenti casi di autolesionismo. Inoltre, più della metà dei detenuti, 508 su 877, è in attesa di giudizio".

 

Andrea Furgiuele: visita al carcere di Poggioreale

 

I Radicali italiani hanno effettuato una giornata di mobilitazione visitando 17 carceri italiane con i loro parlamentari, i loro militanti e con parlamentari del Pd e alcuni del Pdl. Dopo la visita al carcere di Poggioreale il segretario dell’associazione "Radicali Napoli Ernesto Rossi", Andrea Furgiuele, che è stato nella mattinata appunto nell’istituto di pena napoletano con il deputato del Pd Guglielmo Vaccaro ha così ricostruito l’ispezione.

"Facendo un paragone con la mia ultima visita nel 2005, l’ effetto indulto è completamente esaurito in pochi mesi, e non si notano sostanziali variazioni nello stato dei luoghi e il carcere resta sostanzialmente nella media delle statiche italiane per condizioni complessive e generali.

Il sovraffollamento sembra, nella realtà dei dati (non esattamente corrispondenti a quelli espressi nel questionario curato dal direttore assente durante la visita e sostituito da una collaboratrice facente funzione, che non tengono conto di una serie di variabili contingenti come lo spostamento aggiornato dei detenuti) contare circa il 20% in più della capacita massima attribuita alla struttura.

Il rapporto fra personale e detenuti è di circa uno a tre, ragion per cui l’orario di lavoro non è ancora stato adeguato alle nuove normative e resta di otto ore per turno(invece di 6). Dagli agenti di custodia è quindi emersa la sottolineatura della inadeguatezza del numero di operatori. Poche le possibilità di un reale impegno formativo, lavorativo o di altra natura.

Nel colloquio svolto durante la visita sono emerse in particolare una buona consapevolezza del personale carcerario circa le esigenze legislative necessarie ad un miglioramento delle condizioni complessive di vita, in particolare sulla necessita di depenalizzazione dei reati minori e lo studio di soluzioni alternative.

Un’importanza strategica è stata attribuita all’architettura carceraria in uno specifico confronto fra il carcere di Poggioreale e quello moderno di Secondigliano, dove l’isolamento indotto dalla geometria degli spazzi viene percepito come alienante e influisce anche sul lavoro degli operatori oltre che sulla vita quotidiana dei detenuti, fenomeno questo ascrivibile al più ampio ambito della qualificazione dell’architettura pubblica moderna.

È notevole, seppure ovvio, osservare la evidente specularità fra segmenti sociali, quartieri della città e padiglioni della struttura organizzati per raggruppamenti sulla tipologia di detenuti, elemento questo di cui tener conto e nelle politiche sociali e nella progettazione dei piani regolatori e di sviluppo della città.

Dal colloquio coi detenuti è invece emerso e sentito come urgente il problema della convivenza con detenuti con problemi di sanità, specie se in relazione ad extracomunitari per comportamenti culturali ed impossibilità di mezzi di gestione della struttura, cosa che crea una particolare ulteriore emarginazione nella segregazione".

 

Donatella Poretti: Ferragosto nel carcere di Sollicciano

 

L’indulto? Una boccata d’aria e ora tutto come prima, anzi peggio visto il preannuncio di nuove figure di reato e le minacce alla legge Gozzini. È questo lo scenario che mi sono trovata nella visita di ferragosto al carcere fiorentino. Con me c’erano Claudia Sterzi, segretaria dell’associazione radicale Antiproibizionista, e Antonio Bacchi, segretario dell’associazione radicale fiorentina "Andrea Tamburi".

Se si pensasse alla carcerazione come ultima opzione per chi si è reso colpevole di reato, forse non ci sarebbero situazioni come quella di Sollicciano. Se prima si provassero le altre strade - arresti domiciliari e pene alternative - forse le nostre carceri svolgerebbero la funzione assegnata dalla Costituzione alla pena: rieducazione e riabilitazione. Oggi invece gli istituti penitenziari sono la pattumiera della società: ci finiscono e ci restano gli ultimi, e quando si esce è per poco, perché la scuola che meglio funziona, dentro, è quella della criminalità.

Quando il legislatore prevede impossibili reati, come quello di clandestinità, o vuole intervenire sulla legge Gozzini, sarebbe meglio che si facesse prima un giro in carcere e poi ci pensasse meglio. Oggi la relativa tranquillità, la mancanza di risse e di violenze in queste condizioni assurde, è frutto unicamente della volontà dei detenuti di accedere alla Gozzini e quindi comportarsi "bene" in carcere. Vediamo in particolare cosa ho rilevato nel carcere fiorentino.

Sollicciano è tra le strutture carcerarie più difficili a livello italiano e non solo. Un edificio progettato per 470 detenuti, il giorno di Ferragosto ne registrava 834, di cui 87 donne. Numeri che sono il segno della difficoltà, confermata dal fatto che la maggior parte sono detenuti in attesa di giudizio e in carcerazione preventiva: 408 sono nel reparto giudiziario e 277 in quello penale, oltre a 35 nel centro clinico e 17 nel transito. Il 60% dei detenuti è straniero e le celle progettate per due sono abitate da tre. Prima dell’indulto era stata aggiunta anche la quarta branda.

Se i detenuti abbondano, educatori e personale penitenziario sono troppo pochi, con il problema distaccamenti sempre più pesante. Il lavoro per i detenuti, che è un diritto, è invece un miraggio. Le attività ricreative sono difficili, nonostante il personale faccia salti mortali per garantirle a tutti, anche con la turnazione.

La tossicodipendenza è un fenomeno importante: 152 detenuti risultano tali, con solo 50 in trattamento metadonico; i detenuti italiani con questo "privilegio" sono molti di più degli stranieri.

Nelle sezioni maschili le celle restano chiuse tutto il giorno tranne quattro ore d’aria (2 la mattina e 2 il pomeriggio). In quelle femminili invece le celle sono aperte, e un reparto ad hoc ospita 10 transessuali. Nel nido del reparto femminile, da due mesi ci sono due bimbi di 6 e 14 mesi, figli di altrettante detenute. Una struttura adeguata e con numerosi giochi, ma, nonostante i colori e gli sforzi, resta sempre un carcere... non proprio un luogo in cui crescere dei bambini.

 

Irene Testa: Sassari, carcere senz’acqua

 

L’acqua e le bibite, tenute al fresco dentro un calzino bagnato e il cibo portato dalle famiglie, invaso dalle formiche. È questa la situazione che alcuni parlamentari sardi hanno trovato nel carcere di San Sebastiano Detenuti in condizioni pietose. Almeno questa è la denuncia del deputato del Pd Guido Melis e delle militanti radicali Irene Testa e Tiziana Marranci, che oggi hanno visitato il carcere di San Sebastiano a Sassari. L’acqua e le bibite dei detenuti, vengono tenuti al fresco dentro un calzino bagnato perché nel penitenziario funziona un solo frigorifero, sistemato nella sezione femminile. Per non parlare del cibo, soprattutto quello portato dalle famiglie, invaso dalle formiche all’interno delle celle. Un carcere quello di San Sebastiano, che ospita 157 carcerati, suddivisi 4 o 5 per cella. Si aspetta il trasferimento alla sede di "Bancali". Cronica anche la mancanza di personale: per Ferragosto è presente una sola guardia carceraria e non è stato nominato un vero direttore, perché chi dirige il carcere di San Sebastiano deve occuparsi anche di quello di "Badu e Carros" a Nuoro e di quello della "Rotonda" a Tempio.

 

Mellano e Costa: soddisfatti del carcere di Cuneo

 

I Radicali italiani hanno proposto una serie di visite nelle carceri per verificare lo stato dell’arte della detenzione in Italia. Il presidente dei Radicali, il cuneese Bruno Mellano, ha terminato le sue visite al Cerialdo di Cuneo in compagnia dell’onorevole Enrico Costa (nella foto scattata all’uscita). "Siamo soddisfatti - affermano insieme Mellano e Costa - di quanto abbiamo rilevato nella casa di detenzione cuneese, sopratutto va sottolineata la professionalità del personale, a cominciare dal direttore. Inoltre apprendere che in seguito all’indulto, si sono potuti fare lavori di manutenzione e le celle sono diventate per la maggior parte di 4 persone è un buon risultato di miglior vivibilità. La costruenda nuova sezione darà al Cerialdo una maggiore distribuzione delle persone. Occorre rilevare infine la cordialità che abbiamo riscontrato tra personale e detenuti, sintomo di un ambiente preparato davvero al reinserimento dei detenuti".

Lettere: la "solidarietà" sta anche nel saper ascoltare gli altri

di Achille della Ragione, da Secondigliano

 

Ristretti Orizzonti, 16 agosto 2008

 

La solidarietà tra carcerati non si manifesta solamente nella divisione di beni materiali, ma interessa anche ciò che più distingue l’uomo dalle bestie: i sentimenti. Ci si conforta infatti a vicenda perché la malinconia, i momenti di profonda tristezza, le irrefrenabili crisi di pianto, lo scatenarsi della rabbia repressa sono frequenti, se non quotidiani, anche tra i soggetti più duri che, privati della libertà, della dignità di uomini, allontanati dalla famiglia e dagli amici, diventano dei vegetali, ma, purtroppo dei vegetali dotati di una sensibilità spiccata, che permette di percepire tutte le più svariate tonalità della sofferenza.

Bisogna pazientemente ascoltare le storie personali di ognuno, non una, ma dieci, venti, cento volte. Ho scoperto che la quasi totalità dei detenuti si proclama innocente, anche se si trova a confidarsi con un suo pari e non con il giudice il quale ha in mano il suo destino, un potere che può spettare solo e soltanto ad una divinità.

I pochi che ritengono di aver commesso un reato hanno sempre una scusante: povertà, mancanza di lavoro, cattive amicizie… Avere il proprio futuro legato alla decisione di uomo è una sensazione straziante, perché nessuno ha più fiducia nella giustizia umana.

Per il credente essere nelle mani di Dio dà sicurezza perché si è certi dell’onnipotenza e della bontà del proprio giudice, che conosce la verità e sa cosa sia la misericordia. Chi crede nel Fato, immagina il destino non come una forza cieca e spietata, bensì dominata da leggi ragionevoli che non ci è dato conoscere.

Per un detenuto sapere viceversa che il suo domani e quello della sua famiglia siano legati ad una decisione terrena, fallibile, legata agli umori e agli ormoni di cui siamo schiavi e ad un’interpretazione dei fatti influenzabili dall’errore e dal preconcetto è una sensazione che "non la sa chi non la provi".

L’Aquila: nessun funerale per il detenuto iracheno deceduto

 

Il Centro, 16 agosto 2008

 

Per ora non ci sarà nessun funerale per Ali Juburi, 40 anni, il detenuto iracheno del carcere Le Costarelle, morto all’ospedale dell’Aquila per le conseguenze di uno sciopero della fame, avviato per protestare contro la sua condanna, ritenuta ingiusta. Lo ha comunicato la direzione del carcere di Preturo. "La data dei funerali non è stata ancora fissata", ha detto il direttore, Tullio Scarsella.

"Abbiamo ricevuto una lettera di ringraziamento da parte dell’ambasciata irachena a Roma, che ci comunica che saranno svolte ricerche per rintracciare la madre o qualsiasi altro familiare dell’uomo. Prima di procedere quindi aspettiamo ulteriori comunicazioni".

Il corpo di Alì Juburi è attualmente nell’obitorio dell’ospedale San Salvatore. Nel caso che non venga ricondotto in patria, Juburi sarà sepolto a spese dell’amministrazione penitenziaria, come prevede il regolamento. Per consentire l’eventuale svolgimento del rito funebre, secondo le tradizioni del paese d’origine dell’uomo, la direzione del carcere sta cercando di contattare un Imam. Intanto Nicola Iannarelli (Sinistra in movimento), critica l’intervento di Marco Gelmini, segretario regionale del Prc.

"Rimango sbalordito dalle sue dichiarazioni, sulla morte del detenuto iracheno in sciopero della fame, infarcite di populismo, quando Gelmini ha mai visitato un carcere in Abruzzo e non ha mai fatto nessun intervento e iniziativa politica, per sensibilizzare l’opinione pubblica, sulla drammaticità in cui versano i detenuti e le detenute in Abruzzo. Ci sono stati una decina di suicidi nelle carceri speciali, mai un intervento, mai una denuncia, né da parte sua, né da parte dell’assessore alle politiche sociali, Betti Mura".

Genova: An; Marassi funziona grazie a sacrificio degli agenti

 

www.genovapress.com, 16 agosto 2008

 

Il Sen. Giorgio Bornacin ed i Consiglieri Regionali Gianni Plinio e Alessio Saso hanno visitato stamane il carcere di Marassi ove hanno incontrato il Vice Direttore Maria Cristina Marrè, il Comandante del Reparto della Polizia Penitenziaria Luca Morali ed il Vice Segretario Provinciale Sappe Ernesto Bergamo.

"Con la nostra visita abbiamo voluto portare la solidarietà di An agli agenti penitenziari in servizio nel periodo di Ferragosto - hanno detto Bornacin, Plinio e Saso. Dal sopralluogo è emerso che il carcere di Marassi, nonostante il sovraffollamento e la carenza di organici del personale, funziona grazie all’impegno sacrificale ed al senso del dovere soprattutto degli agenti di custodia. I dati acquisiti devono invitare ad una seria riflessione e ad interventi urgenti e concreti.

Il penitenziario ospita 623 detenuti rispetto ad una capienza di circa 500 e vede in servizio 290 poliziotti penitenziari rispetto ai 400 necessari. Circa il 60% della popolazione detenuta è costituita da immigrati extracomunitari e ben 370 sono i tossicodipendenti. Il reato prevalente è lo spaccio di droga ed in aumento sono i carcerati romeni e albanesi.

Per quanto riguarda le etnie dei reclusi più dettagliatamente 180 sono gli africani, 60 i comunitari, 56 dell’Europa dell’Est, 40 i sudamericani. Abbiamo riscontrato buone condizioni di vivibilità tra i detenuti all’interno del carcere che tra l’altro è sede di un centro Hiv tra i più attrezzati d’Italia insieme con quelli di Torino, Milano e Roma ed abbiamo appreso che nel prossimo settembre diventeranno operativi sia un laboratorio odontotecnico per fornire protesi ai detenuti che uno di falegnameria. Solleciteremo l’Assessorato Regionale alla Sanità a definire il trasferimento di competenze dall’Amministrazione penitenziaria alla Asl 3 del Centro Clinico interno ed il sen. Bornacin si è impegnato a trasmettere le richieste per il carcere di Marassi consegnate dal Sappe personalmente al Ministro della Giustizia Angelino Alfano".

Rimini: 21enne evade da carcere, subito ripreso e processato

 

Corriere Adriatico, 16 agosto 2008

 

È riuscito a sfuggire al controllo delle guardie carcerarie, cercando di far perdere le proprie tracce nei campi. Ma il tentativo di fuga dal carcere "Cassetti" di Rimini di un giovane 21enne, Iacopo Mussoni, è stato immediatamente stroncato dagli agenti dopo una colluttazione. Processato per direttissima è stato condannato a 7 mesi e 10 giorni di reclusione (pena sospesa). Ora si trova nuovamente in carcere.

L’episodio si è verificato mercoledì intorno alle 12 quando il ragazzo, detenuto per scippo, ha approfittando di un attimo di distrazione delle guardie mentre stava rientrando nella sezione della casa circondariale dove lavora. Dopo esser sfuggito al loro controllo, ha scavalcato la recinzione, dandosi alla fuga per i campi. Ma nonostante si fosse nascosto dietro ai cespugli è stato individuato dagli agenti che, al termine di uno scontro, l’hanno ammanettato.

Lecce: eroina a detenuti, arresto agente polizia penitenziaria

 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 16 agosto 2008

 

L’uomo bloccato con 80 grammi di eroina che i magistrati ipotizzano essere destinata ai detenuti. Si tratta di Riccardo Mele, 33 anni, in servizio a Tolmezzo, in provincia di Udine, da circa un anno è distaccato nel supercarcere leccese. Arrestato anche Marcello Cristian Ingrosso, di 25 anni, di San Cesario.

Svolta nelle indagini sull’introduzione di stupefacenti in carcere. L’altra sera gli agenti della Squadra Mobile hanno eseguito due arresti. E le manette sono scattate anche per un agente di polizia penitenziaria. Si tratta di Riccardo Mele, 33 anni, di Lecce, agente in servizio presso la Casa Circondariale di Tolmezzo, in provincia di Udine, distaccato da circa un anno nella struttura di Borgo San Nicola, attualmente in congedo ordinario. Insieme con lui è stato arrestato Marcello Cristian Ingrosso, 26 anni, di San Cesario, già noto alle forze dell’ordine.

I due sono stati bloccati in via De Gasperi. Mele era a bordo di una bicicletta. Ingrosso alla guida della sua vettura. Quando i poliziotti sono intervenuti hanno sequestrato un pacchetto di sigarette all’interno del quale era nascosta la sostanza stupefacente. C’erano, per la precisione, 80 grammi di eroina (suddivisa in due involucri), due grammi e mezzo di hashish e sei pastiglie di Subtex. Gli investigatori ritengono che lo stupefacente "secondo, l’accordo fra i due, era destinato ad essere introdotto all’interno del carcere per l’uso dei detenuti".

L’indagine è stata avviata dopo l’arresto avvenuto alla fine di luglio di Giovanni Sinistro, accusato di aver introdotto in carcere e di aver consegnato al figlio detenuto 23 grammi di eroina. Al termine del colloquio con il genitore Errico Sinistro era stato trovato in possesso dello stupefacente nascosto nelle parti intime. Errico era finito in carcere a metà giugno dopo un inseguimento a 200 all’ora con la polizia. Durante la fuga si era disfatto di un involucro contenente trenta grammi di eroina. In auto con lui, in quell’occasione, c’era Marcello Cristian Ingrosso, poi scarcerato perché risultato estraneo alla detenzione della droga.

Il lavoro degli investigatori è coordinato dalla Direzione distrettuale antimafia. Ieri pomeriggio l’agente di polizia penitenziaria è stato sentito in carcere dal magistrato di turno, il sostituto procuratore Giovanni De Palma. Era stato lo stesso poliziotto a sollecitare l’interrogatorio. Che è avvenuto alla presenza del suo difensore, l’avvocato Stefano Paladini. Nel corso del faccia a faccia con il magistrato, avrebbe chiarito le fasi dell’incontro con Ingrosso. È fissato per domani mattina, invece, l’interrogatorio per la convalida dell’arresto davanti al gip Ercole Aprile. Ingrosso è difeso dall’avvocato Giancarlo Dei Lazzaretti.

Diritti: Roma; ragazza peruviana in cella, interviene Consolato

 

La Repubblica, 16 agosto 2008

 

Il questore vicario di Roma e il console del Perù a Roma. Sono diventati loro gli attori principali della vicenda all´indomani della denuncia di Repubblica sulla ragazza peruviana trattenuta per 14 ore al distaccamento della polizia scientifica presso l´ufficio immigrati di via Teofilo Patini di Roma. Mentre le due ragazze assicurano: "Non appena il nostro legale tornerà dalle vacanze andremo con lui a sporgere denuncia circostanziale. Dopo quello che ci è successo proprio quando volevamo denunciare l´accaduto - spiegano - non ce la sentiamo di tornare davanti alla polizia".

Ieri la questura di Roma ha approfondito e fornito la propria versione dei fatti. Confermata, sostanzialmente, la testimonianza delle due straniere sulla dinamica. "C´è stato un controllo, una delle due ragazze era senza documento ed è stata denunciata, mentre l´altra è stata subito rilasciata. La giovane senza documenti - ha spiegato Marcello Cardona, questore vicario di Roma - è stata portata, come da prassi, all´ufficio immigrazione per i controlli di rito e, conclusa la procedura, è stata rilasciata". La vicenda è stata ricostruita sentendo anche gli agenti che hanno controllato le ragazze. I due avrebbero confermato di aver prima sospettato che fossero prostitute per poi capire che la prima impressione non aveva fondamento e averle lasciate in via XX settembre, davanti a una chiesa dove le due peruviane si erano date appuntamento. Tornati però in questura le hanno trovate pronte a sporgere denuncia per come erano state trattate. A quel punto è scattato il controllo previsto dalla legge sull´identità delle giovani.

"Ma tutto - ha assicurato il questore - si è svolto secondo la legge. Non ho alcun dubbio sul comportamento dei miei uomini. E comunque, ho inviato tutti gli atti all´autorità giudiziaria che li valuterà, compreso l´articolo che ha denunciato l´accaduto. Nessuna indagine interna: sarà la magistratura a stabilire come sono andati i fatti", ha detto Cardona. "Questa è una struttura che funziona benissimo - sostiene il capo romano della polizia - se la ragazza che aveva i documenti li avesse mostrati subito forse sarebbe finita in un altro modo, ma da qui ad aprire un caso di razzismo, beh, sinceramente è troppo". E mentre pare che gli stessi agenti si stiano tutelando legalmente, il questore vicario assicura di aver chiarito la questione anche con il console peruviano.

Ma il diplomatico, che nel pomeriggio ha contattato le ragazze, non sembra essere convinto della versione della polizia. "Ho sentito la mia concittadina - ha detto il console generale del Perù a Roma, Amador Velasquez - ma lei era molto spaventata. Tutto quello che posso dire è che, se è andata come dicono le ragazze, è stata una ritorsione. Mai avrei immaginato che un poliziotto potesse fare questo a una ragazza peruviana. Rimane l´amaro in bocca per quello che è successo. Per ora, resto in attesa del report della polizia per vedere se esistono gli estremi, qualora le versione delle due giovani fosse confermata, di adire oltre che per via legale anche per la tutela dei diritti umani".

Diritti: Agrigento; nel paese del vino è vietato bere in strada

 

Libero, 16 agosto 2008

 

Vietato bere per strada nella capitale dell’uva siciliana che, in omaggio a Cavour e Garibaldi, è stata battezzata Uva Italia. Niente sorsate di birra lungo il corso principale, niente più bottiglie lasciate per strada, freno agli ubriachi che di notte si abbandonano a risse e schiamazzi. Basta.

O cosi almeno spera Vincenzo Corbo, primo sindaco sceriffo della Sicilia. Guida il comune di Canicattì, grande centro agricolo (100 mila abitanti) in provincia di Agrigento. È stato eletto due anni a capo di una lista civica e ora si trova a fronteggiare un’emergenza assolutamente inedita per l’isola, notoriamente terra di forte emigrazione. Nel territorio di Canicattì si è stabilità la più folta comunità di romeni della Sicilia e, probabilmente, una delle maggiori del Paese. 3.500 persone censite ufficialmente. Un numero imprecisato di clandestini richiamati dalle possibilità di lavoro legate alla coltivazione della vite. Una comunità talmente grande da avere già negozi dedicati come il supermarket di proprietà di Fiorentina Alina Mineata (una romena sposata ad un signore di Canicattì) e anche una chiesa ortodossa affidata a Padre Matyas Pavel Iulian.

L’integrazione, però, non marcia altrettanto speditamente. Il capitano dei Carabinieri, Diego Polio, lamenta un certo incremento della microcriminalità ("Anche se qualche delinquente locale ne approfitta per addossare la responsabilità ai romeni"). Ma soprattutto è la comunità a protestare. Il salotto della città (dalla chiesa fino alla stazione ferroviaria) che dal pomeriggio in avanti che si popola di facce poco raccomandabili. Ma soprattutto di persone che tracannano quantità industriali di alcolici con grande felicità dei commercianti della zona. Così il sindaco Vincenzo Corbo ha deciso di mettersi le stellette: A Canicattì si potrà bere solo in locali chiusi. Nei bar, ovviamente. Meglio a casa. In ogni caso non per la strada. Considerando che Canicattì è la capitale dell’uva è un po’ come dire che a Cortina non si deve più sciare.

Immigrazione: Roma; cooperative di Rom contro il degrado

di Marco Ludovico

 

Il Sole 24 Ore, 16 agosto 2008

 

"Il calo dei reati comincia dopo l’omicidio Reggiani. I dati attuali, che controlliamo mese per mese, sono positivi. Ma bisogna guardare oltre". Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, illustra una strategia per la sicurezza che si sta costruendo giorno per giorno, al di là delle tendenze in atto sul numero dei delitti.

Il punto, spiega Alemanno, è che "va combattuto il degrado, perché terreno fertile della lotta alla criminalità. Ma poi vanno concepite nuove organizzazioni delle forze che agiscono sul territorio, per rendere più efficace la lotta ala criminalità". In concreto: da settembre si insedia come security manager del Comune di Roma il generale Mario Mori, ex direttore del Sisde, "che avrà il compito, tra l’altro, di mettere in rete tutte le sale operative e connettere gli altri flussi informativi, come quelli delle telecamere".

Perché l’idea di "sicurezza partecipata" si realizza "attraverso il concorso di tutti: dalle associazioni di volontariato alle forze di polizia di privata, agli autisti dell’Atac o dell’Ama e i tassisti, che possono avvertire in caso di allarme". Alemanno ribadisce il suo "no alle ronde" e sottolinea piuttosto che "il clima è cambiato e un buonismo politico che ha prodotto solo risultati negativi ora non c’è più". In realtà la reazione più dura contro la criminalità comincia "con le proposte del ministro Amato mentre il sindaco Veltroni, fino a poco tempo prima dell’omicidio Reggiani, sosteneva che Roma fosse una città sicura. Poi Rifondazione comunista, con il ricatto del buonismo, ha bloccato le proposte di Amato".

L’impegno del primo cittadino di Roma, adesso, "è quello di garantire il controllo del territorio nelle aree più abbandonate". Zone a rischio, dove spesso la convivenza con i campi rom, per esempio, è difficile. Dice Alemanno: "Il prefetto Carlo Mosca, nel ruolo di commissario, sta attuando un piano per dare risposte in termini di sicurezza e di solidarietà. Dovranno esserci pochi campi, naturalmente legali, attrezzati nei servizi ma anche con un’adeguata vigilanza, per impedire contaminazioni con la delinquenza".

E l’idea di Mosca di dare un lavoro ai giovani nomadi, anche come sciuscià? "Quella frase del prefetto è stata un po’ infelice - sostiene il sindaco - la mia proposta invece è: costituire, d’intesa con l’Opera Nomadi, cooperative di Rom per servizi di lavanderia, di attività antidegrado e di operatori per la raccolta differenziata". Fermo restando, aggiunge "un piano di scolarizzazione per tutti i bambini". Resta dunque al primo posto la lotta al degrado e l’ultima novità è in tema di writers "e in generale di chi sporca, imbratta o deturpa la città. Chi fa una scritta sui muri, ne dovrà cancellare dieci. E così, in analogia, per chiunque non rispetti il decoro urbano".

Immigrazione: La Spezia dice "no" al Centro per le espulsioni

 

Il Sole 24 Ore, 16 agosto 2008

 

La Spezia dice "no" all’ipotesi di costruire un nuovo centro di identificazione ed espulsione (Cie) sul proprio territorio. E lo fa tramite il sindaco Massimo Federici (Pd) che annuncia "una ferma opposizione" se il Governo insisterà. A rispondergli è il sottosegretario all’Interno, Michelino Davico, che ha partecipato a Genova a una riunione del Comitato regionale per l’ordine e la sicurezza insieme a Regione, Comuni e forze di polizia. Davico chiarisce che "sul tavolo del ministro ci sono varie proposte" e che tutte le decisioni verranno concordate "con le autorità locali", fermando restando la possibilità per l’Esecutivo di decidere "di propria iniziativa". Aggiungendo: "Siamo per il confronto, per ascoltare, ma anche per decidere". Al governatore Claudio Burlando che si era opposto al Cie in Liguria, Davico dice: "Piacerebbe a tutti non averne. Se vogliamo essere federali dobbiamo avere i vantaggi ma anche qualche disagio".

Immigrazione: la rissa nel Cpt, eritrei e somali si bastonano

di Maria Grazia Filippi

 

Il Messaggero, 16 agosto 2008

 

Prima la calma, poi la furia selvaggia. Le mani si armano: in un attimo compaiono bastoni improvvisati staccati dai letti, gli estintori si trasformano in proiettili e comincia la corsa all’uomo. La miccia accesa da un diverbio per una donna o per un oggetto da contendersi nella fila per ritirare i beni di prima necessità. Oppure il solo fatto che eritrei e somali così vicini, gomito a gomito, non riescono proprio a starci.

Ma improvvisamente il Centro d’Accoglienza Richiedenti Asilo della Croce Rossa di Calstelnuovo di Porto, che nella mattina di ieri ci aveva accolto per mostrarci come si può offrire ospitalità, ricovero e aspettative ai reietti fra i reietti della terra, a quelli che scappano dai loro paesi africani per paura, per guerra, per violenza e vengono qui da noi a cercare un futuro migliore o, quantomeno, possibile, quello stesso Centro improvvisamente era diventato un piccolo inferno tutto italiano.

È bastato un niente e in un’ora di guerriglia vera, l’arredamento delle stanze, così generosamente offerto dalla Croce Rossa, è stato devastato per farne armi da battaglia. Una trentina i feriti: trauma cranico, alcuni fratturati per" essersi buttati giù dal primo piano nel tentativo di sfuggire agli assalti. Contusi, feriti, sopracciglia spaccate. Magliette insanguinate e strappate. Polizia e carabinieri costretti a intervenire per sedare i rivoltosi, gli stessi che facevano a gara a raccontarci storie strazianti, cinque anni per arrivare in Italia, duemila dollari per imbarcarsi su una "carretta" del mare, quattro giorni di navigazione senza acqua e senza cibo, tutto per arrivare in Italia.

Gli stessi uomini travolgevano e urlavano, devastavano e si picchiavano, rincorrendosi tra i corridoi come impazziti. "Quasi settecento persone che convivono sono sempre a rischio a prescindere dall’etnia" tengono a specificare la ventina di operatori della Croce Rossa Italiana che lavorano nel Centro, aperto il 23 giugno in una struttura di 12 mila metri quadrati.

"Questa è una struttura importante - racconta il capitano Massimo Ventimiglia che dirige il Centro - riusciamo ad accogliere fino a 700 richiedenti asilo ed ora siamo quasi al completo. Li aiutiamo nei problemi pratici, a fare la richiesta di asilo, a imparare l’italiano. Gli offriamo assistenza psicologica. Imparano l’italiano, giocano a calcetto, vorremmo fare anche un torneo".

"Quando arrivano qui sono distrutti e con noi ricominciano a mangiare, a lavarsi, a vivere - aggiunge Eugenio Venturo - non è giusto che le colpe di un centinaio di loro ricadano su tutti, le donne e i bambini compresi. Ma è già successo molte altre volte. Noi siamo solo una ventina. Non possiamo fare di più". In molti di loro non credono che si tratti di un problema di razze o di etnie.

Droghe: dalla Gran Bretagna; politica proibizionista è inutile

di Katia Moscano

 

Notiziario Aduc, 16 agosto 2008

 

È inutile la politica "dura" contro le droghe. Lo ha dichiarato alla Bbc Julian Critchley, funzionario pubblico che corse per la carica di dirigente dell’unità antidroghe del Cabinet. Critchley ritiene che la legalizzazione sia il modo migliore per ridurne la pericolosità sociale.

Critchley, che ha collaborato con l’ex zar antidroghe laburista Keith Hellawell, ha dichiarato che molte delle persone con cui ha lavorato condividevano questa idea, anche se pubblicamente appoggiavano la politica governativa. Intervistato dalla BBC Radio, ha dichiarato: "È più facile dire che contro le droghe si adotteranno politiche ancora più dure, anche se l’esperienza dimostra che questo approccio non funziona". Dieci anni fa, l’Ufficio antidroghe del Cabinet era il punto nevralgico della lotta alle droghe e coordinava tutte le politiche del Paese. Hellawell, ex capo della polizia che accusò i ministri laburisti di "tenere gli occhi chiusi" sul problema delle droghe, nel 1998 fu scelto come rappresentante del Governo sulla questione della guerra alle droghe.

Ha scritto, come introduzione all’intervista sul Blog dell’editor della BBC Mark Easton, che quando iniziò a lavorare in questo settore non era favorevole alla legalizzazione, ma col tempo ha cambiato idea. "Quando iniziai a lavorare all’Ufficio non avevo un’idea precisa, ero contrario al consumo, ma con l’apertura mentale per trovare la migliore soluzione per risolvere il problema. Non ero certamente favorevole alla decriminalizzazione, ma presto mi resi conto che le leggi erano inutili e senza alcun impatto sulla diffusione o il prezzo delle droghe".

Sperare che quella politica riducesse il consumo degli stupefacenti era illusorio, mentre è certo che la legalizzazione avrebbe ridotto il crimine. "Per gli oppositori della legalizzazione, questa soluzione aumenterebbe il consumo, ma ciò non è vero. La nicotina è legale, ma il consumo sta diminuendo, e perché è legale ci sono più controlli del Governo, programmi educativi ed è tassata". Alcune ricerche hanno rivelato che il mercato è ormai saturo, e la disponibilità è altissima.

Venezuela: carcere di Caracas; tra risse, violenze e musiciste

di Ettore Mo

 

Corriere della Sera, 16 agosto 2008

 

Inesorabile, la sentenza è di 8 anni, sia che ti abbiano trovato addosso 300 grammi di droga o un ingombrante fardello di 37 chili, come è avvenuto più di una volta, capace di inebriare letteralmente in un colpo legioni di persone. Secondo l’elenco mozzafiato che ho sottomano, nelle carceri della capitale e delle quattro regioni del Paese - centrale, centro occidentale, orientale, andina - sono 43 i detenuti italiani nel primo semestre di quest’anno gravati da quella condanna, che però non viene mai scontata per intero. Tralasciando quelle più remote e inaccessibili, ho trascorso qualche giorno nelle prigioni di Caracas e dintorni, dove la presenza dei nostri connazionali è cospicua: gente di età e condizioni sociali diverse, spinta quaggiù dalla chimera di un "affare" rapido e facile che ha accomunato per anni lombardi, liguri, toscani, siciliani, calabresi, veneti, campani, friulani, sardi, pugliesi, emiliani, abruzzesi. Dal bollettino di guerra - l’elenco - risulta che il drappello più nutrito è quello siculo-lombardo.

Nel carcere El Rodeo, considerato il più tumultuoso e pericoloso di tutti, un milanese sui quarant’anni, alto e secco, riassume in poche parole la sua avventura: "Sono qui da due anni e mezzo, per traffico di droga. Perché l’ho fatto? Per ingordigia di denaro, come tutti". Nello stesso lugubre, catacombale corridoio dove stanno rintanati mezza dozzina di italiani, un tipo coi capelli rossi e modi gentili è fresco di cattura: viene da Padova, l’hanno arrestato 10 mesi fa alla frontiera con due chili di "roba" nello zaino. "Otto anni la sentenza - dice rassegnato - e due li dovrò passare certamente in questo cesso. Poi però sarò rilasciato in libertà condizionata e mi troverò un lavoro". Bastano poche ore al Rodeo 1 per sprofondare nell’abisso di una realtà dove odio, rancore e disperazione non hanno limiti e spesso scaturiscono in risse sanguinose e mortali tra le diverse "bande" dei carcerati, oltre che tra le guardie e i detenuti. Secondo i dati aggiornati dell’ultima ora, gli scontri armati all’interno delle prigioni venezuelane ad alto rischio hanno fatto 249 morti e 381 feriti nel primo semestre del 2008: ed è proprio Rodeo 1 a conservare il primato con 41 cadaveri e 35 sopravvissuti, attualmente confinati nelle corsie degli ospedali.

Ma non è un mistero per nessuno che la gran parte della responsabilità per questo continuo spargimento di sangue debba essere attribuita al fenomeno inarrestabile della corruzione, che irretisce e coinvolge un po’ tutti: dai direttori stessi dei penitenziari al personale di vigilanza e su su fino a certe strutture e vertici di potere nazionali. Nei mesi scorsi sono stati confiscati in 10 prigioni venezuelane una grande quantità di armi (rivoltelle, pistole, mitragliatrici, pugnali, granate) e munizioni; così come sono state sequestrate grosse riserve di droga - marijuana, cocaina e crack - a nutrimento di una popolazione carceraria totalmente tossicodipendente, che-mi dice un ragazzo sdraiato nel corridoio con gli occhi sbarrati -, "non ha più nulla da perdere".

Un tizio racconta di essere stato fermato dagli agenti con 7 chili di droga nella valigia. "Me ne hanno presi 6-aggiunge senza scomporsi, come se si trattasse di un fatto di ordinaria amministrazione - lasciandomene uno. Un buon affare per tutti: io non sono finito dentro e loro hanno rimesso sul mercato, con gran profitto, quel po’ po’ di merce". Nessuna illusione, quindi, che il flusso quotidiano di droga possa essere bloccato dai cancelli d’ingresso del Rodeo, permanentemente controllato da mezza dozzina di poliziotti, assonnati e insaccati nell’uniforme, anche se hanno una mano indolenzita sul calcio del fucile. E credo siano in pochi a credere che la decisione-suggerita tempo fa - di cambiare ogni sei mesi il direttore del carcere e l’esercito dei suoi dipendenti più fidati possa d’un sol colpo neutralizzare la fitta rete delle complicità e degli intrallazzi. Anche i meno scettici dubitano che eventuali nuovi progetti ed interventi possano provocare una metamorfosi. Molti i rassegnati, gli sconfitti. Più di uno ha definitivamente tirato il catenaccio sul portone della vita. Si spinellano per arrivare al traguardo. C’è chi fa testamento: "Sono qui dentro da 5 anni e mezzo per traffico di droga a livello internazionale. Nato a Caracas, ma di origini italiane. Ciao, amico. È venuto il momento".

E un altro, pure di italiche origini: "Sono un essere umano, ma le condizioni igieniche sono disastrose. Sono vissuto nella merda". Chi è venuto da Bergamo, chi da Catania, chi da Genova, Tarquinia, Grosseto, Catania, Brescia, Forlimpopoli, Lamezia Terme, Buccinasco, Sesto San Giovanni, Mazzara del Vallo, Mondragone, Gioia Tauro, Carrara, Frosinone, L’Aquila. Uno che viene da Benevento dice: "L’ho fatto per necessità, la moglie, i figli". Sta per mettersi a piangere.

Se lo vedi dall’alto, il carcere Rodeo sembra un vecchio moribondo condominio, un cubo di pietra grigio trapanato dai proiettili, con dei buchi neri al posto delle finestre, da cui pendono lenzuola e stracci luridi da funerale di terza classe. Sul tetto- terrazza, molto vasto, i detenuti stanno facendo la doccia completamente nudi, sghignazzando e irrorandosi a vicenda coi getti d’acqua: e a Luigi che li vuole riprendere con l’obiettivo in quella atmosfera di festa e si dispone a scattare la foto, lanciano improperi e minacce: "Guarda che dentro al Rodeo non si fanno le foto. Se ci provi ti spariamo, stronzo!".

All’ingresso dell’edificio, lungo un corridoio piastrellato, c’è una serie di stanze piccole ma alte fino al soffitto, le pareti di cemento spoglie e nude, senza neanche l’ombra di un giaciglio o d’una coperta: adibite, com’è facile immaginare, agli amplessi rapidi, furiosi e disperati dei detenuti con le proprie mogli o compagne, secondo le scadenze fissate, con impietoso rigore, dal regolamento carcerario. Nella calura meridiana, il cortile che si estende tra due padiglioni è diventato un dormitorio dove qui e là sono state elevate capanne d’emergenza per proteggersi dall’accanimento del sole: per garantirsi la "privacy", un detenuto ha comprato una tenda di tre metri per due, dove fa la siesta su un materasso di gomma piuma come un maharajah. Alcuni - non si sa come - sono riusciti a prendere sonno anche nelle amache allacciate sotto tettoie di lamiera arroventata. Ma il momento più bello è la sera, quando il cielo si spegne e l’intero paesaggio si assopisce in una luce morbida, prima del silenzio notturno.

Ma in tutti i drammi degli espatriati e delle migrazioni estreme c’è sempre una storia a lieto fine, come quella di un signore quasi ottuagenario che in settembre si appresta a rientrare in Toscana. Me lo ha presentato un suo grande amico, l’instancabile missionario italiano di Cologno Monzese, padre Leonardo Grasso, 49 anni, da quindici in Venezuela e attualmente responsabile di Icaro (Associazione non governativa che attualmente gestisce un Centro di assistenza per il recupero e il reinserimento sociale di bambini, ragazzi e adulti in situazioni di grave necessità). Ingiustamente accusato di narcotraffico al confine del Venezuela - quando vennero trovati 12 chili di droga nella valigia del suo compagno di viaggio - l’anziano e innocente turista scontò in carcere due degli otto anni inflitti normalmente per quel tipo di reato ed è tuttora ospite in un ricovero per vecchi.

Ma forse sorride ormai delle proprie vicissitudini, visto che il rimpatrio gli è stato praticamente assicurato e che il prossimo 23 dicembre potrà festeggiare, nella propria terra e fra i suoi cari, il settantanovesimo compleanno. Urrah. Potrebbero essere molte le ragioni che negli ultimi anni hanno scatenato l’attività musicale in Venezuela.

L’anziano compositore Josè Antonio Abreu, oggi 67 anni, che ha fatto sorgere nel Paese, dal nulla, 154 orchestre giovanili e 140 complessi infantili. Niente male. È stato lui a scaraventare sul podio quell’inesorabile folletto di Gustavo Dudamel, che tuttora non sta mai fermo e volteggia da un podio all’altro del pianeta, inesauribile, tellurico. Assecondato dal governo di Hugo Chàvez e dall’Inter-American Development Bank, il progetto ha ricevuto in dono 3 milioni di dollari, che hanno consentito a 240 mila bambini e adolescenti di sfuggire dai barrios urbani e rurali della malavita.

Dal carcere maschile del Rodeo siamo approdati, in due ore di macchina, in mezzo all’infernale bolgia del traffico sudamericano, al carcere femminile Inof (acronimo che alla fine significa prigione per le donne) in località Los Torques, all’estrema periferia Ovest della capitale. Il miracolo, a questo punto, è che le detenute - alcune internate per reati piuttosto gravi - hanno deciso di scontare la pena a suon di musica, alternando sinfonie, madrigali e inni sacri a ritmi pop da discoteca e canzoni popolari. Per questo hanno formato una piccola orchestra d’archi-violini, viole, violoncelli, contrabbassi - e un coro finora limitato a poco più di 20 elementi.

Si tratta di un impegno serio e non di un capriccio: e durante la giornata si appartano a gruppi in stanze diverse per esercitarsi sotto la guida d’un maestro e mettere a punto il programma del prossimo concerto. La più giovane del coro ha 22 anni; la più anziana ne ha 58 e sembra anche la più allegra e loquace. Ma è il momento della prova e le coriste vanno a sistemarsi silenziosamente sulla parete di fondo della sala, mentre le musiciste pizzicano e tormentano le corde dei loro strumenti per l’ultima verifica del suono.

Sul leggio del direttore d’orchestra - un giovanotto fragile e riccioluto - lo spartito è aperto sulla IX di Beethoven: ed ecco che vibrano immediatamente nell’aria e contro la vetrata le note dell’"Inno alla gioia". Il maestro non è soddisfatto: anche il coro deve rifare il proprio intervento, non sufficientemente compatto e gioioso, meno problemi quando orchestra e cantanti offrono motivi popolari come "Moliendo café" (macinando il caffè) o "Alma Llanera", una canzone definita per verdetto unanime molto dolce e sentimentale.

Sembra che nessuna delle detenute, ora impegnate in questa avventura musicale, abbia mai toccato uno strumento o cantato in un coro parrocchiale prima di varcare la soglia della Inof a Los Teques. La giovane e bella signora di pelle scura che sta ora pizzicando le corde del contrabbasso non aveva mai visto in vita sua e tanto meno abbracciato quello strumento. "Sono qui da 18 mesi-dice Irma Gonzalez, che però tutti chiamano Abigaille- e da 14 faccio parte dell’orchestra. La musica è stata un’esperienza formidabile. Gradualmente sono cambiata. Guardo la vita con occhi nuovi". Condannata a 6 anni per furto, ha recentemente avuto la soddisfazione di esibirsi davanti ai suoi 4 figli, di 9, 10, 13 e 14 anni. Lo stesso per Joanny Aldana, 29 anni, arrestata per sequestro di persona e furto d’auto e condannata a 9 anni, ospite della Inof da un anno e undici mesi: "Grazie alla musica - dice - la mia permanenza in prigione non è stata un castigo, ma un modo per acquisire e scoprire valori nuovi. Da un anno suono ogni giorno, tutti i giorni, e ho accantonato per sempre il passato".

Le fa eco Laura Rojas, che, arrestata per truffa sta scontando la sua pena da un paio d’anni. Domani è il suo ventiseiesimo compleanno e presto sarà libera: "La musica - confida - ha avuto per me l’effetto di scacciare la malinconia, che mi ha aggredito per anni". E forse indicativo in questo cambiamento di sentimenti e umori nella comunità carceraria femminile il cartello appiccicato a una parete della stanza che dice, testualmente: "Accettarsi come siamo, indipendentemente dal sesso, dal colore della pelle, dalla cultura, dal lavoro e dalla provenienza".

Certamente è ancora vivo nel cuore di tutti il ricordo della serata del 29 aprile scorso quando la Orquesta Sinfonica Penintenciaria del Nucleo Inof (che aveva iniziato la propria attività nel giugno del 2007) eseguì, insieme al coro, il suo primo concerto al Teatro Teresa Careño di Caracas. Le donne prescelte per l’esibizione erano state portate al teatro in pullman con le manette ai polsi, che vennero loro tolte solo pochi minuti prima di entrare nel retro del palcoscenico. L’operazione si era svolta sotto l’occhio di 350 poliziotti che controllavano il gruppo da vicino prendendo posto dietro le quinte oltre che in sala e sulle balconate.

Forse temevano che le detenute- artiste avessero cogitato un rocambolesco piano di fuga: sospetto che parve trovare conferma quando improvvisamente venne a mancare la luce e per pochi attimi pubblico e poliziotti rimasero al buio. Ma subito dopo lampadari e luci tornarono a splendere dando modo alle signore non più ammanettate della Inof di offrire al pubblico degli uomini liberi, ai poliziotti e ai loro stessi carcerieri una memorabile esibizione del proprio talento. Lo spettacolo, a cui parteciparono anche gruppi di prigionieri detenuti in tre diversi carceri maschili, "mise in evidenza davanti a tutto il Venezuela - tale il commento di un critico locale - il meraviglioso potere liberatore della musica".

Indonesia: per Festa di Indipendenza liberati 55mila detenuti

 

Ansa, 16 agosto 2008

 

Con un gesto di clemenza ormai consuetudine, domenica, per la festa dell’Indipendenza, in Indonesia saranno scarcerati 55.000 detenuti. Lo annunciano fonti ufficiali del governo di Giakarta. Dal provvedimento di grazia, si precisa, saranno escluse persone detenute per terrorismo, corruzione, traffico di droga o abbattimento illegale di alberi. Tuttavia fra coloro che ne beneficeranno figurano anche due cittadini australiani arrestati a Bali per traffico di stupefacenti.

 

 

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