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Giustizia: reati sono calati del 10% e nessuno se ne accorge di Marco Ludovico
Il Sole 24 Ore, 14 agosto 2008
Reati in calo di oltre il 10 per cento. I dati del primo semestre 2008 confermano la netta inversione di tendenza cominciata nel giugno del 2007. Le cifre ufficiali saranno diffuse domani dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni, dopo il comitato nazionale per l’ordine pubblico e la sicurezza convocato per Ferragosto. Ma è sufficiente analizzare i numeri di Roma, Milano e Napoli, tre città simbolo per i problemi di criminalità e ordine pubblico, per verificare una diminuzione costante di molti reati. Calano i furti, in particolare quelli nei negozi e delle auto, e le truffe informatiche. Scende il numero dei delitti dal primo al secondo semestre 2007 e la linea in discesa si consolida e si accentua, in qualche caso, nei primi sei mesi del 2008. Va precisato che le cifre molto recenti - maggio, giugno e luglio - sono ancora quelle ufficiose e non hanno avuto la certificazione del Viminale. Ma le tendenze sono indiscutibili.
Effetto "Patti per la sicurezza"
Non sfugge il fatto che l’inversione di tendenza, rispetto a una crescita della criminalità negli anni passati, comincia più o meno con la firma dei "Patti per la sicurezza" voluti quando il ministro dell’Interno era Giuliano Amato. Quelle intese ora sono state rilanciate da Maroni, impegnatosi a irrobustire la dote finanziaria necessaria per dare applicazione agli accordi. Se poi si considera - con le dovute cautele, trattandosi appunto di dati provvisori - l’andamento 2008, i numeri non lasciano spazio a dubbi. I furti, a Roma, erano 87mila nel primo semestre 2007, 75mila nel secondo semestre, 61mila nel primo 2008. Nella provincia di Milano 98mila, poi 90mila, infine 85mila. Quelli in abitazione a Roma sono 3.530 nel primo semestre 2007; sono saliti a 3.729 nel secondo semestre per poi scendere a 2.824, con un calo del 24,2 per cento. Analogo il dato tendenziale a Milano: 2.558, 2.943, 2637 nei successivi semestri. Per le rapine, nella capitale si passa da 2.299 a 2.127 fino ai 1.842 del 2008; per Milano e provincia, invece, il fenomeno rimane più o meno stabile (2.852; 2.863; 2.919). Per il capoluogo lombardo e provincia, però, il dato globale sui furti è molto positivo. Così come a Napoli: le percentuali (la prefettura non ha fornito i numeri per esteso) dicono che mentre i furti erano aumentati quasi del 5% nel primo semestre 2007, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, confrontando il primo semestre 2008 con quello dell’anno scorso c’è una diminuzione del 10 per cento. I furti "con strappo" nel capoluogo partenopeo sono diminuiti nel 2008 del 31%. E le rapine, scese del 3,8% nel primo semestre 2007 rispetto all’analogo arco di tempo del 2006, sono crollate del 23,11% quest’anno.
La "curva" dei delitti
A vedere le cifre complessive della criminalità nelle tre città in un arco di tempo più ampio, si osserva un andamento che sfata sia gli allarmismi che le facili dichiarazioni di vittoria contro la criminalità. A Napoli e provincia, i delitti complessivi nei primi sei mesi del 2005 erano 65.022, cresciuti di semestre in semestre a 70.713, 75.705 con il picco a 76.094, alla fine del primo semestre 2007: da lì, la discesa. Idem nella provincia di Milano: da 131.263 a 142.472, da 150.128 a 160.851, sempre alla fine della prima metà dell’anno scorso; poi si comincia a diminuire. La capitale (e la sua provincia) non è da meno: 123.133 delitti nel 2005 saliti a 130.144, poi a 142.722 fino ai 146.615. Poi, come nel resto d’Italia, si scende.
Le controtendenze
Non tutti i reati, però, sono sotto controllo. le violenze sessuali, per esempio, rimangono un dato più o meno stabile: sono circa un centinaio a semestre nella città di Roma, cifre un po’ più alte per Milano. Va aggiunto che le denunce di questi reati spesso comprendono anche le violenze consumante tra le pareti domestiche.
Le valutazioni dei prefetti
"I dati sono globalmente positivi e ci attendiamo un’ulteriore tendenza in questo senso - spiega il prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi - è il risultato del successo dell’attività di prevenzione delle forze di Polizia". Osserva però Alessandro Pansa, che guida la prefettura di Napoli: "I reati predatori sono diminuiti parecchio, ma la percezione di sicurezza è rimasta del tutto negativa. In settembre vareremo un progetto specifico elaborato a Napoli. Le statistiche della sicurezza possono raccontare tutte le migliori tendenze in atto, ma se i cittadini hanno una percezione negativa è come se il lavoro fosse stato fatto a metà". Aggiunge Lombardi: "Credo che i dati più recenti siano anche il frutto delle misure decise dal Governo, che non possono non aver provocato anche effetti immediati. E va dato all’Esecutivo - sottolinea il prefetto di Milano - di aver varato con una velocità inusuale una serie massiccia di misure per la sicurezza".
Furti stabili in casa, in discesa nei negozi
Nella provincia di Milano si passa da 155.363 delitti complessivi nel primo semestre 2007 a 146.988 nel secondo semestre fino ai 142.466 dei primi sei mesi di quest’anno. Confrontando i dati degli ultimi sei mesi del 2007 con quelli dei primi sei mesi del 2008, sono in calo i "furti con destrezza" (da 14.732 a 12.484) e quelli in abitazione (da 7.804 a 7.316) e negli esercizi commerciali (da 5.833 a 5.353). Laddove rimangono stabili i numeri relativi ai furti di automobili e quelli "con strappo", così come le rapine, circa 200 a semestre. Positivo l’andamento dei reati che riguardano gli stupefacenti per il capoluogo lombardo: si passa da 932 (primo semestre 2007) a 902 (secondo semestre) fino a 827 nei primi sei mesi del 2008. Complessivamente stabile, poi, è il dato riguardante i furti: passano da 50.423 a 45.646 ma risalgono a 47.789 nei primi sei mesi di quest’anno. Un risultato frutto del calo dei furti negli esercizi commerciali (3.341; 3.240; 2.830) mentre quelli in abitazione hanno un andamento altalenante (2.558; 2.943; 2.637). Nella città di Milano scendono le rapine in banca (da 123 a 90) ma quelle nei negozi, mentre erano fortemente diminuite durante il 2007 (da 277 a 191), sono poi risalite a 296. Non subiscono modifiche, infine, i reati che riguardano la prostituzione.
In diminuzione le rapine in banca
Tutti in discesa: i numeri sui reati "predatori" di Roma sono in calo costante, con percentuali a volte molto elevate. Le violenze sessuali per ciascun semestre sono passate da 107 a 115 a 96. I furti in abitazione sono prima saliti da 3.530 a 3.729 per poi riscendere fino a quota 2.824. Le auto in sosta rubate e denunciate a giugno 2007 erano 9.622. Un numero che è sceso a 8.542 a dicembre e a 7.604 a giugno di quest’anno. I furti di ciclomotori sono stati, rispettivamente, di 2.860, 2.608 e 1.795; quelli di moto erano 5.976 nei primi sei mesi dell’anno scorso; dopo di che sono saliti a 6.346 ma quest’anno - se i dati saranno confermati - nel primo semestre dovrebbero assestarsi sui 5.070. La capitale può vantare un andamento positivo anche per quanto riguarda le rapine. Quelle nei negozi passano da 452 a 440 per scendere fino a 425. Quelle che invece in gergo poliziesco vengono definite "in pubblica via" hanno avuto un calo ancora più drastico: da 1.102 a 996 per diminuire fino a 849. Gli omicidi nel 2007 sono calati da 18 a 10 mentre quest’anno sono stati finora 12. Gli attentati, invece, sono stati 11 nel 2008, solo 5 complessivamente l’anno scorso. In discesa anche le truffe e le frodi informatiche, salite l’anno scorso da 2.414 a 2.524 per poi scendere nei primi sei mesi di quest’anno a 2.311.
Si attenua la serie dei delitti di camorra
Le contraddizioni di Napoli si rivelano anche nell’andamento dei dati sulla criminalità. Accade così che alcune tendenze si dimostrano positive; altre meno. Di conseguenza, in alcuni casi il fenomeno si inverte in senso positivo, mentre in altri l’andamento è esattamente l’opposto. E in città i numeri possono avere una linea diversa da quella della provincia. Nel confronto tra il primo semestre 2008 e l’analogo periodo dell’anno scorso, a Napoli le percentuali positive per le forze dell’ordine riguardano gli omicidi consumati(-22%), mentre quelli tentati salgono del 45 per cento. I delitti denunciati sono diminuiti dell’11% mentre nel semestre precedente erano saliti, rispetto al 2006, dell’8 per cento. Crescono invece i denunciati e gli arrestati (+2%). La città partenopea vede una diminuzione pari al 30% dei furti con strappo e del 6,6% di quelli di autovetture. Brillante il dato sulle rapine, calate del 23% in totale e del 25% per quelle in strada. Scende anche il dato dei reati per gli stupefacenti (-20% circa). In provincia di Napoli diminuisce quasi del 10%il numero dei delitti denunciati mentre aumenta di oltre il 5% la percentuale dei denunciati e degli arrestati. Positivi anche i dati sui furti (-13%), sia "con strappo" (-29%) che di autovetture (-20%), e sulle rapine, sia in totale (-12%) che per strada (-16%). Giustizia: Famiglia Cristiana; speriamo non rinasca il fascismo
La Repubblica, 15 agosto 2008
Il settimanale Famiglia Cristiana torna all’attacco sulla politica del governo in materia di sicurezza, augurandosi che "non sia vero il sospetto" che in Italia stia rinascendo il fascismo "sotto altre forme". La rivista dei Paolini, che lunedì scorso aveva attaccato l’esecutivo per la "finta emergenza sicurezza", replica anche alle dure critiche che gli sono arrivate dopo quell’articolo dagli esponenti della maggioranza: "Non siamo cattocomunisti". Nell’editoriale che uscirà nel prossimo numero il settimanale attacca il loquacissimo Gasparri e altri politici (Rotondi, Bertolini, Quagliariello) "senza argomenti". La frase che conclude l’articolo racchiude l’invito a farla finita con le critiche: "E ora basta". La difesa. "Siamo e saremo sempre in prima linea su tutti i temi eticamente irrinunciabili", scrive Beppe Del Colle, che ricorda: "Divorzio, aborto, procreazione assistita, eutanasia, Dico, diritti della famiglia, abbiamo condannato l’inserimento dei radicali nelle liste del Pd". Poi passa in rassegna la storia del settimanale: "Una volta eravamo conosciuti come un giornale di gente coraggiosa, inviati che andavano nell’est europeo, sfidando polizie occhiutissime, a cercare le testimonianze del lungo martirio dei cristiani sotto il comunismo". Infine avverte: "Non siamo mai cambiati nel modo di affrontare le realtà del mondo con spirito di cristiani". Le critiche a Maroni. La rivista di stampo cattolico torna anche a parlare della norma sulle impronte ai rom, che definisce "una trovata sciocca e inutile". "Abbiamo definito indecente la proposta del ministro Maroni sui bambini rom - si legge - perché da un lato basta censirli, aiutarli a integrarsi con la società civile in cui vivono marginalizzati, ma dall’altro bisogna evitargli la vergogna di vedersi marcati per tutta la vita come membri di un gruppo etnico considerato in potenza tutto esposto alla criminalità". Le discriminazioni ai rom. Proprio la questione delle impronte porta Del Colle a ricordare le persecuzioni a danno delle minoranze: "Quella foto del bimbo ebreo nel ghetto di Varsavia con le mani alzate davanti alle SS è venuta alla memoria come un simbolo. Per questo il Parlamento di Strasburgo e il Consiglio europeo hanno protestato". Poi cita la rivista francese Esprit, che ha scritto che "gli italiani sono incredibilmente duri contro i romeni e gli zingari", e dice: "Speriamo che non si riveli mai vero il suo sospetto che stia rinascendo da noi sotto altre forme il fascismo". La risposta a Giovanardi. Famiglia Cristiana risponde poi direttamente alle critiche del sottosegretario Giovanardi, che li aveva definiti "cattocomunisti": "Secondo Giovanardi - scrive - non rappresentiamo la vera dottrina della chiesa. Nessuna autorità religiosa ci ha rimproverato nulla del genere, e lui non ha nessun titolo per giudicarci dal punto di vista teologico-dottrinale". Giustizia: Alfano; bracciale elettronico e lavoro per i detenuti
Corriere della Sera, 15 agosto 2008
La boccata di ossigeno dell’indulto è ormai esaurita e le 205 carceri italiani sono tornate a sovraffollarsi, con 55.250 detenuti contro i circa 43mila posti disponibili. Le strade che il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, sta ipotizzando di intraprendere passano attraverso un nuovo piano di edilizia carceraria, il ricorso al braccialetto elettronico (di fatto mai utilizzato seppure istituito da diversi anni) per incentivare il ricorso agli arresti domiciliari e, tra l’altro, più lavoro ai detenuti, dentro e fuori le carceri. Il lavoro esterno in attività socialmente utili è un fronte già attivo dal 2004 quando l’allora capo del Dap, Giovanni Tinebra, avviò il progetto "Recupero patrimonio ambientale" che ha portato sino ad oggi 416 detenuti a uscire dalle celle per intere giornate, scortati dalla polizia penitenziaria, per essere impiegati nella pulizia di spiagge, strade, parchi e murales di tutta Italia. Alfano e il nuovo capo del Dap, Franco Ionta, intendono dare nuovo impulso all’iniziativa, mentre Tinebra, attuale Pg di Catania, il prossimo autunno si avvierebbe ad essere nominato consulente del governo per le questioni carcerarie. Si ricomincia dal prossimo Ferragosto, quando 50 detenuti delle carceri milanesi di San Vittore, Opera e Bollate, sotto la vigilanza di una decina di agenti di polizia penitenziaria e del Gom, lavoreranno quotidianamente, fino al prossimo 31 gennaio, per conto della "Cem ambiente" ripulendo i sentieri che si snodano dal Santuario di Ornago a Cascina Sofia a Cavenago di Brianza. Ad uscire saranno per lo più detenuti condannati per furto, rapina, spaccio di stupefacenti e comunque con condanne non superiori ai 5-6 anni. Ben 186 comuni della provincia di Milano hanno manifestato interesse affinché l’iniziativa venga ripetuta con la collaborazione di altre aziende municipalizzate. "È indispensabile incentivare il lavoro dentro e fuori le carceri, sia per la sua funzione rieducativa sia perché - spiega il ministro Alfano - è stata riscontata una diminuzione della recidiva negli istituti penitenziari in cui i detenuti lavorano". Giustizia: Sappe; potenziare l’espulsione di detenuti stranieri
Il Velino, 15 agosto 2008
"Accogliamo molto favorevolmente gli interventi che il ministro della Giustizia Angelino Alfano, di concerto con il capo dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta, intende adottare per risolvere il problema del sovraffollamento delle strutture penitenziarie del Paese". È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione della categoria. "È noto che da sempre sosteniamo, e per molto tempo lo abbiamo fatto in solitudine, - sottolinea - di rendere stabili le detenzioni dei soggetti pericolosi affidando però a misure alternative al carcere la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale, potenziando quindi l’area penale esterna e prevedendo per coloro che hanno pene brevi da scontare l’impiego in lavori socialmente utili all’esterno del carcere con l’introduzione del sistema di controllo del braccialetto elettronico in dotazione al Corpo di Polizia penitenziaria. E sarà quindi massima la nostra collaborazione al ministro Guardasigilli Alfano e il capo Dap Ionta per realizzare una nuova politica penitenziaria del Paese. L’ampliamento delle misure alternative alla detenzione e dell’area penale esterna e l’adozione del braccialetto elettronico di controllo dei soggetti detenuti che vi accedono dovrà necessariamente prevedere un nuovo ruolo della Polizia Penitenziaria, e cioè svolgere in via prioritaria rispetto alle altre forze di Polizia la verifica del rispetto degli obblighi di presenza che sono imposti alle persone ammesse alle misure alternative. Se la pena evolve verso soluzioni diverse da quella detentiva anche la Polizia Penitenziaria dovrà spostare le sue competenze al di là delle mura del carcere. Il controllo sulle pene eseguite all’esterno, oltre che qualificare il ruolo della Polizia Penitenziaria, potrà avere quale conseguenza il recupero di efficacia dei controlli sulle misure alternative alla detenzione". Capece sottolinea che il ministero della Giustizia e l’Amministrazione penitenziaria debbano riservare una particolare attenzione ai detenuti stranieri in Italia, che attualmente rappresentano ben il 37 per cento del totale dei 55mila detenuti presenti. "Come ha recentemente verificato uno studio del Dap, - aggiunge - tale rapporto cresce ulteriormente se si prendono in esame le nuove immatricolazioni: in tal caso la quota imputabile ai soggetti di cittadinanza non italiana è risultata essere, per il 2007, pari al 48 per cento dell’ammontare complessivo degli ingressi in istituto penitenziario dalla libertà. Ma il numero degli espulsi per effetto dell’applicazione della sanzione alternativa alla detenzione, prevista dall’articolo 15 della legge Bossi-Fini, è ancora a nostro giudizio troppo contenuto: 1.161 espulsi nel 2003, 1.038 nell’anno successivo, 1.242 nel 2005 e 1.012 nel 2006. Nel 2007 furono solo 381, drastica riduzione a causa della flessione dei potenziali beneficiari dovuta all’effetto dell’indulto, e, nel primo semestre del 2008, sono state 256. Noi crediamo si debba incrementare il grado di attuazione della norma che prevede l’applicazione della misura alternativa dell’espulsione per i detenuti extracomunitari i quali debbano scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore ai due anni, potere che la legge affidata alla Magistratura di Sorveglianza. Il ministro Alfano - conclude Capece - potrebbe fornire precise direttive alle Magistrature di Sorveglianza del Paese per potenziare l’attuazione di tale norma". Giustizia: "basta ergastolo!", al via il ricorso a Strasburgo… di Sandro Padula
Liberazione, 15 agosto 2008
Raccolte 500 firme, presto un digiuno a staffetta. Il nuovo capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap), Franco Ionta, ha affermato lunedì scorso che "anche le persone condannate all’ergastolo hanno il diritto di pensare alla propria condizione come transitoria e destinata a farli, a tempo debito, tornare alla dignità di uomini liberi". Questa presa di posizione, in oggettiva contraddizione con i tentativi di riformare il sistema carcerario in senso ultrarestrittivo (ddl Berselli e ddl Valditara), testimonia implicitamente che il fine pena mai è un autentico tallone d’Achille nell’antiquato sistema penale del nostro paese, una pena da mettere nel museo degli orrori e nel campionario della stupidità umana. Ben coscienti di tutto ciò, dopo lo sciopero della fame dello scorso dicembre molti degli ergastolani presenti nelle carceri italiane hanno infatti sviluppato un dibattito su come continuare la lotta per l’abolizione dell’ergastolo. Nel corso degli ultimi mesi sono emerse varie proposte fra cui quella di sottoscrivere collettivamente un ricorso contro l’ergastolo da depositare presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. Chi tra gli ergastolani è disponibile a questa iniziativa può infatti inviare la propria adesione all’Associazione Pantagruel e dal sito Internet www.informacarcere.it. Il ricorso contesta la violazione da parte dello Stato italiano degli articoli 3, 6, 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che rispettivamente affermano il divieto della tortura ("nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti"), il diritto ad un processo equo e il diritto a "nessuna pena senza legge". Denuncia inoltre la mancata applicazione di alcuni importanti articoli della Costituzione, più precisamente quegli articoli che prevedono la pari dignità sociale e l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge (articolo 3); la necessità che ogni processo abbia un "giudice naturale precostituito per legge", la validità solo delle leggi in vigore prima del fatto commesso e il divieto di misure di sicurezza non previste dalla leggi (articolo 25); il carattere personale (non quindi per gruppo sociale) della responsabilità penale, la tutela della presunzione di innocenza dell’imputato prima di ogni eventuale condanna definitiva, il divieto delle pene disumane e l’obbligo secondo cui la finalità della pena deve essere solo quella relativa al reinserimento sociale (articolo 27). Spesso si sente dire che l’ergastolo in Italia sarebbe compatibile con la nostra Costituzione in quanto la legislazione prevedrebbe la possibilità, per l’ergastolano, di ottenere la libertà condizionale. Pochi sanno che la libertà condizionale, oltre a non essere concessa automaticamente nei confronti di chi ha trascorso i 26 anni di detenzione richiesti, è di fatto esclusa preventivamente per tutti gli ergastolani che subiscono le misure carcerarie restrittive dell’articolo 4 bis. Per meglio condurre la critica all’ergastolo sul terreno del diritto, il ricorso alla Corte di Strasburgo punta il dito contro il matrimonio penitenziario fra ergastolo e carcere duro, fra il variabile mostro a mille teste del fine pena mai e la concreta impossibilità di usufruire della libertà condizionale per gli ergastolani sottoposti al regime del 41 bis. Questa è comunque solo una delle iniziative, finora già sottoscritta da circa 500 ergastolani, per continuare la campagna contro il fine pena mai. Nel prossimo futuro sarà riproposta alla Corte Costituzionale l’incostituzionalità dell’ergastolo. Su questa iniziativa si sta impegnando Sandro Margara assieme ad altre persone competenti nella materia. Dopo l’estate invece è previsto uno sciopero della fame a staffetta (a settimane alterne i carceri di una o più regioni) che dovrebbe coinvolgere il territorio in cui si trova il carcere e i cui obiettivi - stando al dibattito attuale presentato dal bollettino Mai dire Mai di luglio (http://www.informacarcere.it/campagna_ergastolo.php) - potrebbero essere suscettibili di ampliamento e diventare una piattaforma di lotta di tutti i detenuti (abolizione dell’ergastolo, no al disegno di legge Berselli, no alla detenzione dei bambini, libertà immediata per i detenuti rinchiusi da oltre 26 anni, abolizione di ogni forma di tortura e promozione del diritto all’asilo politico). Nel frattempo sta pure nascendo un Comitato femminile contro l’ergastolo (per le adesioni: clareholme@yahoo.it ) che, oltre a porre in evidenza il tema dell’effetto estensivo delle pena detentiva sui parenti e gli amici di chi sta dietro le sbarre, punta a mettere in rete i familiari (coniuge, figli, sorelle e fratelli, genitori, fidanzate/i, amici e conoscenti di ergastolane/i allo scopo di "ribadire quello che sta scritto nell’articolo 27 della Costituzione italiana ovvero che le pene devono avere fini riabilitativi - che l’ergastolo non ha di certo! ". All’interno e all’esterno dell’arcipelago carcerario italiano diverse situazioni si muovono dunque con la medesima convinzione: non esiste giustizia quando non si applicano gli articoli. 3, 25 e 27 della Costituzione e non si è europei quando vengono violati gli articoli 3, 6, 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Giustizia: Alì poteva salvarsi e uscire, nessuno glielo ha detto
Liberazione, 14 agosto 2008
La morte di Ali Juburi, lunedì all’ospedale dell’Aquila, ci ha messo di fronte un’evidenza tragica: si può morire di fame, isolati dal mondo per uno sciopero di cui nessuno sa niente. Estrema dimostrazione del fatto che dal carcere non esci se non hai nessuno alle spalle. Per sapere qualcosa in più sulla vicenda, abbiamo contattato il carcere Torre Sinello di Vasto dove Ali è arrivato "sfollato" da Milano. Un commissario che vuole rimanere anonimo, racconta: "Ali è stato trasferito dalla riviera adriatica a L’Aquila perché a Vasto il servizio di guardia medica è di dodici ore mentre nel penitenziario del capoluogo abruzzese è permanente. Sono stati fatti tutti i passaggi necessari per comunicare il suo sciopero, compresa la segnalazione di un "inizio di evento critico". Ho parlato con lui personalmente, balbettava la nostra lingua ma ponendo molta attenzione si riusciva a comprendere quello che diceva. Quando è uscito da qui, pur in sciopero della fame, era in condizione discrete ed è andato via con i suoi piedi". Anche se Ali è stato assistito, come da procedura, nessuno ha ascoltato la ragione del suo sciopero: avere giustizia. Si dichiarava innocente e questo evidentemente per lui era più importante dell’aria che respirava. Eppure sarebbe bastato un semplice avvocato per aiutarlo veramente. Rosetta Crugnale presidente del Centro informazione e prima accoglienza (Cipa), associazione Onlus di Vasto, spiega: "La nostra associazione funge anche da comunità ospitante per i detenuti che possono farne richiesta. Questi possono chiedere all’educatore di scontare la pena dentro la comunità. Nessuno mi ha messo a conoscenza del caso di Ali. Di certo un detenuto con una pena di un anno e tre mesi avrebbe potuto essere ospitato da noi". Marco Gelmini segretario del Prc abruzzese fa notare che "i tanti parlamentari che hanno visitato in carcere l’ex governatore d’Abruzzo Ottaviano Del Turco avrebbero potuto raccogliere anche le parole del detenuto iracheno". Sono i senatori Franco Marini, Giovanni Legnini e Marcello Pera, i deputati Pierluigi Mantini, Giancarlo Lehner e Renato Farina. "Nessuno di loro - scrive Gelmini - si è accorto, in queste vistose trasferte, di un detenuto extracomunitario che stava morendo per uno sciopero della fame. Se uno solo avesse prestato anche attenzione alle condizioni generali delle carceri forse sarebbe passato all’Aquila e avrebbe raccolto le parole di Alì Juburi". Riccardo Arena, da anni conduttore di "Radio Carcere", di situazioni difficili dietro le sbarre ne ha conosciute tante: " Il caso di Ali è emblematico del mal funzionamento del tribunale di sorveglianza. Non si capisce infatti perché sia rimasto in carcere. Per la condanna che aveva, avrebbe dovuto avere la pena sospesa. Anche nel caso in cui avesse avuto precedenti, scontata la metà della pena avrebbe potuto usufruire di una misura alternativa. Perché non si è ricorso in appello? Perché era immigrato? Perché non aveva un buon avvocato? Può essere. A volte quando stai dentro puoi diventare solo un pacco postale. Le carceri abruzzesi - continua Arena- sono molte isolate. Il caso di Ali, nella sua tragicità dovrebbe aiutare a farci riflettere su quante sono le proteste nei penitenziari di cui non sappiamo assolutamente niente". Franco Corbelli, leader del Movimento Diritti Civili, denunciando l’accaduto, si offre per pagare le spese del viaggio in Italia della madre del giovane immigrato (dall’Iraq) e chiede l’intervento del Presidente della Repubblica e Presidente del Csm, Giorgio Napolitano. Sarà in vacanza?
La sua morte non è passata del tutto inosservata
Non è passata del tutto inosservata la morte per fame del detenuto Alì Juburi. Sul suicidio annunciato del detenuto iracheno del carcere de L’Aquila, i deputati Radicali, Rita Bernardini e Maurizio Turco, hanno presentato un’interrogazione urgente ai ministri della Giustizia, dell’Interno e degli Esteri sulla morte del cittadino iracheno chiedendo innanzitutto di "chiarire, dal punto di vista processuale, quale sia stata effettivamente il reato imputatogli e l’entità della pena perché c’è una notevole discordanza fra le notizie diffuse dai mezzi di informazione: per alcuni, infatti, Alì Juburi sarebbe stato condannato a un anno e tre mesi per tentata rapina mentre, per altri, la condanna sarebbe stata a tre anni di reclusione per il furto di un telefonino cellulare". Bernardini e Turco, insomma, vogliono vederci chiaro: "Le carte di Alì Juburi erano in regola solo per morire: contadino, povero, extracomunitario, iracheno, carcerato, solo". I radicali chiedono inoltre di sapere se nei tre lunghi mesi di sciopero della fame il cittadino iracheno sia stato adeguatamente seguito dai sanitari dal punto di vista fisico e psicologico e se, con l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, sia stato prestato il soccorso necessario che avrebbe potuto evitarne il decesso. La deputata radicale, eletta nelle liste Pd, solleva dubbi anche sulla condanna: "Nel merito ci sono molte perplessità. Se si sommano le mie per disobbedienza civile queste arrivano ha un anno e tre mesi. Nessuno però si è mai sognato di rinchiudermi in carcere". Bernardini poi fa un paragone anche con un altro caso di cronaca - e un’altra battaglia radicale - di questo 2008: "Come è possibile che mentre Eluana Englaro viene tenuta in vita sottoponendola ad alimentazione assistita, una persona in grado di ragionare venga fatta morire di fame?". Tutte queste domande, secondo i Radicali, oltre ad ottenere verità sono rivolte anche alla nuova società italiana: "Se una persona si è debilitata a tal punto da morire bisognerebbe interrogarsi su quello che sono diventate le istituzioni in Italia? Il caso di Ali ci ha molto colpito, probabilmente più che delle flebo aveva bisogno di ascolto. Questa storia ci deve far riflettere su cosa siamo diventati" conclude Bernardini. In attesa delle risposte alla interrogazione parlamentare, i Radicali stanno raccogliendo le adesioni per una iniziativa nelle carceri a Ferragosto, proprio mentre il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, si preoccupa solo di proporre di mandare a pulire le strade i detenuti che sovraffollano le carceri. Una risposta concreta - verrebbe da dire - all’allarme lanciato dal Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria: "Rinnoviamo l’invito al governo e al Parlamento ad adottare nuove politiche penitenziarie per il Paese, visto il fallimento di quelle attuali come emerge impietosamente dai numeri, e a prevedere nella prossima Finanziaria lo stanziamento di fondi per il "‘sistema carcere"". Numeri alla mano, l’emergenza è di quelle non più rimandabili: sono oltre 55mila i detenuti presenti nei 205 penitenziari italiani, a fronte di una capienza regolamentare di circa 43mila posti.
Corbelli si offre per pagare viaggio a madre
"Di fronte alla latitanza del Governo e delle altre alte cariche istituzionali e al silenzio dei Tg nazionali e dei grandi giornali (tranne pochissime eccezioni) - prosegue Corbelli - chiedo l’intervento del Presidente della Repubblica e Presidente del Csm. Anche se in vacanza - prosegue Corbelli - il Capo dello Stato intervenga pubblicamente per evitare che la morte di questo giovane detenuto, questa grande ingiustizia, questa vergogna nazionale venga subito dimenticata, cancellata e rimossa. A Napolitano, nella sua qualità anche di Presidente del Csm, chiedo di attivare tutte le procedure, secondo quelle che sono le sue prerogative costituzionali, per evitare che cali il silenzio e venga invece fatta piena luce e giustizia su questo gravissimo fatto, non degno di un Paese democratico. La verità, al di là della vicenda processuale, è che questo giovane iracheno è morto per colpa di un clima ostile e di una sorta di criminalizzazione degli immigrati che il Governo Berlusconi ha scatenato nel Paese. Ha ragione e condivido per questo - dice ancora Corbelli - la posizione e le forti critiche all’Esecutivo del settimanale cattolico Famiglia Cristiana. Il Movimento Diritti Civili è pronto a farsi carico delle spese di viaggio per permettere alla madre del giovane, che vive in Iraq, di venire in Italia per riprendersi il corpo di suo figlio che un Paese non civile, non democratico, non giusto e non umano, non ha saputo - conclude - rispettare, aiutare e salvare". Giustizia: una riflessione sul lavoro del Medico Penitenziario di Francesco Ceraudo (Presidente Amapi)
Ristretti Orizzonti, 14 agosto 2008
La locuzione "Medicina Penitenziaria" evoca due sofferenze: la malattia e la pena. La pena è di per sé una malattia, quanto meno nel senso di quello squilibrio psico-fisico che è inseparabile dalla condizione del recluso, cioè di colui che è. privato della libertà, una privazione che necessitata quanto si voglia, toglie però all’uomo forse gran parte della sua stessa identità esistenziale, nel senso cioè che si comprime la sua capacità di autodeterminarsi nel tempo e nello spazio. Se poi questo soggetto viene colpito da una malattia vera e propria è chiaro che ogni misura terapeutica incontra una ulteriore difficoltà nello spazio della reclusione, il che raddoppia le sofferenze del paziente, ma raddoppia anche le responsabilità di chi è preposto alla sua salute e cioè del Medico Penitenziario. Passando dal concetto alla qualificazione ci potremo chiedere: chi è il Medico Penitenziario? In quale misura e per quanta parte l’aggettivo penitenziario modifica il significato del sostantivo Medico? Più precisamente questo aggettivo qualificativo quanto definisce o modifica? È un più? E un meno? E un diverso rispetto al sostantivo Medico? Sono interrogativi densi. Si sarebbe tentati a scioglierli con una sola risposta: è uno Specialista. Si sa che la Medicina come del resto ogni Scienza pura o applicata suole ripartire il suo campo di indagine in varie discipline o branche che acquistano una loro dimensione specifica. Il più delle volte questa autonomia si conquista o si giustifica attraverso criteri oggettivi, vale a dire il tipo di malattie, il settore d’indagine, le tecniche operatorie. Abbiamo così la Clinica Medica, la Chirurgia, l’Ortopedia ecc. ecc. Ora io mi domando se la Medicina Penitenziaria abbia già acquisito un tale ruolo, un tale grado di maturità scientifica da poter anch’essa a sua volta aspirare ad un territorio specifico come branca o disciplina autonoma della Medicina, nel senso che potrebbe trarre come referente soggettivo appunto la condizione del malato che è recluso. Qui esiste la condizione particolare dell’essere recluso. Sicuramente speciale è il ruolo professionale del Medico Penitenziario. Lo è anzitutto per quella speciale valenza che recentemente ed autorevolmente gli è stata riconosciuta dal Consiglio di Stato in merito all’autonomia della Medicina Penitenziaria rispetto al Servizio Sanitario Nazionale, dal quale si distingue per la diversità dei contenuti e per le metodologie dell’assistenza. Il Medico Penitenziario è divenuto uno specialista in umanità, soprattutto nell’approccio con la patologia dell’emarginazione. Verona: consegnato diploma di "pasticcere" a dieci detenute
L’Arena di Verona, 14 agosto 2008
Ieri in carcere dieci detenute hanno conseguito l’attestato di pasticcere esperto. Il corso, iniziato nel mese di luglio, prevedeva quattro lezioni dove sono state impartiti i rudimenti della professione per poi arrivare alla fine a confezionare meringate, pan di spagna farciti, crostate di frutta. Un’attenzione particolare è stata rivolta alla preparazione delle creme base. Insomma sono state lezioni di cucina dolce in un luogo che di zuccherino ha davvero poco. Eppure da quattro anni, Antonio Rossini, storico pasticcere veronese, non può fare a meno di passare una volta la settimana i cancelli della casa circondariale di Montorio per offrire con la sua professionalità una chance a chi non ne ha mai avute. E anche quest’anno ha colpito nel segno. Presto una detenuta ecuadoriana, finirà di scontare la sua pena detentiva, tornerà nel suo Paese dove ha intenzione di aprire una pasticceria. Macchinari e utensili li manderà Rossini. "Non faccio nulla di così eclatante", spiega, "offro semplicemente una mano". Una mano che sicuramente non verrà dimenticata. Eppure lui non gli dà peso. La scuola di pasticceria è stata un’idea nata con Progetto carcere 663 Acta non Verba. Rossini di tasca proprio ha messo il materiale. Il carcere ha fornito una stanza attrezzata per cucina. Tra le iniziative fatte dall’associazione che da decenni opera nell’istituto detentivo, ora c’è una novità. L’associazione ha infatti in questi giorni ottenuto l’approvazione del progetto di servizio civile rivolto ovviamente al carcere. "Per noi è un’opportunità", afferma Maurizio Ruzzenti, fondatore di Progetto carcere, "rafforzerà e migliorerà l’integrazione dei detenuti sul territorio. Gli obiettivi sono: rafforzare ed accrescere l’operatività dell’associazione rispetto ai suoi obiettivi fondamentali. Fornire un’indagine e un’analisi delle dinamiche interne al carcere". Chi volesse presentare la domanda dovrà farlo entro il 15 settembre scrivendo a Progetto Carcere 663 Acta non verba, via Tagliamento 8 Verona. Oppure per mail a: maurizioruzzenenti@libero.it. Alessandria: domani l’On. Cappato in visita al "San Michele"
Ansa, 14 agosto 2008
Ferragosto in carcere per l’Eurodeputato Marco Cappato. L’esponente dei Radicali trascorrerà il 15 agosto nel carcere di "San Michele", nell’omonima frazione del comune di Alessandria per rendersi conto delle condizione del carcere. Cappato che effettuerà nella mattinata una visita al carcere, accompagnato dal militante radicale Gian Piero Buscaglia. Nella stessa mattinata, Radicali italiani ha organizzato visite in decine di carceri, per preparare un rapporto nazionale in vista dell’eventuale riforma alla Giustizia. Caltanissetta: arrestati tre contadini, sorpresi a rubare acqua
La Sicilia, 14 agosto 2008
Nelle campagne di Mazzarino, in contrada "Bubbonia", i carabinieri della compagnia di Gela hanno tratto in arresto tre contadini, sorpresi a rubare acqua dalla condotta che dagli invasi nisseni Ancipa-Blufi alimenta i serbatoi dei comuni di Mazzarino e di Gela. Si tratta di tre fratelli, Gaetano, Alessandro e Angelo Fausciana, rispettivamente di 39, 30 e 26 anni. I tre fratelli sono stati rinchiusi nelle carceri di Caltanissetta, a disposizione della magistratura. Sassari: Danilo Coppola agli arresti domiciliari a Porto Cervo
Agi, 14 agosto 2008
È sempre bello avere a disposizione una casa vicino Porto Cervo. Soprattutto se, già agli arresti domiciliari, si decide il trasferimento della detenzione in casa. A Danilo Coppola sono stati concessi i domiciliari per il mese di agosto. L’immobiliarista, sotto processo a Roma per bancarotta, potrà quindi vedere i suoi tre figli. Località Liscia di Vacca, nella villa della moglie. Coppola venne arrestato il primo marzo 2007, coinvolto nell’indagine sul contro patto Unipol-Bnl ed è sotto processo per il fallimento della società Micop. Rispettato dunque il diritto all’affettività, soprattutto per un non condannato con figli piccoli. Mentre le carceri riesplodono, viene però da pensare a chi non ha la possibilità di arrivare alla misura dei domiciliari. No casa, né a Porto Cervo né in città. Milano: a Vallanzasca negato permesso per visitare la madre
Agi, 14 agosto 2008
A Ferragosto sarebbe voluto uscire dal carcere per andare a trovare l’anziana madre, Maria, gravemente malata, e sua moglie, Antonella d’Agostino, sposata lo scorso maggio. Renato Vallanzasca, l’ex capo della mala milanese, ha perciò deciso di porre come condizione la possibilità di vedere le "proprie donne" ad una sua partecipazione, il prossimo 15 agosto, alla giornata di recupero ambientale che vedrà 50 detenuti delle carceri di San Vittore, Opera e Bollate impegnati nella pulizia delle strade e dei sentieri che si snodano dal Santuario di Ornago a Cascina Sofia a Cavenago di Brianza. Ma il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha rigettato la richiesta del Bel Rene". Porto Azzurro: premio letterario Casalini riservato a detenuti
Il Tirreno, 14 agosto 2008
Commissione del premio letterario Emanuele Casalini, riservato ai detenuti delle carceri italiane in piena attività. Presidente d’eccezione Ernesto Ferrero, scrittore e saggista, autore del romanzo "N" dedicato alla figura di Napoleone durante l’esilio elbano, vincitore del premio letterario Brignetti. Ferrero oltre ad essere anche un raffinato traduttore delle opere di Céline, è direttore della fiera del libro di Torino. La commissione ha esaminato e votato il materiale pervenuto da tutte le carceri. Il concorso prevede due categorie: prosa e poesia. Per la prima volta quest’anno è prevista anche una sezione dedicata ai giovani detenuti delle carceri minorili. Materiale interessante, come ha avuto modo di sottolineare il presidente, che mette in luce la volontà di riscatto dei detenuti attraverso la scrittura. "Nelle edizioni precedenti del premio - spiega Ferrero - abbiamo notato che i temi esulavano dal carcere, dalla mesta realtà, mentre adesso i detenuti sono più disposti a parlare della loro situazione, a sviscerare il tempo scandito dai chiavistelli, dagli ordini, dai silenzi". Dopo il commosso ricordo di Anna Maria Rimoaldi, fondatrice del premio Strega e promotrice del premio Casalini, scomparsa lo scorso 2 agosto nella sua casa di Poggio, la commissione ha espresso le proprie preferenze, che saranno rese note durante la cerimonia di premiazione che si svolgerà il prossimo ottobre nel carcere di Torino. Ai detenuti vincitori andrà una cospicua somma in denaro e dei libri. "Leggendo queste opere - spiega Paolo Pesciatini, membro della giuria - ho imparato a capire l’uomo e la miseria umana". Lucia Casalini, moglie di Emanuele Casalini che insegnò con profonda dedizione all’interno del carcere di Porto Azzurro, come ogni anno è riuscita a trovare gli sponsor per poter proseguire il premio dedicato al marito. Oltre a Ernesto Ferrero, fanno parte della giuria Paolo Ferruzzi, ordinario di scenografia all’Accademia delle Belle Arti di Roma, Pablo Gorini docente del liceo classico di Piombino, Carla Ferrero, scrittrice, Girolama Cuffaro, pittrice, Raffaella D’Esposito, docente al Conservatorio di S. Cecilia di Roma e Paolo Pesciatini, direttore della Confcommercio dell’isola d’Elba. Spoleto: un "carcere in rete" con Associazione "I Miei Tempi"
Il Centro, 14 agosto 2008
L’associazione I Miei Tempi che si occupa di promuovere interventi all’interno e all’esterno della Casa di reclusione di Spoleto è partner di un progetto regionale denominato "Il carcere in rete" presentato al Cesvol di Terni dall’associazione S. Martino di Terni nell’ambito del bando per il sostegno alla progettazione sociale delle organizzazioni di volontariato 2007. Il progetto prevede una serie di interventi all’interno e all’esterno dei quattro Istituti di Pena dell’Umbria attuati dalle varie associazioni che si occupano della condizione penitenziaria nella Regione ("San Martino" di Terni ed Orvieto, Ora d’Aria di Terni Arcisolidarietà di Perugia) "Se rivolgiamo l’attenzione alla popolazione detenuta - spiegano da I Miei Tempi - ne individuiamo con facilità alcune caratteristiche prevalenti: alta percentuale di persone tossicodipendenti, incidenza significativa di rilevanti problemi di salute, appartenenza alle fasce più povere e marginali della popolazione, scarso livello di istruzione e scarsità o assenza di esperienze lavorative pregresse, disgregazione familiare, alta percentuale di persone straniere, recidività. Rispetto a questo quadro è necessario strutturare programmi di intervento complessi e articolati per riuscire a scardinare i meccanismi che riportano gli individui a situazioni devianti e quindi ad esperienze di detenzione e nel contempo bisogna sperimentare interventi che riescono a coniugare sul territorio il bisogno di sicurezza dei cittadini e la necessità di reinserire nel tessuto sociale le persone condannate ad una pena restrittiva. A questo proposito si può affermare a pieno titolo che il volontariato penitenziario in questi anni assieme all’azione degli enti locali e dei servizi territoriali costituisce il punto e il momento d’incontro tra sicurezza e reinserimento essendo impegnato su entrambi i versanti attraverso interventi sui cittadini detenuti e sulla società civile. Gli Istituti della Regione Umbria sono differenti tra loro ma in ogni carcere ritroviamo le caratteristiche di cui sopra, il progetto si pone quindi l’obiettivo di implementare e sostenere azioni già in essere e si muove su cinque assi: interventi di prima necessità; distribuzione di beni primari; azioni di orientamento, accompagnamento, affiancamento; interventi di mediatori culturali per detenuti/e stranieri/e; sostegno ed accompagnamento dei familiari dei detenuti; supervisione operatori". Gli interventi che l’associazione I Miei Tempi attua verso la Casa di Reclusione di Spoleto sono rivolti ad un implemento dell’accoglienza dei famigliari che vengono a colloquio e che hanno bisogno anche e soprattutto di un appoggio e un confronto su problematiche personali legate alla detenzione del congiunto. e, in collaborazione con il cappellano del carcere, provvede alla distribuzione dei beni primari (vestiario, prodotti di igiene personale ecc.) per quei detenuti che versano in condizione di estrema povertà. Roma: peruviana scambiata per prostituta, una notte in cella
La Repubblica, 14 agosto 2008
Ero seduta sugli scalini di una chiesa e aspettavo la mia amica. Si è fermata una volante e un agente mi ha detto: ma che fai? Non puoi lavorare qui. Le vittime: studentesse universitarie, babysitter e insegnanti di catechismo. Scambiata per prostituta, umiliata davanti ai passanti proprio nel centro della città, portata all’ufficio Immigrazione. E lasciata lì, tutta la notte, in una cella minuscola, sporca e maleodorante con prostitute vere, che le passano accanto e sbrigano le pratiche per il rilascio ben più velocemente di lei. Succede a Roma, la città che, su disposizione del governo, avrà il maggior numero di militari a presidiare strade, stazioni, ambasciate. La stessa dove i primi appuntamenti nell’agenda del sindaco sono le nuove ordinanze anti-rovistaggio, anti-accattonaggio molesto e anti-prostituzione. Le vittime sono due ragazze normalissime. Vestite come qualsiasi altra giovane romana. Jeans, T-shirt a girocollo, ballerine, 28 anni, occhiali a goccia, capelli legati e un filo di trucco. Solo che, nonostante l’inflessione romanesca, sono peruviane. Almeno di nascita: a Roma ci vivono da cinque anni. Sono diplomate in Italia e frequentano regolarmente l’università "La Sapienza". Si mantengono con qualche lavoretto, una fa la cameriera e l’altra la babysitter. Vivono in zona Prati. La domenica insegnano catechismo a Santa Maria degli Angeli, piazza della Repubblica, poco distante dalla centralissima stazione Termini. Un racconto fatto di lacrime e paura, quello delle due protagoniste della storia, M. J. P. e Y. V. "Erano le 17 quando sono arrivata in via XX Settembre per aspettare che la mia amica uscisse dal lavoro. Dovevamo andare con amici a prendere l’aperitivo. Lei era in ritardo, così ho deciso di sedermi sui gradini di Santa Maria della Vittoria. Cinque minuti e una volante della polizia mi si avvicina. Gli agenti abbassano il finestrino e uno dei due mi chiede: "Ma che fai ti metti a lavorare proprio qui, davanti a una chiesa?". Io, incredula, rispondo: "Come?". Lui ripete lo stesso concetto. Rimango senza parole, non riesco a credere che si possano essere permessi di confondermi con una prostituta: sono una ragazza normale, vestita con gonna e camicia. Non riesco a reagire. L’unica cosa che faccio è chiamare la mia amica". Che racconta: "Sono scesa, ho trovato M. in lacrime. Mi sono avvicinata e gli agenti hanno ripetuto a me la stessa cosa, con lo stesso tono sprezzante: "Bella, diglielo pure alla tua amica, questa è una chiesa, non potete mettervi a lavorare qui". Vado su tutte le furie e loro, di tutta risposta, ci chiedono i documenti: io li avevo, la mia amica no perché aveva una borsetta da sera molto piccola. Intorno, la gente iniziava a innervosirsi per la reazione dei poliziotti. Tanto che, dopo qualche schermaglia, decidono di andare via". Ma non finisce qui: alcune donne che hanno assistito alla scena convincono le studentesse ad andare a denunciare l’accaduto in questura. Hanno preso pure il numero di targa della volante. Le due ragazze decidono di seguire il consiglio e a piedi arrivano a via San Vitale, sede della questura di Roma. "Entriamo in portineria e chiediamo di fare una denuncia: il poliziotto all’entrata è gentilissimo. Dopo un minuto, dall’ingresso entra lo stesso agente con cui avevamo litigato. "Ancora qui state? Adesso vi faccio passare la voglia". E mi prende per un braccio - racconta Y. V. - io mi divincolo e gli dico che lo denuncerò. L’agente per la prima volta abbandona il tono arrogante, si stizzisce e carica la mia amica in macchina. "Con te non posso ma con lei sì, è senza documenti". E se ne vanno senza nemmeno dirmi dove la portano. I colleghi della questura, che hanno visto la scena senza battere ciglio, dopo la mia insistenza mi dicono la destinazione, l’ufficio immigrati di via Patini. Chiamo un amico, vado a casa di M. a prendere i documenti e li porto là. Arrivo alle 20 e consegno tutto. Chiedo quanto ci metteranno a rilasciarla: due ore circa. Decido di aspettare. Passano le ore e delle mia amica nemmeno l’ombra". "Mi hanno tolto tutto quello che avevo - spiega l’amica - e mi hanno chiuso dentro una cella sporca di immondizia. Non riuscivo a smettere di piangere. Tutti gli altri stranieri che stavano lì uscivano prima di me, ladre, prostitute, pusher, abusivi. La notte è passata così, tra lacrime e preghiere. Sono uscita solo alle 10.30 del mattino". Versione confermata anche da un amico italiano, C. B., che ha accompagnato Y. a prendere i documenti a casa della ragazza e poi a via Patini. "Siamo stati lì davanti fino alle 3 del mattino, poi siamo tornati più tardi. E, infine, alle 10.30 sono stato io a prendere M. quando, sconvolta, è stata rilasciata e l’ho accompagnata a casa in motorino". E ancora ieri, una volta fuori, le ragazze non riescono a dimenticare. "Roma è diventata invivibile per gli stranieri: siamo regolari, parliamo romano, abbiamo amici italiani eppure veniamo trattate così. Siamo qui da tanti anni, continuiamo ad amare questa città, ma facciamo fatica a viverci". Forse tutto questo andrebbe denunciato. "Volevamo farlo ieri, ma poi è andata come è andata. Ora abbiamo paura, chi ci torna in questura?". Parma: il Garante; foto prostituta effetto di decreto sicurezza
Agi, 14 agosto 2008
"Il caso della giovane prostituta fotografata in condizioni di estremo abbandono in una cella della polizia municipale di Parma è l’emblema di quanto sta accadendo in ogni parte d’Italia per effetto del Decreto Sicurezza con il gravissimo difetto di ledere i diritti inviolabili degli esseri umani, cosa mai accaduta in sessant’anni di storia Repubblicana". È quanto afferma in una nota Angiolo Marroni, garante dei diritti dei detenuti del Lazio e presidente della Conferenza Nazionale dei Garanti delle persone sottoposte a limitazioni delle libertà personali. Secondo Marroni, "bene ha fatto il presidente del Senato Renato Schifani a chiedere chiarimenti al Prefetto di Parma sottolineando che chi intende adottare il criterio della tolleranza zero è tenuto a farlo non sottraendosi mai alla tutela della dignità della persona e della sua privacy". "Insieme all’intervento della seconda carica dello Stato - ha aggiunto Marroni - ci sono state le prese di posizione di centinaia di semplici cittadini che, con il loro intervento, sembrano chiedersi se una legittima domanda di più sicurezza significhi mancanza di rispetto per la dignità e per i diritti umani. Forse è davvero arrivato il momento di fermarsi per riflettere sul da farsi, partendo da un presupposto irrinunciabile: la tutela della nostra sicurezza sia affidata alle forze dell’ordine, chi hanno gli strumenti e le competenze tecnologiche e culturali per farlo". Immigrazione: Ronchi; espulsione di comunitari, l’Ue ci seguirà
Il Sole 24 Ore, 14 agosto 2008
"Abbiamo smentito chi accusa questo governo di essere euroscettico. E credo che i tre decreti inviati a Bruxelles prima dell’approvazione definitiva non avranno censure". Richieste di asilo, ricongiungimenti familiari e, soprattutto, norme più severe per la circolazione in Italia dei cittadini comunitari: Andrea Ronchi, ministro per le Politiche Europee, ribadisce che le scelte del Governo in materia di immigrazione e sicurezza "sono in piena linea con l’Unione. Anzi, per alcuni versi le anticipano".
Anziché in contrasto con Bruxelles, lei sostiene addirittura che l’Italia detta la linea in Europa? Non la detta, ma lancia proposte innovative e poi riconosciute e condivise. La tanto criticata legge Bossi-Fini oggi è un modello, ripreso in sostanza dal presidente Nicolas Sarkozy all’inizio del semestre di presidenza francese.
Però le accuse di razzismo o di pressioni contro etnie specifiche, come i rom o i rumeni, continuano… Infatti a Bruxelles come altrove il mio primo compito è combattere la disinformazione, l’unica arma ormai utilizzata una certa opposizione. A Bucarest, per esempio, ho detto alle autorità di governo: per noi i criminali non hanno passaporto. I giornali locali, il giorno dopo, hanno condiviso tutto.
L’immigrazione, però, non si può governare soltanto col pugno di ferro… Ci mancherebbe altro. Il principio dell’Esecutivo è chiaro: non c’è solidarietà senza legalità, non c’è legalità senza solidarietà. L’Italia è il paese dell’accoglienza. Ma non può più essere la porta girevole d’Europa.
L’accusa di razzismo di fronte alle impronte ai bambini Rom, tuttavia, è stata pesante. L’avversario politico, se non ha argomenti, usa la menzogna. In realtà proprio sui campi nomadi c’è un impegno preciso che va incontro a quelle popolazioni.
E cioè? Insediamenti regolari e autorizzati. Condizioni dignitose. Scolarizzazione dei minori, come sta avvenendo a Roma. Altro che le sciocchezze di chi diceva che avremmo dato l’assalto ai campi.
Una scelta buonista, insomma… No, un intervento proprio nel principio detto prima: legalità e solidarietà. Il buonismo lassista e politicamente opportunista, invece, si è visto che cosa ha lasciato. I risultati di tutta questa tolleranza sono scenari di vita disumani, la crescita quasi inarrestabile del racket dei bambini, la diffusione della delinquenza.
Anche il decreto che stringe le norme sulla circolazione dei cittadini Ue sarebbe coerente con il dettato europeo? Sì, è il seguito di un intervento del ministro Giuliano Amato e io credo che ci siano tutte le condizioni affinché quel testo sia riconosciuto coerente con lo spirito della nostra Europa. Anche perché ricordo non siamo più un’unione di 12 Stati, ma di 27.
Guerra, dunque, alla clandestinità? Intendiamoci: l’immigrazione è una risorsa preziosa. Oltre il principio intangibile della solidarietà c’è anche la necessità di una linea di integrazione dettata anche dai nostri obiettivi bisogni, dall’assistenza familiare fino alle esigenze del mercato del lavoro. La tolleranza zero riguarda la criminalità, compresa quella, purtroppo molto diffusa, che deriva dall’immigrazione clandestina. I flussi di stranieri illegali, però, arrivano soprattutto dalle coste libiche. E quella con il governo di Tripoli sembra un’intesa misteriosa e impossibile. Sono certo che, dopo la Georgia, il premier Berlusconi ha la Libia al primo posto del suo dossier internazionale. E sono altrettanto sicuro che l’accordo si raggiungerà presto. Droghe: Milano; chi non aiuta le forze dell’ordine è colpevole
Notiziario Aduc, 14 agosto 2008
"Nelle zone di Milano dove è continuativa ed evidente l’attività di spaccio di droga è importante la collaborazione dei cittadini, che devono avere fiducia nelle istituzioni e proseguire nel fornire indicazioni utili contro le illegalità diffuse e per eliminare quelle "zone franche" che non possono continuare ad essere presenti". Così il Presidente del Consiglio Comunale di Milano Manfredi Palmeri commenta l’operazione effettuata in corso Como dai Carabinieri della Compagnia Milano Duomo. Per Palmeri "anche gli esercizi commerciali, in particolare i bar e i locali notturni, ed i loro clienti possono essere utili alle Forze dell’Ordine: nessuno deve poter pensare che ci sia un fiancheggiamento e che invece di essere vicini alle vittime siano vicini ai carnefici. Ai miei coetanei dico che non deve esserci equivalenza tra divertimento e droga. Pur non essendo a detta degli stessi carabinieri una grande operazione per noi è assolutamente significativa, a maggior ragione perché abbiamo ascoltato che si tratta di un inizio". Guantanamo: dubbi "crimini di guerra" e diritti dei detenuti di Rico Guillermo
www.osservatoriosullalegalita.org, 14 agosto 2008
Il concetto di "crimine di guerra". È stato questo il centro della discussione dell’udienza preliminare di mercoledì del processo del giovane afghano Mohammed Jawad nella base navale statunitense di Guantanamo, dove un esperto di leggi di guerra ha dato la definizione. Un inviato di Amnesty International incaricato di partecipare ad alcune audizioni di custodia cautelare di questa settimana a Guantanamo, ha detto alla stampa Usa che "I tipi di crimini di guerra sono molto limitati". Mohammed Jawad, che è stato arrestato in Afghanistan alla fine del 2002 e che ha trascorso oltre cinque anni nel centro di detenzione degli Stati Uniti, ha in corso un’azione per "tentato omicidio in violazione delle leggi di guerra" e "assalto e ferimento in violazione delle leggi di guerra". Egli deve affrontare un potenziale ergastolo alla fine di un processo dinanzi a un tribunale militare di eccezione, la cui data del processo non è ancora stata fissata. La stessa giurisdizione - che ha già esaminato l’ex autista di Osama Bin Laden - ha lo scopo di provare i "crimini di guerra" sotto la "legge della guerra contro il terrorismo" lanciata da George W. Bush dopo l’11 settembre. Ma, ha sottolineato l’esperto di AI, "uccidere qualcuno sul campo di battaglia, ovviamente, non è un crimine di guerra", ma se si vuole perseguire qualcuno per tentato omicidio come crimine di guerra è necessario dimostrare che la persona ha utilizzato armi illegali (secondo le leggi di guerra) e aveva un obiettivo illegale (ad esempio, un ospedale). Tuttavia nel caso di Mohammed Jawad, il governo lo accusa di aver gettato una granata contro un veicolo militare e aver feriti due soldati americani e il loro interprete afghano, quindi, anche ove provato, non sarebbe un crimine di guerra, poiché né l’arma né il bersaglio sono illegali. È poi stata discussa la questione dell’età in cui il giovane è stato arrestato, dato che nessuno sa se effettivamente egli aveva 16, 17 o 18 anni, al momento del suo arresto. Ciò apre la possibilità che il suo destino sia legato alle leggi internazionali sui bambini soldato. Analoga questione di pone per Omar Khadr, un canadese arrestato a 15 anni in Afghanistan e imprigionato a Guantanamo per un periodo di sei anni, il cui processo è previsto per gli inizi di ottobre e la cui udienza preliminare è stata tenuta nello stesso giorno del compagno di sventure. Egli è accusato di "assassinio", "tentato omicidio" e "cospirazione" e rischia l’ergastolo. Tra i testimoni all’udienza, un funzionario militare degli Stati Uniti ha confermato l’esistenza di un programma di frequenti viaggi nel centro di detenzione a Guantanamo. Questo "programma", considerato da alcuni come una forma di tortura, consiste nello spostare di cella il detenuto ad ogni ora o ogni due ore per molti giorni, garantendo così l’impossibilità di riposare. Sebbene non esistano documentazioni del programma, si ritiene che tale pratica fosse diventata la norma nel centro di detenzione. In una dichiarazione, mercoledì, Amnesty International ha anche fortemente protestato contro questi procedimenti giudiziari contro coloro che erano " bambini quando sono stati arrestati dagli Americani in Afghanistan, nei mesi di luglio e dicembre 2002". "I loro anni di detenzione a Guantanamo - ha detto la Ong - sono un affronto ai principi dei diritti umani, incluse le norme sulla detenzione dei minori". Guantanamo: due detenuti, assolti, chiedono asilo in Svizzera
Ansa, 14 agosto 2008
Due detenuti di Guantanamo hanno chiesto asilo alla Svizzera e un terzo dovrebbe farlo tra breve. Tutti sono stati riconosciuti innocenti. Amnesty teme un rifiuto. I tre richiedenti l’asilo non godranno di alcun trattamento di favore da parte della Confederazione: le loro domande saranno trattate come qualsiasi altra, ha puntualizzato mercoledì sera il portavoce dell’Ufficio federale della migrazione (Ufm) Jonas Montani nel corso della trasmissione "Rundschau" della televisione svizzero tedesca SF. I prigionieri possono lasciare Guantanamo unicamente se uno Stato è disposto ad accoglierli, ha spiegato Denise Graf di Amnesty International, esprimendo il timore di una risposta negativa da parte elvetica. Una domanda è stata inoltrata da un avvocato che esercita in Svizzera all’inizio di giugno e riguarda un cittadino libico incarcerato dal 2001 nella base militare statunitense sull’isola di Cuba. L’uomo non può tornare nel proprio paese poiché rischierebbe di essere imprigionato: da informazioni provenienti dalla Libia, questa sorte sarebbe già toccata ad altri in casi analoghi, ha detto la Graf. La seconda domanda è appena stata inoltrata per conto di un algerino e una terza dovrebbe seguire tra poco.
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