|
Giustizia: piano governo; carcere obbligatorio per scippi e furti
Corriere della Sera, 23 settembre 2007
Più possibilità di arresto in flagranza, meno casi di scarcerazione. Sono le linee guida del nuovo "Pacchetto sicurezza" su cui il Governo sembra aver trovato l’intesa. Resta il problema della concessione dei poteri ai sindaci. Divisi i ministri Amato e Ferrero. L’intento è quello di punire con maggiore severità i reati che destano più allarme sociale: furti, scippi, rapine, violenza e pedofilia. E si discute anche sul divieto di prostituzione in strada. Inoltre per i commercianti abusivi si prevede l’immediata confisca e la distruzione del materiale contraffatto. Saranno anche inseriti aggiustamenti al codice che modificano il sistema di concessione delle attenuanti. Aumentare la possibilità di arresto in flagranza e limitare i casi di scarcerazione. L’accordo interno al Governo per punire con maggiore efficacia i reati che destano allarme sociale e far effettivamente scontare la condanna inflitta, sembra raggiunto. Via libera alla proposta di modificare il Codice di Procedura Penale in modo da equiparare gli illeciti più gravi a quelli commessi dalla criminalità organizzata. La cattura che adesso è obbligatoria soltanto quando viene contestata l’accusa di mafia dovrebbe essere estesa anche a furti, scippi, rapine, violenze e pedofilia. Ora resta però da sciogliere il nodo più difficile: la concessione dei poteri ai sindaci. La richiesta, ribadita nel corso della Conferenza sull’immigrazione, di Firenze ha l’appoggio del ministro Giuliano Amato, ma si scontra con le resistenze del responsabile della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero. E con quella dei leader dei partiti della sinistra radicale, che appaiono perplessi pure sulla possibilità di eliminare una serie di benefici, finora concessi a chi commette illeciti puniti con una pena inferiore a tre anni. La maggioranza appare compatta sulla "stretta" decisa in tema di lotta ai clan. Dice sì all’ipotesi di abolire il patteggiamento in appello e il ricorso in Cassazione contro le sentenze emesse dal tribunale del riesame che impongono misure cautelari. È compatta nella decisione di procedere alla confisca immediata dei beni. Ma si divide quando si parla di crimini da strada e illegalità diffusa. "Presenteremo il pacchetto nelle prossime settimane", afferma Amato, senza nascondere la difficoltà di approvare un provvedimento che alla fine metta tutti d’accordo. E consapevole che analoghi "pacchetti" varati negli ultimi anni hanno poi mostrato una serie di carenze che hanno di fatto modificato, talvolta sino a vanificarle, le novità introdotte. Il varo inizialmente previsto per la fine di settembre slitta anche per risolvere un’altra questione: il contrasto alla prostituzione. La linea guida riguarda l’inasprimento delle pene per chi gestisce la tratta e per gli sfruttatori, ma si sta discutendo anche la possibilità di vietare la prostituzione in strada. Alcuni sindaci, Letizia Moratti in testa, lo hanno ribadito durante la riunione che si è tenuta martedì scorso al Viminale e adesso si attendono le conclusioni dell’Osservatorio del ministero dell’Interno per capire se si tratti di una strada percorribile. Poi hanno sottolineato la necessità di inserire nel provvedimento norme che consentano di affrontare l’emergenza legata ai Rom, ottenendo deleghe specifiche soprattutto per quel che riguarda l’allestimento dei campi. La richiesta degli amministratori locali era di procedere per decreto anche per dare immediata attuazione ai patti per la sicurezza firmati prima dell’estate, ma il governo ritiene che non ci siano i presupposti, anche perché in Parlamento si rischia di non avere i voti per la conversione. Si procederà dunque con un disegno di legge dando priorità al contrasto dell’abusivismo commerciale, prevedendo l’immediata confisca e distruzione del materiale contraffatto. E inserendo quegli aggiustamenti al Codice di Procedura che modificano il sistema di concessione delle attenuanti, anche tenendo conto dei precedenti specifici. Forse non è un caso che Amato abbia deciso di manifestare "il mio dissenso contro la sentenza della Cassazione che ha ritenuto di concedere le attenuanti a chi commette uno stupro in condizioni di degrado. Non c’è degrado che assolva da questa gravissima violazione: per me uno stupro è sempre uno stupro". L’obiettivo del governo, espresso nella bozza messa a punto dai tecnici del ministero della Giustizia e già discusso nel corso dell’incontro con i rappresentanti dell’Anci, è quello di ampliare "per i reati di massimo allarme" la possibilità di disporre la custodia cautelare in carcere e limitare al massimo i casi in cui scatta la remissione in libertà in attesa di giudizio. Giustizia: "sorvegliare e punire", slogan dei drogati di sicurezza di Nichi Vendola (Governatore della Regione Puglia)
Il Manifesto, 23 settembre 2007
Nelle sabbie mobili dell’insicurezza percepita - che è cosa differente dai dati materiali dell’insicurezza reale - si sta giocando una partita di assoluto rilievo che riguarda la politica, la cultura diffusa, le forme della convivenza in una società sempre più complessa e sempre più inquieta. I lavavetri sono "eroi del nostro tempo", piccola umanità che la globalizzazione sbalza negli spigoli dei nostri marciapiedi: all’ombra dei nostri sospettosi semafori, armati di secchio e spugna, attentano alla nostra quiete borghese. La guerra ai lavavetri somiglia troppo a tutti i fenomeni di criminalizzazione dei poveri che hanno accompagnato le epoche di transizione: all’alba della modernità europea l’accattonaggio e il vagabondaggio vennero perseguiti come reati. Ognuno può inventarsi la propria idea di insicurezza, il proprio fantasma, il proprio capro espiatorio: con l’accortezza di non soffermarsi su ciò che è più pericoloso, ma su ciò che più infastidisce. La quiete, appunto, e l’estetica, e il sentimento dell’ordine. Il lavavetri merita più accanimento criminologico del grande inquinatore, del piromane, dell’usuraio, dell’evasore fiscale. Il graffitaro sporca più di qualsiasi palazzinaro. I clandestini sono tutti in agguato sui nostri pianerottoli. E gli zingari comunque "rubano" i nostri bambini, e poco importa che i loro bambini possano essere molestati dai piccoli Klu klux klan leghisti o possano ardere vivi nelle nostre povere periferie. Quando si sgombera il campo da qualsiasi analisi differenziata di fenomeni distinti e peculiari quali la criminalità, la devianza e il disagio sociale, si imbocca un vicolo cieco. Che non ci spianta solo dai valori della sinistra, ma dai valori minimi della cultura liberal-democratica. E l’ossessione della governabilità s’impenna nella prospettiva di un nuovo blocco d’ordine: questa sembra la svolta che i sindaci di Firenze e Bologna propongono al nascente Partito Democratico. Si tratta di una vera fascinazione per il "sorvegliare e punire", assunto come antidoto darwiniano alla propria crisi, cioè alla crisi di quel "riformismo rosso" che seppe fare del governo delle città un laboratorio collettivo di incivilimento. L’ideologia securitaria insegue la morte della politica (la politica intesa come autoeducazione e solidarietà) e veste come una panciera elastica l’Italia del basso ventre, dei rancori corporativi e delle fobie; insegue la destra lungo i dirupi delle semplificazioni superstiziose, predispone il terreno per l’edificazione di tanti dissimulati apartheid. Non porta più sicurezza, offre una droga potente che ci fa dimenticare le nostre banali e prosaiche insicurezze quotidiane: quella di 5 morti sul lavoro tutti i santi giorni, quella della precarietà che rimbalza dal mercato del lavoro al mercato della vita, quella di periferie degradate e degradanti, quella di una tv-spazzatura che ha surrogato tutte le agenzie formative, quella delle mafie finanziarie internazionali che da internet precipitano nella locride o nella megalopoli napoletana o nelle campagne pugliesi abitate da antichi schiavi e moderni caporali. La legalità è il contrario delle rincorse emergenziali e degli stati di "eccezione", non puoi impastarla con la farina del diavolo pensando che venga un buon pane. Se questi pensieri mi fanno essere inadeguato alle funzioni di governo, poco male. Di "radicale" nella nuova sinistra vorrei portare soprattutto il sentimento dell’inviolabilità della vita e della dignità di ciascun essere umano. Giustizia: Manconi; cambiamo le leggi su immigrazione e droga
Corriere della Sera, 23 settembre 2007
Se non avessimo adottato il provvedimento di indulto ora i detenuti avrebbero superato quota settantamila e il sistema penitenziario sarebbe al collasso. "Ha avuto un’efficacia straordinaria". Straordinaria? "Sì, senza quel provvedimento - sia chiaro, una misura d’eccezione per una situazione d’eccezione - oggi il sistema penitenziario sarebbe al collasso". Il sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi è stato fra i più appassionati sostenitori dell’indulto. E non ha cambiato idea. Anzi.
Cosa intende per collasso del sistema? "Le nostre proiezioni ci dicono che senza l’indulto oggi avremmo oltre 70 mila reclusi".
Contro una capacità ottimale di 43 mila. "Appunto. Avremmo non solo una situazione di intollerabile illegalità, ma anche condizioni non sostenibili sia per i detenuti che per il personale carcerario".
Eppure dopo solo un anno quella soglia di 43 mila posti è già stata superata. Perché? "Fin dal primo momento si era parlato dell’indulto come premessa ineludibile ma non sufficiente per quelle riforme di struttura che sono le uniche a poter bloccare il meccanismo dell’affollamento".
Sta parlando della costruzione di nuove carceri? "La ristrutturazione dei penitenziari esistenti e l’utilizzo più razionale degli spazi possono essere d’aiuto. Ma non credo si imponga la necessità di costruire nuove carceri".
Di quali misure parla, allora? "La riforma delle normative che più di altre determinano una carcerazione non necessaria. Quella sull’immigrazione per cui migliaia di stranieri finiscono in galera per violazione delle norme sull’ingresso e la permanenza che diventano reato solo in caso di reiterazione. Quella sulla droga, che consente una valutazione opinabile della quantità di stupefacenti detenuta. Le norme più severe sui recidivi previste dalla legge Cirielli, sottolineando che, dopo l’indulto, il tasso di recidiva non è salito ma sceso. E poi il nuovo Codice Penale predisposto dalla commissione Pisapia".
È passato un anno e su tutti e quattro i punti il traguardo è ancora lontano. "È vero, ma non si può attribuirne la colpa ad un provvedimento sacrosanto ed efficace".
A chi va attribuita, allora, quella colpa? "Ad una situazione parlamentare che è sotto gli occhi di tutti".
Quanto tempo c’è prima che si torni al sovraffollamento di un anno fa, con più di 60 mila detenuti? "Non 2 o 3 anni come dicono alcuni, qualcosa in più".
E se a quel punto queste riforme fossero ancora ferme che succederà, si farà un altro indulto? "Sarebbe una dichiarazione di fallimento, ma ricordo che l’indulto è previsto dalla Costituzione". Giustizia: Barbagli; fallito il piano di reinserimento dei detenuti
Corriere della Sera, 23 settembre 2007
"Questa legge non risolve il problema, mette solo una toppa: fra poco saremo punto e da capo". Queste parole il sociologo Marzio Barbagli le disse il 30 luglio del 2006, il giorno dopo l’approvazione definitiva dell’indulto. Ma non c’è traccia di soddisfazione nella sua voce quando si abbandona ad un mesto "l’avevo detto io".
Crede dunque che per risolvere il problema dell’affollamento nelle carceri l’indulto sia stato inutile? "Mi sembra chiaro: dopo appena un anno abbiamo già superato di nuovo quella soglia di 43 mila detenuti che rappresenta la capienza ottimale".
Era inevitabile che andasse così, nel senso che l’indulto ha per definizione un’efficacia limitata nel tempo? Oppure qualcosa non ha funzionato? "Sono molte le cose che non hanno funzionato. Per risolvere davvero il problema del sovraffollamento, insieme all’indulto, si potevano fare due cose: o diminuire la severità delle pene, ma questo non lo propone seriamente nessuno in un momento in cui la domanda di sicurezza è forte e in crescita".
Oppure? "Oppure costruire nuove carceri, ma anche questo in Italia non paga politicamente".
Che cosa intende? "Che mandare la gente in carcere viene considerato spietato, e costruirne di nuove orribile. E questo non lo pensano solo i politici, a destra come a sinistra, ma gli italiani. Perché siamo un Paese cattolico e la fermezza è contro la cultura del perdono e del perdonismo che abbiamo. Per carità, moralmente apprezzabile ma come politica della giustizia non funziona. Non è un caso che in quei giorni ci si appellasse alle parole del Papa".
Non c’era nessun’altra strada da battere per evitare che le carceri tornassero a riempirsi? "Gli interventi per il reinserimento di chi usciva, ma anche quella era robetta. Toccava alle Regioni, che sono state colte di sorpresa: molti progetti sono partiti dopo, quando chi era uscito era fuori già da un pezzo".
Se nel giro di qualche anno le carceri dovessero tornare di nuovo sovraffollate come un anno fa, arriverà un altro indulto? "Non credo. L’indulto è stato non solo inutile ma anche dannoso perché - realizzando quello che era uno scambio di prigionieri fra i due schieramenti politici - ha spazzato via ogni residua fiducia nella certezza della pena e quindi ogni speranza nella lotta alla criminalità. Diversi parlamentari che l’hanno votato si sono poi pentiti. È stato un errore, ma spero un errore irripetibile". Giustizia: Dap; l’indulto ha reso possibile interventi strutturali
Comunicato stampa, 23 settembre 2007
Con riferimento ai dati diffusi relativamente alla situazione esistente negli istituti penitenziari, il Dap osserva come la crescita delle presenze, ad oltre un anno dall’applicazione dell’indulto, risulti del tutto ovvia, con riguardo al tempo trascorso e complessivamente inferiore a quanto inizialmente preventivato. Rileva come ancora oggi la popolazione carceraria sia inferiore di ben 17mila unità, rispetto ai livelli raggiunti a luglio dello stesso anno, che avevano determinato nelle carceri delle condizioni di oggettiva insostenibilità, sul piano della sicurezza e del rispetto della persona, rendendo estremamente cogenti appropriate misure di riequilibrio. Osserva come il provvedimento di clemenza non risulti aver costituito significativo fattore di crescita della popolazione detenuta, come del resto già precisato ieri dal ministro della giustizia, Clemente Mastella, e facilmente riscontrabile dall’esame dei casi di recidiva che hanno riguardato soggetti beneficiari dell’indulto, e che in assenza di questo provvedimento la popolazione carceraria avrebbe raggiunto la soglia delle 70mila presenze. Rileva, inoltre, che la situazione di maggiore vivibilità creatasi negli istituti in questo ultimo anno ha consentito l’adozione di interventi organizzativi di tipo strutturale - quali ad esempio il varo di un piano per l’edilizia penitenziaria che già a breve termine porterà ad un incremento in misura superiore al 10% dei posti attualmente disponibili - mentre lascia ancora margini di tempo sufficienti per l’adozione di quelle misure di carattere normativo, volte attraverso la modifica dell’attuale sistema penale ad incidere direttamente sulle effettive cause del sovraffollamento negli istituti penitenziari. Giustizia: Mastella; sul tema dell'indulto Fini parli con Berlusconi
Agi, 23 settembre 2007
"Fini, se deve dire qualcosa, lo chieda a Berlusconi". È questa la risposta del ministro della Giustizia Clemente Mastella al commento sull’indulto del leader di An Gianfranco Fini ("chi lo votò, non pianga lacrime di coccodrillo"). Dopo la diffusione dei dati del Dap che indicano carceri sovraffollate nonostante l’indulto, a Marcianise, a margine di una visita del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il guardasigilli dice ai giornalisti che "il 38% o quasi dei detenuti sono extracomunitari. Questo dipende dalla Bossi-Fini, non certamente da me. Si modifichi la legge... anzi, mi sono mosso in sede europea per stabilire le condizioni per le quali ognuno dei detenuti ritorni nel paese di origine". Cosa possibile, precisa, per quelli che sono cittadini comunitari, perché tra gli extracomunitari, l’Europa "vuole che restino nelle carceri europee per paura di repressioni". E ancora, Mastella, ribadisce che di quelli usciti dalle carceri per l’indulto "quasi l’80% non ha reiterato il reato. Volesse il cielo che Corriere della Sera o altri autorevoli giornali aumentassero dell’80% le loro vendite". A Fini, inoltre, Mastella ricorda che l’indulto "non è un decreto legge Mastella, è un atto del Parlamento che ha votato Matteoli per An, che ha votato Berlusconi, Prodi, Casini, l’hanno votato tutti i leader della sinistra, cioè quasi l’intero Parlamento, quindi attribuirlo a me mi sembra un atto di irresponsabilità, di pregiudizio incredibile". Giustizia: Pisicchio; indagine per monitorare effetti dell'indulto
Adnkronos, 23 settembre 2007
"Un’attività di monitoraggio, da svolgersi attraverso un’indagine conoscitiva del Parlamento, per avere la piena cognizione degli effetti dell’indulto". A lanciare la proposta è il Presidente della Commissione Giustizia della Camera, Pino Pisicchio, a margine della cerimonia celebrativa della Polizia Giudiziaria tenutasi a Napoli alla presenza del Capo dello Stato. Lettere: Andrea, invalido al 100%, da tre anni in attesa di giudizio
Associazione Yairaiha, 23 settembre 2007
La storia di Andrea B., detenuto nel carcere di Reggio Calabria portata all’attenzione dei media da Franco Corbelli, è una storia che merita una riflessione attenta da parte delle autorità preposte perché, a volte, non basta una relazione asettica a stabilire la compatibilità con il carcere. Si dovrebbe andare oltre. Stando alle norme, l’incompatibilità con il carcere, è determinata da uno stato di salute gravissimo, diciamo pure "prossimo alla morte". Nella tarda serata di giovedì ci siamo recati assieme all’on. Francesco Caruso a far visita ad Andrea B., quello che ci siamo ritrovati davanti è stato uno scenario da terzo mondo. Una cella di un metro e mezzo per due con un letto a castello, un tavolo, un armadio, il bagno con la tazza posta su un gradino e, al centro di questa specie di "loculo", una carrozzina. Al primo letto è disteso Andrea in preda a tremori che lo accompagnano giorno e notte, a volte cade dal letto causandosi contusioni, altre volte i movimenti involontari lo fanno sbattere alla lastra metallica che regge il letto superiore, posto a circa 30 cm sopra la sua testa, in bagno non può andare se non assistito dal piantone. Mangiare è diventato un incubo. Seduto sulla carrozzina, non riesce a mettere le gambe sotto il tavolo stando ad una distanza di 50/60 cm. dal piatto sporcandosi mentre mangia perché le mani tremanti non riescono a tenere le posate. 25 anni, una storia di marginalità ed errori come tante, oggi Andrea vive con un proiettile conficcato nel midollo spinale che non può essere rimosso e, pertanto, non può sottoporsi neanche a risonanza magnetica per risalire alla causa dei tremori che non lo lasciano mai. Oggi (ieri per chi legge) è stata eseguita la elettromiografia e l’elettroneurografia ma, nonostante l’assistenza sia garantita dal personale sanitario della struttura, Andrea è in una condizione di una tale gravità che, a nostro avviso, risulta incompatibile con la detenzione in carcere, men che meno in un carcere dei primi del novecento che presenta barriere architettoniche. Alle norme scritte asetticamente, dovrebbero essere affiancate leggi umane, che tengano conto della dignità di un uomo, un ragazzo anzi, che nonostante gli errori (oltre tutto è in attesa di giudizio, in carcere, da più di tre anni) dovrebbe essere curato in un centro specializzato, senza barriere architettoniche che impediscono di poter compiere i più banali e vitali gesti quotidiani. È una vergogna che l’Italia dell’Europa Unita consenta che un ragazzo, invalido al 100%, stia in una situazione di tale aberrazione. Ci appelliamo a chiunque abbia il potere-dovere di trovare una soluzione: Andrea deve essere trasferito, immediatamente, in un centro specializzato che gli consenta di ricevere assistenza adeguata alla disabilità che lo accompagnerà per il resto della sua vita poi, quando, e se, verrà condannato si vedrà. Lettere: la storia dell’Asinara... è stata riscritta dai "vincitori"
Ristretti Orizzonti, 23 settembre 2007
Sono un Collaboratore Agrario del Ministero della Giustizia Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, in pensione dal luglio del corrente anno ed ho vissuto e lavorato all’Asinara, per circa cinque anni, dal 1982. Alla vigilia della trasformazione dell’isola in Parco, ho partecipato come coautore, al volume "Asinara. Storia, natura, mare e tutela dell’ambiente" (Delfino Editore 1993) curato da A. Cossu, V. Gazale, X. Monbaillu e A. Torre, per la parte riguardante la Storia agricola e l’ordinamento carcerario. Per le notizie che, via via, mi pervenivano non avevo voluto mai, prima d’ora, rimettere piede sull’isola che una volta veniva definita "Isola del diavolo" o "Caienna italiana"; quest’anno però alcuni amici desiderosi di verificare, de facto, i miei racconti sono riusciti a convincermi ed insieme ci siamo recati in visita al parco. Dico subito che la gita mi ha lasciato una impressione contraddittoria e sgradevolissima, perché ho avuto la precisa sensazione di essere in presenza di una "pulizia storica" simile a quella "etnica" (messa in atto nelle guerre che si combattono oggi nel mondo), una azione sistematica che sta progressivamente rimuovendo ogni segno esteriore della presenza penitenziaria nell’isola. Il tempo, è complice inconsapevole di questo disegno demolendo le strutture edilizie d’ogni tipo, piano piano piegandole sotto il peso degli anni e dell’incuria. Scrivo per affidare ai lettori la mia impressione che, seppure modesta, credo possa interpretare le mille e mille voci che, per molteplici motivi, restano "silenziose". Scrivo per esprimere la mia profonda indignazione, e la ribellione profonda per lo scempio storico che si sta consumando nel tentativo di "cancellare" la presenza del carcere o meglio per ridurre questa centenaria presenza a iconografia, quasi solo una "cartolina illustrata". Scrivo per rivendicare l’azione secolare, non certo priva di errori, compiuta da tantissima gente che, in vesti le più differenti, hanno contribuito a mantenere l’isola, splendida, come oggi si vede. Scrivo perché dal volto dell’isola non scompaia il segno della sofferenza umana patita e per dichiarare che metterò in atto ogni azione consentita affinché non si perda la memoria storica dei fatti accaduti sull’isola. Scrivo infine per l’affetto profondo che mi lega alla terra di Sardegna ed ai suoi abitanti, affetto che spesso mi fa dire che l’Ichnussa è la mia vera origine. È doveroso premettere che, chi si accosta ad una realtà importante come quella penitenziaria, ha l’obbligo morale di documentarsi, allora non tarderà a scoprire che, fin dall’antichità, le strutture carcerarie (Bagni Penali), dotate di possibilità lavorative, venivano ubicate su terreni ed in siti per lo più improduttivi, quando addirittura invivibili, in paludi da bonificare o su isole disabitate e scarsamente popolate. Nei Bagni Penali il detenuto era obbligato coattivamente al lavoro (lavori forzati). Prevista in quasi tutti gli Stati preunitari, la condanna ai lavori forzati - a tempo e a vita - espiata nei Bagni penali, consentiva di ottenere mano d’opera non qualificata, ma a costo zero e fu introdotta anche nell’ordinamento penale del Regno d’Italia che continuò ad applicare, fino al 1860, gli antichi bandi e regolamenti dei Bagni penali del Regno Sardo, emanati il 26 febbraio 1826. Negli ultimi anni della mia permanenza sull’isola ho vissuto sulla mia pelle, come molti altri, la "guerra silenziosa e non dichiarata" tra l’Amministrazione Penitenziaria, che ha sempre vissuto l’isola come un luogo in grado di offrire una detenzione relativamente sicura ed a costi relativamente bassi e gli Enti locali che la consideravano un bene ingiustamente sottratto. Sono sempre stato convinto, per ragioni che qui sarebbe troppo lungo esporre, che la convivenza tra una struttura penitenziaria (sicuramente di tipo particolare, attenuata) e il parco naturalistico avrebbe offerto all’isola le migliori condizioni di sviluppo e di tutela ambientale, coniugate con una fruibilità progressivamente sempre maggiore. Vorrei qui ricordare uno dei miei tanti predecessori illustri l’Agronomo De Siervo, di cui conservo gelosamente un acquerello del porto di Cala d’Oliva. Il Tecnico lavorò per lunghissimi anni nell’isola e fra i primi, mise mano alla costruzione (rispettivamente nel 1961 e nel 1965) delle dighe di Fornelli e Cala d’Oliva per l’erogazione dell’acqua alle omonime Diramazioni (così erano chiamati gli agglomerati abitativi e carcerari presenti sull’isola). L’invaso di cala d’Oliva venne poi dotato di impianto di potabilizzazione solo nel 1984. Nell’intento di trovare collaborazioni interessate soltanto alla corretta gestione di un bene che ci era stato affidato dalla collettività ed alla quale doveva tornare, ho personalmente accompagnato in visita sull’isola innumerevoli autorità in campo ambientale, tra tutti il Prof. Emanuele Bocchieri dell’Università di Cagliari che ha effettuato importanti scoperte botaniche sull’isola, ma anche Fulco Pratesi insieme a Francesco Petretti che ci dettero preziosi consigli in tema di salvaguardia ambientale o il compianto Prof. Paolino Lai e l’allora suo assistente, il Dr. Walter Pinna con i quali iniziammo una stretta collaborazione da cui ebbe origine il programma di monitoraggio e tutela dell’Asinello Bianco e con i quali, concordemente, stabilimmo di trasferire un nucleo di tre femmine ed un maschio dalla Diramazione di Trabuccato (dove erano originari, ma competevano con l’asinello grigio) a quella di S. Maria (dove originariamente erano assenti), zona in cui si sono poi felicemente riprodotti sino a raggiungere le attuali consistenze. La Direzione della "Casa di Reclusione all’aperto" non solo agevolò il lavoro dell’Ornitologo Xaver Monbaillu e prese anche contatti con l’Istituto di Difesa e Conservazione del Germoplasma animale diretto dal Prof. Rognoni, ma emanò numerosi "Ordini di servizio" per scongiurare gli incendi così dannosi al patrimonio naturalistico dell’isola e giunse (1987) ad ordinare alle motovedette ed ai natanti, in servizio di perlustrazione intorno all’isola, di comunicare immediatamente ogni più piccolo focolaio, per intervenire immediatamente al loro spegnimento. È necessario anche ricordare l’importante opera dell’operatore penitenziario sia esso appartenente al personale civile che al Corpo degli Agenti di Custodia ribattezzati - dopo la riforma del ‘90 - Agente di Polizia Penitenziaria (un numero infinito di persone transitate sull’Asinara nei cento anni di permanenza della struttura penitenziaria) persone che, con indubitabile spirito di sacrificio, si sono sempre adattate a condizioni di vita estreme ed hanno operato anche in compiti non istituzionali, sempre mortificando pesantemente la loro vita di relazione per adattarla alla permanenza sull’isola. In questo ambito non è possibile però neppure omettere il ricordo delle famiglie del personale che, con il congiunto condividevano i disagi e l’isolamento. Nel menzionare la storia dell’isola non sarebbe però corretto trascurare la figura del detenuto, cioè di colui (tantissimi) che, pur trovandosi a pagare un debito alla società per aver commesso un delitto, al di là dell’iconografia e della leggenda, il più delle volte teneva un comportamento corretto e partecipava attivamente al lavoro agro-zootecnico. Erano gli stessi detenuti che al caseificio di Cala D’Oliva lavoravano, nei periodi primaverili, 2.000 litri di latte al giorno producendo tre tipi di formaggio che l’Amministrazione vendeva al personale e, nelle feste, anche agli stessi reclusi. Lo stesso detenuto, partecipava ad estenuanti battute (1985-89) per spingere i branchi di mufloni e capre selvatiche entro recinti appositamente costruiti per consentire l’alleggerimento del carico sul territorio. La Direzione ha ceduto gli esemplari catturati all’Azienda Foreste Demaniali che procedeva al ripopolamento di varie zone della Sardegna (Su Filigosu - Monte Limbara - Monte Olia). Era lo stesso detenuto che, dimostrando il proprio attaccamento al lavoro, chiedeva successivamente, ai propri familiari, notizie sullo stato degli animali e sul loro corretto rilascio e ce lo riferiva. Le guide che oggi accompagnano il turista, nel maldestro tentativo di "romanzare" i fatti, offrono uno spaccato estremamente falso della vita carceraria sull’isola, falso come l’arredo della cella della diramazione centrale, falso poiché non corrispondente alla realtà. Per aggiustare e rendere appetibile un improbabile "pacchetto turistico" gli operatori omettono di parlare del sacrificio di tante persone che, per lavoro, sono state costrette a condividere la stessa vita del detenuto, con un’unica piccola differenza quella di "non aver commesso alcun reato". Tuttavia queste persone oggi vedono, nel sito dell’Ente Parco, accumunata la loro opera alle incursioni islamiche e piratesche, al campo di concentramento, alla stazione di quarantena e, per finire, apprendono di essere annoverati tra gli "invasori" di turno. Questa offesa gratuita non può essere consentita! E cosa dire poi della ridenominazione della caletta adiacente a Cala d’Oliva, quella "Cala dell’Orto di Paonessa" recentemente ribattezzata "Cala del Detenuto" solo perché sporadicamente ed in tempi recenti, i detenuti vi venivano condotti a fare il bagno in mare poiché questo sito offriva caratteristiche compatibili all’esercizio di questa attività ricreativa. Vogliamo altrimenti parlare dell’inesattezza storica quando si comunica, all’inconsapevole visitatore, che la Foresteria Nuova di cala d’Oliva (il fabbricato di colore rosso mattone a destra del porto) era l’abitazione in cui Falcone e Borsellino trascorrevano le loro vacanze insieme alle loro famiglie! I magistrati Falcone, Borsellino ed Ayala furono trasportati in tutta fretta sull’isola solo alla fine del luglio 1985, ma è lo stesso Caponnetto che lo scrive in un articolo per il periodico Sudovest, in cui rivela che la decisione di trasferire precipitosamente i magistrati all’Asinara nel 1985 fu dovuta ad un grave ed incombente pericolo di attentato ai loro danni segnalato da una persona di assoluta fiducia e credibilità. "Per lungo tempo - afferma nell’articolo Caponnetto - quest’episodio rimase sconosciuto ai più e quando la notizia trapelò riuscimmo a mantenere il segreto sulla drammatica motivazione di quell’improvviso trasferimento che la stampa ha sempre attribuito alla decisione dei colleghi di appartarsi in un luogo sicuro ed isolato per meglio dedicarsi alla stesura della sentenza-ordinanza. In realtà - continua Caponnetto - avendo lasciato Palermo con la massima urgenza a poche ore dalla segnalazione ricevuta, Falcone e Borsellino non avevano alcuna possibilità di portare con sé alcuna parte dell’immenso materiale raccolto con la conseguenza che, per quindici giorni, dovettero sospendere il loro lavoro. Ogni giorno insistevano per poter tornare al lavoro, ma glielo consentimmo solo quando fummo tranquilli sul cessato pericolo. Per quel soggiorno all’Asinara - commenta amaramente Caponnetto - Falcone e Borsellino dovettero persino pagare le spese di soggiorno per loro e le loro famiglie." Anche quest’ultima notazione di Caponnetto corrisponde a verità poiché la Contabilità Generale dello Stato non prevede forme di "regalia", per cui fu emessa regolare quietanza per i giorni di permanenza nella foresteria di Cala D’Oliva. L’Ente parco poi, e con questa notazione termino, ha ristrutturato la Caserma Agenti di Polizia Penitenziaria prima intitolata a Costantino Satta, Maresciallo del disciolto Corpo degli Agenti di Custodia, deceduto in servizio nel 45, e l’ha trasformata in "Ostello di Cala d’Oliva" di cui si trova menzione anche nel sito dell’Ente Parco. Nel corso della realizzazione dell’opera (sono due anni) è stata asportata la targa che intitolava la caserma al Maresciallo Satta e, nonostante le assicurazioni verbali, la targa non è stata riposizionata. Di questo fatto credo debba prendere atto l’Amministrazione Penitenziaria che, oltre a menzionare i propri caduti sulla lapide presente all’entrata del Dipartimento, vorrà svolgere tutti gli opportuni passi per difenderne la memoria. Il Comandante della motobarca "Fortunato", Eugenio Denegri, ex agente di Polizia penitenziaria ed amico personale, con tristezza profonda mista ad una dignità indomita, mi continua a ripetere "la storia la scrivono i vincitori", ma in questa guerra silente non ci sono stati vincitori, ci sono solo due perdenti, il primo è colui (ripeto un numero immenso di persone) che ha operato sull’isola in punta di piedi, con coscienza e senza alcun tornaconto personale, il secondo grande perdente è la sempre splendida isola dell’Asinara e la sua storia.
Carlo Hendel Mail: poggiodicilli@libero.it Umbria: 234mila euro dal bando su indultati tossicodipendenti
Vita, 23 settembre 2007
Prevede interventi di assistenza personalizzata a sostegno di ex detenuti tossicodipendenti, alcol dipendenti o portatori di malattie correlate rimessi in libertà in seguito all’indulto il progetto della Regione Umbria, finanziato dal Ministero della Solidarietà Sociale con circa 234 mila euro. "Grazie a questo progetto presentato dalla Regione Umbria in seguito ad un Bando emanato dal Ministero - ha spiegato l’assessore alle politiche sociali, Damiano Stufara - siamo riusciti a conquistare il 7,8 per cento delle risorse complessive stanziate a livello nazionale. Si tratta di un risultato importante che premia la capacità progettuale della Regione e ci permetterà di lavorare in modo coordinato tra i vari Ambiti Territoriali per consolidare la rete dei servizi, istituire percorsi di accompagnamento individualizzato e potenziare il ruolo di mediazione dei soggetti che operano nel settore". Nello specifico il progetto presentato dalla Regione Umbria prevede la sperimentazione di modelli di intervento per sostenere ed implementare l’offerta dei servizi di accoglienza residenziale presenti sul territorio regionale, per agevolare l’autonomia residenziale e per attivare percorsi di accompagnamento personalizzati che prendano in carico il soggetto fin dal periodo precedente la scarcerazione. "Si tratta di una serie d’interventi volte a evitare ricadute all’interno di circuiti e dinamiche di tipo deviante che, oltre a favorire l’inclusione sociale degli ex detenuti intendono indirettamente garantire la sicurezza dei cittadini - ha spiegato Stufara -. L’obiettivo che ci siamo posti è infatti quello di offrire agli ex ristretti un immediato e adeguato appoggio nella consapevolezza che la vastità del problema richiede interventi complessi, strutturali e di lunga durata". Palmi: Caruso (Rc); i detenuti sono in lotta ormai da 15 giorni
Calabria Ora, 23 settembre 2007
"I detenuti sono in lotta ormai da 15 giorni". Sono le prime parole dell’onorevole Francesco Caruso all’uscita dal carcere di Palmi, dove l’esponente di Rifondazione comunista si è recato ieri pomeriggio, insieme a Sandra Berardi e Luana Stellato dell’Associazione Yairaiha Onlus, per prendere visioni "dello stato in cui versa l’istituto penitenziario". Una visita di due ore che sono servite al parlamentare no global per parlare con i detenuti e capire le loro istanze. "Sono tanti i problemi con cui combattono ogni giorno i 37 detenuti - ha affermato Caruso - Le carenze strutturali del carcere, per esempio, dove mancano le docce nelle celle e quelle comuni funzionano solo fino alle 14. Un grosso problema se si considera che le attività sportive si tengono nel pomeriggio". Ma il parlamentare ha riscontrato delle restrizioni che "esistono solo a Palmi. Solo in questo carcere infatti - ha commentato - non è possibile per i detenuti della sezione Eiv frequentare un corso scolastico. Lo scorso anno era stata fatta girare una circolare che chiedeva loro se avessero intenzione di iscriversi a una scuola di Ragioneria. Tutti risposero positivamente, ma nulla è stato ancora deciso in merito". Per il comunista "si è in presenza di una vera e propria violazione dei diritti dei detenuti. Non si possono commentare in modo diverso - ha sottolineato - restrizioni assurde come quella di non possedere un cd, o limitazione sui chili di generi alimentari che possono essere posseduti in carcere. Quantità di gran lunga inferiori rispetto al resto di’Italia". Già sono state intraprese alcune iniziative "che però - ha sottolineato il comunista - non hanno migliorato le condizioni dei detenuti, che continueranno a scioperare a oltranza. Inoltre sono state presentate già due interpellanze parlamentari e, all’inizio della prossima settimana, ne presenterò una terza, chiedendo l’intervento degli ispettori del ministero di Grazie e giustizia". Napoli: Alfano (Api); il carcere deve garantire lavoro e dignità
Il Mattino, 23 settembre 2007
Il Presidente dell’Associazione Piccoli Industriali di Napoli, Alfano: "Necessari interventi che risolvano il problema in maniera stabile". Dopo i tanti fatti di cronaca che si sono letti in questi mesi, molti dei quali hanno avuto come protagonisti proprio coloro che avevano fruito del beneficio, ad un anno di distanza dall’indulto veniamo a conoscenza che la presenza dei recidivi in carcere è pari al 42 per cento del totale. Un dato che non conforta l’opinione pubblica, la quale, dopo aver più volte manifestato la propria contrarietà al provvedimento, ora più che mai non ne può più. Forse un po’ per rassicurare gli animi, lo stesso ministro Mastella ha reso noto che, per scongiurare il pericolo di un indulto-bis e per garantire ai detenuti migliori condizioni di vita, si sta già provvedendo a costruire nuove carceri. "Ma le rassicurazioni non bastano. Ciò di cui si ha bisogno - ha affermato il presidente dell’Api Napoli, Emilio Alfano - è di interventi che risolvano il problema non temporaneamente ma in maniera stabile. E di più iniziative dentro a un piano organico. Noi proviamo a avanzarne qualcuna. Se ci sono persone che commettono continuamente reati vuol dire che non possono integrarsi nella nostra società. E che devono quindi stare in galera. Una proposta che abbiamo avanzato qualche tempo fa e ora rilanciamo è quello di far lavorare i detenuti dentro al carcere. Costruendo stabilimenti a fianco alle strutture carcerarie. L’idea non è del tutto nuova, poiché ricalca un’esperienza fatta da un imprenditore italiano mio amico, il quale ha comprato in un Paese africano un grande complesso alberghiero che necessitava di lavori di completamento e decorazione. Ha coinvolto la Caritas e le carceri locali. E tutti i lavori, dopo un’apposita formazione sulle modalità di usare il legno, sono stati realizzati dai detenuti. Avviare anche nel nostro Paese un’iniziativa pilota come questa significherebbe guardare al problema delle carceri in maniera innovativa, aprendo la strada ad un ventaglio di nuove possibilità, compresa quella di utilizzare anche in questo settore il project financing. Con un approfondimento e magari una nuova normativa, i privati potrebbero intervenire con fondi propri per costruire sia le carceri nuove, sia anche spazi per la produzione e lo svolgimento di attività lavorative da parte dei detenuti. E per occuparsi della gestione, fatte salve le altre attività lasciate allo Stato. Si ridurrebbero i problemi di sovraffollamento delle carceri. Si restituirebbe dignità a chi sta in galera, attraverso un lavoro utile a sostenere anche la propria famiglia. Si faciliterebbe il reinserimento sociale per quei soggetti che vorranno integrarsi nella società civile e non commettere, una volta fuori, altri reati. Firenze: il Gip ha archiviato tutte le denunce contro i lavavetri
Ansa, 23 settembre 2007
Il gip di Firenze Pietro Ferrante ha disposto l’archiviazione delle denunce fatte a Firenze tra il 28 e il 31 agosto scorso contro i lavavetri. Le denuncie della polizia municipale furono fatte in base alla prima ordinanza adottata dal Comune di Firenze. Secondo il gip nell’atto si riscontra l’"Inesistenza dell’antigiuridicità del fatto". Quest’ultima richiamava l’applicazione dell’articolo 650 del codice penale (intitolato ‘Inosservanza di un provvedimento dell’autorità", punito con la sanzione dell’arresto fino a tre mesi o dell’ammenda) in caso di inosservanza del divieto a svolgere abusivamente il mestiere girovago di pulire i vetri agli incroci stradali. Il gip ha così accolto la richiesta del procuratore capo del capoluogo toscano, Ubaldo Nannucci, pur condividendole, ha rilevato l’illegittimità del provvedimento del Comune in quanto richiamava una sanzione penale per un fatto, l’esercizio abusivo di un mestiere girovago, che la legge prevede solo come illecito amministrativo in seguito alla sua depenalizzazione. Il gip, nella sua motivazione, ha ritenuto "dirimente" ancor prima l’orientamento giurisprudenziale della Cassazione, consolidato da oltre 10 anni, sull’applicazione dell’articolo 650 cp. Il gip ha poi ricordato che per la Cassazione, l’articolo 650 è applicabile se l’inosservanza riguarda un ordine specifico impartito ad un soggetto determinato o determinabile. Inoltre, l’inosservanza deve riguardare "un provvedimento adottato in relazione a situazioni non prefigurate da alcuna specifica previsione normativa che comporti una specifica e autonoma sanzione". L’ordinanza di Palazzo Vecchio, ha osservato invece il gip, "è data in via preventiva, ma ad una generalità di soggetti, ha carattere sostanzialmente regolamentare e non ha pertanto le caratteristiche sopra indicate e quindi la sua inosservanza non può integrare il reato di cui all’articolo 650 cp". Con l’archiviazione il gip ha disposto la restituzione di quanto sequestrato ai lavavetri. Immigrazione: Amato; non c’è vera integrazione senza legalità
Ministero dell’Interno, 23 settembre 2007
Il ministro dell’Interno ha concluso a Firenze i lavori della Conferenza nazionale dell’immigrazione: ‘Verso una società multiculturale. Dalle esperienze del territorio alla costruzione di nuovi modelli’. "Conservare la nostra identità senza aggiunzioni è scegliere una identità declinante". "Noi abbiamo quest’idea che ciascun essere umano è uguale ad ogni altro, perché è figlio dello stesso Dio, questa è la nostra visione, non è detto che la realtà sia questa". Lo ha detto il ministro dell’Interno Giuliano Amato, concludendo a Firenze la Tavola rotonda della seconda giornata della Conferenza nazionale dell’immigrazione. "Anche in ambito europeo si tende a fare politiche di accoglienza per l’immigrazione qualificata, quella di ingegneri e medici - ha affermato - mettendo una nuvola intorno all’altra, quella che qualificata non è. L’immigrazione qualificata è utile, ed io ne sono un grande supporter, però lo sappiamo che non c’è solo questa immigrazione". "Troppo noi europei ci affidiamo all’inviolabilità delle nostre politiche correctness per aspettarci che la realtà vi si adegui. La politica correctness significa una feconda sinergia tra i diversi, ma non si realizza empiricamente da sola". "Ci dobbiamo decidere, mettendo da parte le dannate ideologie - ha proseguito Amato - Vietare il velo vuol dire imporre un’ideologia imperialista occidentale. Non si può rifiutarsi di credere che il velo islamico è in certe occasioni sinonimo di prevaricazione contro le donne ed in altri espressione di identità. Sono stanco di vedere attacchi ed aggressioni politiche in questo Paese che dimostrano soltanto quanto è minuscolo chi le fa". "Chiuderci ai flussi migratori significa scegliere il declino demografico, culturale e politico, conservare la nostra identità senza aggiunzioni è scegliere una identità declinante". "Combattere l’illegalità è fondamentale - ha affermato il ministro - È evidente che l’immigrato clandestino delinque più del regolare, ma perché è sottoposto al ricatto di chi lo costringe all’illegalità. Non ci può essere integrazione se c’è illegalità. La legalità fa parte della dignità umana". Sul terrorismo fondamentalista Amato ha detto che occorre "Garantire la libertà religiosa assicurando allo stesso tempo che non venga usata la religione e i luoghi di culto per diffondere il terrorismo, ma serve anche dialogo tra le religioni e creare un clima di progressiva fiducia reciproca". "Gli esseri umani, se vivono insieme e si fidano, si contaminano a vicenda. Sarà un percorso - ha concluso - che ci porterà alla interculturalità, avremo realizzato l’alterità". Immigrazione: espulsioni in calo del 13%, è polemica tra i Poli
La Repubblica, 23 settembre 2007
Calano le espulsioni di immigrati clandestini con il governo Prodi rispetto alla gestione Berlusconi, ma solo in seguito all’ingresso nell’Unione europea di Romania e Bulgaria. Le vere cifre relative ai "rintracci" (le persone espulse e poi ritrovate in Italia) e ai "rimpatri", tuttavia, sono state tenute fino a questo momento rigorosamente riservate dall’ufficio Immigrazione del Viminale. Il motivo è dovuto alla tensione che sul tema clandestini si registra fra opposizione e centrodestra sul superamento della legge Bossi-Fini attualmente ancora in vigore. Sull’argomento c’è polemica anche all’interno della stessa maggioranza. Qualche giorno fa fu il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero a invitare gli immigrati a scendere in piazza per rivendicare una maggiore efficienza degli uffici pubblici nel rilascio dei documenti e dei permessi. Mentre il presidente di An, Gianfranco Fini, proprio sui numeri dell’immigrazione giorni fa, alla festa dei giovani di An, aveva sfidato il sindaco di Roma e candidato al Pd Walter Veltroni. "Il Governo precedente - aveva accusato Veltroni - non è riuscito a fare fatti concreti. Si sono fatti, invece, con questo governo". Immediata la replica di Fini: "Non è vero - aveva ribattuto - invito a fare il confronto dei numeri. Andate a vedere quanti immigrati clandestini sono stati espulsi con il Governo Berlusconi e quanti, invece, con il Governo Prodi". E i numeri, ad un primo impatto, sembrano dare ragione a Gianfranco Fini. Dal confronto dei dati più recenti, i primi otto mesi del 2007 rispetto allo stesso periodo di un anno fa, rintracci e rimpatri sono diminuiti di circa il 30-40 per cento. L’analisi più approfondita di queste percentuali elaborata dalla direzione centrale per l’Immigrazione diretto dal prefetto Angela Pria dimostrano, però, che nel confronto il numero di espulsioni effettuate dal governo Prodi sono più o meno le stesse di quelle effettuate dal governo Berlusconi. La differenza è data solo dall’ingresso di Romania e Bulgaria in Europa. Decine di migliaia di romeni e bulgari, in sostanza, una volta erano considerati clandestini e quindi espulsi ora sono cittadini comunitari, hanno regolare passaporto, e nei loro confronti non è più possibile contestare violazioni delle leggi sull’immigrazione. Così, sottraendo i flussi migratori diventati regolari dal centro dell’Europa, nei primi otto mesi del 2007 i "rintracci" sono 8.200 in meno rispetto a quelli dei primi otto mesi di un anno fa, circa il 10 per cento. Stesso discorso vale per i "rimpatri", termine tecnico per indicare l’espulsione, ovvero l’accompagnamento dei clandestini nei Paesi d’origine. Il calo effettivo, epurato del dato relativo all’immigrazione bulgara e rumena, lascia in evidenza una riduzione di 2.600 espulsi fra gennaio e agosto di quest’anno rispetto allo stesso periodo di un anno fa. Non il 30-40 per cento, dunque, ma solo il 13. Questi due dati (meno 10% rintracci e meno 13% espulsioni), trovano una spiegazione. Secondo la Direzione centrale del Viminale, bisogna considerare la riduzione di sbarchi a Lampedusa, passati nel periodo di confronto da 16 a 14 mila. A cambiare, poi, è anche la tipologia delle persone che approdano sull’isola. Oggi arrivano prevalentemente persone non rimpatriabili: minorenni e immigrati da zone africane che consentono di ottenere lo status di rifugiati politici, dalla Somalia all’Eritrea al Burkina Faso. Tutte queste considerazioni fanno dire al sottosegretario all’Interno Marcella Lucidi che "la guerra di cifre", in realtà, non esiste. "Se si considera l’ingresso in Europa di Romania e Bulgaria - ha commentato Lucidi - e a questo si aggiunge l’incremento di persone non espellibili, come i minori e i richiedenti asilo, le cifre sostanzialmente si equivalgono". Droghe: Torino; petizione per sperimentazione della narco-sala
Notiziario Aduc, 23 settembre 2007
Si è svolta venerdì mattina a Torino, presso la sede dell’Associazione Radicale Adelaide Aglietta, la conferenza stampa di presentazione di una petizione al Consiglio comunale per una narco-sala a Torino. Ha introdotto la conferenza stampa Giulio Manfredi (Direzione Nazionale Radicali Italiani): "Mi preme sottolineare tre cose: la prima è la sinergia venutasi a creare fra organizzazioni, gruppi e singoli cittadini che da tempo operano nel campo delle tossicodipendenze e che hanno trovato nella petizione per una narco-sala a Torino un minimo comun denominatore, una proposta concreta che può essere esportata anche in altre città italiane; la seconda è che quest’iniziativa ci permette di tornare a parlare dei cittadini tossicodipendenti, considerandoli come "persone che hanno problemi" e non, come è l’andazzo attuale veicolato dai media, come "persone che sono problemi"; la terza è che il contesto politico attuale sarà difficilmente ripetibile: un ministro della Solidarietà Sociale piemontese, Paolo Ferrero, che si è sempre dichiarato favorevole a questa sperimentazione; idem per l’assessore regionale alla Sanità; un sindaco che si è sempre dichiarato disponibile, al suo secondo mandato, plebiscitato dai torinesi, con margini di manovra e di decisione molto più ampi che in passato … coraggio Chiamparino!". Alessandro Orsi (presentatore della petizione): "Se siamo qui oggi è anche perché sono riuscito con altri amici a produrre un documentario ("La stanza dei figli", www.lastanzadeifigli.it) che, mi pare, evidenzia efficacemente le condizioni drammatiche, nella loro normalità di tutti i giorni, nelle quali molti consumatori si iniettano le sostanze e come potrebbe essere il consumo di droghe in una narcosala (condizione igieniche accettabili, niente stress, assistenza medica, tutte le siringhe utilizzate distrutte e non disperse nell’ambiente).". Susanna Ronconi (Presidente di "Forum Droghe"): "Nell’estate del 2002 vi furono a Torino ben 11 morti per overdose; quell’emergenza provocò un ampio dibattito nell’opinione pubblica e convinse il sindaco Chiamparino a incaricare una commissione di tecnici di vagliare la fattibilità di una narco-sala; nella primavera del 2003, la commissione disse "NI" e tutto si bloccò. Ci riproviamo, consapevoli che stiamo parlando di uno strumento di riduzione del danno adottato ormai in mezza Europa; la prima "stanza del consumo" aprì a Berna nel 1986, ora ne esistono 72 e sono state validate dagli appositi organismi dell’Unione Europea. Ci riproviamo, convinti come siamo che gli interessi dei cittadini tossicodipendenti e gli interessi degli altri cittadini non devono necessariamente entrare in collisione: ridurre i rischi e i danni sanitari dei primi significa, nello stesso tempo, aumentare la sicurezza dei secondi.". Angelo Giglio (medico servizi tossicodipendenze): "Appoggio quest’iniziativa perché serve a riaprire il dibattito. Io sono responsabile dell’unità di strada "Can go", un pullman che gira nei quartieri di Torino per agganciare e assistere i tossicodipendenti. La "sala di consumo" è un vero e proprio "servizio socio-sanitario" rivolto sia alle persone tossicodipendenti sia a garantire il bene comune. Spero che i consumatori escano fuori, diventino attori protagonisti, rivendichino il loro diritto a non essere trattati come cose o come problemi. La sala di consumo rappresenterebbe un utile complemento ai servizi sanitari già esistenti." Franco Cantù (Forum Droghe, presentatore delle petizione): si è rifatto all’intervento precedente, portando la sua esperienza di operatore di strada: con la narco-sala il consumo di droghe non sarebbe più visibile e non provocherebbe rigetto, insicurezza e paura nell’opinione pubblica. Domenico Massano (Giunta segreteria Associazione Radicale Adelaide Aglietta, presentatore della petizione): "In queste settimane abbiamo tenuto degli incontri di formazione, a cui hanno partecipato persone della più diversa estrazione. Con la nostra iniziativa vogliamo portare avanti la cultura dell’accoglienza e riaffermare i diritti di tutti. Per poter presentare la petizione in Comune servono almeno 800 firme di cittadini torinesi che hanno compiuto i sedici anni d’età. Raccoglieremo le firme anche ai banchetti in strada; a partire da domani vi sarà un tavolo tutti i sabati, dalle 10 alle 13, in via Garibaldi n. 14; saranno organizzati anche tavoli infrasettimanali all’Università (Palazzo Nuovo)". Gran Bretagna: 600 morti l’anno tra i detenuti e gli internati
Apcom, 23 settembre 2007
Quasi 600 persone, solo nell’anno passato, hanno trovato la morte nelle celle britanniche. È il risultato di uno studio stilato dall’organizzazione "Forum for Preventing Deaths in Custody", Fpdc, ovvero "Centro per la Prevenzione delle Morti" avvenute in regime di detenzione. Il dato è stato definito "scioccante" dal presidente del centro, John Wadham. "Il numero delle morti all’interno delle prigioni è un dato chiave delle società civili, e il numero è troppo alto", ha detto Wadham ai microfoni della Bbc. Lo studio ha preso in considerazione prigioni statali, ospedali psichiatrici, camere di sicurezza delle stazioni di polizia e centri per la custodia minorile. La stragrande maggioranza delle morti, secondo l’Fpdc, avviene per cause naturali nei centri di custodia mentale, anche se 73 casi sono rappresentati da suicidi avvenuti nelle prigioni di stato e altri 41 in ospedali di sicurezza. "Non voglio trovarmi nella posizione di dover annunciare, l’anno prossimo, che il dato è in crescita, qualunque sia il numero dei detenuti presenti nelle carceri", ha detto ancora Wadham. Il fenomeno coinvolge anche molti minorenni. Carol Paunder, madre di una ragazzo che si è impiccato in carcere a soli 14 anni, ha criticato il sistema in vigore ai microfoni del popolare programma radiofonico Today della Bbc4: "La custodia cautelare dei minorenni dovrebbe essere l’ultima risorsa della polizia ma i dati dimostrano che la pratica è molto frequente", ha detto la Paunder. Che ha aggiunto: "Non ci sono abbastanza agenti qualificati nei centri di custodia minorile". Il punto centrale della questione, secondo Wadham, è che molti degli individui che finiscono in custodia cautelare sono "emotivamente vulnerabili" e hanno bisogno di trattamenti adeguati. "Dobbiamo fornire i giusti strumenti (agli agenti) per far fronte al problema", ha aggiunto Wadham. David Hanson, sotto-segretario alle Prigioni, ha detto che il numero dei suicidi è in realtà diminuito negli ultimi tre anni, e non cresciuto. "Se confrontiamo il dato con il numero della popolazione carceraria", ha detto Hanson a Today, "vediamo che il fenomeno è in diminuzione. Ma non per questo non dobbiamo fare di più e meglio". Ma Deborah Coles, del gruppo indipendente Inquest, ha criticato il forum, che è stato istituito dal ministero dell’Interno e della Salute, dicendo che il fenomeno merita "studi più approfonditi di quelli svolti dal Forum". Usa: ragazza italiana scrive a un detenuto in Texas; salvatelo
Agi, 23 settembre 2007
"Salvate Anthony, è solo un ragazzino. Gli è rimasto soltanto il quinto e ultimo appello. Altrimenti finirà sulla sedia elettrica". È l’appello disperato che ha lanciato da Castel di Lama (AP) Emanuela Oddi, una giovane e coraggiosa ragazza di 28 anni, che in quattro anni ha scritto 50 lettere al suo amico texano di colore, con il quale è in corrispondenza, che ad appena 19 anni è stato condannato alla pena di morte. I fatti che interessano Anthony Haynes, originario di Houston, che ha rifiutato l’alternativa dell’ergastolo, risalgono al 1999. Il ragazzo, che è rinchiuso da 8 anni nel braccio della morte del famigerato carcere di Livingstone, in attesa di essere giustiziato, non ha escluso la sua colpevolezza, ma ha sempre dichiarato di aver agito per legittima difesa. "Anthony - dice Emanuela Oddi - fu aggredito una settimana prima dell’incidente più grave, minacciato e derubato, e così si armò con una pistola, proprio per proteggersi dai delinquenti. Poi avvenne lo scontro con un poliziotto in borghese che era con la moglie, e che lo aggredì in un diverbio. Lui, che aveva appena 19 anni, si sentì minacciato e intimorito e sparò contro l’uomo, solo per difendersi". Il processo nei suoi confronti, emesso da una Giuria composta interamente di bianchi, fu rapido e grazie anche alla quasi assenza del suo legale d’ufficio, Anthony fu condannato a morte, come avviene regolarmente in Texas. Aveva appena 19 anni. Da allora vive nel carcere di Livingstone 23 ore al giorno nella sua cella e un’ora fuori, ma rinchiuso dentro una gabbia, come fosse un animale. "Nonostante tutto quello che ha subito - dice Emanuela, che, grazie al suo ottimo inglese, ha cominciato a scrivere ad Anthony dopo aver contattato l’associazione Coalit (Coalizione italiana contro la pena di morte) - questo ragazzo ha una forza morale immensa, e una fede che lo sorregge nei momenti di maggiore sconforto. Ma ora siamo alla fine. Dopo 4 appelli respinti, fra poco si terrà il quinto e ultimo. Se non andrà bene, si stabilirà la data per la sua esecuzione. Questo è pazzesco, e assolutamente da evitare. E io - continua la ragazza ascolana che una volta è andata a trovare il giovane condannato a morte, direttamente in Texas - faccio appello a tutti affinché lo aiutino". La storia di Anthony Haynes sarà raccontata domani, domenica 23 settembre su La7, nel corso di un programma televisivo dedicato al tema della pena di morte, e che andrà in onda alle 23.30. Usa: ricerca; spot-antidroga farebbero aumentare il consumo
Notiziario Aduc, 23 settembre 2007
Le campagne di prevenzione all’uso di sostanze stupefacenti effettuate attraverso i mass media possono avere un effetto boomerang: non soltanto dimostrarsi inefficaci, ma addirittura avere conseguenze negative, inducendo all’uso di droga ragazzi che prima non ci pensavano. Il dato sconcertante è stato reso noto da Lela Jacobsohn, dell’Università della Pennsylvania, che ha effettuato la valutazione di una campagna di prevenzione organizzata dal governo Usa a colpi di spot tv. La ricercatrice ha presentato la sua ricerca, commissionata dal Nida (l’istituto nazionale Usa che si occupa di droga) nell’ambito di un seminario, organizzato a Roma dal Ministero della solidarietà sociale, che entro la fine dell’anno intende lanciare una campagna informativa sulle dipendenze e che quindi è particolarmente interessato ad approfondire gli aspetti di valutazione dell’efficacia degli interventi di prevenzione. La campagna americana, ha spiegato la Jacobsohn, è stata lanciata nel 1998 per prevenire il consumo di marijuana nei ragazzi dai 9 ai 18 anni non consumatori. È una campagna tuttora in corso ‘con forte enfasi sulle televisioni’ ed è costata, nel solo periodo 1998-2004, circa un miliardo di dollari. Ma il risultato non è stato all’altezza delle aspettative: secondo lo studio di valutazione, dopo cinque anni dall’inizio la campagna ha evidenziato effetti boomerang sulle persone a cui era rivolta. Chi aveva visto più spot, infatti, mostrava un livello più basso di risultati: molti ragazzi esprimevano giudizi positivi sulla marijuana o addirittura avevano cominciato a consumarla. Uno dei motivi, secondo la studiosa, è che il massiccio bombardamento di spot ha indotto i ragazzi a ritenere che il fenomeno sia diffuso al punto che tutti i coetanei usano la marijuana, e questo li ha portati a uniformarsi. Il 75% degli spot, poi, mostrano ragazzi che fumano spinelli con gli amici in auto e si divertono, salvo poi subirne gli effetti negativi, ad esempio provocando un grave incidente. Ma tanto basta a far associare l’idea della droga al benessere e al divertimento; le conseguenze positive, in sostanza, hanno fatto sparire quelle negative.
|