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Giustizia: la sinistra che riempie le prigioni di Patrizio Gonnella (Presidente dell'Associazione Antigone)
Il Manifesto, 8 ottobre 2007
Nelle prigioni italiane ci sono oggi poco più di 46 mila detenuti. Un numero di poco inferiore agli abitanti di Rieti e di poco superiore a quelli di Biella. 46 mila persone non sono un problema di risorse, siano essi i detenuti italiani o il totale dei reatini o dei biellesi. La tutela della loro salute è solo un problema di organizzazione, di volontà politica, di scelte normative. Nel 1999 l’allora ministro della Salute Rosy Bindi dette avvio alla riforma della medicina penitenziaria sino ad allora alle dipendenze strette del ministero della Giustizia. Previde che strumenti, soldi e medici dovessero passare al servizio sanitario nazionale. Resistenze, negligenze, inadempienze si sono protratte per otto anni, impedendo il buon esito della riforma. Ora si attende il primo gennaio 2008, data che dovrebbe segnare il fatidico passaggio di competenze. Così il medico potrà ragionare da medico, operare da medico, obiettare come fa un medico. Risponderà del suo lavoro ad un altro medico. Potrà assomigliare più al medico di fiducia che a un poliziotto vestito di bianco. La salute dei detenuti rischierà in tal modo di essere meno succube di reali o fittizie esigenze di sicurezza. Resta infatti tra le pagine tragiche dell’amministrazione della giustizia quella dell’infermeria di Bolzaneto con medici, poliziotti e generali tutti insieme a organizzare su larga scala trattamenti che la magistratura non ha esitato a definire inumani o degradanti. Eppure la tortura non è stata ancora elevata a rango di reato. Inutilmente sono passati vent’anni da quando l’Italia si era impegnata a farlo in seno alle Nazioni Unite. Il diritto alla salute in carcere si protegge con adeguati interventi diagnostici e terapeutici. Si protegge anche con misure e azioni preventive. L’affollamento e l’assenza di riservatezza, l’ozio forzato e la noia, il distacco sociale e affettivo da parenti e amici, la sessualità negata sono l’origine del disagio psichico che colpisce percentuali elevatissime di detenuti, curati e neutralizzati a suon di psicofarmaci. Nel frattempo sui media si continua a chiedere sicurezza, più galera per i tossicodipendenti, per i rumeni, per i clienti delle prostitute, per i vagabondi, per i lavavetri. Il prossimo 12 ottobre va in Consiglio dei ministri il pacchetto sicurezza targato Giuliano Amato. Un pacchetto sicurezza che, se le indiscrezioni saranno confermate, ammazzerà definitivamente ogni potenzialità riformatrice che c’era dietro il provvedimento di indulto. La sinistra si sta rinchiudendo in un orribile cul de sac. La criminalizzazione della miseria porterà in galera nuove decine di migliaia di persone. Tutto questo sta avvenendo senza che nessuno reagisca. La Chiesa è tutta impegnata sul fronte dell’antirelativismo etico, i mass media seminano paura, i partiti inseguono la Chiesa e i mass media. Per approssimazione si può dire che oggi più o meno un milione di persone sono impegnate attivamente nel terzo settore. A quel milione di persone che - con contratti di solito precari - si occupano dei cosiddetti ultimi della società (quelli presi di mira dall’ordinanza Cioni e dal pacchetto Amato) oggi si deve chiedere di far sentire la loro voce, affinché si affranchino dal ricatto economico privato e pubblico e dicano con forza il loro no alla criminalizzazione delle povertà diffuse, loro che di povertà si occupano. Alle loro centrali cooperative chiediamo di riprendere a fare politica e di opporsi alla definitiva e drammatica trasformazione dello stato sociale in stato carcerario. Giustizia: i sindaci avranno più poteri in materia di sicurezza
Ansa, 8 ottobre 2007
Il governo modificherà l’articolo 54 del testo unico degli enti locali, attribuendo ai sindaci maggiori poteri in materia di sicurezza. È il principale risultato ottenuto dai sindaci, nel corso dell’incontro con il viceministro Minniti per definire il pacchetto sicurezza all’esame del consiglio del 12 ottobre. Fra le altre decisioni prese oggi, i prefetti avranno il potere di espellere i cittadini comunitari quando si tratti di pubblica sicurezza. Giustizia: non con De Magistris o contro Mastella; con il Csm di Riccardo Arena
Il Riformista, 8 ottobre 2007
Venerdì, 21 settembre. Ore 18.54, un’agenzia di stampa diffonde la notizia. "Mastella chiede il trasferimento di De Magistris e Lombardi". Inizia così una vicenda su cui tanto si è detto e così poco si è capito. Le carte degli ispettori inviati da Mastella non si conoscono. Sarebbe doveroso aspettare la decisione del Csm. E invece si è fatto un gran parlare, senza conoscere i fatti. Questo ha determinato una grande confusione e una grande difficoltà a orientarsi in questa vicenda. Nulla infatti si capisce e assai poco, onestamente, si sa. È bene quindi ricondurre l’ormai "caso De Magistris" nei suoi parametri fisiologici. Nei fatti accaduti prima del 21 settembre. Nella normalità di ciò che prevede la legge. Nel rispetto della centralità del ruolo del Csm. I fatti. Alla fine del 2006, il ministro della Giustizia Clemente Mastella ha inviato gli ispettori, che sono magistrati, per verificare presunte irregolarità all’interno della Procura di Catanzaro. I controlli, ripetuti nel tempo, miravano a verificare, tra l’altro, la regolarità della condotta del procuratore capo di Catanzaro Lombardi e quella del pm De Magistris. Dopo circa cinque mesi, gli ispettori consegnano il loro rapporto, non al ministro Mastella, ma alla Direzione generale dei magistrati del ministero della Giustizia, diretta e composta anch’essa da magistrati. La prima valutazione fatta da questo ufficio sul rapporto degli ispettori è strettamente tecnica e mira a verificare se i comportamenti dei magistrati calabresi integrino o meno illeciti disciplinari. Successivamente, il rapporto degli ispettori passa all’ufficio di gabinetto del ministro della Giustizia. Altro ufficio e altra valutazione, fatta sempre da magistrati. L’8 settembre 2007, le trecento pagine della relazione degli ispettori sui magistrati di Catanzaro, con le osservazioni della Direzione generale dei magistrati e dell’ufficio di gabinetto del ministro, sono sul tavolo del Guardasigilli. Due scelte per il ministro. La legge lascia due scelte. Non procedere con l’azione disciplinare, oppure chiedere al Csm di instaurare un’azione disciplinare contro il magistrato. In questo caso il ministro può anche chiedere al Csm un trasferimento in via cautelativa del magistrato, in attesa che lo stesso Csm assuma una decisione sul merito. La decisione del ministro ha come presupposto le conclusioni degli ispettori e le valutazioni di ben due uffici del ministero. Il 21 settembre il ministro Mastella comunica di aver esercitato un’azione disciplinare contro De Magistris e Lombardi, chiedendo al Csm di adottare un provvedimento cautelare di trasferimento dei due magistrati. L’8 ottobre, dinanzi alla prima commissione del Csm, inizia (forse) la discussione sulle richieste del ministro Mastella. Al termine del procedimento la decisione. Morale. Da quindici giorni mezza Italia si sta stracciando le vesti sul caso De Magistris, senza che nulla sia stato ancora deciso. Si discute come se la decisione sul caso sia stata già presa. Ma non dal Csm, come prevede la legge, bensì nelle piazze, sui giornali e in tv. Soprattutto per i media tutto appare già deciso. Ritengo questo sbagliato e ingiusto. Sbagliato perché il Csm non si è ancora pronunciato né ha ancora iniziato il procedimento. Un procedimento che garantisce accusa e accusati, che possono argomentare e documentare le loro ragioni. Al termine dell’istruttoria, la decisione. Ingiusto perché una tale propaganda lede sia le prerogative e il ruolo del Csm, sia, cosa che a molti sfugge, lede le garanzie di De Magistris. Per lui, come per qualsiasi altro magistrato, non vi è migliore garanzia, per veder riconosciute le proprie ragioni, che essere giudicato da un Csm autonomo e libero da qualsiasi condizionamento. Il Csm. Organo di autogoverno della magistratura. Organo costituzionale, composto per due terzi da magistrati e presieduto dal presidente della Repubblica. Organo che assicura l’autonomia della magistratura, che la garantisce da ingerenze politiche. Ora, siamo sicuri che questa pressione mediatica sul caso De Magistris non avrà ricadute sulla decisione del Csm? Siamo sicuri che il Csm prenderà una decisione giuridica e non politica? Io non dubito dell’autonomia di giudizio dei consiglieri del Csm. Ma sono certo che una pressione del genere è del tutto illegittima. Non schierarsi a favore di De Magistris o di Mastella. Ma schierarsi a favore del Consiglio superiore della magistratura. È necessario difendere le prerogative e il ruolo di quest’organo. Riaffermare, con decisione e con rigore, la sua centralità. Difendere il suo corretto funzionamento. E anche criticare, ma dopo averle lette, le sue decisioni nell’interesse della Giustizia. Ora è attesa. Attesa per una decisione che sia giusta e celere. Senza rinvii. Ne ha bisogno la Calabria e la nostra malandata Giustizia. Giustizia: corruzione; 98% dei condannati non va in carcere
Il Giornale, 8 ottobre 2007
La legge non è uguale per tutti. Nell’arco di vent’anni, dal 1983 al 2002, compreso quindi il periodo di Tangentopoli, solo il 2 per cento di quanti finiti nelle maglie della giustizia nella lotta alla corruzione, lotta simboleggiata da Mani Pulite, ha scontato pene in carcere, mentre il 98 per cento dei condannati l’ha fatta franca. A riferirlo è "L’Espresso" domani in edicola, sottolineando che la situazione si è determinata o perché è scattata la sospensione condizionale (sotto i due anni) o perché sono state riconosciute misure alternative (servizi sociali: tra due e tre anni). E soprattutto perché nell’87 per cento dei casi la sentenza è stata mite: sempre meno di due anni. Sono cifre, prosegue il settimanale, rese pubbliche da una ricerca condotta dall’ex pm Piercamillo Davigo, uno dei protagonisti di Mani pulite, ora giudice di Cassazione, e Grazia Mannozzi, docente di diritto penale all’Università dell’Insubria (Como e Varese). Ricerca riversata nel libro "La corruzione in Italia", editore Laterza, in libreria dal 5 ottobre. Due anni per un lavoro tutto sui numeri, tratti dal Casellario giudiziale centrale. Una miniera di dati che inizialmente dovevano dar vita a una smilza analisi destinata a una rivista specializzata di diritto. Ne è venuto fuori invece un volume di 373 pagine, ricco di grafici e tabelle. Dentro, un inedito censimento sulle tangenti "made in Italy". Con risultati choc. Giustizia: Caruso; accetto la condanna, ora voglio il carcere
www.la7.it, 8 ottobre 2007
"Non credo presenterò appello per la condanna: vorrei andare immediatamente in carcere perché, come nella migliore tradizione della disobbedienza civile, ritengo questa sia la migliore forma di denuncia contro un sistema che lascia nell’impunità chi ruba e intasca miliardi di tangenti e condanna invece attivisti precari e disoccupati che denunciano il carovita, che distribuiscono poche decine di scatole di pelati e pacchi di pasta alle famiglie più povere all’esterno di un supermercato". Così Francesco Caruso, parlamentare del Prc, accoglie la sentenza di condanna giunta nei giorni scorsi a seguito di una cosiddetta "spesa sociale". Definendo se stesso e i disobbedienti come "estorsori di diritti" che sono "orgogliosi delle loro azioni, del proprio essere ogni giorno al fianco dei più deboli, dei poveri, degli esclusi, di chi non riesce ad arrivare a fine mese". Caruso cita i dati dell’Istat sui quasi 8 milioni di indigenti in Italia, per invitare a "lottare contro il dilagare drammatico della precarietà e della povertà. Ci possono anche arrestare - aggiunge - ma non riusciranno mai a fermare nemmeno con il carcere la nostra voglia di lottare contro le ingiustizie sociali, la nostra voglia di mobilitarci per rivendicare diritti per tutti e non favori per qualcuno". "Ai magistrati che ci hanno condannato - conclude ironicamente Caruso - rivolgo l’appello a inquisire e condannare i vertici sindacali della Cgil, i leader dei partiti della sinistra, perché anche loro, sotto la minaccia della mobilitazione di piazza, cercano ogni giorno di estorcere misure e provvedimenti a favore. Reggio Emilia: gli immigrati e le droghe riempiono il carcere
www.telereggio.it, 8 ottobre 2007
Il carcere di Reggio è di nuovo in emergenza affollamento. A un anno di distanza dall’indulto, il numero dei detenuti è già tornato a superare ampiamente la capienza regolamentare. I numeri lasciano poco spazio alle interpretazioni: 260 detenuti prima dell’indulto, 140 dopo. Praticamente dimezzati. Ma oggi, a distanza di un anno, il numero è già risalito a quota 225, a fronte di una capienza regolamentare di 161. Alcuni mesi fa è stata chiusa la sezione femminile, che contava una quindicina di ospiti. Ma il carcere di Reggio è di nuovo sovraffollato. Un vero e proprio boom di ingressi, anche se i recidivi sono pochi. Il direttore dell’istituto, Gianluca Candiano, lancia l’allarme: "Oltre il 60% dei detenuti - spiega - sono extracomunitari. Assistiamo a un turnover spaventoso e il periodo di permanenza non va oltre i due o tre mesi". L’effetto è dovuto alla Bossi-Fini e a tutte le problematiche connesse alla tossicodipendenza, quindi a fenomeni di piccola devianza, antipatica e fastidiosa per il cittadino, ma che però va affrontata per quello che è. Nei prossimi mesi con tutta probabilità la situazione è destinata a complicarsi ulteriormente. Ma Candiano non vuole che le carceri siano palestre di violenza, è convinto che i detenuti vadano aiutati e preparati per il reinserimento nella società. Una strada è la formazione universitaria dei detenuti, un’esperienza che a Reggio va avanti da due anni, unica nel genere in Italia. "Il punto è uno, ovvero il controllo dei detenuti", ha detto ieri Nello Cesari, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria per l’Emilia Romagna, alla firma della convenzione con l’università di Modena e Reggio. Sanremo: la denuncia del Sappe sulla sicurezza nel carcere
Sanremo News, 8 ottobre 2007
Il Sappe (sindacato autonomo di polizia penitenziaria) denuncia una forte carenza di personale che mette a rischio la sicurezza all’interno delle carceri liguri. Giovedì prossimo, 11 ottobre, a Sanremo è prevista una riunione tra i quadri sindacali regionali, provinciali e locali per fare il punto della situazione e per dare voce ai colleghi del carcere di Marassi. Il motivo che ha spinto il Sappe a convocare la riunione, che sarà seguita da altri incontri in tutte le sedi carcerarie liguri, è dovuto all’episodio accaduto ieri sera a Marassi, nel quale un detenuto ha aggredito un poliziotto che ha dovuto ricorrere alle cure del pronto soccorso dell’ospedale civico della città. Il grave episodio di cronaca - si legge nel comunicato - è avvenuto proprio mentre è in corso l’iniziativa dei poliziotti penitenziari aderenti al Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria Sappe, il più rappresentativo della categoria con 12mila iscritti (più di 300 quelli in servizio nel carcere di Marassi), che hanno proclamato lo stato di agitazione del Personale di Polizia per le croniche carenze di organico e per le precarie condizioni di lavoro nella Casa Circondariale della Valbisagno, protesta a cui hanno aderito tutti gli agenti in servizio e culminata nell’astensione totale dei Baschi Azzurri dalla consumazione dei pasti nella mensa di servizio. Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria legge con preoccupazione questo episodio "ennesimo sintomo di criticità del penitenziario genovese nonostante l’approvazione dell’indulto, che ha fatto uscire da Marassi circa 400 detenuti". "È la ciliegina sulla torta di una situazione ben oltre il limite della tolleranza", commentano Gian Piero Salaris, vice segretario regionale Sappe, e Antonio Martucci, segretario locale di Marassi. "Vogliamo per prima cosa - premettono - esprimere la nostra solidarietà al Collega aggredito che ha contenuto l’aggressività del detenuto ed ha impedito che la situazione degenerasse. E questo episodio non può che essere contestualizzato in una situazione penitenziaria critica più volte rappresentata dal Sappe ai vertici locali e nazionali dell’Amministrazione penitenziaria, dove le carenze organiche di Polizia Penitenziaria (oltre 100 unità) sono decisamente allarmanti e proprio rispetto alla quale abbiamo dichiarato lo stato d’agitazione dei Baschi Azzurri". Non è delle più gioiose la situazione nelle altre sedi della Liguria, l’ultimo personale distribuito in regione Liguria di recente, risale ad un numero esiguo pari a 40 unità, distribuiti attraverso una riunione presso il Provveditorato Amministrazione Penitenziaria Regionale, dove le sigle sindacali presenti hanno dovuto giocare al tiro alla fune per le assegnazioni nei vari istituti. Per il Sappe si può tranquillamente gridare allo scandalo, alla vergogna, alcuni posti di servizio, cioè alcuni reparti delle carceri della Liguria sono affidati ad una sorveglianza e osservazione cosiddetta: "della buona sorte, o meglio, speriamo che il Dio ce la mandi buona", e in tutto questo le direzioni liguri non fanno nulla per diminuire le attività interne previste per i detenuti, aggravando di conseguenza, sempre più il lavoro e il rischio ai poliziotti penitenziari, i quali in questo momento si trovano in pieno stress psico-fisico e dove per regalo trovano sovente perfino la facile e funesta apertura di procedimenti disciplinari elargiti senza scrupolo alcuno, cioè all’impazzata, quasi come dire oltre il danno anche la beffa, mentre si trascura di assicurare la gestione del personale seguendo regole ben precise. In alcune sedi, il Sappe sta chiedendo da tempo l’applicazione di un maggiore incremento tecnologico indispensabile per sopperire appunto alla mancanza fisica del personale che si denuncia, ma anche in questo alcune direzioni si ostinano a non capire, ci viene risposto la solita e obsoleta frase: "non ci sono fondi", mentre ci passano sotto gli occhi acquisti di secondaria utilità se non addirittura inutili. Il Sappe, per questi motivi, prevede un autunno veramente caldo e significativo, il lavoro della polizia penitenziaria è già di per se logorante e sacrificante, a seguire non da meno sono gli aspetti retributivi economici, e proprio a fronte di ciò che non ammettiamo ulteriori forme deleterie e perniciose per i nostri iscritti, molto probabilmente questo stato di cose ci vedrà costretti a replicare con delle azioni di protesta al quanto interessanti, rivedendo l’atteggiamento sindacale da troppo tempo morbido e comprensivo. Prossimamente, se non considerati, andremo a ricompattare il personale proprio allo scopo di avviare forme di proteste commisurate ma di mirata efficacia, senza soffermarsi dinanzi a niente e nessuno. Verona: dal 13 ottobre ritorna la mostra "Tra Mura Les"
L’Arena di Verona, 8 ottobre 2007
Torna la rassegna "Tra Mura Les", l’arte in carcere, che si svolgerà dal 13 al 21 ottobre al Centro Turistico Giovanile di via Santa Maria in Chiavica 7, dalle 11 alle 18. La rassegna è organizzata dall’associazione di volontariato "La Fraternità", di cui è responsabile fra Beppe Prioli e presenta opere realizzate da detenuti del carcere di Montorio. Si tratta di un appuntamento che si ripete ormai da diversi anni e che vede coinvolti non solo la casa circondariale di Montorio ma anche Comune e Regione Veneto. Spiega Maria Franca Cremasco, responsabile dei corsi tenuti a Montorio: "Con pennelli, colori, creta e argilla i detenuti esprimono profonde emozioni e danno corpo alla loro creatività. Le finalità di questa mostra sono di dare visibilità a questi lavori artistici portandoli all’esterno, riconoscendo così l’appartenenza del carcere alla città perché siamo convinti che la collettività deve superare tante barriere mentali e pregiudizi nei confronti di chi sta vivendo o ha vissuto l’esperienza del carcere". Nell’ambito della rassegna, inoltre, sono stati organizzati altri appuntamenti, tra cui, il 19 ottobre, alle 18, nella sala conferenze della basilica di San Zeno, un incontro dall’emblematico titolo "Prevenzione, cultura, accoglienza", che presenterà esperienze, racconti e riflessioni dal carcere in tre libri i cui autori sono Marco Alianello, Vincenzo Andraous e Emanuele Palmieri. Nel corso della serata saranno letti alcuni brani di questi testi da Flora Massari con intermezzi musicali del trio Stupore Antico. L’ingresso è libero. "Si tratta di un tema non certo facile alla luce di quanto sta accadendo in questi giorni", dice fra Beppe Prioli che da 40 anni segue il mondo del carcere, riferendosi in particolare all’aggressione di don Luciano Cescon nella chiesa dei Filippini. "L’accoglienza e una nuova cultura del carcere sono temi che possono mettere in discussione anche noi volontari in un momento in cui si assiste a tanti episodi negativi, dal moltiplicarsi dei delitti in famiglia al ritorno alla criminalità di ex detenuti. Ci domandiamo spesso se ha ancora un senso lavorare per il carcere, seguire la strada del dialogo per entrare nelle coscienze e avviare nuovi percorsi umani nelle persone che hanno intrapreso, per volontà o per immaturità, la strada dell’illegalità. Nonostante tutto, resto convinto che questa sia la strada più difficile ma anche l’unica da seguire per creare orizzonti di speranza non solo per i detenuti ma per l’umanità". Droghe: il ministro Turco; vietare l’alcool ai minorenni di Alessandra Retico
La Repubblica, 8 ottobre 2007
Fino a 18 anni niente alcol. Non vuole fare la sceriffa, Livia Turco usa verbi come responsabilizzare e informare e coinvolgere perché sa che proibire e basta non salva: gli incidenti mortali per un bicchiere di troppo sono la prima causa di morte tra i giovani. Il ministro aveva proposto già in Finanziaria di innalzare l’età per il divieto di vendita, ma la faccenda per varie cause nel frattempo è decaduta. Poi in mezzo c’è stata un’estate pesante di vittime dello sballo, ragazzi che si ammazzano e ammazzano per caso perché su di giri. Magari per cinque - sei bevute d’un fiato, in un sabato sera. Appignano, aprile scorso, Marco Ahmetovic che sale sul furgone ubriaco e fa fuori quattro ragazzi in motorino. E proprio all’indomani della sentenza di Ascoli il ministro, ieri a "Domenica In", è tornata sull’argomento, uno tra quelli che le stanno più a cuore: alzare il divieto dagli attuali 16 ai 18 anni, "perché è anche l’età simbolica della maturità". Responsabilizzare i giovani al consumo di una sostanza che se abusata (e lo è sempre di più), uccide più di ogni altra. I kit di autocontrollo del tasso etilico ne sono uno strumento: mettono in mano ai ragazzi un test fai-da-te per capire se si è alticci, e in mano a un amico il volante se la risposta è positiva. Accordi in corso con le farmacie. L’Organizzazione mondiale della Sanità nel 2001 aveva contato 55mila 15 - 29enni morti per alcol, in Italia il 40% degli incidenti mortali tra i giovani è provocato da ebbrezza che è anche la causa del 46% delle vittime tra i 14 e i 24 anni. "Quando parliamo di abuso, intendiamo anche il consumo di alcol al di fuori dei pasti, tante volte in modo sostitutivo a questi". Lo fanno soprattutto i 14 - 17enni, un drink anziché un panino: dal 1994 al 2006 raddoppiati. Un problema sociale, di stili di vita, di coscienza e di parecchie cose insieme e che richiede interventi importanti. A più livelli, visto che eccedere col bere "veicola l’uso di droghe". E dunque, si chiede retorica la Turco, "non è giusto porre questo come uno dei problemi fondamentali di sanità pubblica?". Le idee in questi ultimi mesi sono state varie, alcune realizzate, vedi la stretta sulla sicurezza stradale: niente alcol nei locali notturni dopo le due, con i gestori che devono avere per obbligo all’uscita un alcol test volontario. Per chi schiaccia sull’acceleratore con un goccio di più in corpo, multe d’eccesso di velocità che si sommano a quelle per eccesso etilico, vale a dire almeno 200 euro in più. Ma la Turco ha anche altre idee in evoluzione o progressiva applicazione, punta molto sugli accordi con le aziende produttrici, con le farmacie, i pubblicitari. Anche a loro chiede un’assunzione di responsabilità, a chi fa gli spot di dare informazioni corrette, a chi imbottiglia di avvertire dei pericoli. Etichette "choc" come quelle sulle sigarette, kit di autocontrollo, e altri progetti: il "Piano nazionale alcol e salute", triennale, punta su 10 obiettivi, dalla campagna sui rischi all’abbassamento anagrafico dell’accesso all’uso. "Guadagnare Salute", programma elaborato insieme a Giovanna Melandri, che interviene su nutrizione, fumo, attività sportiva e, appunto, alcol. Ricorda la Turco che il 45% degli incidenti è tra il venerdì e sabato, quando i ragazzi cercano di strafare, di andare oltre. "Certo non siamo marziani, altrove è anche peggio", ma è segnale che bisogna interpretare, e governare: con misure forti e interventi decisi "senza che si parli di proibizionismo", ma anche con un lavoro più diffuso e articolato e partecipativo, ci riguarda tutti. Droghe: Cancrini; "stanze del buco", perché sono contrario di Luigi Cancrini
L’Unità, 8 ottobre 2007
I politici si sono occupati per la prima volta di droga, in Italia, agli inizi degli anni 70. Era stato il ‘68 ad aprire, da noi e altrove, un conflitto generazionale sui valori di cui lo spinello diventò un simbolo e di cui i "drogati", da anfetamine e, subito dopo, da eroina, furono, in qualche modo, le vittime. Combattemmo da sinistra, allora, dall’interno del vecchio e glorioso Pc, una battaglia per i diritti civili dei tossicomani che avevano diritto (dicevamo noi contro la destra di allora) ad essere curati e non incarcerati. La legge vigente, infatti, puniva con la detenzione minima di due anni la detenzione "a qualsiasi titolo" (e dunque anche il consumo) delle sostanze stupefacenti e il sistema delle mutue (quello sanitario normale arrivò nel 1979) si rifiutava di pagare le spese sanitarie per i problemi collegati all’abuso di alcool, all’abuso di droghe e ai tentativi di suicidio. Naturalmente collegata, da subito, alla lotta per il superamento del manicomio di Basaglia e a quelle per l’inserimento nella scuola normale dei bambini handicappati, l’iniziativa dei comunisti trovò una sponda in Senato nel relatore della proposta di legge, un Casini più anziano, meno Vip e più riflessivo di quello con cui combattiamo oggi. La legge che ne uscì, nel 1975, era una legge avanzata (votò contro solo l’Msi) che rese possibile, con il riconoscimento del diritto di cura, la nascita delle comunità terapeutiche e dei servizi specialistici di cui disponiamo oggi, una distinzione netta fra tossicomane (vittima) e spacciatore (colpevole e "carnefice"). Un punto mi sta a cuore: quello che riguarda i limiti entro i quali deve (dovrebbe) mantenersi la discussione dei politici sulla droga. Competenti per tutto ciò che riguarda l’affermazione dei diritti del cittadino sano o malato, sobrio o tossicodipendente, del tutto incompetenti dovrebbero sentirsi ed essere considerati, a mio avviso, i politici nel momento in cui si discute del tipo di trattamento che deve essere offerto a colui che sta male. Le decisioni relative ad una certa terapia o un certo tipo di intervento devono essere basate sull’evidenza scientifica, non sulle convinzioni più o meno "etiche" dei parlamentari o dei segretari di partito. Cui toccherebbe oggi di valutare seriamente, evitando i reciproci anatemi, se l’obbligo delle sanzioni amministrative nei confronti di tutti quelli che detengono droghe a qualsiasi titolo introdotto dalla Fini-Giovanardi del marzo 2006 ha determinato o no effetti utili (a) sulla diffusione delle droghe, (b) sulla prevenzione degli sviluppi tossicomani, (c) sulla mortalità per incidenti collegati all’uso di sostanze diverse. Anche se non è facile pensare che gli effetti positivi ci siano stati davvero se si guarda a quello che è accaduto in Europa dove, secondo i dati forniti dell’Osservatorio di Lisbona, la prevalenza dell’uso è maggiore in Francia (dove la detenzione è reato penale) che in Olanda (dove la liberalizzazione è sempre più marcata). Tornando alle shot-rooms, e all’idea di aprirne alcune a Torino, voglio chiarire che non vi è ad oggi alcuna evidenza scientifica della loro reale utilità. Dal punto di vista degli schieramenti politici, d’altra parte, le città in cui si è deciso di aprirle avevano sindaci di destra (preoccupati soprattutto per l’ordine pubblico) e di sinistra (con preoccupazioni di tipo più solidaristico): aspettative deluse in tutti e due i casi da una realtà sempre un pò più complessa delle semplificazioni cui si ricorre quando si parla in pubblico di un problema di cui si sa poco. La tristezza evocata dal modo in cui stampa e tv hanno dato rilievo a questo ennesimo fatuo dibattito sulle tossicodipendenze non è legata per me, tuttavia, solo alla intempestività e alla debolezza della proposta. Essa dipende soprattutto, infatti, da una consapevolezza di gravità dei problemi di cui non si parla. Viviamo una fase di crisi profonda dei servizi per i più deboli. Servizi territoriali per le tossicodipendenze gravemente sott’organico non riescono più ad assicurare ai loro utenti le prestazioni di cui hanno bisogno mentre le Comunità Terapeutiche sono sull’orlo del fallimento per gli incredibili ritardi nei pagamenti delle rette loro dovute dalle Asl e dalle Regioni. Tarati soprattutto sull’eroina, i servizi pubblici ed il privato sociale hanno difficoltà drammatiche a confrontarsi con le nuove utenze, i tossicomani da cocaina e da alcool, spinti sempre più spesso (e sempre più inutilmente) nelle case di cure psichiatriche. Quello che viene meno lentamente in questo modo (a fari spenti, senza che nessuno lo metta al centro di una denuncia seria) è un sistema di cure che ci veniva invidiato in tutto il mondo. Quella che diventa sempre più difficile, mentre tutto questo accade, è l’impresa meravigliosa del ritorno alla vita, del recupero della dignità e del futuro da parte di chi è stato aiutato davvero ma questa crisi di un intero sistema non fa notizia, non sfonda il muro del disinteresse giornalistico e televisivo e non arriva al grande pubblico. Quello che piace a chi di droga e di tossicomani si occupa da lontano, con un misto di compiacimento e di fastidio, di interesse e di sostanziale noncuranza, è il dibattito più spettacolare sulle shot-rooms e sull’eroina libera, sulla punibilità e sui test per i parlamentari. È per questo motivo soprattutto che mi sento triste, per la distanza che cresce fra il paese reale e il paese rappresentato dai media e per la capacità che hanno troppi politici di preoccuparsi più del secondo che del primo. Attenti alle aspettative emozionali del loro elettorato ed alle indicazioni dei sondaggi più che alla necessità di capire il senso e la reale utilità di quello che dicono di voler fare, gli attori di questo teatrino politico hanno ripreso vita intorno ad un problema irrilevante dal punto di vista pratico ed utile soprattutto a questo: a tenere lontani dall’attenzione del pubblico i problemi veri di chi sta male. Cina: forse uno "stop" al traffico di organi dei detenuti
Ansa, 8 ottobre 2007
Cedendo alle pressioni internazionali, l’Associazione nazionale dei medici cinesi si è impegnata a rinunciare a una pratica finora assai diffusa: il sistematico prelievo di organi dai detenuti. In passato il business dei trapianti era alimentato dal traffico di organi dei carcerati. Anche quando i detenuti davano formalmente il loro consenso, vi era il sospetto che il loro accordo fosse il risultato di pressioni subite nelle carceri. Adesso il nuovo decalogo dell’Associazione medica promette di limitare i trapianti degli organi dei detenuti ai soli familiari consanguinei.
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