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Giustizia: Bertinotti; l’Ue impedisce le espulsioni di massa
Dire, 7 novembre 2007
No alle espulsioni di massa, perché "la civiltà giuridica europea prevede che i provvedimenti" di allontanamento "siano necessariamente mirati e rivolti a reati e persone" precise. Lo dice il presidente della Camera Fausto Bertinotti, conversando con i cronisti a Montecitorio. Sulla finanziaria interviene invece ai microfoni di Sky Tg24 il ministro della Giustizia Clemente Mastella che a proposito della stabilizzazione dei precari della pubblica amministrazione dichiara: "Non ne farei un motivo di malinteso orgoglio per chi vince o chi perde". "Questo può essere lasciato alla libera dialettica parlamentare. Il Parlamento, in questo caso, il Senato, decide. Poi sarà assunto all’interno della formula finale con cui si approva la finanziaria". Certo, conclude il Guardasigilli, "se il peso è oneroso diventa un problema, ma bisogna rendersi conto che la precarietà è un elemento abbastanza ingiusto nell’economia delle famiglie italiane". "Stiamo valutando le proposte che ci stanno facendo, che vanno nella direzione indicata dal nostro emendamento". Lo dice Lamberto Dini, presidente della commissione Esteri del Senato, avvicinato dai giornalisti in Transatlantico, a proposito dell’emendamento presentato dai liberaldemocratici che riguarda la questione della stabilizzazione dei precari. Secondo Dini, su questo punto, "il nostro emendamento è molto chiaro e se viene accolto tanto meglio, si limitano i danni". Migliora dunque il clima nella maggioranza? "Il clima è fatto da 300 emendamenti, il nostro è solo uno. Sono ancora tanti i nodi da sciogliere". Giustizia: Mastella; la Casa delle Libertà collabori con noi di Manuela D’Argenio
Il Campanile, 7 novembre 2007
Il Guardasigilli da Rebibbia: "Un dl da approvare insieme all’opposizione. Collaborare per dare risposte certe ai cittadini". Su proposta dell’Udeur, tre milioni a Roma Capitale. Niente tregua, nemmeno quando in ballo ci sono interessi traversali. Il decreto espulsioni varato dal Consiglio dei ministri la scorsa settimana continua ad agitare le forze politiche. Non piace all’opposizione che continua a chiedere modifiche sostanziali al testo, ribadendo che così com’è non lo voterà, e non piace nemmeno alla sinistra radicale che teme una virata razzista a sostegno delle politiche della destra. E nel mezzo tutto il resto, alias l’Unione, che insiste sulla via del dialogo auspicando di trovare quanto prima un compromesso tale da garantire al paese quella tranquillità che chiede da tempo, anche attraverso modi poco democratici. Su questo, non ha dubbi il Guardasigilli Clemente Mastella, che durante la celebrazione del Corpo della polizia penitenziaria nel carcere romano di Rebibbia, insiste sul compromesso bipartisan. "Norme come il decreto legge presentato dal governo - spiega il titolare di via Arenula - andrebbero approvate insieme all’opposizione". Del resto, aggiunge, "occorre che tutte le forze politiche sia di maggioranza che di opposizione collaborino per dare risposte certe ai cittadini italiani". Il ministro ha inoltre auspicato un colloquio con la Romania: "Occorre parlare e discutere e prendere decisioni con i dirigenti della Romania per evitare che nel nostro Paese arrivino solo delinquenti e chi non ha intenzione di lavorare". Di qui una critica alla giustizia "fai da te", come le ronde razziste degli ultimi giorni. Anche il presidente della Camera, Fausto Bertinotti spera in una convergenza tra le forze politiche con una raccomandazione d’obbligo: "Nella cultura politica - spiega - c’è l’auspicio che si possa affrontare anche un frangente così duro e difficile nel pieno rispetto dei principi dello stato di diritto". Vale a dire quei valori di tolleranza e di rispetto che esulano da qualsiasi battaglia politica. Insomma, spiega meglio il ministro della solidarietà sociale Paolo Ferrero "penso che il decreto che abbiamo approvato come governo vada modificato nel suo percorso parlamentare, al fine di portarlo chiaramente all’interno dell’ambito costituzionale e della direttiva europea in materia, ma anche per aggiungere la questione della lotta al razzismo, che deve essere un profilo chiaro per questa maggioranza e questo governo". Anche perché, aggiunge il leader del Prc, Franco Giordano, "nella lotta alla criminalità non bisogna in alcun modo inseguire le destre, ma risolvere i problemi con l’efficacia dell’iniziativa giudiziaria, non inventandosi leggi speciali". Intanto dalla Cdl non arrivano segnali di arretramento, anzi. "Così come approvato dalla maggioranza - tuona Isabella Bertolini, vicepresidente dei deputati forzisti - il decreto sulle espulsioni è soltanto uno specchietto per le allodole per ingannare gli italiani sul problema sicurezza. Se non cambia radicalmente non siamo disposti a votarlo". Mentre nella Capitale arrivano le prime misure per affrontare l’emergenza sicurezza. "Grazie ad un ordine del giorno presentato dai Popolari-Udeur - spiega il presidente del consiglio comunale di Roma Mirko Coatti - 3 milioni di euro verranno rimodulati a favore di iniziative volte a garantire un più alto livello di sicurezza nella città". E da Bucarest arriva il resoconto di un colloquio positivo tra il ministro dello Sviluppo economico, Pierluigi Bersani e il titolare dell’Economia rumeno Varujan Vosganian. "Il governo e il popolo italiani - spiega Bersani - sono intenzionati a isolare e a reprimere con la forza della legge ogni eventuale atto di xenofobia, che è fuori dalla nostra cultura e tradizioni". E da Vosganian arriva l’impegno deciso "per contribuire a prevenire il ripetersi di episodi tragici". E in serata Romano Prodi e il ministro dell’Interno, Giuliano Amato si sono incontrati per discutere dell’incontro di oggi con il premier rumeno Calin Popescu Taricean. Giustizia: Mastella; 230 romeni sconteranno la pena in patria
Ansa, 7 novembre 2007
230 romeni detenuti in Italia l’anno prossimo raggiungeranno la Romania per scontare lì la pena. Lo ha detto Mastella. "La prossima settimana - ha spiegato il Guardasigilli - verrà da me il ministro della giustizia romeno, avendo già inviato una delegazione in Romania a trattare e avendone parlato con il ministro in sede europea". Per il Guardasigilli una soluzione per arginare la crescente criminalità è l’approvazione immediata del ddl sul giudizio immediato. E sulle baraccopoli: "nel mio Comune Ceppaloni mi porrei il problema e farei qualcosa". Il primo ministro romeno Tariceanu, verso Roma, promette collaborazione: "È un momento difficile, dobbiamo comunicare". Così il primo ministro romeno Calin Popescu Tariceanu, ha commentato la situazione sicurezza con l’Italia parlando all’aeroporto di Bucarest prima di partire per Roma. Nella capitale è infatti previsto l’incontro con il premier Romano Prodi in seguito alle vicende di cronaca che hanno scosso tutta l’Italia e Roma in particolare. Il premier romeno ha ricordato che in Romania "sono state prese misure per assicurare la presenza in Italia ed è stata garantita l’assistenza giuridica gratuita ai romeni" coinvolti in situazioni particolari. Giustizia: Cento; su decreto espulsioni accordo con sinistra
Dire, 7 novembre 2007
"Le aperture del ministro Amato sui contenuti del decreto sicurezza sono positive e contribuiscono a sgombrare il campo da ogni tentazione demagogica o peggio da violazioni di norme comunitarie e principi costituzionali". Lo dice il sottosegretario all’Economia e dirigente dei Verdi Paolo Cento. L’esponente del Sole che ride spiega che "con questa destra che vuole le deportazioni di massa non è possibile alcun accordo sulla sicurezza ed è bene che questo punto politico sia stato chiarito in maniera netta. Ora è necessario che nel governo si apra una tempestiva riflessione anche sugli interventi contro il degrado delle periferie nelle grandi aree metropolitane affinché la sicurezza acquisti un rilievo sociale e non solo di ordine pubblico", conclude il sottosegretario. Giustizia: Ucpi; decreto legge, ci sono palesi incostituzionalità
Ansa, 7 novembre 2007
Vi sono "quattro punti di palese incostituzionalità " nel dl sulle espulsioni e vanno sanati "al più presto" . Lo sostiene l’Unione delle Camere penali in una lettera alla commissione Affari costituzionali del Senato, da oggi impegnata nell’esame del provvedimento. Vi è innanzitutto un "palese contrasto" con l’articolo 13 della Costituzione "che legittima l’adozione di provvedimenti provvisori, limitativi della libertà personale, da parte dell’autorità di pubblica sicurezza soltanto "in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge"; mentre sono caratterizzati da "genericità " i "motivi imperativi di pubblica sicurezza" a cui fa riferimento il Dl e vi è una "discrezionalità ai limiti dell’arbitrio". Contro la Costituzione è anche "la rilevanza del comportamento del familiare, poiché - spiega nella missiva il presidente dell’Ucpi Oreste Dominioni - non possono darsi limitazioni della libertà personale in ragione di comportamenti tenuti da soggetti diversi dal destinatario del provvedimento di allontanamento". Terzo punto incostituzionale, secondo i penalisti italiani, è "la mancanza di ogni vaglio giurisdizionale nelle ipotesi di accompagnamento immediato previste dai commi 8 e 9 dell’art. 20, che danno all’autorità di pubblica sicurezza un potere di limitazione della libertà personale (l’accompagnamento alla frontiera) in aperta violazione del dettato dell’art. 13, della Costituzione". Quarto e ultimo fattore di incostituzionalità, è "l’irragionevolezza della attribuzione della competenza penale al Giudice di Pace", poiché "il giudice di pace nasce come organo di composizione bonaria di conflitti fra privati e non nelle controversie tra la pubblica autorità e i privati". Giustizia: sull'immigrazione siamo... un paese di smemorati di Ferdinando Dell’Omo
Agora Magazine, 7 novembre 2007
Ho visto Fassino a "Porta a Porta" che stava rincorrendo Fini sui temi dell’immigrazione (vivo e lavoro in Canada da tre mesi). Lo scenario solamente 7 o 8 mesi fa sarebbe sembrato un sketch delle iene, o un finto doppiaggio di qualche comico visionario. Ed invece ho dovuto convenire che si trattava di pura e drammatica verità. C’era in televisione un Fassino, che con un certo imbarazzo seguiva Fini nelle più repressive e fasciste delle argomentazioni, e per non perdere il treno del malcontento popolare sarebbe stato pronto a sottoscrivere anche la deportazione di massa degli zingari, dei rumeni e anche dei francesi e degli spagnoli se rompevano tanto le scatole. Devo dire che sono stato un bel po’ in difficoltà, intellettualmente intendo, a reagire a quella deriva. Ci sono certi principi, certi valori, una certa etica che si dà talmente per assodata, talmente metabolizzata attraverso secoli di discussione filosofica, religiosa e umana - o almeno così credevo - che disorienta il metterla in discussione, così, senza batter ciglio, negli studi di Bruno Vespa. È come se qualcuno, così, tutto di un tratto, dicesse che le forza di gravità non esiste e con argomenti rozzi e brutali ne convenisse, diciamo, con un Carlo Rubbia che un po’ passivamente e un po’ vigliaccamente, e quasi spaventato dalla violenza delle tesi, annuisse. Attualmente mi trovo a girare un documentario sull’immigrazione italiana in Canada e sto facendo in questi giorni ricerca sul tema. Proprio ieri casualmente mi sono imbattuto nel sito web nato a seguito della pubblicazione del libro del giornalista del Corriere della Sera Gian Antonio Stella "l’Orda, quando gli albanesi eravamo noi". A parte le fotografie che raccontano uno spaccato di un’Italia che farebbe bene, a noi italiani di Italia, vedere e rammentare più spesso, ci sono dei dati sull’immigrazione italiana che qui sintetizzo (ma allego i link per consultarli, e raccomando vivamente di farlo, in particolare quelli sulla "devianza": tra il 1861 e il 1955 il numero di crimini gravi (omicidi e rapine a mano armata) in Italia era di almeno 4, sino a 6 volte superiore a quello di qualunque altro paese europeo civilizzato, e non solo; nel 1905 a New York il 41,5% degli omicidi erano commessi da italiani che rappresentavano appena il 4% della popolazione totale; nel 1908 a New York in cella per reati gravi c’erano 2077 italiani, la seconda nazionalità rappresentata in numero erano gli inglesi con appena 679 presenze; infine nel 1920 sempre a New York (per capire cosa sia anche stato il "Made in Italy") il numero di detenuti italiani era il 40% del totale dei detenuti stranieri. Se gli spietati Stati Uniti di America, o l’Argentina, o l’Australia o il Canada avessero fatto una politica di rimpatrio per i delinquenti italiani o per quelli che erano senza lavoro ufficiale in terra straniera, l’Italia probabilmente sarebbe collassata, se si considera che sono almeno 14,7 milioni gli italiani che sono emigrati tra il 1876 e il 1976. Ora, anche se è pressoché un dato di fatto che gli italiani hanno portato all’estero più criminalità di qualunque altra nazione e che il brand Mafia è forse il prodotto con più continuità esportato, il punto non è questo. Non è una gara di brutalità criminale ad autorizzare i crimini stranieri nel nostro paese. Gli italiani poi, così come gli altri popoli, hanno esportato molto di più fortunatamente (per noi e soprattutto per i paesi che ci hanno accolto) che sicari, pizzo, e malavita. Abbiamo portato un carico di esperienze umane, di cultura, di approccio alla vita, di senso estetico, di braccia e di ingegno che ha contribuito a rendere grandi tante potenze di oggi. Questo carico però non era semplice da decifrare, o meglio da intravedere in potenza, allora nei numeri di nessuna statistica, tanto meno se si stava al tasso di malcontento o di razzismo da parte delle popolazioni locali e residenti (sempre dal solito sito vedere come ci chiamavano, come ci insultavano, linciavano o umiliavano). Il punto non è nemmeno quello di capire se il dato che il "20% dei reati commessi in Italia da stranieri è commesso dai rumeni" ha un qualche senso visto che i rumeni sono il 20% della popolazione straniera in Italia. E forse il tema vero non è nemmeno quello di come i media strumentalizzino un facilmente strumentalizzabile malcontento popolare con capri espiatori al limite del razzismo, nell’assoluta indifferenza generale, e che anzi dettano l’agenda politica di un paese civile. (Certo se i media calcassero un po' più la mano sul numero di rumeni morti sul lavoro - nero naturalmente - per costruire le nostre città forse ci sarebbe anche un diverso tipo di malcontento; o se ancora strumentalizzassero le collusioni mafiose con politica e magistratura dando nomi e cognomi forse sarebbe di un altro il tipo di malcontento cui dare risposte, ma questo è ancora un altro discorso). Il punto è, credo, come affrontare due temi ben più importanti: immigrazione e criminalità, e aggiungerei, perché si sovrappongono spesso e perché da noi si sovrappongono di più. Il primo tema non può prescindere da un paio di considerazioni. Per prima cosa la riflessione su cosa porta, cosa non porta e cosa potrebbe portare l’immigrazione. Su questo tema basterebbe dare un’occhiata a quasi tutte le potenze occidentali per comprenderlo. Insieme ai problemi di ordine pubblico, nelle altre nazioni europee e nord americane dove l’immigrazione è un fenomeno molto più massiccio che nel nostro paese, l’immigrazione porta cervelli, laureati, professionisti, ma anche solo pizzaioli o artigiani che vengono inseriti nel ciclo produttivo secondo le loro possibilità e i loro titoli. Se un nigeriano è un ingegnere, non viene mandato certo a vendere collanine sulla spiaggia. Sanno di poterne sfruttare un background ricco e proficuo e lo fanno. Sanno che possono accrescere il patrimonio intellettuale del paese e lo sfruttano. Da noi invece, dove per esempio per trovare uno che sappia una lingua straniera lo si deve cercare con il lanternino, laureati extracomunitari o anche comunitari trilingue li mandiamo a fare le badanti. Quindi delle due l’una: o non siamo capaci di valorizzare il potenziale che volenti o nolenti ci arriva dall’estero, o da noi vengono solo delinquenti e badanti. Credo che con nessuna delle due ipotesi c’è da essere molto contenti. In un mondo globalizzato come il nostro specialmente. Certo gli immigranti si devono adeguare alla nazione in cui approdano, ma ora io che scrivo dal Canada che del multiculturalismo ha fatto la sua potenza, forse do un giudizio un po’ sbilanciato, ma credo che l’Italia se si aprisse un po’ ad altre esperienza e culture nel mondo del lavoro, della cultura, degli affari, dell’arte, certo non ne uscirebbe peggiorata o impoverita, se i cinesi invece di lavorare negli scantinati per esempio li recuperassimo e li mettessimo a capo degli uffici esteri delle ditte italiane che producono in Cina forse faremmo una migliore concorrenza e prenderemmo minori fregature. Quanto alla legalità appunto, sarò forse stato pessimista, ma non mi ha sorpreso che in un paese dove la prima azienda nazionale per "fatturato" si chiama mafia, dove la legalità è compromessa un po’ ovunque, e un po’ a tutti i livelli - in primis nella classe politica - dove l’evasione fiscale è la più alta d’Europa, dove il lavoro nero non solo è tollerato, ma è quasi garantito in tutti i settori produttivi e strategici del paese, dove l’impunità è garantita e assicurata, dove il tasso di violenza è altissimo - basti pensare a cosa si consente di fare ogni domenica ad un branco di sottosviluppati di ultras che mettono a ferro e fuoco le nostre città -, dove la condizione e la figura delle donna nella società è ridotta al ruolo della velina (non scordiamoci delle drammatiche percentuali di reati a carico delle donne fatte dagli italiani, italianissimi maschi italiani, e paragoniamole con quelle scandinave o tedesche), beh forse sarò stato pessimista, ma non mi ha sorpreso affatto che da noi attecchisca così bene la criminalità straniera. (E da Fini mi aspetterei un po’ di pudore a parlare di legalità dopo quello che ha appoggiato in 5 anni di governo Berlusconi). Dato questo quadro se noi cittadini italiani vogliamo davvero sentirsi sicuri (perché il salto di qualità di Fassino era proprio questo: c’è bisogno di far sentire la gente sicura, quasi che non contasse se sicura lo è effettivamente o meno), e ne abbiamo il diritto, forse dobbiamo cominciare a preoccuparci di qualche cosa di un po’ più ampio ed un po’ più italiano dell’invasione rumena. Anche perché nell’era dell’informazione non pensiamo che chi vuol delinquere capiti a caso in Italia. Un’ultima considerazione riguardo l’immigrazione, mi aspetto solo che il tasso di crescita di Cina e India, per dirne due (di miliardi di possibili candidati, intendo), si rallenti un po’ per vedere davvero l’immigrazione. Vorrò vedere se Fini penserà di rimpatriarli uno ad uno, o se metterà le squadrette di forza nuova a respingerli con le mazze, anche se visto come attaccano sempre con la forza e la vigliaccheria della superiorità numerica penso sarà difficile vederli alle frontiere a "proteggerci". L’unica speranza che ci rimane contro l’invasione è che nel frattempo la nostra classe dirigente abbia talmente affossato l’Italia che nessuno in cerca di fortuna, anche se disperato, cercherà di venire nello stivale! Vorrà dire allora che ripartiremo noi... Giustizia: Amato mette le mani avanti e fa un passo indietro di Matteo Durante
Panorama, 7 novembre 2007
Tirato per la giacca da destra e da sinistra, sul tema della sicurezza è sempre più delicata la posizione del ministro dell’Interno Giuliano Amato. Se, da una parte, l’opposizione chiede infatti una restrizione delle maglie per gli ingressi dalla Romania e interventi seri sul fronte dell’espulsione dei soggetti indesiderati; dall’altro Rifondazione Comunista minaccia di far mancare il proprio sostegno qualora il decreto non venga ammorbidito non inserendo, ad esempio, la mancanza di un reddito tra le motivazioni idonee a determinare gli allontanamenti forzati. E allora, incassando anche l’assist del premier romeno Calin Popescu Tariceanu (che, pochi minuti prima di imbarcarsi sull’aereo Bucarest-Roma per un incontro con Romano Prodi, ha annunciato: "È un momento difficile, dobbiamo comunicare"), il titolare del Viminale ha messo le mani avanti, per tentare di far passare "dal centro" un decreto che non piace né alla destra né alla sinistra. Le "espulsioni di massa" sono "inconcepibili", ha fatto sapere il ministro. Mani avanti e passo indietro, appunto. Giusto in tempo per riallacciare il dialogo con Rifondazione e con Paolo Ferrero, ministro della Solidarietà Sociale. Tanto è vero che alcuni degli emendamenti del Prc al "pacchetto sicurezza" al vaglio della Camera verranno accolti. Primo fra tutti quello sul passaggio delle pratiche di espulsione "al giudice monocratico". Sull’onda dell’emozione dopo i fatti di Tor di Quinto, erano arrivati dal governo gli annunci su un giro di vite per la sicurezza e un decreto per rispedire in patria i romeni pericolosi. Amato nelle ultime ore ha invece disegnato una linea meno intransigente: "Ci sono proposte che non ho nessuna difficoltà ad accettare", ha spiegato riferendosi ai colloqui avuti con gli esponenti di Rifondazione. Per esempio, ha proseguito Amato, "condivido che la convalida delle espulsioni per motivi di pubblica sicurezza, come richiede Prc, passi dal giudice di pace al giudice ordinario del tribunale monocratico". Tenta insomma un compromesso il ministro: una via di mezzo, a metà tra "le politiche della destra a cui non ci si può arrendere" e una rigorosa politica della sicurezza, la nuova parola d’ordine dei sindaci di sinistra, che da quest’estate sta scatenando la diffidenza della sinistra radicale. In questa gravosa ricerca di un equilibro centrista, Amato tuttavia non raccoglie l’appoggio di Pier Ferdinando Casini, che giudica il decreto troppo sbilanciato a sinistra: il pacchetto rischia di non essere votabile perché si sta già confezionando secondo le richieste della Sinistra radicale", ha detto il leader dell’Udc a Radio anch’io. Mentre lo stesso Walter Veltroni (che in molti, malignamente, ritengono il padre del dl), accetta le proposte di modifica presentate da Rifondazione: "Sono legittime, andranno valutate, l’importante è che non cambi lo spirito del provvedimento". A mettere però sull’avviso che, in realtà, nemmeno a decreto approvato cambierà qualcosa in termini di lotta all’immigrazione violenta, ci sono le previsioni economiche delle operazioni: ogni trasferta per riaccompagnare a Bucarest i romeni espulsi è un costo che grava sulle forze dell’ordine. Ma Amato ha chiarito: "La copertura c’è. Abbiamo mantenuto nei capitoli del ministero dell’Interno le stesse risorse per gestire le espulsioni che avevamo prima". "Prima": cioè quando la sicurezza non era ancora percepita come un’emergenza da parte dei cittadini. Giustizia: Mastella; in arrivo 5-600 nuovi agenti penitenziari
Asca, 7 novembre 2007
La polizia penitenziaria denuncia, con il capo del Dap, Ettore Ferrara, carenza di personale e subito il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, promette che "se sarà approvata la Finanziaria, avremo la possibilità di assumere 5-600 nuovi agenti di Polizia penitenziaria", in maggior parte donne, visto che è proprio il settore femminile quello che denuncia la maggior sofferenza. È ciò che il Guardasigilli è andato a dire oggi al carcere di Rebibbia, dove si è svolta la festa della polizia penitenziaria del Lazio. Sollecitato inoltre su alcuni punti del pacchetto sicurezza, il ministro ha spiegato che "come Parlamento e come Governo noi siamo pronti e abbiamo presentato i progetti di legge" necessari a superare i tempi biblici della giustizia e alcune lungaggini burocratiche. Tuttavia, ha precisato Mastella, "non decide il ministro da solo: ora tocca al Parlamento". Alla festa della penitenziaria del Lazio, tra gli altri, hanno partecipato, oltre a Mastella e Ferrara, il capo dei cappellani delle carceri, monsignor Giorgio Caniato, e il direttore del carcere di Rebibbia, Carmelo Cantone. Durante l’appuntamento di stamattina è stata consegnata la medaglia d’oro al valor civile alla memoria a Germana Stefanini, vigilatrice sequestrata e uccisa da un gruppo di terroristi il 28 gennaio 1983. Oltre alla medaglia d’oro, sono state assegnate varie onorificenze al merito a diversi agenti di polizia penitenziaria. Perugia: morte Aldo Bianzino; Rc aderisce a manifestazione
Ags Media, 7 novembre 2007
"Rifondazione comunista dell’Umbria aderisce alla manifestazione del 10 novembre a Perugia per chiedere la verità sulla morte di Aldo Bianzino e la nomina, anche in Umbria, del Garante delle carceri". Il presidente del gruppo di Rifondazione comunista, Stefano Vinti, interviene sulla vicenda del detenuto morto nei giorni scorsi nel carcere perugino di Capanne .Nei giorni scorsi - dice Vinti - abbiamo appreso con soddisfazione le dichiarazioni del sottosegretario Manconi che escludeva pericoli di insabbiamento sulla drammatica vicenda di Aldo Bianzino. Continuiamo ad avere piena fiducia nel lavoro della magistratura e nella sua opera di accertamento della verità: oltre a capire definitivamente come sia morto Aldo, occorre accertare le eventuali responsabilità di chi ha coperto una verità che stenta a venire a galla in una vicenda dai contorni ancora molto oscuri. Il carcere - aggiunge - è ancora oggi una realtà chiusa e la chiusura aumenta quando succede un fatto grave come quello di un decesso: servono invece informazione, trasparenza dei percorsi, un cambiamento della cultura penitenziaria. Non possiamo accettare l’idea per cui la vita dei detenuti sembra valere di meno: una normalità assurda da respingere con forza". Padova: accordo Uepe-Cooperative su inserimenti lavorativi
Comunicato stampa, 7 novembre 2007
Padova: nuove possibilità di inserimento lavorativo nelle cooperative. Sono a beneficio delle persone in esecuzione penale esterna. È il frutto della firma del protocollo d’intesa, triennale, tra l’ufficio Esecuzione penale esterna di Padova e Rovigo e Confcooperative - Federsolidarietà. Si aprono nuove possibilità di un inserimento lavorativo nelle cooperative sociali, a beneficio delle persone in esecuzione penale esterna. È questo il frutto della firma del protocollo d’intesa, di durata triennale, tra l’ufficio Esecuzione penale esterna di Padova e Rovigo (Uepe) e Confcooperative - Federsolidarietà Padova. Un accordo, questo, che nasce dalla convinzione che "il recupero e il reinserimento sociale possano essere raggiunti impegnando gli interessati in attività produttive e facendo loro conseguire disponibilità economiche idonee a soddisfare i bisogni propri", come si legge nel documento. L’idea condivisa è che la vera riabilitazione avvenga quando si è gratificati dalla propria attività e che le cooperative in questo ambito possono avere un ruolo di primo piano: "Le misure alternative forniscono opportunità di percorsi esistenziali affrancati dal crimine, offrendo maggiori possibilità di recupero". Il protocollo stabilisce precisi compiti e doveri: l’Uepe di Padova e Rovigo si impegna a collaborare con Confcooperative per sensibilizzare gli ambienti lavorativi e assicurare concrete opportunità di inserimento. Suo compito inoltre è di segnalare i nominativi dei soggetti interessati, informare il datore di lavoro della situazione personale e penale del soggetto, soprattutto in merito alla specifica formazione lavorativa e, infine, seguire e monitorare la persona per tutto il tempo necessario. Dal canto suo, Confcooperative gestirà l’ambito dell’offerta di lavoro, sosterrà concretamente l’inserimento, verificherà con cadenza periodica l’andamento del percorso e vigilerà, in generale, sul rapporto di lavoro. "Quello di oggi è un importante risultato, frutto di un lavoro iniziato un anno fa e finalizzato a creare opportunità d’inserimento in cooperative di tipo B per detenuti" commenta Fabrizio Panozzo, presidente Confcooperative - Federsolidarietà Padova. Mentre per Ugo Campagnaro, presidente Confcooperative Unione Interprovinciale di Padova e Rovigo, "questo protocollo costituisce un progetto pilota che ora coinvolge le cooperative sociali ma che desideriamo venga allargato a tutte le cooperative". E aggiunge: "Il dato impressionante è che la recidiva dei reati cade dal 70% al 18% se i detenuti sono accompagnati in un progetto di recupero". Concetto rimarcato da Daria Morara dell’Uepe, che segnala anche alcuni dati: "Prima dell’indulto nel giugno del 2007 l’Uepe si occupava di 250 persone detenute nella provincia di Padova, di cui 50 svolgevano un lavoro esterno. Oggi i casi di nostra competenza sono circa 30, ma prevediamo un progressivo incremento. Vista l’esperienza positiva del passato l’Uepe ha agito per aumentare il numero delle cooperative di riferimento in vista degli inserimenti lavorativi, progetto che si avvia ufficialmente oggi con questo protocollo". Padova: nella Casa Circondariale casi di Hiv, sifilide e scabbia di Enzo Bordin
Il Mattino, 7 novembre 2007
Dopo il sovraffollamento nella rifatta nuova ala del carcere circondariale di Padova denunciato nei giorni scorsi dalla Cisl Fps, con presenze di detenuti quasi triplicate rispetto alla capacità ricettiva della struttura (80 posti), vanno registrati casi di scabbia, epatiti anche del tipo C, sifilide e Hiv. Eppure la legge impone 9 mq per il primo detenuto-occupante e 5 mq ciascuno per quelli successivi. Al Circondariale, con le attuali 200 presenze, siano fuori parametro. Ci sono dai 100 ai 120 ospiti più del dovuto. E mancano pure una cinquantina di agenti rispetto alla prevista pianta organica di 135 addetti. Morale della favola: ad un anno dall’indulto, siano tornati al punto di partenza. Stiamo parlando della Casa circondariale che accoglie sia detenuti in attesa di giudizio che quelli con pene definitive brevi. Intanto la vecchia struttura carceraria del Due Palazzi continua a rimanere svuotata in attesa di una ristrutturazione che mai decolla. Le nuove celle appaiono dignitose e dispongono di bagni con doccia separati, lavandino, bidè, angolo cottura e tv aperta 24 ore su 24. Il sovraffollamento rende inoltre la promiscuità più difficile da gestire e le attività di reinserimento rischiano di andare disattese. Attualmente circa l’80% dei ristretti sono cittadini stranieri, molti dei quali accusati di spaccio di droga e reati contro il patrimonio. Le comunità carcerarie più presenti sono quelle rumene e albanesi. Permane significativo anche il numero dei magrebini, soprattutto tunisini e marocchini, pur se inferiore rispetto ad alcuni anni fa. E tra i reclusi africani sono i nigeriani ad avere la rappresentanza più cospicua. Con l’indulto, nel Veneto erano usciti dal carcere (e da arresti domiciliari, affido ai servizi sociali e semilibertà) poco più di 2700 detenuti, beneficiari dei 3 anni di sconto-pena concessi a chi aveva compiuto un reato prima di maggio 2006. Ma le entrate hanno già compensato le uscite. È come somministrare antipiretici ad un malato di polmonite: si abbassa la febbre, mentre l’infezione galoppa aggravando il quadro clinico. La promiscuità fuori controllo accentua inoltre il rischio di situazioni igienico-sanitarie da valutare con attenzione, pur in presenza di una struttura carceraria inaugurata all’inizio dell’anno in corso. I casi di scabbia, Hiv, epatiti e sifilide ne sono la più palese testimonianza. Eppure, dalle 24 alle 8,30 del mattino, non c’è più la guardia medica. Nei casi di necessità ed urgenza, i detenuti vengono condotti al pronto soccorso dell’ospedale. Con spese assai più sostenute degli asseriti risparmi. Eppure il mantenimento carcerario di un detenuto non costa meno di 200 euro al giorno, sia in relazione al consumo di luce, acqua e gas ma anche al vitto e all’assistenza sanitaria. Nei casi di patologie virali legate alla tossicodipendenza s’impone altresì l’assunzione di farmaci assai costosi per tempi prolungati. Il bilancio in rosso dell’universo-giustizia è fatto di tante voci che, sommate tra loro, producono una montagna di spese. E si registra un altro inquietante fenomeno. Circa l’80% dei detenuti dichiara di fare uso di droga. Alcuni dicono la verità, altri invece strumentalizzano la tossicodipendenza per ottenere i benefici di legge. Come nel caso di alcuni stranieri dell’Est che hanno assunto la droga prima di compiere alcune efferate rapine per poi usare, una volta arrestati, il loro stato di drogati a fini strumentali. Roma: Garante; 74 detenuti su 236 sono in Italia illegalmente
Asca, 7 novembre 2007
74 detenuti stranieri arrestati nel solo carcere di Regina Coeli a Roma, su un totale di 236, sono arrivati in Italia illegalmente. La notizia è contenuta dall’inchiesta affidata dal Garante comunale di Roma dei diritti delle persone private della libertà Gianfranco Spadaccia alla Associazione Medea: l’inchiesta si concluderà alla fine di dicembre ma alcuni dati parziali relativi ai mesi di agosto-settembre 2007 sono stai già anticipati. L’inchiesta, come detto, riguarda 236 detenuti stranieri arrestati: il numero dei detenuti romeni, sul totale degli interpellati, è stato di 130 pari a circa il 55 per cento. Gli altri provenivano: 11 dalla Polonia, 11 dall’Albania, 18 dai paesi dell’ex Jugoslavia compreso il Kosovo, 23 dagli altri paesi dell’est europeo (10 moldavi, 7 ucraini, 3 russi, 3 bulgari), 14 dai paesi del Magreb, 12 dal resto dell’Africa, 8 dai paesi asiatici, 6 dal Medio Oriente, 2 sono cittadini dell’UE. 74 sono entrato in Italia illegalmente, 162 no. Solo 46 sono in possesso di un permesso di soggiorno. Fra quelli che hanno risposto a questa domanda 87 hanno dichiarato di essere incensurati e 97 di avere precedenti penali. Per quanto riguarda i reati commessi quelli più frequenti sono il furto (65), la rapina (55) e la ricettazione (16) ma sono anche rilevanti i reati legati alla sessualità: 19 casi di violenza sessuale, 17 di sfruttamento della prostituzione e di riduzione in schiavitù. Cinque sono stati arrestati per omicidio e 10 per tentato omicidio, 14 per violenza, 6 per sequestro, 3 per estorsione. Per quanto riguarda gli stupefacenti 14 per violazione della legge Fini - Giovanardi e 5 per traffico: su 236 detenuti i tossicodipendenti erano 25 e gli alcool-dipendenti 12. "Ho ritenuto di dover anticipare questi dati parziali - ha dichiarato il Garante Gianfranco Spadaccia - per lo stesso motivo per il quale ho deciso all’inizio dell’anno di affidare alla associazione Medea lo svolgimento di questa inchiesta sui detenuti stranieri nelle carceri romane. Ritenevo e ritengo che per fronteggiare questa criminalità bisogna conoscerla analiticamente nelle sue diverse manifestazioni al fine di colpire quelle di criminalità organizzata e di contrastare, prevenire e limitare quelle che sono conseguenza di situazioni di degrado, di disgregazione e di miseria. Altrimenti si finisce per reagire solo alle emergenze e alle emozioni collettive". Treviso: all’Ipm un seminario sulla valenza sociale del lavoro
Redattore Sociale, 7 novembre 2007
Seminario conclusivo dell’iniziativa comunitaria Equal II. Il progetto ha coinvolto l’intero territorio nazionale; sperimentazioni locali nei territori di Milano, Treviso, Roma, Catanzaro e Palermo. Si parla di recupero dei minori reclusi negli istituti di pena, questa mattina a Treviso. Si parla della valenza sociale del lavoro e di strategie per la reintegrazione in società. Il tutto, nell’ambito dell’iniziativa comunitaria Equal II fase "Ipotesi di lavoro", che si conclude proprio questa mattina con il seminario trevigiano. Il progetto comunitario ha coinvolto l’intero territorio nazionale attraverso l’attività del ministero della Giustizia, mentre sperimentazioni locali sono state realizzate nei territori di Milano, Treviso, Roma, Catanzaro e Palermo. Nel corso del 2006 è stata dunque avviata anche nel Triveneto questa sperimentazione che "si propone di agire in favore dei ragazzi e delle ragazze dai 14 ai 25 anni inseriti nel circuito penale - come spiegano dall’istituto Don Calabria, responsabile del progetto -, ponendosi come obiettivo l’occupabilità e l’inclusione sociale degli stessi che risentono delle condizioni di discriminazione per la situazione giuridica che vivono, stati di esclusione a causa delle carenze socio-familiari, della condizione di straniero e di clandestinità. Gli elementi di discriminazione riguardano anche la bassa scolarità, l’appartenenza a gruppi emarginati e a contesti di illegalità". Nello specifico, nel carcere minorile di Treviso (unico istituto per minori del Veneto) è stato avviato un progetto durante il quale i giovani detenuti hanno acquisito competenze di computer grafica attraverso corsi di formazione professionale realizzati all’interno dell’istituto. Con la scelta, poi, di diversi referenti interni ed esterni è stato possibile coordinare e mediare il lavoro, dando allo stesso tempo una risposta alle esigenze dei beneficiari del progetto e a quelle delle realtà produttive che richiedono i lavori grafici. È stata quindi realizzata anche una Agenzia di servizi all’interno del carcere, in grado di rispondere alle esigenze di mercato. "Obiettivo del progetto era prima di tutto quello di fornire maggiori competenze specifiche per promuovere figure altamente professionali in grado di offrire prodotti competitivi sul mercato - spiegano ancora dal Don Calabria -. In questo modo è possibile promuovere il reinserimento sociale e lavorativo del giovane attraverso voucher e attestati che incrementino la sua autostima in ambito professionale". Lo sviluppo di competenze all’interno del sistema penitenziario ha anche l’importante scopo di utilizzare il tempo a disposizione durante il periodo della pena in modo costruttivo e, coinvolgendo le associazioni no profit, enti pubblici e le aziende attraverso azioni di sensibilizzazione è possibile anche favorire la domanda e l’offerta di commesse. Rossano (CS): concluso corso pittura "Ricostruire creando"
Quotidiano di Calabria, 7 novembre 2007
"Ricostruire Creando", è il nome del corso di pittura organizzato dall’Associazione Thourioi, con il patrocinio del Ministero della Giustizia, della Provincia di Cosenza, del Comune di Rossano e del Comune di Corigliano, che si è svolto nella casa circondariale di Rossano e ha visto coinvolti i detenuti dell’area di media e alta sicurezza, i quali, attraverso tre mesi di lezioni tenute dai maestri d’arte Sasà Santalucia e Antonio D’amico, hanno prodotto circa 60 quadri. Il corso terminerà venerdì 9 novembre prossimo, alle ore 16.00, nella sala teatro della Casa circondariale di Rossano con una manifestazione e un’asta di beneficenza. Il ricavato sarà utilizzato per la ristrutturazione di una stanza adibita ai bambini del Centro Trasfusionale di Rossano, diretta dal dott. Pata. L’intento di questo progetto era quello di trasmettere ai detenuti un linguaggio a loro purtroppo molte volte sconosciuto: il linguaggio dell’arte. Non dimentichiamo infatti che il carcere, oggi , è un contenitore di situazioni di povertà, miseria ed emarginazione, stesse situazioni che spesso s’incontrano all’esterno e che poi inesorabilmente vanno ad ingrossare le file della popolazione carceraria. Sono progetti come questo che permettono alle carceri di non essere solo luoghi di recupero ma anche di cultura, dimostrando che, anche in condizione di reclusione, si può coltivare arte e bellezza. A questi uomini è stata data la " libertà" di scegliere e loro hanno deciso di esserci con risultati davvero sorprendenti. I quadri realizzati sono un insieme di emozioni, colori e speranze, ma anche di malinconie e angosce che solo l’arte e la creatività riescono a far emergere. Durante la manifestazione saranno inoltre consegnati all’Amministrazione Penitenziaria di Rossano 200 libri donati da Eco Tv-Sky di Roma che andranno ad allestire una piccola biblioteca per i detenuti della media sicurezza. Saranno presenti alla serata di beneficenza personalità istituzionali dei Comuni di Rossano e di Corigliano, rappresentanti dell’Amministrazione Provinciale di Cosenza, esponenti dell’Amministrazione Penitenziaria e del Ministero della Giustizia e tante persone del mondo imprenditoriale e culturale del nostro territorio. Quella del 9 Novembre potrà essere per ognuno un’occasione per vedere da "dentro" un mondo spesso poco visto e conosciuto, ma che fa parte di tutti noi. Lecco: ecco i detenuti che promuovono il turismo montano
La Provincia di Lecco, 7 novembre 2007
Quando vi godrete la neve della Val Brembana, divorando le piste col vento tra i capelli, davanti avrete le Torcole, ma nel cuore vi converrà ringraziare il Monte Barro: è grazie a un progetto sperimentale del Parco di Galbiate che avverrà, infatti, il ripristino degli impianti sciistici dei Comuni di Foppolo e Valleve. "È in itinere la convenzione - conferma il Monte Barro - per un primo intervento di eccellenza finalizzato al ripristino di aree degradate tra i 1.500 ed i 2.000 metri di quota". Il Parco interviene col proprio "Centro Flora", riconosciuto a livello regionale: produce le essenze arboree da mettere poi a dimora sui versanti dove si sono verificati - per restare allo specifico caso - fenomeni di instabilità tali da pregiudicare la qualità e la sicurezza. La flora interviene in modo naturale, consolidando il terreno con le proprie radici e rivestendo le ferite aperte sui versanti dagli smottamenti. Il Parco del Barro guarda ai monti e anche a valle spaziando coi propri singolari programmi dallo sport alla promozione umana e al reinserimento sociale: un altro originale progetto al quale sta continuando a lavorare interessa i penitenziari. Escono dalle mani dei carcerati i gadget del Parco, che possono essere acquistati presso il centro visitatori, e già sono stati forniti - sempre dai detenuti - alcuni degli arredi di Villa Bertarelli, nuova sede del consorzio. Il Parco di Galbiate è l’unico ente del Lecchese a essere stato prescelto dalla Regione per collaborare con le carceri nell’ambito di un progetto grazie al quale i detenuti trovano sbocchi lavorativi. Il Monte Barro è stato coinvolto per "produzioni che possano rientrare tra le attività intra-murarie delle case circondariali, promosse per contenere il disagio sociale della reclusione". In queste e altre attività analoghe intervengono anche altre persone svantaggiate, come ex carcerati e soggetti affidati ai servizi sociali, per trovare dignitose opportunità di formazione e lavoro. Droghe: Torino; 4 anni di galera per un grammo di hashish di Raphael Zanotti
La Stampa, 7 novembre 2007
Chiamatela giustizia italiana, chiamatelo paradosso, schizofrenia giuridica o effetto perverso. Ma i fatti restano, e sono questi: il marocchino Mohammed Nebil, domenica scorsa, è stato arrestato a Torino per aver ceduto 1,03 grammi di hashish e per questo, ieri mattina, è stato condannato a 4 anni e due mesi di reclusione. Chiamatela bizzarria, controsenso o curiosità da legulei, ma i fatti restano e sono anche questi: nel 2003 Salvatore Ferraro, ex assistente di Filosofia del diritto alla Sapienza di Roma, veniva condannato per il favoreggiamento di Giovanni Scattone nell’omicidio di Marta Russo. La pena inflitta? Quattro anni e due mesi. Da una parte due spinelli, dall’altra la vita stroncata di una studentessa. Questa incredibile coincidenza, il marocchino Nebil, la deve anche e soprattutto a una legge: la Fini - Giovanardi che quando incrocia sul suo cammino la ex Cirielli, produce fenomeni giuridici piuttosto insoliti. Il suo è il primo caso, ma tutti gli operatori del diritto sanno che è solo la goccia che annuncia la tempesta. Presto o tardi saranno migliaia i casi simili a quelli di Nebil e le carceri italiane si riempiranno di piccoli spacciatori con condanne pesanti. Per capire il perché è necessario raccontare che cosa è accaduto a Torino. Nebil, domenica sera, è a Porta Palazzo, zona multietnica. È in strada e passeggia col cellulare all’orecchio. Una pattuglia della polizia in servizio antidroga lo scorge e trova il suo atteggiamento sospetto. Lo segue. Tenere sotto osservazione il marocchino è una buona mossa perché dopo qualche minuto a Nebil si avvicina un italiano in bici. Un rapido sguardo circospetto e nelle mani del ragazzo spunta una banconota che Nebil è lesto a intascare restituendo in cambio tre "pezzi" di hashish. Una tipica cessione di droga, frequente nelle metropoli. La polizia aspetta che il ragazzo si allontani e lo ferma. L’italiano indica Nebil. Il marocchino, che si è spostato di poco dal luogo dello scambio, è arrestato con l’accusa di spaccio di sostanze stupefacenti. Nebil non sembra preoccupato. D’altra parte per lui non è una novità visto che ha alle spalle altri precedenti. Sarà forse per questo che ieri mattina, quando arriva davanti al giudice Odilia Meroni al processo per direttissima, crede di cavarsela con poche parole: "Ho una figlia di 5 anni e una convivente che mi aspetta a casa...". Pensa forse di uscire presto di prigione. E così la pensa anche il suo avvocato. Invece la pubblica accusa, Cosimo Maggiore, chiede per il marocchino Nebil una stangata. La legge Fini - Giovanardi ha infatti equiparato le droghe leggere a quelle pesanti. La pena prevista va dai 6 ai 20 anni. A pesare sulla situazione, inoltre, ci sono i precedenti di Nebil: negli ultimi 5 anni il marocchino ha collezionato una condanna definitiva a 8 mesi per droga e resistenza a pubblico ufficiale (stesso reato e quindi recidiva specifica) e una pena inflitta in primo grado per rapina. Il che - come si dice in gergo - non permette al giudice di considerare "le attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante della recidiva". In soldoni: niente riduzioni. Il passato di Nebil costa caro al marocchino: sei anni e tre mesi che diminuiti di un terzo per la direttissima (automatismo previsto dalla legge per chi sceglie riti alternativi facendo in questo modo risparmiare tempo e denaro alla giustizia), vale appunto quattro anni e due mesi. Esattamente quanto prese Ferraro nel caso Marta Russo. E dire che proprio il ministro dell’Udc Carlo Giovanardi, cofirmatario delle nuove norme sugli stupefacenti, nel 2006 aveva difeso Ferraro dalle polemiche scoppiate per la sua assunzione ad assistente della Camera da parte del presidente della Commissione attività produttive Daniele Capezzone. "La possibilità di reinserimento è garantita dalla Costituzione", aveva sentenziato. È probabile che al marocchino Nebil, da dietro le sbarre del carcere di Torino (dove è tornato dopo la sentenza e dove resterà per molto tempo), il garantismo dell’ex ministro deve suonare perlomeno un po’ stridente.
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