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Giustizia: sul pacchetto sicurezza, "braccio di ferro" al Senato di Marco Ludovico
Corriere della Sera, 30 novembre 2007
Percorso a rischio per il pacchetto sicurezza al Senato, mentre slitta il via libera in Consiglio dei ministri del ddl sulla prostituzione. Incertezze del decreto. Dopo l’avvio di ieri con la bocciatura delle eccezioni di incostituzionalità, martedì riprende nell’Aula di Palazzo Madama (dove è arrivato senza il relatore) l’esame del decreto espulsioni e Rifondazione Comunista - che in sostanza subisce il provvedimento - minaccia governo e maggioranza. Il capogruppo Giovanni Russo Spena non scioglie la riserva: "Dipende dal testo che verrà fuori; un minuto prima del voto riuniremo il gruppo, lo valuteremo e decideremo come votare". Il timore del Prc è l’accordo tra la maggioranza, in particolare i centristi, e l’opposizione, su alcuni emendamenti trasversali. "Se un’alleanza tra settori centristi e destre facesse passare emendamenti che noi riteniamo xenofobi, il nostro sarebbe un voto sfavorevole" annuncia Russo Spena. Il suo partito chiede anche l’abolizione dei Cpt (i Centri di permanenza temporanea per gli immigrati) ma la Cdl farebbe fuoco e fiamme se la proposta fosse accolta. Cesare Salvi (Sinistra democratica) dice che l’intesa governo-maggioranza è più vicina grazie all’impegno del Partito democratico e del ministro dell’Interno ma avverte che il governo deve eliminare dal provvedimento gli aspetti anticostituzionali e più lontani dalle direttive europee. Altrimenti Sd voterà contro. L’ipotesi di mettere la fiducia è esclusa al momento da Palazzo Chigi: "Per ora la regola è dialogo e confronto su tutto" fanno sapere fonti governative.
Il problema dei fondi
Rimane in ballo il tema delle risorse per la sicurezza. L’opposizione con Alfredo Mantovano (An) e Francesco D’Onofrio (Udc) afferma che il pacchetto non ha copertura economica; Giannicola Sinisi (Partito democratico) replica che non è vero. Fatto sta che il presidente del Senato, Franco Marini, chiede che si faccia di più "per ricerca e sicurezza". E domani a Milano una ventina di sigle sindacali delle forze di polizia - tra cui Siulp e Silp-Cgil - e le rappresentanze militari, protestano in piazza contro la Finanziaria che, a loro avviso, prevede risorse largamente insufficienti per il settore.
Prostituzione, slitta il ddl
Al Consiglio era prevista l’assenza "giustificata" per impegni esterni del ministro dell’Interno, Giuliano Amato. Il titolare per le Pari opportunità, Barbara Pollastrini, ha chiesto una maggiore consultazione con la rappresentanza del mondo femminile. I ministri Francesco Rutelli e Linda Lanzillotta hanno poi sollevato eccezioni sul potere assegnato dal testo di legge ai Comuni, che potrebbe creare disuguaglianze da città a città dando troppa discrezionalità ai sindaci. Il responsabile del Commercio estero, Emma Bonino, avrebbe ribadito la sua contrarietà al provvedimento essendo favorevole a una sorta di liberalizzazione nel settore. L’opposizione trova così occasione facile per attaccare sul rinvio di un disegno di legge dal parto certamente lungo e travagliato. Giustizia: Ferrara (Dap); 1.000 detenuti in più ogni mese
Redattore Sociale, 30 novembre 2007
Sono ormai 1.000 - 1.200 i nuovi ingressi ogni mese. Stranieri al 37% (+ 4% in un anno). "Ma la clemenza non è stata inutile: aperte possibilità di risposte diverse dalla pura edilizia carceraria". L’indulto sta già esaurendo i suoi effetti benefici in termini di riduzione della popolazione carceraria. Se dopo il 31 luglio 2006 i detenuti erano scesi a 38 mila unità, oggi stiamo di nuovo sfiorando quota 49.000, con un ritmo di crescita mensile di 1.000 - 1.200 nuovi ingressi. A renderlo noto nel corso del quarantesimo convegno annuale del Seac (Coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario) è stato questo pomeriggio Ettore Ferrara, direttore del Dipartimento amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, che ha spiegato come si stia rapidamente scivolando verso una situazione di sovraffollamento del tutto analoga a quella precedente il provvedimento di clemenza. L’indulto è stato dunque inutile? "No - si è risposto - Ferrara perché grazie ad esso si è aperto uno spazio di azione", che ha consentito di pensare a risposte "che non possono ridursi ad un programma di edilizia carceraria assolutamente inadeguato sia in termini numerici che economici". Nei prossimi anni, ha aggiunto il direttore del Dap, è previsto comunque un incremento di appena 4.000 - 4.500 posti Le soluzioni, dice Ferrara, vanno cercate piuttosto "nell’estensione dell’area delle esecuzioni esterne", cioè nello sviluppo di sanzioni e misure alternative, del potenziamento della giustizia riparativa e di spazi normativi "che devono aiutarci ad applicare concretamente il dettato costituzionale nelle nostre carceri". In una situazione sempre più complessa e resa più problematica dal vertiginoso aumento di cittadini stranieri dietro le sbarre - siamo oggi al 37% secondo i dati elaborati dal Centro studi "Ristretti Orizzonti", contro il 33 % dello scorso anno - il ruolo del volontariato carcerario diventa sempre più fondamentale. Nel ringraziare il Coordinamento per il lavoro svolto in questi 40 anni, Ferrara ha rinnovato l’impegno dell’amministrazione penitenziaria a lavorare in piena collaborazione con il volontariato. Di qui l’idea di creare un Osservatorio di monitoraggio sulle diverse realtà territoriali che aiuti a rimuovere gli ostacoli che ancora esistono per il pieno dispiegamento dell’attività dei volontari che hanno raggiunto, secondo i dati del Seac, la quota di 1.860 unità. Giustizia: Laganà: (Seac); no alla mera "logica di servizio"
Redattore Sociale, 30 novembre 2007
Laganà: (Seac): "Dobbiamo opporci fermamente alla vertiginosa crescita della popolazione carceraria, promovendo l’applicazione di misure alternative". Secondo Nozza (Caritas) "lo sguardo del volontario" può fare la differenza. Qual è il ruolo del volontariato davanti ad un carcere che non riabilita, alle carenze strutturali e motivazionali del personale degli istituti, alle condizioni desolanti in cui vivono oggi molti detenuti? Sono solo alcune delle domande che Elisabetta Laganà, presidente del coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario (Seac) ha aperto ieri pomeriggio alla platea del 40esimo convegno nazionale ospitato dall’Istituto Suore Maria Bambina. Continuare ad interrogarsi sul proprio ruolo è di per sé un aspetto importante, ha detto la Laganà: "Il volontariato non deve ridursi ad una mera logica di servizio, limitandosi ad intervenire laddove le carenze del sistema creano emergenze. Né può, d"altra parte, appiattirsi su un approccio puramente sociologico ai problemi". Accanto al lavoro che quotidianamente viene svolto con le "persone" detenute, è necessario far sentire la propria voce e "opporsi fermamente alla vertiginosa crescita della popolazione carceraria a cui stiamo assistendo, promovendo l’applicazione di misure alternative". Questo non significa legittimare la devianza o convalidare un sistema di garanzia che deresponsabilizza il detenuto, ma semplicemente battersi per raggiungere "una pena rispettosa del dettato costituzionale". Un obiettivo che davanti alla situazione attuale delle nostre carceri sembra piuttosto un miraggio. Esaurito in breve tempo l’effetto tampone prodotto dall’indulto, il numero dei detenuti è tornato a crescere al ritmo di 1.000 - 1.200 nuovi ingressi mensili, riportando la popolazione carceraria poco sotto la soglia delle 49.000 unità (contro 38.000 del 31 luglio 2006). Con l’incremento delle detenzioni, torna a crescere anche il numero di bambini costretti a vivere in carcere: siamo passati dai trenta dello scorso luglio a cinquanta. E, più in generale, stiamo di nuovo scivolando in una condizione di sovraffollamento che rende invivibili molti dei nostri istituti di detenzione, aggiungendo disagio ad altro disagio, in un clima di forte immiserimento umano. È in contesti come questi, ha spiegato il presidente della Caritas Italiana Vittorio Nozza, che lo "sguardo del volontario", la sua capacità di rivolgersi alla persona con un linguaggio diverso da quello della giustizia e della burocrazia, può fare davvero la differenza. Intervenendo davanti ad una platea composta da molti addetti ai lavori, Monignor Nozza ha indicato tre grandi possibilità di intervento per il volontariato penitenziario. "Lavorare sul rapporto con i singoli e con i gruppi, per ridare senso, risocializzare e ricollocare socialmente" persone che si sentono ai margini della società. "Curare il mondo familiare dei detenuti, che vive molto spesso la stessa solitudine, lo stessa emarginazione sperimentata all’interno del carcere". Ultimo e più difficile compito del volontario, ha detto Monsignor Nozza, "la possibilità di adoperarsi in quella delicatissima opera di mediazione che è la riconciliazione tra i colpevoli e le vittime dei reati". Giustizia: una vita dignitosa è garanzia contro la devianza
Redattore Sociale, 30 novembre 2007
L’ex consigliere della Corte di Cassazione al convegno del Seac: "La devianza, strumento per sopravvivere". Al volontariato il ruolo di portare il carcere fuori dal carcere. Ripartire dalle cause e dalle conseguenze della detenzione per comprendere i difetti del nostro sistema penale. Ha il sapore della provocazione l’intervanto che Gerardo Colombo, ex consigliere della Corte di Cassazione, ha svolto ieri al convegno nazionale del Seac, il Coordinamento degli enti e associazioni di volontariato penitenziario che celebra quest’anno il suo quarantesimo anniversario. "Fino a quando penseremo alla sanzione come pena, una sofferenza da infliggere all’individuo in misura proporzionale al male arrecato, saremo in contraddizione non solo con i principi fondamentali della Costituzione ma anche con quelli della nostra società". E questo perché, ha spiegato il magistrato, il modello sanzionatorio correntemente applicato nelle carceri è tipico di un modello di comunità gerarchico e piramidale, che sopravvive oggi in società che aspirano ad essere egualitarie e rispettose dei diritti umani, come una contraddizione profonda. Che si esplica a partire dall’incapacità di agire preventivamente sulle ragioni della devianza: "Applichiamo un unico rimedio ad una gamma di situazioni che siamo incapaci di distinguere. Ci sono persone che detenute in carcere necessariamente recidiveranno, perché la devianza è lo strumento attraverso il quale possono sopravvivere o salire almeno un gradino della scala sociale". In questi casi, è ovvio, la soluzione non può essere né il carcere, né la sanzione alternativa, spiega Colombo: "bisogna che queste persone abbiano la possibilità di vivere dignitosamente". Premesso che molto deve essere risolto prima del carcere, "se pensiamo che la sanzione deve essere utile all’individuo e alla società nel suo complesso in un’ottica di riabilitazione, allora siamo ancora lontani dall’obbiettivo". Consentire che la giornata tipo di un detenuto si svolga per 21 ore all’interno di una cella, racconta Gherardo Colombo basandosi su un’esperienza diretta all’interno delle strutture carcerarie, è il presupposto stesso per spingerlo a commettere altre violazioni. "L’articolo 4 della Costituzione italiana indica come dovere di tutti i cittadini - e non solo dei cittadini liberi - di svolgere attività, a loro consone, che concorrano al progresso materiale o spirituale della società". Come si vede, la strada da percorrere per completare quello che è a tutti gli effetti un "processo di modifica della mentalità di base" è ancora lunga. Nel frattempo una delle soluzioni praticabili è quella di coinvolgere il mondo esterno su questi problemi, riportando il tema del carcere all’attenzione dell’opinione pubblica. "Come la morte, come la malattia, il carcere è uno di quelle realtà rimosse dalla nostra cultura. Ma un’esperienza come quella di "Mani pulite", che portò più di una persona importante a visitare gli istituti di reclusione, ci insegna che tornare a parlare di carcere è utile: allora qualcosa si mosse, qualcosa fu aggiustata, almeno temporaneamente". Tra le funzioni fondamentali che svolge oggi il volontariato penitenziario c’è proprio quella di portare il carcere fuori dal carcere, oltre quegli ambienti ristrettissimi di addetti ai lavori per riflettere e trovare soluzioni condivise. Infine la provocazione: "Perché non partire proprio dall’esperienza dei detenuti per ripensare l’organizzazione del sistema carcerario?" chiede Gherardo Colombo. Giustizia: l’Associazione Papa Giovanni contro l’ergastolo
Vita, 30 novembre 2007
L’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII pregherà il S. Rosario davanti alla Casa di Reclusione di Spoleto il 4 dicembre alle ore 16 e nei pressi della Casa di Reclusione di S. Gimignano il 7 dicembre alle ore 19, per sostenere i detenuti ergastolani e le loro famiglie. A queste preghiere parteciperanno le Case Famiglia dell’Umbria, delle Marche, dell’Abruzzo, della Toscana e le realtà ecclesiali e di volontariato che vorranno intervenire. Con questi eventi l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII intende affermare la necessità di abolire l’ergastolo per dare un tempo di recupero della persona con un progetto educativo che gli dà la libertà di cambiare. L’ergastolo è incostituzionale perché l’art. 27 della nostra Costituzione recita così: "le pene devono tendere alla rieducazione del condannato". Inoltre, la Legge n. 354 dell’Ordinamento Penitenziario afferma che: "nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi"; quale educazione è possibile senza speranza di uscire? Le persone condannate all’ergastolo con la motivazione di avere agevolato l’attività dell’associazione criminosa (Divieto di concessione di benefici: art. 4 bis l. 354 del 1975) non potranno uscire mai dal carcere e dunque non si può parlare del fine rieducativo della pena. L’ergastolo in sé non ha senso, solo un tempo di recupero della persona con un progetto educativo fa cambiare la persona interiormente. Si devono costruire "comunità educative" per detenuti capaci di sradicare sentimenti, atteggiamenti, azioni criminose e innestare una nuova mentalità in cui prevale la scelta alla vita. Lo Stato ha il diritto e il dovere di interpellare noi come Comunità Papa Giovanni XXIII e tutto il privato sociale, di sostenerlo in ogni modo affinché dalla certezza della pena come risposta alla paura si possa giungere alla certezza del recupero come risposta adeguata ad una società sempre più violenta che si illude di vincere il male con il male. La Comunità Papa Giovanni XXIII lotta per l’abolizione dell’ergastolo a fianco dei detenuti con un tempo di preghiera e digiuno e di sensibilizzazione delle realtà diocesane, di volontariato e dei mass-media. In particolare, si terranno dei momenti di preghiera e digiuno davanti alle carceri insieme a tutte le persone che vorranno intervenire. La Comunità Papa Giovanni XXIII da anni opera nel mondo carcerario sia in Italia sia all’estero attualmente ospita nelle sue strutture circa 250 detenuti in misure alternative che svolgono il programma terapeutico perché tossicodipendenti e circa 50 detenuti comuni che svolgono ugualmente un programma preciso e personalizzato all’interno di case famiglia o strutture più appropriate. Le oltre 200 case famiglia, le 60 sedi operative di cooperative sociali, le 15 comunità terapeutiche per tossicodipendenti, i 12 pronti soccorso sociali e le varie opere promosse e sostenute dalla Comunità Papa Giovanni XXIII offrono quell’insieme di risposte personalizzate che servono al detenuto per un riscatto vero e definitivo, che si rende concreto secondo il progetto "Oltre le Sbarre". Uepe: Uil-Penitenziari su bozza di decreto interministeriale
Blog di Solidarietà, 30 novembre 2007
In riferimento alla bozza di decreto sulla sperimentazione dei nuclei di verifica di Polizia penitenziaria presso gli Uepe, inoltrata alle OO.SS. con nota 363641 del 22 novembre u.s., si debbono, purtroppo, riformulare le obiezioni già espresse in occasione dell’ ultimo incontro sul tema. La nuova bozza, di fatto, ripropone le stesse previsioni della precedente in termini di ingerenze tra le diverse figure professionali; di ambiguità rispetto ai criteri generali dell’attività da svolgere; di confusione in materia di strutture, procedure di verifica e di coordinamento. Analogamente un giudizio assolutamente negativo si esprime in relazione alla selezione e formazione del personale. Per questa O.S., appare ineludibile redigere un decreto che ponga al centro del progetto le prerogative in materia di sicurezza che appartengono, per norma, al Corpo di Polizia Penitenziaria. D’altro canto se l’obiettivo è un maggior ricorso alle misure alternative ciò potrà conseguirsi, senza alimentare ulteriori preoccupazioni nella società, solo assicurando questi controlli che oggi, a detta di tutti, sono insufficienti o inesistenti. Per questo un sistema di controllo affidato al Corpo di Polizia Penitenziaria dovrà essere articolato senza inopportune ingerenze. Conseguentemente riteniamo che occorra porre al centro le prescrizioni contenute nel programma di trattamento e, quindi, il controllo delle stesse e non già il " programma di trattamento ed inclusione sociale". L’attività di controllo, inoltre, deve poter essere esercitata verso tutte le misure alternative al carcere - in forma autonoma e senza condizioni di sorta che, inevitabilmente, potrebbero vanificarne l’efficacia (commi 3 e 4 art.2)-. Ovviamente nella sola fase di sperimentazione il controllo potrebbe essere esercitato solo verso alcune misure alternative. Coerentemente con quanto già asserito si ribadisce che, per questa O.S., la collocazione di tali Nuclei di Controllo possa essere individuata all’interno dei Nuclei T.P. e posti alle dirette dipendenze dei Direttori degli Uffici Sicurezza presso i PRAP e, quindi, del Provveditore Regionale. Fermo restando successivi accordi, in materia di selezione del personale, si ribadisce l’opportunità di specificare nel decreto che il personale già in servizio presso gli UEPE abbia diritto a concorrere per l’impiego presso i Nuclei di Controllo. Per quanto attiene al percorso formativo, pur ribadendo la valenza della formazione stessa, si ritiene che l’accesso ai Nuclei debba avvenire esclusivamente attraverso le risultanze delle graduatorie, redatte in base a criteri condivisi e in linea con quanto previsto dal vigente ANQ, senza che il corso di aggiornamento preveda esami finali e , per di più, attraverso il ricorso a colloqui selettivi. D’altro canto l’istituzione di Commissioni aggrava i costi complessivi rinnegando l’orientamento di codesta Amministrazione in tema di razionalizzazione delle spese, come ben sanno gli operatori della polizia penitenziaria e del Comparto Ministeri. Ben altre, diverse, dovrebbero essere le Commissioni da prevedersi. Di particolare utilità potrebbe rivelarsi l’istituzione di una Commissione preposta all’accertamento del grado di conoscenza di molti Dirigenti Penitenziari in materia di relazioni sindacali e diritti del personale posto alle loro dipendenze, con relativi percorsi formativi e/o di aggiornamento. Appare opportuno ribadire che l’attività di controllo dei soggetti ammessi a misure alternative rientra nei compiti di attività di polizia che, si presume, il personale della p.p. abbia già nel suo bagaglio professionale perché, si immagina, già formato dalle varie articolazioni di codesta Amministrazione, che non lesina spese in materia di aggiornamento. D’altro canto non risulta a questa O.S. che gli altri Corpi di Polizia per attendere a tali controlli abbiano predisposto percorsi formativi specifici. Dover prendere atto, allora, di reiterate proposte che finiscono per comprimere il ruolo e la professionalità dei poliziotti penitenziari, senza tener conto delle posizioni espresse dalla maggior parte delle OO.SS., ingenera, in questa O.S., dubbi sulla reale volontà da parte di codesto Dipartimento di voler determinare organi di controllo efficienti ed efficaci in grado di rispondere alla domanda di maggior sicurezza dei cittadini che, ci sembrava di aver colto, fosse l’orientamento alla base della proposta stessa formulata dal Ministro della Giustizia. Per quanto sopra nel riaffermare l’assoluta incondivisione della proposta formulata si resta in attesa di una ulteriore convocazione delle OO.SS. per il prosieguo del confronto.
Il Segretario Generale C. Eugenio Sarno Padova: scuola e carcere… in aula, anzi dietro le sbarre di Elvira Scigliano
Il Mattino di Padova, 30 novembre 2007
Il carcere incontra gli studenti delle scuole superiori di Padova e provincia e il progetto diventa un libro, "La pena raccontata ai ragazzi". Giovanissimi studenti alle prese con i fantasmi delle sbarre e dei reati, così lontani eppure vicini. Gli incontri tra "scuole e carcere" sono stati 91, 75 nelle scuole con i detenuti in permesso per parlare con i ragazzi e altri 16 in carcere. Così più di 600 ragazzi delle scuole superiori hanno "assaggiato" la galera, avendo la possibilità di interrogare i detenuti ed esprimere i loro dubbi a magistrati, educatori, agli agenti di polizia penitenziaria e volontari. Spiega il professore Antonio Bincoletto del liceo delle Scienze sociali Marchesi-Fusinato: "per lo più gli adolescenti conoscono il bianco e il nero, le sfumature sfuggono ad una visuale intransigente. O, nelle migliori delle ipotesi, i carcerati sono il riflesso stereotipato di film e tv. Invece il carcere dal vivo è più duro, si rivela "insegnante" che non ti dà via di scampo". Tanto che dall’anno prossimo il progetto sarà inserito nel curriculum dei ragazzi del Marchesi-Fusinato. Spiega Bincoletto: "Niente di stravagante, anzi concretizziamo la teoria. La scuola deve misurarsi con la realtà e il carcere ne è una parte". L’interesse degli studenti c’è, tant’è qualche volta i rapporti con i detenuti continuano, come dimostra il lungo epistolario di una studentessa ormai diplomata con un ergastolano della Casa di Reclusione di Padova. Padova: in Piazza dei Signori iniziative contro pena di morte
Il Mattino di Padova, 30 novembre 2007
Giornata mondiale contro la pena di morte: oggi Padova si mobilita di nuovo. Verrà illuminata la Torre dell’Orologio, mentre dalle 16.30 in piazza dei Signori si raccolgono firme a sostegno della moratoria universale della pena di morte. Alle 20.45 in Sala Anziani a palazzo Moroni Marietta Jaeger-Lane - che nel 1997 ha fondato con altre vittime di omicidio di familiari l’associazione "Viaggio nella speranza, dalla violenza al perdono" - racconterà la sua esperienza. La figlia Susie, sette anni, venne rapita durante una vacanza nel Montana. Per un anno non si seppe più nulla. Finché Marietta lanciò l’appello e il rapitore le telefonò, raccontando come e dove aveva ucciso la bambina. Da allora la signora Jaeger-Lane si batte contro la pena di morte. La campagna per la moratoria viene rilanciata dal Comune di Padova insieme a Comunità di Sant’Egidio, Amnesty International e Granello di sabbia. Venerdì pomeriggio in piazza dei Signori è stato organizzato anche il workshop creativo a cura di Anna Piratti: "Non vale la pena" sarà una performance con i passanti, invitati a inchiodare letteralmente i nomi di 200 giustiziati. Fino al 14 dicembre proseguono in città le iniziative "Diritti più umani". È la seconda edizione e, come ricorda l’assessore Claudio Piron, "è un dovere del Comune far spazio all’impegno civile per i diritti fondamentali di tutti". Bologna: il Consiglio comunale per un giorno va in carcere
www.emilianet.it, 30 novembre 2007
Presenti all’assemblea, svoltasi nella sala teatro della Dozza, una trentina di detenuti, agenti e la direttrice. Per un giorno niente scranni né affreschi e nessun via vai di consiglieri tra Odg e delibere. Solo sedie di plastica e pausa sigaretta al freddo, circondati dalle garitte. È il Consiglio straordinario del Comune di Bologna che per la prima volta si è svolto all’interno del carcere. Un’occasione per detenuti e agenti per raccontare il loro mondo, fatto di tre persone in 10 metri quadri (compresi a volte topi e scarafaggi), docce fredde da tre mesi e 19 impiccagioni sventate in un anno. Ad accogliere l’assemblea nella sala teatro della Dozza c’erano una trentina di detenuti, qualche agente di polizia penitenziaria e la direttrice della casa circondariale Manuela Cerasani. Un carcere, quello bolognese, che passato l’effetto indulto, soffre di nuovo di sovraffollamento con 1.051 detenuti di cui il 66% stranieri. Tra i politici in trasferta il sindaco Sergio Cofferati e due assessori, Giuseppe Paruolo e Cristina Santandrea. Ospite anche la Garante delle persone private della libertà personale, Desi Bruno. In apertura del Consiglio il saluto del primo cittadino, rimasto alla Dozza una decina di minuti per via di un altro impegno. Convinto che la permanenza in carcere debba essere intesa come "un’interruzione e non come una strada senza ritorno", Cofferati ha ribadito che "la speranza è fondamentale" e, su richiesta di un detenuto, ha promesso di tornare presto per discutere dei problemi caldi del carcere. Poi ha ringraziato chi, a nome della popolazione carceraria, gli ha fatto gli auguri per il figlio Edoardo, nato qualche settimana fa. Poi la parola è passata ai protagonisti dell’assemblea, i detenuti, che hanno dato una lezione di sintesi ed efficacia ai consiglieri denunciando in breve problemi e speranze. "Da tre mesi abbiamo solo l’acqua fredda e siamo costretti a riscaldarla nel pentolino o a fare la doccia alle 5 del mattino perché sia tiepida", ha urlato Elena, da due anni alla Dozza. "Ogni sera il carrello passa sempre lo stesso cibo, brodo e uova - ha ricordato Gabriele, in carcere per droga - e poi nelle celle ci sono scarafaggi e topi e le condizioni igieniche peggiorano per chi non ha nessuno fuori". Alcuni detenuti infatti si ammalano anche solo passandosi le lamette da barba, consentite solo in alcuni casi dalla direzione. Sul tavolo anche la mancanza di lavoro (riservato a chi ha una situazione giuridica definita, un quinto del totale), i dubbi sul futuro, la gestione di amicizie e relazioni sentimentali, il rispetto per le abitudini alimentari dei detenuti islamici. A lamentarsi, però, anche la polizia penitenziaria: 566 gli agenti, in sotto organico di 190 unità, che in un anno hanno gestito 141 casi di detenuti che si sono autolesionati. Prima del congedo, il consigliere Sergio Lo Giudice ha proposto un odg per chiedere alla Giunta di ripristinare le condizioni igienico-sanitarie, costruire nuove occasioni di lavoro dentro e fuori il carcere, incentivare le attività culturali. Poi le celle si sono richiuse. Cosenza: una visita al carcere dell’On. Franco Laratta (Pd)
Asca, 30 novembre 2007
Il deputato on. Franco Laratta ha fatto visita questa mattina al carcere di Cosenza. È la prima di una serie di visite alle carceri calabresi e ad alcuni istituti penitenziari del Lazio. Lo scopo è quello di verificare la situazione nelle carceri italiane dopo l’indulto dello scorso anno. Per capire gli effetti di quel provvedimento, per sapere quanti detenuti sono rientrati in carcere, per verificare le condizioni degli istituti di pena e dei reclusi. L’on. Laratta già lo scorso anno si fece promotore di una simile iniziativa insieme ad altri parlamentari. Diversi istituti di pena vennero visitati prima e dopo l’approvazione dell’indulto. Secondo il parlamentare "bisogna conoscere meglio l’attuale situazione delle carceri in Calabria e nelle altre regioni italiane, affinché il legislatore prima di adottare qualsiasi decisione possa conoscere e approfondire la situazione. Ho l’impressione che molte cose continuino a non andare per il verso giusto. Per questo voglio capire e approfondire. Del resto sono da sempre convinto che il carcere, così com’è concepito e come funziona nel nostro Paese, non rispetta la sua funzione fondamentale: la rieducazione del condannato. Un problema grave e drammatico al quale non si riesce a dare risposta da troppi decenni". Torino: Giuseppe, detenuto in semilibertà, apre il suo blog di Lorenza Provenzano
Libero, 30 novembre 2007
È colto. Di profonda intelligenza. Sensibile, aperto e, come ammette lui stesso, "convinto delle proprie capacità". E tuttavia la vita, che avrebbe potuto riservargli grandi soddisfazioni, ha subito a un certo punto un brusco cambiamento di rotta: "Può capitare a chiunque di finire come me, detenuto - dice Giuseppe, autore del blog Carcere e società - è questo quel che vorrei far capire alla gente". Carcere, sbarre, secondini, celle: questa è la dimensione che, da sedici anni a questa parte, regola l’esistenza di un uomo "capitato per caso" in una disavventura più grande di lui. Pesantissima la condanna che ha cambiato la sua vita: 28 anni. "Una sentenza ingiusta - dice -, ma di questo non voglio parlare". Ha 44 anni, Giuseppe. Una figlia di 23, studentessa universitaria, e due amatissimi genitori. "I familiari non ti abbandonano mai, come potrebbero? - dice - e se non fosse stato per loro non sarei riuscito a fare quello che ho fatto". Allude, Giuseppe, alla decisione di lasciare, nel 2001, il carcere di Lecce, la città dov’è nato e dove vivono i suoi cari, chiedendo lui stesso il trasferimento nell’istituto di pena di Torino: "L’ho fatto, d’accordo con i miei - spiega -, perché qui avevano aperto un polo universitario dentro il carcere: volevo laurearmi". E così è stato: dopo anni di studio proficuo, è arrivata la laurea in Scienze politiche, con una tesi su Devianze e criminalità. "È stato grazie alla mia tesi - aggiunge - che ho potuto trovarmi un lavoro fuori e godere del regime di semilibertà". "La gente - lamenta - non sa nulla, ma proprio nulla del carcere. Conosce solo la figura del detenuto, del mostro. Ma noi siamo persone, con sentimenti e ansie normali. Il carcere fa parte della nostra vita, ma noi non finiamo lì". Ed è per questo che Giuseppe ha deciso di aprire, su Libero, un blog interamente dedicato a quella che è diventata una sua missione, di vita e professionale: far conoscere a tutti la sostanza e le problematiche della vita carceraria. "Ho sempre pensato che la vita è bella - dice - e che va vissuta da protagonista. E così anche il carcere, altrimenti muori dentro". È convinto, Giuseppe, che l’ignoranza e l’enfasi mediatica su un’emergenza criminalità che non trova giustificazione nelle statistiche ("L’immigrazione è cresciuta del 20% e i reati solo dell’1%, però se tu ascolti i Tg non si parla d’altro che di cronaca nera") renda la gente giustizialista. "Per esempio, molti sono convinti che il regime di semilibertà significhi che ormai sei fuori e te la godi. Per nulla. Io alle sette esco e vado al lavoro, alle 22.30 torno. Se devo fare una telefonata, devo inoltrare la "domandina", un modulo da compilare, in sostanza, e lo faccio per il tal giorno alla tal ora. Poi, quando arriva il momento, magari mi dicono che non posso telefonare a casa perché la domanda non è stata accolta. E io intanto m’ero illuso. Se devo fare una doccia, stessa storia. Può saltar fuori un operatore a dirmi che no, la doccia me la potrò fare quando vorrà lui. E questi sono solo alcuni esempi degli infiniti soprusi e delle umiliazioni che si patiscono là dentro, di cui nessuno sa nulla". Errore giudiziario, ingiustizia o devianza: qualunque cosa porti un uomo in carcere, Giuseppe dice che nessuno può dirsene estraneo a prescindere. "Anch’io pensavo che a me non sarebbe mai accaduto e invece...", commenta. Il punto è, a suo dire, che il reato non nasce come effetto di una tendenza a delinquere più o meno connaturata, ma come effetto dello stesso diritto penale. "Considera il consumo personale di stupefacenti, per esempio - argomenta Giuseppe -: dopo la legge Giovanardi-Fini, le carceri si sono riempite. Il che accade sempre in seguito alle ondate di legislazione d’emergenza montate ad arte per creare consenso politico e per instupidire la gente, che così dimentica il fatto che i reati dei colletti bianchi - che hanno ricadute sociali ben più devastanti per tutti - sono stati depenalizzati, così che il potere economico, che è poi il vero potere, possa fare quel che vuole indisturbato. La criminalità è una costruzione mediatica che ha questo scopo preciso. Con questo non voglio negare che certi reati vengano commessi: dico che il fenomeno non è così allarmante come vogliono far credere. E, soprattutto, sbattere in carcere il romeno o l’albanese per qualche mese non serve a nulla. Quello poi esce e ricomincia peggio di prima, perché non viene portata avanti nessuna opera di recupero sociale e lavorativo di queste persone". Tuttavia un problema di sicurezza sociale si pone, di fronte a certi reati. Di incolumità fisica, proprio: "La repressione serve, non dico che bisogna eliminare il carcere, attenzione - puntualizza Giuseppe -, ma il problema delle politiche pubbliche è che mancano di lungimiranza: in Italia abbiamo 35mila tipologie di reati penali, in Francia solo 12mila. C’è qualcosa che non va, è evidente. Bisogna cambiare registro. Basta con le politiche della "tolleranza zero", alla Rudolph Giuliani. Bisogna formare i giovani alla legalità: ed è questo l’ambito in cui spero di poter dare il mio contributo, quando sarà finita - forse tra due anni - la mia detenzione. Rendiamoci conto che un detenuto costa 400 euro al giorno allo Stato: tutti soldi che potrebbero esser spesi meglio per l’integrazione e la risocializzazione di tutti i detenuti". Giuseppe allarga il discorso - che, ammette, "è complesso e ramificato", alla globalizzazione, alla dittatura del mercato, all’allontanamento della politica e alla precarizzazione del lavoro. A suo giudizio, la liberalizzazione del mercato (e il conseguente tracollo del Terzo Mondo) sono una libera scelta della politica: "Il libero mercato è un’utopia - dice - una teoria ben studiata a tavolino, perché poi le multinazionali campano sui soldi dello Stato. E intanto aumentano le disparità sociali nord-sud del mondo". Tra un paio d’anni, quando ne avrà 46, forse questo capitolo della vita di Giuseppe sarà definitivamente chiuso. La vita sentimentale è ferma a sedici anni fa. "Ma a questo non penso, voglio solo un lavoro e stare tranquillo. Poi sarà quel che sarà". Ma un sogno nel cassetto, in una vita che rincorre solo la normalità come la più desiderabile delle mete, ce l’ha Giuseppe: "Un viaggio lunghissimo con mia figlia". E, a più breve termine, il classico Natale con i tuoi, in Puglia. "Permessi premi permettendo", conclude. Roma: prende il via nuova stagione del teatro in carcere
Dire, 30 novembre 2007
Prenderà il via da martedì 4 dicembre la nuova stagione legata al progetto speciale "Teatro e carcere" per la promozione di iniziative teatrali di qualità negli istituti di pena, promosso dal teatro Eliseo di Roma con il Centro studi "Enrico Maria Salerno" e sostenuto dalla Regione Lazio. A presentare l’iniziativa, questa mattina, il direttore dell’Eliseo Massimo Monaci, il presidente dell’associazione "Teatro e diversità" Laura Salerno, il vice capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia Emilio Di Somma e il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Tra gli intervenuti, anche il direttore del carcere di Rebibbia Nuovo complesso Carmelo Cantone, che si è soffermato sulla realtà dell’istituto di pena romano: "Il nuovo complesso del carcere di Rebibbia ospita in questo momento 1.250 detenuti. Conta cinque reparti, e ciascuno ospita in media 300-340 detenuti - ha detto -. Durante l’anno sono attivi cinque laboratori teatrali, di cui uno della sezione alta sicurezza. A questo prende parte una ventina dei circa 120 detenuti che non godono di permessi-premio e di altre agevolazioni". "Per i reclusi- ha proseguito Cantone- il teatro ha una forte valenza pedagogico-rieducativa ed è significativo che il pubblico riempia i 345 posti del nuovo teatro di Rebibbia quando gli spettacoli hanno per protagonisti i detenuti che non possono lasciare il carcere". Il programma è stato illustrato da Fabio Cavalli, regista e direttore artistico del progetto. Si comincerà con "Il giovane criminale", un testo di Jean Jenet finora mai portato in scena (dal 4 al 9 dicembre al Piccolo Eliseo Patroni Griffi), per proseguire con una rilettura moderna di "Amleto Indagine sulla vendetta" con la compagnia dei Liberi artisti associati della sezione alta sicurezza di Rebibbia (10, 12, 14 e 17 dicembre nel teatro del carcere di Rebibbia N.C.). La stagione si concluderà a maggio all’Eliseo con "La ballata del carcere di Reading" di Oscar Wilde, con Giovanna Marini e Umberto Orsini e la regia di Elio De Capitani. "In più della metà dei circa 200 istituti penitenziari italiani si fanno attività teatrali- ha detto Di Somma- e ciò grazie a un progetto che ci aiuta non poco. In carcere è possibile produrre cultura". "Il Lazio è stata la prima regione in Italia a istituire un Garante dei diritti dei detenuti, circa 4.000 nelle 15 strutture carcerarie del territorio - ha concluso Marroni - L’impegno è notevole e tra l’altro, nell’aprile 2008, tornerà la Settimana della legalità che coinvolgerà le scuole laziali". Prostituzione: lite tra i ministri, rinvio sulla proposta Amato
Corriere della Sera, 30 novembre 2007
I ministri Chiti, Melandri e Santagata hanno riferito che l’esame del ddl del governo sulla prostituzione veniva rinviato a una prossima seduta del consiglio a causa dell’assenza di Giuliano Amato, impegnato al Senato col decreto sicurezza. Questa affermazione nasconde anche una mezza verità, perché solo il ministro dell’Interno sarebbe capace di una mediazione, ma non rivela che già mercoledì sera il governo aveva deciso di stoppare il ddl che adatta la legge Merlin del ‘58 ai tempi della prostituzione di massa. La possibilità che l’indotto del ddl fosse quello di autorizzare surrettiziamente "zone a luci rosse" ha innescato l’opposizione di Rutelli mentre la Bonino avrebbe fatto sapere di non condividere un testo ipocrita. Invece, Ferrero vede nell’articolo 9 un’arma troppo affilata in mano dei sindaci. E anche i sindaci sono scontenti (a loro poteri troppo blandi). Così si è deciso di soprassedere anche perché, avrebbe avvertito lo staff di Oliti, l’articolo 3 sulla non punibilità di chi affitta le case alle prostitute sarebbe stato fatto a pezzi in Parlamento. Prostituzione: Carla Corso; pronte anche a pagare le tasse
La Stampa, 30 novembre 2007
Sorride Carla Corso, fondatrice con Pia Covre del Comitato per i diritti civili delle prostitute. Non per il rinvio, ma per il cammino tribolato del Parlamento di fronte alla prostituzione.
Carla Corso, avete detto la vostra in materia? "Sì, quando si parlò di pacchetto sicurezza. Il ministro Ferrero non volle che fosse solo sicurezza, ma anche discorso sociale".
Ora c’è un disegno di legge, slittato, dove si parla di luoghi vietati, tipo pressi di scuole, luoghi di culto. "Va bene. Vietare luoghi, che ciascuna potrebbe evitare per sensibilità personale, significa accettarne altri. Riconoscere un lavoro".
Un lavoro e il suo dovere verso il fisco… "Ben venga la sentenza sulle tasse. L’abbiamo sempre detto, le paghiamo volentieri, se ci mettete in condizione di pagarle. Io non lavoro più, però sono convinta che non puoi chiamarmi a doveri di giorno e reprimermi di notte. Si deve mediare tra ordine pubblico, moralità, chiesa, tasse. Discutiamo. Riconoscimi nel rispetto che ho per i tuoi divieti. Ma se chiamo il 113 deve valere come quando lo chiama la nonnetta sola".
E gli orrori dietro la prostituzione straniera? "Le prostitute si prostituiscano, in strada e in casa, là dove concordato, e lo Stato, oltre a riscuotere le tasse, persegua le associazioni per delinquere di stampo mafioso che in strada mandano chi non ci vuole andare. Dimostri che è quello il suo obiettivo. Non cancellare lo spettacolo".
Lo spettacolo, dicono molti, può turbare… "Come no? Magari si scoprisse che cosa turba i bambini, certi film, certi tg, reality che sono più marchetta di quanto si riesce a pensare. Oscuriamo le prostitute e diamo ai bambini i reality".
Lei vede nel futuro zone franche e libere? "Senza complesso del ghetto. Dove ci si guarda le spalle, dove si lavora liberamente. Va bene punire l’induzione, lo sfruttamento. Ma il favoreggiamento? Che importa se una sorride in un bar alle due di notte? Ci sono i bambini? E chi li ha portati lì? E senza che chi dovrebbe controllare chiuda un occhio per un lavoretto gratis".
Succede? "Lo giuro. È prassi".
Quale coscienza dovrebbe stare nel cuore di una legge come la vede lei? "Prostituta è una condizione che accetta le regole. Vittima di trafficanti di corpi è un’altra condizione, si chiama vittima di mafia internazionale. Distruggano lì". Immigrazione: espulsioni, un decreto che rincorre le destre di Beatrice Macchia
Liberazione, 30 novembre 2007
Sul decreto espulsioni che il Senato comincia a discutere martedì, innanzitutto una premessa: a Rifondazione questo decreto non piace, non piaceva quando è stato presentato e continua a non piacere. Perché è un provvedimento nato sull’onda emotiva di un episodio, il brutale omicidio di Giovanna Reggiani a Roma, dunque ispirato da una emergenza che in realtà non esiste, e soprattutto perché nel testo presentato dal governo vi sono norme anti costituzionali che contraddicono la direttiva Ue sui cittadini comunitari. Insomma, un decreto che rincorre le destre sul terreno di xenofobia e razzismo. In commissione affari costituzionali la destra, che il decreto lo voleva ancora più xenofobo e razzista, ha impedito che si votasse un nuovo testo che accoglieva gli emendamenti presentati dalla sinistra. Si tratta di formulazioni che certamente migliorano in modo deciso il provvedimento, ma non per questo i senatori di Rifondazione lo voterebbero felici: resta l’obiezione di fondo che la decretazione richiede una urgenza che su questo terreno non c’è e non c’è mai stata nel nostro paese. Il decreto a questo punto va in aula senza relatore e gli emendamenti della sinistra" accolti da un accordo della maggioranza, dovranno essere approvati volta per volta. Il capogruppo Russo Spena parla chiaro: "Rifondazione Comunista deciderà come pronunciarsi solo all’ultimo minuto, quando potrà valutare il testo che verrà fuori dalle votazioni dell’aula del Senato". Chiede dunque al governo di "esporsi" sul provvedimento attraverso i pareri sugli emendamenti, cosi da rendere evidente che chi non li vota, vota contro il governo. "E se qualcuno nella maggioranza pensa di approvare qualche emendamento peggiorativo presentato dalla destra - aggiunge - i senatori Prc non voteranno il decreto". I punti su cui la maggioranza ha accettato gli emendamenti della sinistra sono numerosi, illustriamo i principali. È stata accettata la riformulazione dei cosiddetti motivi imperativi di pubblica sicurezza che legittimano l’espulsione da parte del prefetto, limitando la discrezionalità del prefetto e dunque dei casi in cui è possibile allontanare il cittadino comunitario o un suo familiare. L’espulsione è legittima solo se la persona da allontanare ha tenuto comportamenti che ledono gravemente o mettono in concreto, attuale e grave pericolo la tutela della dignità umana o dei diritti fondamentali della persona, rendendo la sua ulteriore permanenza sul territorio nazionale incompatibile con la civile e sicura convivenza. In accordo con la direttiva europea è stato dunque chiarito che la valutazione di pericolosità della persona deve tenere conto dei precedenti penali, in particolare della condanna, solo per gravi reati. Naturalmente la valutazione della pericolosità della persona deve essere fondata sul comportamento individuale, none legittima sulla base di esigenze di prevenzione generale. Accordo in maggioranza anche sulla convalida giurisdizionale (da parte del tribunale ordinario in composizione monocratica) dei provvedimenti di allontanamento disposti dal Ministro dell’Interno per ragioni di sicurezza dello Stato; nel testo del governo la convalida era necessaria solo se disposta dal prefetto. Si tratta di un punto fondamentale perché il decreto permetteva una discrezionalità da parte del ministro che si presta ad abusi e non si allineava a quanto sancito dalla Corte costituzionale in merito all’accompagnamento coattivo alla frontiera per i non comunitari. C’è poi un cambiamento decisivo sulla convalida dei provvedimenti espulsivi (sia per i comunitari che per i non comunitari) che spetta al tribunale ordinario in composizione monocratica e non al giudice di pace, in accordo ai principi di diritto statuiti dalla Corte costituzionale su tutti i provvedimenti restrittivi della libertà personale. Accolto dalla maggioranza anche il nostro emendamento che estende ai cittadini stranieri la tutela dalle forme di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere. Su questo punto in commissione la destra ha sputato fuoco e fiamme, perché si tratta qui di contrastare ogni forma di discriminazione di tipo xenofobo, anche l’uso di espressioni offensive come quella usata dal Commissario europeo Frattini in seguito all’omicidio della Reggiani. E ancora: una persona espulsa che faccia ricorso potrà rientrare in Italia per partecipare a tutte le sue fasi, in accordo alle garanzie del diritto alla difesa. Se l’espulsione avviene per mancanza dei requisiti di legittimazione dei soggiorno il cittadino comunitario potrà recarsi in un qualsiasi Paese della Ue e non necessariamente in quello di cittadinanza. Per quanto riguarda invece la reclusione nei Cpt dei cittadini comunitari espulsi nelle due settimane in cui il giudice deve emettere il nulla osta, la trattativa nella maggioranza è ancora aperta. Rifondazione e tutta la sinistra sono contrari e propongono misure cautelative diverse, come l’obbligo della firma o la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, anche per l’evidente violazione delle norme comunitarie che tale reclusione comporterebbe. Droghe: Ferrero; Piano nazionale non ha nulla di ideologico
Dire, 30 novembre 2007
"Il Piano nazionale sulle droghe non ha niente di ideologico. È invece necessario superare la Fini-Giovanardi". Paolo Ferrero puntualizza il senso del provvedimento approvato oggi in Consiglio dei ministri. "Il Piano italiano di azione sulle droghe colma un grave ritardo rispetto alle politiche dell’Unione Europea su questa materia. A differenza di quanto aveva fatto il governo di centrodestra il Piano presentato oggi in Cdm è anche il risultato di una larghissima partecipazione delle istituzioni locali: Regioni, Province e Comuni". Inoltre, continua il ministro per la Solidarietà sociale, "le azioni previste sono state elaborate in base a proposte programmatiche e interventi che nulla hanno di ideologico". Piuttosto, conclude, "la realtà di questi anni ha dimostrato quanto sia invece ideologica la legge Fini-Giovanardi. Una legge repressiva che va al più presto superata". Droghe: Gruppo Abele; Piano pragmatico, al passo coi tempi
Dire, 30 novembre 2007
"Un piano che cerca di volare alto, mettendosi al passo con i tempi. Pragmatico ma anche capace di rispettare, nelle sue articolazioni, un problema che va affrontato nella sua grande complessità, sempre mettendo al centro il valore imprescindibile della persona". Così Don Ciotti, fondatore del Gruppo Abele, giudica il piano nazionale antidroga varato oggi dal Cdm. "Ci sono molti aspetti positivi - dice Don Ciotti -. Il primo riguarda la sua stessa esistenza: eravamo con Malta l’unico Paese a non averne uno e con questo passo ci adeguiamo alle richieste dell’Unione Europea dopo anni di inadempienza". È importante, poi, aggiunge il leader delle comunità terapeutiche, "che le oltre 60 azioni previste e coordinate tra le Regioni - prosegue Don Ciotti - e gli otto ministeri a vario titolo coinvolti abbiano copertura di spesa. Per una volta abbiamo la certezza che quanto è stato preannunciato avrà anche le effettive risorse per essere realizzato, mettendoci così in condizione di varare nel 2009 il piano di più ampio respiro di durata quadriennale". Gli altri aspetti positivi riguardano il contenuto del piano. "Finalmente - sottolinea il fondatore del Gruppo Abele - ci s’ispira in modo articolato, partecipato e intelligente alla strategia dei 4 pilastri già ampiamente recepita dall’Europa, e ci s’impegna contestualmente su quattro aspetti ugualmente essenziali: riduzione dell’offerta, prevenzione, cura, riduzione del danno". Giudica importanti, in particolare: "L’istituzione di un coordinamento permanente nazionale e interregionale - dice Don Ciotti - la nascita di un osservatorio del disagio giovanile, la mappatura dei servizi e l’impegno per adeguare i metodi di cura ai consumi patologici di più recente diffusione, come quelli di cocaina e droghe sintetiche". Secondo Don Ciotti, inoltre, "è un segno di grande attenzione l’inclusione di forme di dipendenza sinora trascurate come il gioco d’azzardo e il doping, con intelligenti misure di prevenzione come quella di certificare i locali e palestre che s’impegnano a contrastarle". Infine, conclude il leader della comunità, "è benvenuto il rinnovato impegno contro il narcotraffico in mano alle mafie, facendo attenzione anche al canale di Internet, e lo sforzo per una politica di cooperazione internazionale, imprescindibile per un’efficace azione di contrasto". Droghe: lettera a Chiamparino ed alla Ministra Livia Turco di Paolo Jarre
Fuoriluogo, 30 novembre 2007
Caro Ministro, caro Sindaco, chi vi scrive è in operatore pubblico nel campo della patologia delle dipendenze della cintura di Torino. Lavoro in questo ambito da circa 30 anni; dall’inizio degli anni ‘80 studio quotidianamente quanto viene proposto dalla letteratura scientifica internazionale al fine di migliorare gli standard dell’assistenza nei servizi di cui mi occupo. In ragione di questo impegno e della mia disponibilità le 9 principali Società Scientifiche ed Associazioni professionali di settore in Italia mi hanno affidato, ormai da quasi 3 anni, il compito di coordinarne le attività nell’ambito di una Consulta nazionale. Collaboro inoltre al principale gruppo di revisione delle evidenze in medicina, la Cochrane Collaboration e sono componente del Comitato Scientifico dell’Osservatorio droghe al Ministero della Solidarietà sociale. Tutto ciò non per "auto incensarmi" ma per sottolinearvi che quello che affermerò non è l’opinione - pur rispettabilissima - dell’uomo della strada. Pur avendo come tutti - credo sia un diritto costituzionale - precise convinzioni politiche, ho sempre creduto in una netta separazione tra queste e la mia pratica tecnica che ho sempre invece informato alla "religione" delle evidenze scientifiche. Credetemi, per uno come me che ha fatto di ciò una delle principali ragioni della propria vita, sentirmi dire "beh, adesso abbiamo sentito il dott. Jarre ora sentiamo quelli delle Comunità" dove spesso ci si riferisce a stimatissimi sacerdoti ma non ad uomini di scienza… oppure, peggio ancora, "adesso sentiamo uno di destra" permettete, come si dice… piange il cuore. Le evidenze scientifiche dimostrano (ad oggi e con gli strumenti disponibili… checché ne dica il dott. Costa dell’Unodoc che su questi aspetti ha una posizione antiscientifica ed ideologica) che i 2 interventi sull’uso problematico di droghe di cui si discute a Torino da alcuni mesi funzionano. I 2 interventi sono (è meglio ricordarlo e fare un poco di chiarezza perché c’è una grande confusione alla quale, perdonatemi, avete contribuito anche voi con le vostre ondivaghe prese di posizione): la somministrazione controllata di eroina, terapia medica riservata ad un gruppo ristrettissimo di pazienti che non rispondono adeguatamente ad altri interventi con i farmaci oppio agonisti più utilizzati (metadone e buprenorfina); è efficace sia per ridurre l’impatto di salute che quello del rischio criminogeno nella popolazione bersaglio; dal momento che riguarda pochissime persone (a Torino probabilmente sarebbero meno di 100) non ha alcun significativo impatto sulla salute pubblica e sulla sicurezza generale della città; pone evidenti problemi etici in quanto si tratta di utilizzare come farmaco la stessa sostanza d’abuso, il che da un lato rischia di stigmatizzare come "irrecuperabili" i diretti destinatari dall’altra di dare un messaggio di "cinismo sociale" alla cittadinanza tutta; i luoghi protetti per il consumo iniettivo (le cosiddette "narco-sale" come impropriamente definite dai media) intervento di Riduzione del Danno, di salute pubblica riguardante potenzialmente in una città come Torino molte centinaia di persone non ancora afferite ai servizi o che da questi si sono allontanate. Si tratta di luoghi dove viene concentrato e razionalizzato il fenomeno disperso, pericoloso per i consumatori ed i cittadini e nascosto (quindi anche poco soccorribile) dell’uso iniettivo di strada. Non pone alcun evidente problema etico giacché semplicemente organizza in modo più vantaggioso per tutti qualcosa che nessuno, allo stato attuale delle conoscenze, è in grado di comprimere oltre un certo livello. Si tratta di un tipo di servizio che si è dimostrato efficace nei paesi in cui è attivo (dopo avere superato la fase sperimentale) da oltre 20 anni. Si tratta non di "bengodi della droga" come superficialmente viene lasciato intendere da alcuni, ma di paesi seri come la Germania, la Svizzera, l’Olanda, la Spagna, la Norvegia, il Lussemburgo, l’Australia ed il Canada. Tutti paesi, signor Ministro, che hanno una legislazione simile alla nostra. I più recenti studi australiani, canadesi e tedeschi segnalano che questi dispositivi non hanno determinato nessun aumento né del consumo né della criminalità correlata, ma, anzi, fenomeni di segno assolutamente contrario. Diminuiscono le infezioni gravi e le morti. In modo inequivocabile. E aumentano sicurezza e tranquillità per la cittadinanza tutta, tant’è che nessuno di questi servizi (oramai sono quasi un centinaio) è stato chiuso. Fatto ancor più sorprendente - dimostrato in particolare a Vancouver - aumentano i tossicodipendenti che, frequentando questo servizio, decidono di intraprendere un vero percorso di cura (provi signor Sindaco a farsi raccontare qualcosa dal suo collega sindaco Sam Sullivan quando andrà a consegnargli la fiaccola, la "narco-sala" di Vancouver si chiama "Insite" ed è stata recentemente rifinanziata …Insite is the first legal supervised safe injection site in North America. The site has the support of Vancouver’s mayor Sam Sullivan, British Columbiàs premier Gordon Campbell and former high-profile Vancouver mayors Larry Campbell, Mike Harcourt, and Philip Owen -. Insite è la prima stanza legale supervisionata per l’iniezione sicura nell’America del nord… essa ha il sostegno del sindaco Sam Sullivan, del governatore della British Columbia Gordon Campbell e dei precedenti sindaci Larry Campbell, Mike Harcourt, and Philip Owen). Questi sono dati signor Sindaco, signora Ministra, le altre sono solo chiacchiere. Dei 5.000 episodi iniettivi per droga stimabili al giorno a Torino, probabilmente oltre 1.000 si verificano in luoghi aperti, pericolosi, insicuri e nascosti. Come dire 40 all’ora, quasi uno al minuto. Questo accade oggi, accadrà domani, dopodomani e lunedì, il giorno che si voterà a Torino in Consiglio comunale la mozione in discussione su questi temi. Basterebbe questo per chiudere la discussione in un paese civile; la vera questione etica - e questo lo dico anche a coloro che professano motivi di fede per opporsi all’apertura di questo servizio - è la situazione attuale. Provate a farvi un giro per le scarpate della Dora, nelle trincee ferroviarie, a Tossic Park! È falsa, fuorviante ed in malafede la contrapposizione tra questi servizi e la catena dei servizi di cura. Il sottoscritto dirige un Dipartimento nel quale vi sono a pieno titolo 2 Comunità terapeutiche pubbliche, un Centro diurno, 8 Ambulatori territoriali di cura e così via. E crede fermamente nella cura delle tossicodipendenze; non ha però mai visto un cadavere guarire. Forse questo può non interessare a chi si occupa della salvezza delle anime ma a chi si occupa della salute delle persone concrete si, eccome. Spiace signor Sindaco che lei non abbia mai trovato in questi mesi un solo minuto per venire in una delle sedute delle Commissioni consiliari dove queste cose sono state lungamente discusse ed argomentate. Il Suo voto signor Sindaco in Consiglio comunale sarà, lo ricordi, non per una cosa "giusta o sbagliata"; sarà il voto che - abbia pazienza ma è in ultima analisi così - condannerà o meno a morte Giorgio, Antonio, Filippo, Giovanna, Pina e così via. Forse al Sindaco di Torino ed alla Ministra della Salute ciò non interessa; a loro ed ai loro familiari si. Come a chi si preoccupa della salute delle persone più che di quella degli "equilibri politici". Forse, però, anche a Livia e Sergio in realtà interessa. Proverete voi poi a spiegarlo ai famigliari di quei morti in meno che non ci saranno - saranno persone reali, ve ne rendete conto?! - che avete scelto così, che quelle persone sono morte perché non si poteva, come dite voi "dare un messaggio diseducativo" (mentre poi magari, nella più totale confusione di idee, avrete espresso la vostra opzione a favore della somministrazione di eroina). Forse c’è un altro modo - pensateci - di considerare ciò che è o non è educativo.
Paolo Jarre, Coordinatore nazionale della Consulta delle Società scientifiche e delle Associazioni professionali nel campo delle dipendenze patologiche Droghe: il Piano d’azione del governo e il bacio della morte di Pietro Yates Moretti (Associazione per i Diritti degli Utenti e Consumatori)
Notiziario Aduc, 30 novembre 2007
Quando un Governo vuole veramente fare, lo fa tramite decreto legge o ponendo la fiducia. Quando invece dovrebbe farlo ma non può, emana un disegno di legge e poi se ne dimentica. Quando proprio non ha alcuna intenzione di farlo, approva i piani d’azione. La legge Fini-Giovanardi, una delle più repressive nel mondo occidentale, è in vigore ormai da quasi due anni (infatti compierà il suo secondo compleanno il 30 dicembre prossimo). Fu approvata dal Governo Berlusconi all’interno di un decreto legge urgente sulla sicurezza alle Olimpiadi invernali di Torino. All’epoca il centro-sinistra promise battaglia per il modo con cui la legge fu approvata. Qualche mese dopo fu eletta una maggioranza ed un Governo che avevano fra i propri mandati elettorali anche quello di abrogare la Fini-Giovanardi. Nonostante i continui e settimanali annunci del povero ministro della Solidarietà sociale - con delega sulle tossicodipendenze - Paolo Ferrero, su una imminente abrogazione della legge Fini-Giovanardi, questa è sempre lì, immodificata, perenne. È sopravvissuta anche alle dichiarazioni di intenti pronunciate al "seminario di Governo" a Caserta nello scorso gennaio. Ora il Consiglio dei Ministri adotta un’altra strategia: il "piano d’azione". Non un decreto legge, neanche un disegno di legge, ma un documento per "cominciare a pensare a come modificare la Fini-Giovanardi". Il tutto rigorosamente accompagnato dal bacio della morte: la duecentotreesima volta che Ferrero promette un imminente modifica di legge. La delinquenza organizzata che gestisce il narcotraffico e gli spacciatori ringraziano. Mentre continuano ad essere intasate - e distratte da altri compiti più importanti per la nostra sicurezza - le forze dell’ordine che perseguono i giovani consumatori di spinelli, così come sono strapiene le carceri di gente disperata che non si redimerà mai (anzi, il carcere è scuola e master...), così come continuano ad essere trattate da delinquenti persone malate di tossicodipendenza. Ma evidentemente questa non è emergenza abbastanza. Estero: embargo italiano contro tutte le prigioni disumane
Il Legno Storto, 30 novembre 2007
La condizione di detenuto italiano all’estero è veramente misera. Italiani incarcerati, dimenticati, sepolti vivi. Il nostro governo non fa niente. Li lascia marcire in galera, all’estero. Le famiglie disperate, mandano mail dappertutto. Politici, come ad esempio l’on. Zacchera, intervengono ma a volte sono impotenti. Completo disinteresse del pubblico italiano. Veramente interessante questo disinteresse. Siamo veramente egoisti noi italiani. Fino a quando non ci succede niente ce ne freghiamo. Quando poi ci succede scopriamo il dramma. Il vero e proprio sequestro di persona. Senza diritti. A volte senza neanche la possibilità di vedere i nostri cari. Senza aver diritto al patrocinio gratuito, dovendo spendere somme enormi per pagare gli avvocati. Più le somme per pagare la cauzione per uscire di prigione. A volte enorme come nel caso del povero Simone Righi. Il problema è veramente drammatico. Circa 3000 italiani sono in carcere all’estero a volte in condizioni veramente disumane, a volte addirittura contraendo terribili malattie in prigione come l’epatite. Ma cosa si può fare per risolvere questo problema visto che l’inazione del nostro governo corrisponde a una e propria politica di disinteresse verso la categoria di detenuto ed in generale di italiano all’estero? La soluzione sembra essere l’unica che veramente può far sentire al governo straniero il dovere di rispettare i diritti dell’italiano che si trova nel suo paese: l’embargo turistico. In sostanza bisognerebbe promuovere una vera e propria black list delle città e dei paesi che hanno detenuti italiani nel loro paese, disponibile su internet. In questo modo chiunque potrebbe consultare quella lista e capire se è salutare o no andare in quel paese e quella città dove l’italiano è stato arrestato. Colpire economicamente la città ed il turismo italiano nel luogo dove alcuni italiani sono arrestati è una buona opzione per evitare che ciò si ripeta. Bisogna essere realisti. Ciò non garantisce automaticamente che questi tristi eventi si ripetano. Tuttavia può per lo meno aumentare la probabilità del trasferimento in Italia del detenuto italiano all’estero, per eliminare il proprio nome dalla black list e inibire il flusso turistico nella propria città. Molto spesso gli italiani che sono incarcerati in condizioni disumane si trovano in luoghi che si basano molto sul turismo per sopravvivere e che quindi, proporzionalmente al flusso turistico, sarebbero grandemente danneggiati da una riduzione del turismo. Se poi questa lista e web site non fossero solo italiani ma europei la probabilità di un trattamento umano in carcere e del trasferimento sarebbe ancora maggiore. Si tratta di una battaglia di diritti civili e umani. Differenze di colore politico dovrebbero essere superate per il comune fine di liberare o trasferire i nostri compatrioti. Si tratta di una iniziativa che dovrebbe figurare nei siti di tutti i dipartimenti turistici nazionali, regionali e comunali. Tutti dovrebbero conoscere le città sulla black list. Meglio ancora, le città straniere dovrebbero sapere che se colpiscono un italiano finiscono su questa black list. Molto modestamente mi permetto di suggerire la prima città da collocare sulla black list: Cadice, Spagna, teatro del trattamento disumano riservato a Simone Righi. Se il nostro governo non ci aiuta aiutiamoci da soli. Per evitare che il nostro prossimo luogo di vacanza sia nella black list senza che noi lo sappiamo. Seychelles: 6 grammi droga, cuoco torinese rischia 10 anni
Notiziario Aduc, 30 novembre 2007
Dallo scorso 16 agosto un torinese è rinchiuso in un carcere delle Seychelles per droga: rischia una condanna a un minimo di dieci anni per il possesso di sei grammi di eroina, anche se afferma di essere vittima di un raggiro e di non sapere nulla della sostanza stupefacente. Il protagonista di questa vicenda è Federico Boux, 32 anni, di professione cuoco, che tre anni fa si era trasferito nelle isole dell’Oceano Indiano, a Victoria, per gestire un ristorante. I dissapori con un socio lo hanno portato alla perdita del locale; quindi, l’estate scorsa, è arrivato l’arresto. Controllando l’automobile, la polizia ha trovato la droga, un cucchiaio e alcune siringhe. "Stavo dando un passaggio a un conoscente - è stata la sua linea difensiva - e, ad un certo punto, questo ha chiesto di scendere. Gli agenti sono arrivati subito dopo. Ma io di quella roba non so assolutamente niente". Il tribunale gli ha rifiutato la libertà su cauzione. I familiari di Boux, anche loro andati a vivere alle Seychelles, hanno preso contatto con un avvocato torinese, Domenico Peila, per tentare di risolvere la situazione per le vie consolari. "Quest’uomo - dice il penalista - rischia una condanna pesantissima, dopo tutti i problemi insorti per la condotta di un socio poco raccomandabile e con dei precedenti penali, per un reato che credo non abbia commesso". Il primo passo del legale sarà interpellare l’ambasciata italiana di riferimento, che è a Nairobi, in Kenya. Fare scontare l’eventuale pena in Italia è comunque complicato dal fatto che le Seychelles non hanno un trattato bilaterale con l’Italia e non aderiscono alle convenzioni in materia di estradizione. Stati Uniti: ecco le "procedure innovative" di Guantanamo di Agnese Licata
www.altrenotizie.org, 30 novembre 2007
Quando si dice: un marchio, una garanzia. Sul marchio - la firma in questione è quella di Geoffrey D. Miller - è lecito aspettarsi un po’ di tutto, ma mai niente di buono. Non sorprende, infatti, che in calce al documento destinato ai carcerieri di Guantanamo, ci sia proprio il suo nome. Nominato alla fine del 2002 comandante di una prigione al di sopra di tutte le leggi, costretto alla pensione nel 2006 dopo un’infinità di polemiche sulle variegate torture denunciate da alcuni ex prigionieri, Miller è passato alla storia per i risultati ottenuti ad Abu Ghraib, in Iraq. Risultati ampiamente documentati da foto scandalose, soprattutto per una nazione che si è data il ruolo di guida democratica del mondo. Risultati che a Miller hanno fruttato una medaglia al merito, la Distinguished Service Medal, a testimoniare il suo ruolo di "innovatore". Del resto, come negare il carattere innovativo di molti dei metodi elencati nelle 238 pagine dirette a Cuba e datate 28 marzo 2003, poco dopo l’inizio della guerra in Iraq? Da alcuni giorni a questa parte, grazie a un sito - wikileaks.org - e a un cybernauta che ha scovato, postato e reso pubblico questo documento, le tecniche utilizzate a Guantanamo per convincere i detenuti a collaborare durante gli interrogatori sono sotto gli occhi di tutti. E lo rimarranno ancora, dato che la richiesta del Pentagono di censura è stata respinta dal sito. Dietro al titolo asettico di Camp Delta Standard Operating Procedures - Procedure operative standard per il Campo Delta - si nascondono una serie di pratiche in palese violazione della Convenzione di Ginevra in difesa dei prigionieri di guerra. Alberto Gonzales, l’uomo che fino allo scorso settembre guidava il dipartimento della Giustizia americano, non aveva mai fatto mistero di considerare la Convenzione "obsoleta", non più valida per talebani e terroristi di al-Qaeda. E, a leggere queste 238 pagine, le minuziose descrizioni dei vari blocchi, il sistema di premi e punizioni, la classificazione di pericolosità dei detenuti, sorprende la razionalità e la sistematicità con cui gli americani hanno sistematicamente violato i diritti di semplici sospettati. Attualmente, sarebbero circa 350 i presunti terroristi rinchiusi in questa prigione di 116 chilometri quadrati, costruita su un territorio cubano ma sotto giurisdizione americana dal 1903 (con un "affitto perpetuo" mai riconosciuto dalle autorità dell’isola). Persone alle quali non è concesso il diritto di difendere se stessi davanti a un giudice. Diritto sacrificato al sacro altare della lotta al terrorismo. E allora, non sorprende che questo documento dia prova di quanto le associazioni per i diritti civili continuano a dire da sempre, ossia che una parte dei prigionieri viene nascosta anche agli inviati della Croce Rossa internazionale. Certo, due anni fa il vicepresidente Dick Cheney aveva detto che i prigionieri di Guantanamo "vivono ai tropici, sono ben nutriti e hanno tutto quello che possono desiderare". Insomma, poco meno di una vacanza. Una singolare "vacanza", a dire il vero, se si considera che il benvenuto consiste, per protocollo e raccomandazione di Miller, in almeno due settimane di semi-isolamento, strumento fondamentale per causare "disorientamento" e rendere più malleabili i detenuti durante gli interrogatori. Inoltre, nei primi trenta giorni di reclusione, è fatto divieto di essere visitati dalla Croce Rossa, di ricevere libri, lettere o assistenza spirituale. Peccato che questa pratica sia ufficialmente considerata come atto di tortura psicologica. Tortura che si va ad aggiungere a quelle fisiche raccontante da ex prigionieri. Non solo. I detenuti - stabiliscono le direttive - devono essere distinti in quattro categorie: quelli con un unrestricted access, che possono essere visitati dagli inviati della Croce Rossa; quelli con un restricted access, che possono solo essere visitati ma non possono comunicare solo quanto concerne la sua salute; quelli con un visual access, ossia che possono solo essere osservati e, infine, i no access, totalmente esclusi dal contatto con il personale dell’organizzazione internazionale. Facile intuire il perché della scelta di nascondere agli occhi del mondo i detenuti considerati più pericolosi, più importanti e, quindi, più sottoposti a torture di ogni sorta. Ovviamente, però, il documento proibisce qualsiasi tipo di violenza fisica. Un’altra distinzione interessante è quella fatta sulla base della collaborazione e del comportamento tenuto in carcere. A ognuno di cinque livelli corrisponde una collocazione del prigioniero in una specifica parte del carcere. E finire nei campi di massima sicurezza, ossia quelli degli ultimi due livelli, significa essere costretti quasi sempre all’isolamento, privati di tutto, anche carta, matita, libri. Ai più diligenti, invece, tre coperte invece di due, rotoli in più di carta igienica, sale, saponette, una doccia in più la settimana e un’uscita in più al giorno, "addirittura" scacchi o carte da gioco. Peccato che, secondo quando riferisce l’Economist, un anno dopo l’apertura di Guantanamo, ad essere in regime di massima sicurezza era ben il 70 per cento dei detenuti. Un capitolo a parte, poi, è quello dell’uso dei cani come metodo d’intimidazione. Metodi, anche in questo caso, ampiamente mostrati dalle fotografie di Abu Ghraib. Dopo una visita svolta lo scorso aprile, Jacob Kellenberger - presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa, ha dichiarato di aver visto "miglioramenti significativi" all’interno del campo, rispetto alla situazione del 2002-2003, quando i prigionieri vivevano nel Camp X-Ray e non nella struttura attuale, che prevede celle più dignitose. Rimane una situazione indegna di una nazione democratica, dove centinaia di persone sono considerate - e trattate - come terroristi a prescindere, senza aver subito alcun processo. I dettagli resi noti da questo documento danno solo conferme.
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