Rassegna stampa 26 novembre

 

"Morire di carcere": 39 i detenuti suicidi dall'inizio dell'anno

di Luca Galassi

 

Peace Reporter, 26 novembre 2007

 

Nelle carceri italiane si continua a morire. Per omicidio, per malattia, per overdose, per cause da accertare. Ma soprattutto per suicidio. I detenuti si tolgono la vita con una frequenza venti volte maggiore rispetto alle persone libere. Spesso, lo fanno negli istituti dove le condizioni di vita sono peggiori: strutture fatiscenti, con poche attività ricreative, con scarsa presenza del volontariato. A ottobre si sono suicidate sette persone. Trentanove dall’inizio dell’anno. Quattrocentoventotto dal 2000.

I casi registrati dal Centro di Documentazione di Ristretti Orizzonti, la fonte più ricca e aggiornata in materia di carceri, non rappresentano però la totalità delle morti che avvengono all’interno dei penitenziari. Sono quelle ricostruire in base alle notizie dei giornali, delle agenzie di stampa, dei siti internet, delle lettere che scrivono i volontari o i parenti dei detenuti. Molte morti passano ancora sotto silenzio, nell’indifferenza dei media e della società.

Giorgio. Il caso più recente di suicidio è quello di Giorgio, detenuto di 48 anni impiccatosi a Prato con i lacci delle scarpe. Aveva passato gli ultimi sei mesi come detenuto modello. Non una sbavatura, non una parola o un gesto fuori dalle regole. Punito con sei anni per crimini sessuali, viene rinchiuso nella sezione 7 del penitenziario, quella più protetta. Il 28 ottobre il compagno di cella di Giorgio rientra, si dirige in bagno, ma la porta è bloccata.

Chiama le guardie. È il corpo di Giorgio che preme, attaccato ai tubi del soffitto con i lacci delle scarpe. Il tentativo di suicidio compiuto in carcere è punito disciplinarmente (come avviene anche per l’autolesionismo, il tatuaggio, il piercing), in base all’articolo 77 del Regolamento penitenziario. Oltre alle possibili sanzioni decise dal Consiglio di disciplina (richiamo, esclusione dalle attività, isolamento), l’infrazione disciplinare comporta la perdita dello sconto di pena per buona condotta (liberazione anticipata). Il codice penale, invece, non considera reato il tentativo di suicidio.

Doppia sofferenza. Quello di Giorgio è un suicidio anomalo, apparentemente senza spiegazione. Spesso le persone che si sono tolte la vita erano affette da malattie invalidanti, o ricoverate nei centri clinici penitenziari. Il fatto di raggruppare i detenuti in base al loro stato di salute, con l’occasione di specchiarsi quotidianamente nella doppia sofferenza dei compagni, quella della detenzione e quella della malattia, contribuisce a far perdere ogni speranza. Nella perdita di ogni speranza c’è forse la spiegazione, elementare e palese, per la maggior parte dei suicidi che avvengono nelle carceri. "Si uccide chi conosce il proprio destino e ne teme l’ineluttabilità", scrive l’associazione "A buon diritto". La ricerca di "Ristretti Orizzonti" evidenzia come l’ingresso in carcere, i giorni immediatamente successivi e quelli prima della scadenza della pena siano il momento di rischio più elevato. Si tolgono la vita più frequentemente coloro che hanno ucciso il coniuge, parenti o amici. Più raramente i responsabili di delitti maturati nell’ambito della criminalità organizzata.

Un terzo sono giovani. Alcuni eventi della vita detentiva, poi, sembrano funzionare da innesco rispetto alla decisione di "farla finita": il trasferimento da un carcere all’altro (a volte anche solo l’annuncio dell’imminente trasferimento, verso carceri e situazioni sconosciute), l’esito negativo di un ricorso alla magistratura, la revoca di una misura alternativa, la notizia di essere stati lasciati dal partner.

Abbastanza rari, invece, sembrano essere i casi di suicidio direttamente connessi all’arrivo della sentenza di condanna. Circa un terzo dei suicidi aveva un’età compresa tra i 20 e i 30 anni e, più di un quarto, un’età compresa tra i 30 e i 40. In queste due fasce d’età il totale dei detenuti sono, rispettivamente, il 36 percento e il 27 percento: quindi i ventenni si uccidono con maggiore frequenza, rispetto ai trentenni. Nelle altre fasce d’età le percentuali dei suicidi non si discostano molto da quelle del totale dei detenuti.

Giustizia: sondaggio Sky; per 96% scarcerazioni troppo facili

 

Ansa, 26 novembre 2007

 

Scarcerazioni facili: sondaggio Sky Tg 24, inadeguato il sistema giudiziario per il 96% degli italiani. Da un sondaggio condotto da Sky Tg24 a seguito del caso del giudice di Torino che ha rimesso in libertà decine di spacciatori perché "inutile trattenerli" è emerso che per il 96% degli italiani, le scarcerazioni sono troppo facili.

Si tratta naturalmente di un sondaggio che non ha valore statistico, in quanto le rilevazioni sono aperte a tutti i telespettatori e non sono basate su un campione elaborato scientificamente. Lo scopo del servizio reso disponibile dal noto canale televisivo è quello di dare la possibilità di esprimersi sui temi di attualità. Attraverso il servizio active è possibile esprimere la propria opinione su una delle principali notizie del giorno.

Giustizia: da Consulta stop alle interviste "pirata" in carcere

 

Il Messaggero, 26 novembre 2007

 

Basta interviste "pirata" nelle carceri. La Corte costituzionale mette un freno alle visite in cella dei parlamentari accompagnati da giornalisti assistenti per raccogliere le dichiarazioni di persone arrestate.

La Consulta, informa l’ex presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia Franco Abruzzo, ha accolto, con la sentenza 388/2007, il ricorso del tribunale di Torino contro la Camera per la vicenda dell’intervista a Igor Marini, presunto testimone-chiave nella vicenda Telekom Serbia, rinchiuso nel carcere delle Vallette nel 2003.

L’intervista, ricorda Abruzzo, venne pubblicata su Libero dalla giornalista Cristiana Lodi. Il deputato di Alleanza Nazionale Sandro Delmastro Delle Vedove aveva falsamente qualificato come sua "collaboratrice" la cronista, che era entrata insieme a lui alle Vallette.

I deputati possono infatti fare visita ai detenuti accompagnati da collaboratori "per ragioni del loro ufficio". Per la Corte il "comportamento del deputato è consistito nell’attestare una circostanza di fatto e non nell’esprimere un’opinione nell’esercizio della funzione di parlamentare; di conseguenza, non può ritenersi coperto dalla prerogativa di cui all’articolo 68 della Costituzione".

La Corte ha pertanto annullato la delibera con la quale la Camera dei deputati aveva qualificato come attività ispettiva la visita del deputato alle Vallette. La delibera della Camera, secondo i giudici della Consulta, ha violato l’articolo 68, primo comma, della Costituzione, "ledendo le attribuzioni dell’autorità giudiziaria".

La sentenza dà quindi via libera al processo a carico del parlamentare e della giornalista. Delle Vedove e la giornalista Cristiana Lodi, precisa Abruzzo, sono imputati, in concorso tra loro, dei reati di falso - a norma degli articoli 48 e 479 del codice penale.

Sicurezza: un'inchiesta di "Altroconsumo" in 4 paesi europei

 

Altroconsumo, 26 novembre 2007

 

Inchiesta sicurezza in Italia, Spagna, Portogallo e Belgio. Altroconsumo: i giovani tra i più colpiti, più pessimiste le donne.

Sentirsi sicuri è una sensazione che sembra essere sempre meno diffusa in Europa. Sono queste le conclusioni di una nostra inchiesta che ha coinvolto 11.300 cittadini di quattro Paesi europei: Italia, Belgio, Spagna e Portogallo.

In Italia, il 48% dei cittadini ritiene di essere meno sicuro di quanto lo era cinque anni fa, una percentuale che sale al 65% se si prendono in considerazione le ore notturne. Percentuali simili in Spagna e Portogallo. Solo in Belgio, c’è una certa inversione di tendenza, con il 59% dei cittadini che non nota grandi passi indietro sul fronte della sicurezza.

La fascia di età tra i 18 e i 29 anni è quella più colpita dal crimine. I pessimisti sono soprattutto le donne e, in Italia e Belgio, le persone sopra i 50 anni di età. Nel periodo compreso tra il 2002 e il 2006 sono stati vittime di crimini il 58% degli intervistati tra i 18 e i 29 anni in Belgio e il 52 in Italia, Spagna e Portogallo. Anche riferendoci al solo 2006, sono sempre i più colpiti con percentuali che oscillano tra il 33% di Belgio, Italia e Portogallo al 34% della Spagna.

Nel periodo compreso tra il 2002 e il 2006 i crimini più frequenti in Italia sono stati gli atti di vandalismo sulle automobili (19%), il borseggio (16%) e il furto di oggetti nelle automobili (11%). Nello stesso periodo, i giovani italiani sono stati vittime in modo maggiore rispetto alle altre classi di età di rapine di borse e portafogli con minacce e di molestie sessuali. Al contrario gli appartenenti alla classe di età più anziana presa in esame (65-74 anni) hanno subito soprattutto borseggi.

Le conseguenze dei crimini subìti sono tangibili e influenzano inevitabilmente la qualità della vita di chi ne è coinvolto. In generale circa un quinto delle vittime ha segnalato che il crimine subìto ha avuto pesanti ripercussioni sul benessere e sulle sue attività quotidiane. Oltre la metà delle vittime di aggressioni ha richiesto cure mediche. L’assistenza psicologica è più frequente soprattutto tra chi subisce minacce o estorsioni e stalking. Stupro, abusi sessuali e aggressioni, ovviamente, producono il livello di stress più alto.

A sentirsi meno sicuri tra le mura domestiche sono proprio gli italiani, rispetto ai cittadini degli altri Paesi: il 31% si protegge con un qualche tipo di antifurto (contro l’11% degli spagnoli, il 12% dei portoghesi, il 21% dei belgi). Il cane da guardia è adottato soprattutto dai portoghesi (il 27%) contro il 17% degli italiani. Hanno deciso di tenere armi in casa il 9% degli italiani, il 10% dei portoghesi, il 4% e il 6% rispettivamente spagnoli e belgi.

Per difendersi fuori dalle mura domestiche, i cittadini usano raramente oggetti di difesa personale come coltelli o tirapugni e spray al peperoncino; per ovviare alla possibile aggressione evitano soprattutto di portare soldi e oggetti di valore fuori casa o di prendere i mezzi pubblici a certe ore.

Il 44% dei crimini non viene denunciato dai cittadini italiani e l’80% di chi ha evitato di sporgere denuncia, pensa che sarebbe stato un gesto inutile. I reati più segnalati alla polizia sono il furto con scasso, il furto dell’auto e rapina con violenza.

Sul fronte della sicurezza delle città i dati sono stati raccolti seguendo due parametri. Il primo è la percentuale di vittime nel periodo 2002-2006 e nel solo 2006. Il secondo è la sensazione di sicurezza che i nostri intervistati hanno espresso su una scala da uno a dieci relativamente alle città considerate sia globalmente che in determinate situazioni (al lavoro, di giorno, di notte). Con riferimento all’Italia, le città con maggiore incidenza di crimini nel 2006 sono risultate Napoli, Bari, Firenze e Catania. Quelle più insicure secondo la percezione dei cittadini sono di nuovo Napoli, seguita da Catania e Bari.

Puglia: la sicurezza… si fa strada, due bandi sull’educazione

 

Redattore Sociale, 26 novembre 2007

 

Pubblicati due bandi rivolti alle scuole per realizzare progetti pilota dedicati alla sicurezza stradale e alla mobilità accessibile, finanziati rispettivamente con 300 mila e 600 mila euro. Prevista la produzione di video.

Due bandi appena pubblicati dall’assessorato ai Trasporti e vie di comunicazione, promuovono proposte progettuali sull’educazione stradale, rivolti a bambini e ragazzi delle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado e delle scuole secondarie di secondo grado. L’obiettivo è la realizzazione di progetti pilota per sensibilizzare, educare e rafforzare il senso della sicurezza stradale e della legalità, il senso per la salute e per il benessere proprio e degli altri, e la consapevolezza dell’importanza della sostenibilità e dell’accessibilità nella mobilità.

Tanto più che il Libro Bianco della Commissione Europea del 2001 sui Trasporti pone come obiettivo per il 2010 il dimezzamento delle vittime delle strade. Indiscutibile l’altissimo valore sociale degli obiettivi di una mobilità sostenibile, accessibile e sicura per tutti, soprattutto se riferita a bambini, anziani, disabili e a tutte quelle fasce della popolazione che per vari motivi possono considerarsi fragili.

Possono concorrere al bando "La sicurezza…si fa strada" tutte le scuole secondarie di secondo grado del territorio regionale. Ogni progetto sarà finanziato con 5.000 euro, fino a un massimo di 60 progetti finanziabili su tutto il territorio regionale (sono disponibili 300 mila euro complessivamente). I progetti, da realizzare nell’anno 2008, potranno essere scanditi da più fasi e contenere l’analisi del fenomeno "incidentalità" nel territorio di riferimento, laboratori in classe sul tema della sicurezza stradale, approfondimenti tecnici con gli adulti per sensibilizzare, informare e confrontarsi sui temi della sicurezza stradale. Inoltre è prevista la realizzazione di un prodotto finale (video, cortometraggio, videogioco).

"La Strada" è il bando rivolto invece alle scuole dell’infanzia, alle scuole primarie e secondarie di primo grado e rappresenta la seconda edizione del progetto "Crea il tuo percorso", già promosso e realizzato nel 2007 dall’assessorato regionale ai Trasporti. Obiettivo finale è la riduzione del traffico scolastico intorno agli istituti scolastici nelle ore di entrata e di uscita da scuola, con conseguente riduzione dei pericoli per i piccoli pedoni, attraverso la progettazione di percorsi sicuri casa-scuola. Ogni progetto sarà finanziato con 4.000 euro, fino a un massimo di 150 progetti finanziabili su tutto il territorio regionale (sono disponibili 600 mila euro complessivamente). I progetti, da realizzare nell’anno 2008, potranno essere scanditi da più fasi e contenere azioni per migliorare il livello di sostenibilità ambientale e sociale, di fruibilità e accessibilità alla mobilità urbana, di vivibilità e sicurezza del territorio, oltre all’informazione su tutte le tematiche connesse alla sicurezza e all’ambiente.

Novità di rilievo per entrambi gli avvisi è la modalità di rete prevista per ciascun progetto con i soggetti e le agenzie del territorio preposte alla mobilità e che conferisce il diritto a una premi aggiuntivi. Per questo, fanno sapere dall’assessorato ai Trasporti della regione, sarebbe utile che i Comuni fossero parte attiva nei partenariati da porre in essere, collegando tutte le agenzie del territorio e promuovendo la fattibilità degli stessi. Entrambi gli avvisi scadono il 20 dicembre. Informazioni ai numeri di telefono 080.5405628 - 5405618; mail p.marzo@regione.puglia.it e liverini.cremss@arem.puglia.it.

Roma: concluso consiglio nazionale dei cappellani carcerari

 

Radio Vaticana, 26 novembre 2007

 

"La Pastorale della Chiesa nelle carceri italiane dopo il Convegno di Verona": è questo il tema scelto dai cappellani delle carceri italiane per il loro Consiglio pastorale nazionale, che si è chiuso ieri a Roma. Si è sottolineato che negli ultimi anni si è registrato, in particolare, un forte incremento di detenuti stranieri.

Ed in questo nuovo scenario, come è cambiata la figura del cappellano? Davide Dionisi lo ha chiesto a mons. Giorgio Caniato, ispettore generale dei cappellani del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e del Dipartimento della giustizia minorile:

Il numero degli stranieri che entrano in carcere sono un 30 per cento ed è aumentato perché, in fondo, aumentano anche gli stranieri. La nostra presenza in carcere è per tutti i detenuti, secondo tutti i loro bisogni, e siamo presenti a prescindere da quella che può essere la cultura, la religione. Il problema è per gli stranieri che hanno una religione diversa: la possibilità di poter soddisfare il loro culto non è così facile. C’è poi il problema della misericordia: riguarda Dio - non so se lo Stato ha nel suo linguaggio giuridico la misericordia - ma c’ è da dire che la presenza del mondo cattolico anche a sostegno dei detenuti stranieri è una presenza molto attiva.

 

41 bis e indulto sono due dei temi che avete affrontato nel corso del vostro convegno. Cosa ne è emerso?

R. - Il 41 bis è un modo di detenzione tutto particolare e, se vogliamo analizzare e vedere veramente, noi cristiani siamo presenti su questo tema in un modo veramente evangelico. Questo non vuol dire che facciamo la guerra al 41 bis. Si potrebbe pensare anche ad un coinvolgimento di noi come cristiani riguardo a questo trattamento ma è una cosa molto delicata. Riguardo all’indulto, questo è stato voluto, attuato, richiesto fino all’inverosimile da tutti; il Papa non ha chiesto né indulto, né amnistia, ma soltanto un gesto di clemenza. Il nuovo governo finalmente ha dato l’indulto, in questa forma.

Bene, male… Noi cappellani siamo stati ben contenti perché ormai in carcere non ci si stava più, la detenzione procurava grandi sofferenze a causa del notevole numero di detenuti. La capienza delle carceri italiane e di 43 mila detenuti; ne avevamo 63 mila e la detenzione diventava difficile. Il grosso problema è quello dei reati che si commettono: abbiamo un rientro di mille detenuti al mese, che non sono quelli usciti con l’amnistia. L’anno scorso, due anni fa, i recidivi erano il 46 per cento; quest’anno sono il 42 per cento e questo vuol dire che a rientrare maggiormente non sono coloro che hanno ricevuto l’indulto.

Vicenza: quando la riabilitazione dal carcere è possibile...

 

Giornale di Vicenza, 26 novembre 2007

 

C’è una fascia di detenuti, che non sono seguiti né dai Ser.T. né dai Centri di Salute Mentale delle Ulss e che stanno scontando la fase finale di carcerazione, per i quali un percorso di inserimento lavorativo e sociale, in particolare attraverso le misure alternative al carcere, può rendere effettivo un recupero a una restituzione alla "normalità", con benefici sia economici che di sicurezza per tutta la società.

Lo dimostrano i risultati del progetto "Il Lembo del Mantello" che la Caritas diocesana vicentina ha avviato attraverso l’Associazione Diakonia Onlus e che ha scommesso su percorsi di reinserimento sociale e lavorativo per 24 detenuti, grazie ad un lavoro sinergico che ha coinvolto, oltre alla Caritas, le istituzioni penitenziarie, gli operatori, le cooperative sociali, alcune associazioni di categoria e il volontariato. Avviato nel maggio 2005, il progetto finirà nel giugno 2008.

"Il Lembo del Mantello" si è rivolto anzitutto ai vicentini reclusi sia nella Casa Circondariale di Vicenza che nei due istituti penitenziari padovani (Casa circondariale e Istituto Penale), che non erano in uno stato di tossicodipendenza conclamata e che non erano affetti da patologie psichiatriche debilitanti. Per entrambe queste categorie infatti intervengono già i servizi sociali preposti ed è possibile l’accoglienza in strutture idonee.

L’attenzione si è rivolta quindi ai detenuti ed ex detenuti che non possono contare su sostegni familiari; soggetti che, da un punto di vista dei costi, sarebbero stati esclusivamente a carico dei servizi sociali dei Comuni per eventuali percorsi socio-lavorativi idonei alla loro inclusione sociale.

"Di fatto - riflette il direttore della Caritas diocesana, don Giovanni Sandonà - se quando una persona entra in carcere gli si chiudono le porte alle spalle, quando esce le si chiudono le porte in faccia. Il carcere, così com’è, più che un’istituzione penale e riabilitante è un cronicario dell’esclusione sociale. In attesa di interventi amministrativi adeguati, abbiamo tentato, dal maggio 2005, di irrobustire il ruolo riabilitante favorendo l’applicazione dell’ampio spettro di misure alternative al carcere già presenti nel nostro sistema penitenziario. Infatti non va mai dimenticato che il senso costituzionale della pena è la riabilitazione, altrimenti la pena stessa diverrebbe mera vendetta".

Il progetto, sperimentale, nella prima fase ha portato gli operatori a svolgere in carcere ben 320 colloqui, per un totale di 81 persone contattate, segnalate anche dall’équipe trattamentale (che, come stabilito dall’Ordinamento Penitenziario, ha il compito di individualizzare il trattamento e che è formata dal direttore dell’istituto, dall’educatore, dall’assistente sociale, e da tutti gli altri professionisti deputati a questo compito).

La seconda fase, dopo un primo periodo di "osservazione", è consistita in un momento di formazione professionale e di valutazione dell’attitudine al lavoro, con stage nelle cooperative sociali del consorzio Prisma, tra cui la "Saldo & Mecc" che opera all’interno della Casa Circondariale di Vicenza, e anche in aziende esterne individuate con il contributo dell’Associazione Artigiani e l’Associazione Piccole e Medie Industrie della Provincia di Vicenza.

Dopo la conclusione positiva di questo periodo, per 24 persone è stato avviato l’inserimento lavorativo vero e proprio. E per 20 di queste che hanno potuto accedere alle misure alternative al carcere o ex detenuti, la residenzialità esterna in un luogo dedicato, mentre le altre 4 hanno avuto accesso al percorso da esterni. L’accoglienza residenziale ha garantito un primo punto di riferimento abitativo con presenza diurna e serale di un operatore e l’accompagnamento di volontari che hanno aiutato le persone a ricostruire un tessuto relazionale sano. L’ultima fase del percorso consiste infine in un passaggio ad appartamenti di "sgancio" e nel recupero di una piena autonomia.

"Nonostante questi due anni siano stati segnati da due eventi che hanno abbassato il numero possibile di presenze nel progetto, ossia l’indulto e la ristrutturazione del carcere di Vicenza, abbiamo intercettato un bisogno che non trovava risposte istituzionali" spiega la responsabile del progetto, Samuela De Boni.

"Il progetto conferma quindi quanto affermato la scorsa settimana dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Ettore Ferrara, sulla base di una ricerca dell’Università di Torino, ossia che mentre chi rimane dietro alle sbarre torna a delinquere, una volta uscito, nel 60 per cento dei casi, questa percentuale scende al 20 per cento fra chi sconta la pena con misure differenti dal carcere" sottolinea Sandonà, che ricorda anche il valore economico di questo progetto sperimentale, "il costo complessivo è attorno ai 40 euro al giorno per persona e varia in base al numero di presenze medie, mentre invece i costi per il mantenimento di un detenuto in carcere sono molto più alti.

Quindi, investire in questi percorsi presenterebbe un triplice vantaggio: aumentare la sicurezza sociale, diminuire le spese del sistema carcerario e non da ultimo credere che la dignità e il futuro possibile per ogni essere umano sono realmente percorribili se di fatto trovano concrete iniziative di inclusione sociale".

In vista della fine del triennio sperimentale, la Caritas bussa alle porte delle istituzioni perché si possa proseguire il progetto, sostenuto fino a giugno 2008 dalla Fondazione Cariverona con la partecipazione al 30 per cento dalla Caritas vicentina stessa. Ogni "servizio - segno" della Caritas nasce infatti con l’intento di "intercettare" un bisogno, di "segnare" percorsi possibili di risposta e di maturare una "visibilità" che possa diventare percorso istituzionale, ovvero assunto normalmente dalla società civile nelle sue diverse articolazioni amministrative.

Verona: il 3 dicembre un incontro sulla giustizia riparativa

 

Comunicato stampa, 26 novembre 2007

 

L’associazione "La Fraternità" organizza, lunedì 3 dicembre alle ore 20.45, presso l’Istituto Salesiano Don Bosco, in Stradone Provolo 16, un incontro con Federico Reggio, Avvocato e Assegnista di Ricerca in Filosofia del Diritto presso l’Università di Padova, sul tema "Cambiare obbiettivi: l’approccio riparativo alla giustizia penale di Howard Zehr".

Oggi si parla tanto di "certezza della pena" e di gradi diversi di "tolleranza" (più spesso zero); sembra che la misura della giustizia possa ridursi agli anni di carcere inflitti e scontati. Ma chi è la vera vittima dei reati: un astratto ordinamento o persone concrete, spesso inascoltate? E quale pena può tener conto della loro sofferenza, dei loro bisogni e diritti, senza essere sfiorata dal sospetto di un ritorno alla vendetta? Quale pena può meglio tutelare la sicurezza collettiva ricostruendo responsabilità e opportunità di riparazione nel ritorno alla convivenza?

"Obbiettivi" sono gli scopi che ci proponiamo, ma anche le lenti attraverso le quali vediamo, fotografiamo, conosciamo o deformiamo la realtà; o entrambe le cose insieme. Sono anche, con la proposta di un loro cambiamento, il titolo di un libro del giurista americano Zehr, che suggerisce "un altro approccio" alla giustizia, già messo alla prova in alcune esperienze e tuttora oggetto di vivo dibattito.

Il libro non è ancora tradotto; Federico Reggio ha tuttavia avuto modo di approfondirne i contenuti durante la redazione della sua tesi di dottorato ed ora è anche in contatto con l’Autore stesso, visti i significativi punti d’incontro che la prospettiva di Zehr presenta con quelli della scuola di Filosofia del Diritto cui egli si richiama nei suoi studi. A noi sembra talmente interessante che lo abbiamo invitato ad esporci per linee essenziali il pensiero di Zehr. Invitiamo inoltre all’incontro tutte le persone che, come noi, vorrebbero esplorare se può esserci più senso ed efficacia nell’intervento penale.

Roma: le detenute di Rebibbia illustrano un libro di poesie

 

Adnkronos, 26 novembre 2007

 

Un libro pensato come una via di fuga da una realtà inevitabilmente sempre uguale e se stessa, quella che vivono i detenuti nelle carceri. In particolare, sono le detenute del carcere di Rebibbia a dare forma, illustrandoli, ai versi delle venticinque poesie di quindici poeti contattati via internet dalla casa editrice Soqquadro, e raccolte nel libro "Percorsi labirintici", realizzato in collaborazione e con il patrocinio del V municipio del comune di Roma e la struttura penitenziaria di Rebibbia Femminile.

Il libro prosegue idealmente il percorso iniziato con "Racconti d’evasione". In "Percorsi labirintici", le poesie sono state scritte appositamente per le detenute, sotto forma di lettera. Soqquadro ha anche preso l’impegno con le detenute di dividere tra loro qualsiasi ricavato delle vendite del libro. Il volume sarà presentato il 1 dicembre alle ore 18 presso la libreria Porto Antico Libri di Genova.

Firenze: e nel carcere di Sollicciano… recitano i detenuti

 

In Toscana, 26 novembre 2007

 

Martedì 27 novembre presso la sala teatro del carcere di Sollicciano i detenuti del circuito "alta sicurezza" metteranno in scena Come se fosse ora.

È il frutto di un anno di laboratorio, tenuto da Elisa Taddei, con i detenuti studenti del corso di ragioneria dell’istituto Russel-Newton. È uno spettacolo che nasce da alcuni racconti autobiografici dei detenuti-attori. Ognuno di loro si avvicenda sul palco per narrare una storia che appartiene alla propria vita. Il lavoro è stato coordinato - oltre che dalla regista - da Marco Vichi ed Enzo Carabba per la scrittura dei testi, e da Massimo Altomare per l’arrangiamento delle canzoni.

Il teatro di Sollicciano, come altre volte, si aprirà ad un pubblico esterno: parteciperanno infatti circa 180 studenti di alcune scuole superiori fiorentine accompagnati dai rispettivi insegnanti, invitati esterni e rappresentanti degli enti locali che collaborano con l’Istituto di pena. Anche i familiari dei detenuti-attori potranno assistere allo spettacolo.

Il Direttore dell’Istituto, Oreste Cacurri, così sintetizza il senso della manifestazione: "abbiamo voluto rappresentare Come se fosse ora in occasione della Festa della Toscana, istituita dalla Regione per ricordare l’ abolizione della pena di morte avvenuta il 30 novembre del 1786 (per la prima volta al mondo) ad opera del Granduca di Toscana, ed inserendola idealmente nell’ambito delle manifestazioni della Festa. Ci pare un modo per ribadire, anche dall’interno di una istituzione totale, quale rimane il carcere, l’impegno per la promozione dei diritti umani, della pace e della giustizia, ma soprattutto per rilanciare una funzione della pena che non può solo essere afflittiva ma che deve, come ci dice la costituzione, tendere alla rieducazione del condannato."

Genova: due-giorni, incontri e dibattiti sulla giustizia minorile

 

Comunicato stampa, 26 novembre 2007

 

Lunedì 26 novembre 2007. Questa mattina, 26 novembre, il dirigente del Centro per la Giustizia Minorile del Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, Antonio Pappalardo, ha incontrato il Presidente della Regione Liguria Claudio Burlando, il Vice Presidente della Regione con delega al welfare Massimiliano Costa e l’assessore regionale con delega all’immigrazione Giovanni Vesco. Nel pomeriggio il dott. Pappalardo incontrerà anche l’assessore regionale con delega alla salute e sicurezza Claudio Montaldo.

Negli incontri tra il Presidente e gli assessori al welfare e all’immigrazione e il rappresentante regionale della Giustizia Minorile è stato ribadito il comune impegno a realizzare progettualità ed interventi integrati per la prevenzione del disagio e della devianza minorile, nonché per il recupero al territorio dei minori (italiani e stranieri) che entrano nel circuito penale.

È stato altresì ribadito il sostegno della Regione Liguria all’impegno già in atto, da parte del Comune di Genova e del Dipartimento Giustizia Minorile per l’individuazione di un fabbricato da ristrutturare quale sede dell’Istituto Penale Minorile di questa regione, istituto che si connoterà per un forte carattere sperimentale come istituto a "custodia attenuata".

Nel pomeriggio l’incontro tra il dott. Pappalardo e l’assessore Montaldo verterà sul transito in atto delle competenze in materia di salute psicofisica dei minori in carico ai Servizi della Giustizia Minorile al Sistema Sanitario Regionale, sul Centro per la Mediazione Penale Minorile "Il nodo parlato" e, più in generale, sulla prevenzione quale strumento principe per la sicurezza.

Martedì 27 novembre 2007. Domattina, 27 novembre, il Centro per la Giustizia Minorile illustrerà, a cura del dirigente Antonio Pappalardo, il "Progetto di sistema per l’anno 2008 dei Servizi della Giustizia Minorile della Liguria". L’incontro pubblico si terrà presso la Sala Polifunzionale 23 della Provincia di Genova, in via Cesarea n. 14, con inizio alle ore 9.00. Saranno graditi ospiti e relatori il Presidente del Tribunale per i Minorenni Adriano Sansa, la Procura per i Minorenni, la Regione Liguria, la Provincia di Genova, il Comune di Genova ed altri Enti Locali (Carrara, Massa, La Spezia), oltre a rappresentanti di importanti organizzazioni del privato sociale che si occupano anche di minori dell’area penale (Uisp, Alpim, Agorà, Aics). La stampa è invitata all’evento.

Immigrazione: al Senato il decreto-legge sulle espulsioni

 

Ansa, 26 novembre 2007

 

Nella giornata di martedì 27 novembre riprenderà l’esame, in Commissione Affari Costituzionali, del Decreto legge n. 181/2007 (ddl 1872) sulle espulsioni per pubblica sicurezza ("Disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza"). Scaduto oramai il termine per la presentazione di emendamenti si attende l’inizio dell’esame in Aula.

Il testo del decreto si compone di due articoli: Il primo apporta modifiche al d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 301, che mirano ad "assicurare celerità ed effettività all’esecuzione degli allontanamenti dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari, quando tali provvedimenti sono adottati per motivi di pubblica sicurezza". Il secondo da disposizioni in merito all’immediata entrata in vigore del provvedimento.

Droghe: massimizzare il danno... è responsabilità dell’Onu

di Susanna Ronconi (Forum Droghe)

 

Fuoriluogo, 26 novembre 2007

 

Susanna Ronconi commenta l’intervento di Antonio Costa sulle narco-sale a Torino. Torino si avvia, purtroppo e nonostante la mobilitazione di molti, per la seconda volta in sei anni, a scegliere di sottrarsi ad una responsabilità innovatrice: appare ormai profilarsi il no in Sala Rossa, lunedì 26, alla sperimentazione di una stanza del consumo in città. Dopo la ministra Turco, scende in campo anche Antonio Costa, direttore dell’Unodc, evidentemente preoccupato che anche Torino si aggiunga al già lungo elenco delle città europee che si sono prese la libertà di scelte politiche autonome.

La lettera di Antonio Costa al sindaco di Torino Sergio Chiamparino contro le stanze del consumo, arriva proprio quando l’Emcdda, l’Osservatorio europeo sulla droghe, lancia il suo allarme: il Rapporto 2007 dell’istituto scientifico, oltre a segnalare un aumento costante dei consumi, presenta anche un preoccupante aumento nei decessi per overdose nell’ultimo anno, enfatizzandolo come uno dei punti di attenzione per le politiche sanitarie della UE. Lo stesso Osservatorio, per altro, nel 2004 ha pubblicato un accurato studio sulle 72 stanze attive nel continente europeo, concludendo con l’evidenza scientificamente fondata della loro utilità, sia per quanto attiene la riduzione delle overdose infauste, che per quanto riguarda il contenimento del consumo "a scena aperta".

Di contro, Costa e le agenzie Onu non hanno mai prodotto una riga che evidenziasse, all’opposto, il loro fallimento, limitandosi ad asserzioni del tutto generiche e non verificabili. Siamo pertanto di fronte a un dilemma: credere alle decine di studi di valutazione effettuati in tutto il mondo e validati anche dall’Osservatorio europeo (cui, sia detto per inciso, tutti gli stati membri UE si riferiscono e rispondono) o fidarci delle affermazioni di Costa? La risposta dovrebbe essere semplice. Qualcuno si chiederà: ma come, non dobbiamo credere alla autorevolezza dell’Onu? Forse non tutti sanno che esistono da decenni infiniti contenziosi scientifici contro l’Onu, a livello mondiale, accusata da molti stati e da molte comunità scientifiche di essere attaccata contro ogni evidenza alla propria scelta politica di "guerra alla droga", e ideologicamente in opposizione a ogni apertura verso politiche di riduzione del danno. La Stessa Unione europea, sebbene tra molti balletti diplomatici, e nel rispetto formale delle Convenzioni internazionali, in realtà da anni sta prendendo le distanze e trovando una sua strada: tanto che, se l’Onu basa la sua politica globale su due pilastri, riduzione della domanda e riduzione dell’offerta per un "mondo senza droghe" (sic!), la UE di pilastri ne ha ufficialmente uno in più, la riduzione del danno, appunto.

Anche sulle stanze del consumo, è storica la battaglia dell’Unodc contro Olanda, Germania, Svizzera, ma anche Australia, Canada e, più di recente, Brasile e Spagna: non passa anno che questi paesi non vengano censurati nei documenti ONU e non passa anno che questi paesi non riaffermino con determinazione e sulla base di evidenze le loro scelte per la salute dei propri cittadini. Stessa cosa vale - e siano avvisati il sindaco Chiamparino e la ministra Turco - anche per la somministrazione di eroina medica, che l’ONU vede come fumo negli occhi, come lo stesso Costa ha loro ricordato (o minacciato?).

Una buona parte del mondo, quindi, sta responsabilmente cercando le sue strade in autonomia, e l’ONU - al contrario di quanto Costa sostiene arbitrariamente - non ha mai potuto opporsi formalmente invocando le Convenzioni: perché queste non possono invadere un terreno che attiene alla piena autonomia degli stati, cioè la tutela della salute pubblica e dei singoli. Ci si poteva augurare una diversa indipendenza del nostro governo da logiche politico ideologiche che, proprio il prossimo anno, nel 2008, anno della verifica delle scelte globali, dovranno contemplare il loro colpevole fallimento: le politiche ONU hanno portato verso un mondo dove non solo si consuma di più ma si subisce un danno maggiore dovuto significativamente a scelte politiche sbagliate e limitanti, e alla ottusa opposizione a interventi sensati e pragmatici.

L’ONU dimostra ormai da decenni di non essere una comunità scientifica, ma un’agenzia politica che, forse, dovrebbe dare maggiore ascolto alle comunità scientifiche e, per altri versi, alla società civile. Così non è. E il sindaco Chiamparino, che si augura un incontro con Costa "per approfondire", forse trarrebbe più profitto da un incontro con l’Emcdda o, magari, con i tanti ricercatori e operatori della sua città, abituati più di Costa a lavorare sulla base di scienze ed evidenze. È così che molte municipalità europee - da Amsterdam a Barcellona, da Zurigo a Francoforte, da Bilbao a Berna - hanno trovato nuove strade, e hanno praticato la loro autonomia anche polemicamente e con coraggio sottraendosi ai vincoli ideologici della war on drugs. Perché, come molti sindaci già dagli anni ‘90 ebbero a dire, chi ha la responsabilità della salute e della sicurezza dei propri cittadini non può permettersi il lusso di fare ideologia. Nessuno di loro, sia detto per inciso, è finito sotto processo o in galera. Si può fare, insomma.

Argentina: nuova riforma del sistema educativo nelle carceri

di Adriano Seu

 

Peace Reporter, 26 novembre 2007

 

Dopo aver lanciato, nel mese di marzo, il progetto denominato Programma Educativo: uno strumento per il cambiamento, il dipartimento di giustizia della regione di Buenos Aires ha annunciato una riforma integrale del sistema educativo all’interno delle carceri della provincia. L’entrata in vigore della riforma, tesa alla riqualificazione del personale docente carcerario e all’incremento del livello di istruzione dei detenuti stessi, è stata celebrata con una cerimonia in presenza di agenti penitenziari disarmati e in abiti civili.

"Il nuovo programma educativo è uno migliori strumenti possibili nell’ottica del reinserimento e della riabilitazione sociale degli ex detenuti - ha dichiarato entusiasta Graciela Giannettasio, ministro dell’Educazione e vicegovernatore provinciale. Attraverso l’istruzione sarà possibile portare a termine con successo il processo di risocializzazione che ogni detenuto deve sperimentare necessariamente".

La riforma. I più importanti cambiamenti del sistema educativo carcerario provinciale riguarderanno il miglioramento quantitativo e qualitativo del personale docente, con particolare attenzione all’aspetto formativo. Eduardo Di Rocco, ministro della Giustizia di Buenos Aires, ha garantito che l’obiettivo è quello di "rafforzare il collegamento tra le strutture del Sistema Penitenziario Bonaerense (Spb) e quelle dell’amministrazione pubblica". "Doteremo gli attuali agenti penitenziari degli strumenti adatti per agire in un contesto socio-istituzionale che si basi, prima di tutto, sul rispetto dei diritti umani.

Daremo vita ad una figura professionale ben precisa e delineata, con una preparazione mirata", ha ribadito Di Rocco. All’elaborazione del nuovo programma educativo ha collaborato attivamente l’Istituto Latinoamericano delle Nazioni Unite per la Prevenzione al Delitto e il Trattamento del Delinquente (Ilanud), istituito nel 1975 a San José (Costarica) come organismo tecnico in materia di giustizia penale e prevenzione al crimine. Il ministero dell’Educazione locale ha annunciato l’imminente chiusura di un accordo di collaborazione con due università della capitale, l’Universidad Tres de Febrero e l’Universidad Moròn, per l’elaborazione di programmi e piani di studio. Con la Universidad Nacional de La Plata c’è già un accordo volto a "rafforzare il vincolo col Servizio Penitenziario e a migliorare le opportunità di reinserimento", attraverso l’istituzione dei due primi corsi universitari per detenuti, incentrati sul giornalismo e sulla comunicazione sociale.

I risultati si ottengono cercando il dialogo. "Fino a cinque anni fa, i detenuti bonaerensi erano istruiti da funzionari penitenziari o agenti già in pensione. Se c’è una cosa che ogni carcerato odia, questa è l’uniforme", ha dichiarato Carolina Brandana, che ha sottolineato l’importanza del fatto che il nuovo sistema educativo si inserisca in "un’istituzione smilitarizzata, assimilabile a strutture civili e gestita da personale idoneo. Le ragioni di sicurezza devono andare di pari passo con quelle del rispetto della persona".

"L’educazione è uno dei pilastri della riabilitazione", ha detto Fernando Diaz, direttore del Spb, che ha voluto evidenziare come negli ultimi cinque anni, a fronte di un aumento della popolazione carceraria - i detenuti sono passati da 14.400 a 25.000 circa - la percentuale di carcerati che seguono lezioni regolari è aumentata del 18,5 per cento. L’iniziale progetto pilota, sotto la diretta supervisione della Direzione Generale della Cultura e dell’Educazione Bonaerense, ha previsto l’impiego di detenuti laureati che hanno insegnato ai propri compagni a leggere e scrivere. Da cinque anni a questa parte, i programmi educativi sono svolti da personale volontario (docenti, universitari, membri di organizzazione civili, sindacati e associazioni di quartiere).

Istruzione, sinonimo di redenzione. Le statistiche relative agli ultimi cinque anni dicono che dove è maggiore il livello di istruzione della popolazione carceraria, minore è la possibilità che un ex detenuto torni a commettere atti di delinquenza. "La stretta relazione tra istruzione e propensione alla ricaduta è comprovata. Di dieci detenuti che svolgono attività educative, solo uno rischia di tornare a commettere crimini", ha dichiarato Gustavo Azpiazu, presidente della Universidad Nacional de La Plata.

L’importanza dell’accesso alla cultura è stata compresa dai detenuti ancor prima che dalle istituzioni carcerarie e dal governo provinciale, tanto che la partecipazione attiva dei pochi reclusi dotati di titolo di studi è stata la chiave del successo del progetto pilota. "In carcere ho terminato gli studi primari e ho iniziato a interessarmi al Diritto. Grazie allo studio ho capito che stavo sbagliando. Adesso ho un progetto di vita e voglio che anche gli altri miei compagni si rendano conto che con una buona istruzione si può ricominciare", ha raccontato Sergio Dominichi - uno dei cinque detenuti che sino a oggi hanno fatto da alfabetizadores all’interno del penitenziario Florencio Varela, alle porte di Buenos Aires.

Numerosi detenuti, soprattutto giovani con meno di 25 anni, non sanno scrivere il proprio nome e disconoscono i numeri, tanto che parecchi riconoscono il valore del denaro dal colore e dal disegno delle banconote. "Vogliamo imparare a leggere e scrivere per aiutare i nostri figli nei compiti scolastici, una volta recuperata la libertà", ha dichiarato un gruppo di detenuti nell’ambito di un’inchiesta condotta dal quotidiano argentino La Nacion. Il rispetto del diritto all’istruzione permetterà finalmente ai detenuti di realizzare il loro desiderio.

Argentina: 15mila persone internate per problemi mentali

di Alessandro Grandi

 

Peace Reporter, 26 novembre 2007

 

Il rapporto preparato dalle associazioni che si occupano di salute mentale in collaborazione con il Cels (Centro de Estudios Legales y Sociales) parla chiaro: almeno 15 mila persone sono "detenute" senza motivo alcuno nelle strutture dedicate alla cura delle malattie mentali.

La cifra è davvero spaventosa e adesso, in qualche modo, vi si dovrebbe porre rimedio. Quindicimila persone, circa il 60 percento del totale degli internati nelle strutture argentine dedite alla cura delle malattie psichiatriche, dovrebbero essere "liberate". È quanto emerge da un dettagliato rapporto presentato davanti al congresso argentino dal Cels in collaborazione con diverse associazioni. "Il sistema argentino di salute mentale è sfasato rispetto ai cambi avvenuti nel mondo negli ultimi 30 anni - si legge nel rapporto - La segregazione di migliaia di persone in questi istituti è una pratica proibita dal diritto internazionale".

C’è di più. Chi ha redatto il rapporto ha voluto raccontare anche gli orrori che si vivono quotidianamente all’interno di questi istituti, che non sempre esercitano il loro compito in modo impeccabile. E quindi si apprende delle difficoltà che incontrano i malati una volta rinchiusi in celle di isolamento, le violenze fisiche che talvolta subiscono e non per ultimo gli abusi sessuali.

Le buone intenzioni del Cels. Il lavoro del Cels e delle altre organizzazioni che si sono occupate del rapporto è stato lungo e faticoso. Dal 2004 (anno in cui è iniziato il lungo pellegrinaggio per istituti psichiatrici) a oggi sono stati contati migliaia di casi dove gli abusi e le negligenze da parte delle istituzioni rendevano il ricovero delle persone con disfunzioni mentali una vera e propria detenzione.

"Nella maggior parte delle nazioni del mondo i grandi centri psichiatrici sono stati chiusi - si nota ancora all’interno del rapporto - mentre in Argentina il 75 percento delle persone ricoverate negli asili di salute mentale è costretto a vivere in strutture che ospitano migliaia di malati".

Ma la notizia che fa rabbrividire è quella secondo cui chi si è occupato di investigare sui centri di salute mentale si è scontrato con realtà raccapriccianti. Molti gli abusi di ogni tipo: negligenza da parte dei responsabili degli istituti, abusi sessuali, svariati casi di persone morte bruciate, assenza di assistenza sanitaria, detenzione coatta in celle di isolamento e via discorrendo.

Il rapporto fa luce non solo sulla situazione degli ospiti, ma anche sulla condizione delle strutture. In alcuni casi, come si legge nel rapporto, sono state segnalate la mancanza di acqua nei bagni, l’assenza di fognature, l’assoluta insicurezza delle strutture ritenute a forte rischio di incendio.

L’esempio che ha fatto pensare riguarda quello che i funzionari del Cels si sono trovati di fronte una struttura denominata Unidad Penal 20, presso l’ospedale Borda: uomini detenuti in celle di isolamento lunghe un metro per due, da sette mesi. Detenuti nudi (ma secondo i dirigenti sanitari solo per evitare i suicidi), poca luce e poca acqua.

Lo spiraglio. Il documento però, lascia spazio anche a considerazioni generali sulla possibilità di risoluzione dei problemi. L’Argentina è una nazione in grado di sopperire a queste mancanze e attualmente ci sono anche le condizioni politiche e sociali adatte per fare una riforma che riguardi il sistema di salute mentale. La cosa importante è che, se una riforma si farà, dovrà essere quanto più rispettosa possibile della dignità umana. Nel frattempo, fanno sapere dagli uffici del potere politico argentino, diverse proposte di legge e altre iniziative politiche innovative sono già in fase di studio.

Georgia: per 4° anno della presidenza graziati 772 detenuti

 

Ansa, 26 novembre 2007

 

Il presidente georgiano Mikhail Saakashvili ha graziato 772 persone condannate per crimini non violenti. Il provvedimento è stato preso ieri, giorno del quarto anniversario della cosiddetta Rivoluzione delle Rose, che portò al potere l’attuale capo dello Stato. Intanto il parlamento sta esaminando una legge di amnistia, in base alla quale oltre mille detenuti potrebbero essere rilasciati entro la fine dell’anno.

 

 

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