|
Giustizia: il "caso Rignano"; tutti in libertà gli accusati
Il Giorno, 12 maggio 2007
Torna in libertà l’ultima delle sei persone arrestate nell’ambito dell’inchiesta su un presunto giro di pedofilia in una scuola materna di Rignano Flaminio, paese a pochi chilometri dalla Capitale. Ad essere scarcerata è la bidella Cristina Lunerti. Il provvedimento firmato dal gip Elvira Tamburelli è stato emesso, secondo quanto si è appreso, su richiesta dello stesso pm titolare dell’indagine, Marco Mansi. La discussione del ricorso davanti al tribunale del riesame era previsto per il 15 maggio prossimo. Ma a questo punto è superfluo. Ieri i giudici della libertà avevano rimesso in libertà gli altri cinque indagati: le insegnanti Patrizia Del Meglio, Silvana Candida Magalotti e Marisa Pucci, l’autore tv Gianfranco Scancarello e l’immigrato dello Sri Lanka, Kelum Weramuni De Silva. Intanto si apprende che la maestra Marisa Pucci è stata malmenata dalle altre detenute proprio mentre stava per lasciare il carcere di Rebibbia dopo la scarcerazione decisa ieri dal tribunale del Riesame. A denunciarlo è il marito della maestra, Luciano Giugno, parlando nella piazza principale di Rignano Flaminio, il giorno dopo la scarcerazione di cinque dei sei indagati per i presunti abusi sessuali su alcuni bambini della scuola materna "Olga Rovere". Le due settimane passate in carcere dalle maestre, racconta Giugno, sono state un inferno: "Ricevevano continuamente insulti, perché accusate del reato considerato peggiore. Per fortuna - aggiunge - sono state tutelate durante la detenzione, evitando il contatto diretto con le altre detenute. Ma non sono state altrettanto tutelate all’uscita: lungo il corridoio - racconta Giugno - mia moglie ha incontrato altre detenute che passeggiavano liberamente, ed è stata malmenata con schiaffi e calci nel sedere". Ora per la famiglia Pucci l’incubo sembra alle spalle: "La cosa più bella - spiega il marito della maestra - è stata svegliarmi questa mattina e vedere Marisa che dormiva accanto a me. Mia moglie è una donna normalissima, e io non ho mai avuto dubbi sulla sua innocenza: mi sono battuto, ho fatto di tutto e penso che il paese abbia capito". Quanto ai genitori che hanno denunciato i presunti abusi sui loro figli, secondo Giugno "si sono contagiati a vicenda, fraintendendo alcuni comportamenti e curiosità sessuali del tutto normali per i bambini". Giustizia: il "caso Rignano"; gli accusati aprono sito internet
Radio Radicale, 12 maggio 2007
Quando si parla di inchieste sulla pedofilia l’errore giudiziario sta diventando la regola più che l’eccezione. Tanto che oramai le vittime si sono organizzate per fare conoscere le proprie terribili storie anche attraverso un sito internet (http://www.falsiabusi.it) pieno zeppo di documenti in cui vengono fuori gli assurdi metodi di induzione al ricordo dei bambini da parte di assistenti sociali e psicologi. Per non parlare del conflitto di interessi di molti operatori del settore che spesso fanno da consulenti per i pm e contemporaneamente dirigono le varie "case del fanciullo" in cui vengono mandati i figli minori di un genitore accusato a torto o a ragione di pedofilia. E siccome si tratta di strutture convenzionate con la regione a pagamento, molto lauto per giunta e commisurato a ogni infante ricoverato, ci si può immaginare con che piede partano certe inchieste. I casi universalmente più famosi furono quelli del pm Forno a Milano che accusò un padre di avere violentato il bambino basandosi su perizie superficiali sull’ano del ragazzino di meno di tre anni che poi si scoprì soffrire di un tumore congenito al retto del quale morì. Il padre fu trattato da mostro e sbattuto in galera e ovviamente nessuno lo risarcì come nessun magistrato pagò. Poi c’è il caso di don Giorgio Govoni a Finale Emilia, un sacerdote che morì di crepacuore il 19 maggio 2000, prima che venisse celebrato il processo d’appello che lo avrebbe sicuramente scagionato (visto che nel frattempo il bambino che lo accusava e che già aveva mandato in carcere anche il genitore per questo motivo aveva ritrattato le accuse e si era scoperto che era stato istigato dallo psicologo a fare il nome del parroco del paese), episodio che viene spesso ricordato dal deputato dell’Udc Carlo Giovanardi autore di molte interrogazioni al proposito e ancora prima c’era stato il caso, con risvolti grotteschi, di Marco Dimitri, accusato di avere avuto riti pedofili con bambini di un anno sulla base della testimonianza di una spogliarellista che cercava di vendere un servizio a un giornale per soli uomini caratterizzandosi come la strega dei Castelli Romani e che in aula venne in lacrime a dire che si era inventata tutto per farsi pubblicità. Clamoroso anche il caso di quella figlia che si inventò a otto anni una violenza subita dal padre e che poi chiese la grazia a Ciampi. Spesso le madri inducono i figli a denunziare violenze per ottenere l’affidamento in cause di divorzio o separazione. Ora l’ultima frontiera dell’errore giudiziario e della psicosi collettiva sulla pedofilia (negli ultimi tre anni i casi denunciati si sono moltiplicati del mille per cento in tutta Italia, specie nella provincia) è quello di Rignano Flaminio. Con un paese spaccato in due tra innocentisti e colpevolisti e con genitori che diventano investigatori fai da te con telecamera e interrogatorio a luci rosse dei figli piccoli. Cinque scarcerati su sei a dieci giorni degli arresti, mentre mezzo paese dichiara di volersi fare giustizia da solo. Per non parlare del rischio corso in carcere dagli imputati dato che gli altri detenuti non sono molto garantisti con questo tipo di accuse. Ma le inchieste sulla pedofilia fatte in questa maniera, cioè solo per mandare una procura di provincia in prima pagina, hanno come principali accusati, quando si verificano questi errori giudiziari, i magistrati e gli esperti che, per italico vizio di negare al merito e al demerito qualunque significato, non pagano mai e in nessun caso per gli errori commessi. Giustizia: il "caso Rignano"; Mastella chiede dei chiarimenti
Radio Radicale, 12 maggio 2007
Il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, ha chiesto al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Ettore Ferrara, di essere informato su quanto è accaduto durante il periodo di custodia cautelare dei sei indagati nell’inchiesta sui presunti abusi nell’asilo di Rignano Flaminio, dopo che una delle maestre detenute e scarcerate ieri ha dichiarato di essere stata minacciata in carcere. Lo comunica in una nota l’ufficio stampa del ministero di via Arenula. Già ieri Mastella era intervenuto, chiedendo al capo dell’Ispettorato Generale del ministero di acquisire copia dell’ordinanza con la quale il Tribunale del riesame di Roma aveva disposto la scarcerazione di cinque dei sei indagati nell’inchiesta: iniziativa, aveva spiegato, presa nel "doveroso rispetto del segreto investigativo", per "essere messo al corrente di ogni elemento utile per una valutazione di quanto è accaduto, alla luce delle competenze del Dicastero". Giustizia: Prefetto Torino; il 40% dei detenuti è immigrato
La Stampa, 12 maggio 2007
Quello che dai cittadini viene avvertito come il principale fattore di insicurezza è "l’immigrazione clandestina, la cui valenza criminogena è di tutto rilievo" e benché siano stati colpiti da provvedimenti di espulsione circa 4 mila stranieri irregolari, "di essi solamente un quarto ha fatto rientro nei paesi d’origine", per questo "mentre deve essere particolarmente apprezzato l’impegno del prefetto Goffredo Sottile per l’ammodernamento e l’ampliamento del Cpt di corso Brunelleschi", che ha "frequente indisponibilità di posti", "vanno sostenute tutte quelle proposte finalizzate a impedire che il clandestino possa in qualche modo sottrarsi o ritardare l’identificazione", come l’abrasione dei polpastrelli, "e quindi il suo allontanamento dal nostro paese". È un discorso di sostanza, che non nasconde le problematiche, tratta i risultati positivi ottenuti ma anche le difficoltà che devono essere affrontate quotidianamente, non ultima la carenza di mezzi, quello fatto dal questore di Torino, Stefano Berrettoni, alla cerimonia per la Festa della Polizia di Stato che si è tenuta questa mattina all’Auditorium Rai. Ringraziando i suoi uomini per il loro impegno e ricordando non solo le indagini svolte dai vari reparti, ma anche le numerose attività di controllo del territorio per garantire la sicurezza e le "molte risorse investite sulla prevenzione", il questore Berrettoni ha però sottolineato che "la prevenzione, intesa soprattutto come presenza delle forze dell’ordine sul territorio e non coniugata con la prima, più efficace forma di prevenzione, la minaccia della sanzione e la sua effettiva applicazione, non può essere di per sé sufficiente e rischia in tal modo di far apparire vano anche l’operato di agenti e carabinieri sulla strada che non può e non deve essere considerato l’unico argine contro la criminalità". Il questore, che si è detto "consapevole della fiducia che i torinesi nutrono nella polizia, perché al di là di ogni difficoltà, è sempre una forza che tiene", ha aperto il suo discorso parlando della situazione dell’ordine e della sicurezza pubblica, a cominciare proprio dall’immigrazione clandestina. Ricordando che rapine a banche, uffici postali e furgoni portavalori "restano appannaggio esclusivo della criminalità nostrana", e che "resta sullo sfondo una criminalità organizzata che si sta spostando in provincia e che si dedica ad attività sommerse come riciclaggio e usura", il questore ha sottolineato che "tutta una serie di reati, anche gravi, risulta, specie nel capoluogo, opera di extracomunitari". Un dato che Berrettoni definisce "di per sé eloquente" è che "circa il 40% della popolazione carceraria torinese è costituita da extracomunitari, esclusi i romeni, da poco diventati cittadini comunitari, che contribuivano e ancora contribuirebbero ad alzare la media in misura significativa". A questo 40% se ne aggiunge poi un altro 5% "ristretto per reati connessi alla normativa sull’immigrazione". Il capo della polizia torinese ha quindi ribadito che "nell’ambito della lotta all’immigrazione clandestina sono stati effettuati numerosi e mirati servizi", ma a fronte dei loro risultati "solo un quarto di quelli espulsi ha fatto ritorno nel suo paese" per una serie di ostacoli, fra cui, oltre a difficoltà di identificazione e scarsa disponibilità di posti nel Cpt, anche "la scarsa o addirittura mancata collaborazione delle rappresentanze consolari di alcuni paesi nell’identificazione dei loro connazionali". Altro aspetto della sicurezza trattato nel discorso, quello delle rapine a esercizi commerciali e di altri reati predatori, "a volte commessi con inaudita violenza", che sono "per lo più opera di tossicodipendenti che, in continuo aumento, alimentano il traffico e lo spaccio di stupefacenti, specie della cocaina, la cui domanda appare sempre in crescita a fronte di un’azione di contrasto che, purtroppo, negli ultimi tempi non registra dati positivi". Infine, il questore ha sottolineato l’importanza delle molte segnalazioni, di istituzioni, associazioni di categoria, cittadini, che hanno "contribuito all’esito positivo di molti servizi, a dimostrazione di un reale rapporto di prossimità che, in questo caso, vuol dire soprattutto fiducia nella polizia". Giustizia: Cassazione; la Balzerani libera perché ravveduta
Il Tempo, 12 maggio 2007
È giusto concedere - dopo venti anni di carcere - la libertà condizionata all’ex Br Barbara Balzerani in quanto si è "ravveduta", anche se non "pentita", rispetto alla sua militanza eversiva e ha intrapreso un "costruttivo" e "concreto" percorso di "reinserimento sociale" oltre ad aver intrapreso un tentativo di riconciliazione con alcuni parenti delle vittime delle sue azioni. Lo sottolinea la Prima sezione penale della Cassazione. In particolare, la Suprema Corte - sentenza 18022 - ha depositato ieri le motivazioni con le quali ha convalidato la decisione del tribunale di sorveglianza che ha aperto le porte del carcere di Rebibbia per far uscire l’ex "Compagna Luna", condannata a diversi ergastoli, uno dei quali per la strage di via Fani. Contro la concessione della libertà condizionata aveva fatto ricorso in Cassazione la Procura della corte d’appello. In particolare, la Suprema Corte spiega che il "comportamento da valutare in termini di ravvedimento non può essere individuato nella pretesa modificazione, ideologica e psicologica, della personalità del condannato, commutata "interiormente" da pentimento, riconoscimento di errori e colpe, riprovazione morale dei delitti commessi, ammissione di colpevolezza, accettazione della condanna e della pena, "intima" adesione ai valori e ai modelli espressi dall’assetto istituzionale, né tanto meno da formale "abiura" delle pregresse condotte devianti". In sostanza, così, la Cassazione ha bocciato la tesi del Pg d’appello contrario alla liberazione della Balzerani in quanto l’ex brigatista non si era mai ne pentita ne dissociata. "Ai fini della concessione della liberazione condizionale - spiega la Cassazione - il ravvedimento deve consistere, per contro, nell’insieme degli atteggiamento concretamente tenuti ed esteriorizzati dal soggetto durante il tempo di esecuzione della pena, che consentano il motivato apprezzamento della compiuta revisione critica delle scelte criminali di vita anteatta e la formulazione. Mafia: Cassazione conferma condanna di Bruno Contrada
Agi, 12 maggio 2007
La sesta sezione penale della cassazione ha confermato la condanna a 10 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa a Bruno Contrada, l’ex numero 3 del Sisde negli anni ‘70. Il Collegio della Suprema Corte, presieduto da Giorgio Lattanzi, ha dunque rigettato il ricorso presentato dai difensori dell’imputato, confermando la sentenza della Corte d’Appello di Palermo che nel febbraio 2006 aveva, in sede di rinvio, ritenuto responsabile Contrada del reato contestatogli. Gli ermellini hanno accolto la richiesta del sostituto procuratore generale, Antonio Mura, che ieri aveva sollecitato il rigetto del ricorso. Contrada dovrà anche pagare le spese processuali. Per l’ex funzionario del Sisde si apriranno ora le porte del carcere: secondo quanto spiegato stamane dai suoi difensori, sarà detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. Contrada fu arrestato il 24 dicembre ‘92 e rimase in carcere per 31 mesi, nonostante diversi ricorsi presentati anche alla Corte europea per i diritti dell’uomo. Il 12 aprile del ‘94 si aprì il primo processo a suo carico, conclusosi con la condanna a 10 anni di carcere. La sentenza di primo grado fu però ribaltata dai giudici d’Appello che, nel 2001, pronunciarono un’assoluzione. Questa, però, fu annullata dalla Cassazione il 12 dicembre del 2002: la Suprema Corte dispose dunque un nuovo processo di secondo grado. Le accuse nei confronti di Contrada si sono basate anche sulle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, da Tommaso Buscetta, a Giovanni Brusca, Angelo Siino e Francesco Marino Mannoia. Da parte sua, invece, l’ex funzionario del Sisde ha sempre rivendicato il suo ruolo di uomo dello Stato, sostenendo di non avere mai conosciuto mafiosi e di essere stato accusato per vendetta da criminali da lui perseguiti in passato. Criminalità: il "business" dei rapimenti di animali da compagnia
Notitia Criminis, 12 maggio 2007
Avete un cane, un gatto di razza, oppure un bastardino al quale siete molto legati o del quale siete orgogliosi per qualche sua caratteristica speciale? Beh, fate molta attenzione alle persone con le quali ne parlate o ve ne vantate. Le voci corrono nei condomini, nei paesi, nei quartieri e non si sa mai a quali orecchi possano arrivare. Il rapimento di cani e gatti a scopo di estorsione è uno dei crimini più facili e diffusi, essendo praticamente privo di rischi. Un vero business per la microcriminalità. L’affetto non ha prezzo e non si può misurare per categorie: un tanto per gli uomini, un tanto per gli animali... Per molte persone la scomparsa dell’amico a quattro zampe è una privazione affettiva che comporta un grande dolore. Diversi anziani sono morti, colpiti da infarto o sprofondati in una forma grave di depressione dopo la sottrazione del cane o del gatto che dava loro calore, affetto e a volte perfino uno scopo per tirare avanti giorno dopo giorno in solitudine. Tutto questo non sfugge a chi vuole fare quattrini in fretta e senza fatica. Studiare la preda migliore, rapirla e far macerare nell’ansia e nel dolore i proprietari per giorni, settimane, in attesa che la "ricompensa" lieviti in proporzione, è un affare pulito pulito che rende. Rapire un animale da compagnia è un reato, ma è difficilissimo da dimostrare e praticamente impossibile da perseguire. E chi si mobiliterebbe per un gatto o per un bastardino? E, quand’anche succedesse in seguito a denuncia del proprietario, chi mai potrebbe dimostrare che Tizio, trovato in possesso del cane di Caio, lo ha rapito a scopo di estorsione? E se pure si potesse arrivare a una sentenza esemplare, quale sarebbe la pena? Denuncia a piede libero? Ramanzina del giudice? Sono moltissimi gli animali che scompaiono ogni giorno e molti di loro purtroppo non si trovano perché sono caduti in mano a gente che cerca di estorcere denaro ma poi, intascata la "taglia", molto difficilmente li restituisce. E del resto, perché rischiare una denuncia per estorsione? Meglio prendere i soldi e poi disfarsi dell’animale abbandonandolo lontano, uccidendolo o cedendolo agli allevamenti clandestini di cani da combattimento. Se il cane o il gatto scompaiono, ci sono tre cose da fare: denunciare la sottrazione o la perdita ai carabinieri o alla polizia, rivolgersi alle associazioni come "Animali persi e ritrovati", "Mondo gatto", "Enpa" e seguire i consigli degli esperti, infine attaccare volantini con la foto (va bene la fotocopia, purché sia chiara) nel palazzo, nelle vie adiacenti, nelle vetrine dei negozi che lo consentono, entro un raggio più ampio possibile, con predilezione per le bacheche dei veterinari e le vetrine dei negozi di animali. Nel volantino bisogna elencare le caratteristiche dell’animale, il numero del tatuaggio o del microchip (se ci sono), la zona e la data di scomparsa, evitando di promettere e soprattutto di quantificare un’eventuale ricompensa, perché una bella cifra tonda è esattamente quello che si aspettano eventuali rapitori. Non bisogna dimenticare due cose: se chi ha trovato il gatto o il cane è una persona per bene, più o meno animata da amore per gli animali, una volta appreso che i padroni lo stanno cercando non ha bisogno dell’incentivo della ricompensa per restituirlo. Se invece è un malandrino, intascherà i soldi dopo aver dato la prova che l’animale è vivo, ma poi si guarderà bene dal correre rischi facendosi trovare con la preda in mano. È crudele da dire, ma questo è quello che succede ogni giorno e i volontari delle associazioni animaliste sono tutti d’accordo: molta gente sul dolore altrui fa quattrini. Pescara: iniziativa Unicef sui diritti dei minori detenuti
Abruzzo Report, 12 maggio 2007
"Per Aspera diritti del minore: riflessioni intramoenia nel carcere di Sulmona" iniziativa a cura di Fiorella Ranalli, direttore coordinatore di area pedagogica del progetto, direttore dell’Istituto penitenziario di Sulmona e di Anna Maria Cappa Monti presidente regionale Unicef Abruzzo. Se ne è parlato stamattina alle ore 11.30, alla libreria Hub di Pescara. Da circa due anni nella casa di reclusione di Sulmona, per i detenuti, si tengono seminari di formazione sull’infanzia e l’adolescenza, ai quali il Comitato per l’Unicef della Regione Abruzzo dà il suo costante ed attivo contributo. Grazie ai seminari di formazione ed allo scambio di vissuti personali, i detenuti possono acquisire le competenze per mantenere vivo il proprio ruolo di genitore e non avvertire quel senso di definitiva esclusione della famiglia e, nel complesso, dalla società, inevitabilmente legato alla propria situazione. Le tematiche affrontate nel corso del 2006 hanno toccato argomenti che riguardano propriamente le relazioni familiari e che ad esse sono connesse, come l’affido, l’adozione, il ruolo delle istituzioni coinvolte in tali vicende. Agli incontri hanno partecipato i detenuti. Camerino: delegazione parlamentare in visita al carcere
Corriere Adriatico, 12 maggio 2007
Le condizioni dei detenuti, lo stato della struttura e la situazione a qualche mese dall’indulto dei mesi scorsi. Sono questi i motivi della visita di ieri mattina nella casa circondariale di Camerino da parte della senatrice Erminia Emprin, dell’on. Maria Lenti, rappresentante dell’associazione Antigone, di Marcello Pesarini e del consigliere regionale, Michele Altomeni. La visita si inserisce all’interno della campagna nazionale promossa dall’Associazione Antigone per analizzare la condizione delle carceri in Italia dopo l’indulto, con quanto messo alla luce nella casa circondariale di Camerino che è stato illustrato nel corso di una conferenza stampa, tenutasi ieri mattina in comune, alla presenza del sindaco Fanelli. La struttura camerte ha brillantemente sperato l’esame per quanto riguarda l’impegno del personale e le condizioni igienico sanitarie. Meno bene, invece, per quanto riguarda l’immobile che ospita il carcere, ormai non più adeguato a contenere una struttura di questo genere. Dopo l’indulto, a Camerino, i detenuti sono passati da circa 45 a 24. L’incontro di ieri, comunque, ha fornito anche l’occasione per tornare a parlare con i rappresentanti del governo e della Regione della costruzione del nuovo carcere nella frazione di Morro. Sanremo: rissa in carcere dopo la partita, 11 condanne
Secolo XIX, 12 maggio 2007
Il risultato finale della partita ieri non lo ricordava nessuno, cos’era accaduto subito dopo i tre fischi dell’arbitro, invece, era ben presente nella memoria di tutti. In particolare ai dodici imputati chiamati a rispondere di rissa e che in conseguenza di quell’episodio di violenza si sono visti condannare al pagamento di 300 euro di multa. Date le circostanza, è comunque da ritenere che gli sia andata ancora bene. La rissa in questione, infatti, non era andata in scena in un campetto qualsiasi di periferia, ma in un carcere. Più esattamente in quello dell’Armea, a Sanremo, dove in un pomeriggio dell’aprile di due anni fa era stato organizzato un incontro "amichevole" di calcio tra detenuti. Da una parte una selezione albanese, dall’altra una squadra composta da marocchini, tunisini e algerini. In palio non c’era nulla, se non la soddisfazione di conquistare la leadership in materia di pallone. Fatta eccezione per qualche entrata al limite del regolamento e un paio di presunte sviste arbitrali, la sfida non aveva dato adito a proteste, tanto meno aveva fatto prevedere quello che sarebbe accaduto al termine della gara: insulti, minacce, i primi spintoni e poi un formidabile scambio di calci e pugni che coinvolgeva complessivamente dodici detenuti, più o meno equamente divisi in ordine al colore delle maglie. Una maxi-rissa, insomma, che la polizia penitenziaria a fatica era riuscita a sedare. Ieri mattina, a distanza di due anni, la vicenda è approdata a processo. Tra i dodici imputati figurava anche Indrit Jakupi, il giovane albanese condannato a 30 anni in Appello per l’omicidio del portiere dell’hotel Belvedere, a Sanremo, avvenuto alle prime luci dell’alba del 6 marzo 2004, mentre in città si stava svolgendo il Festival della canzone. Il caso ha voluto che dei dodici accusati, Jakupi - anche in questo processo difeso dall’avvocato Alessandro Moroni - sia risultato l’unico assolto: il giudice non ha ritenuto sufficienti le prove a suo carico, a differenza degli altri undici detenuti, giudicati colpevoli e condannati a 300 euro di multa. Droghe: Ferrero; destra specula su tragedia di Vercelli
La Repubblica, 12 maggio 2007
"Sono sporche di sangue le mani dei legalizzatori d’erba". Va giù pesante l’opposizione. L’incidente di Vercelli in cui hanno perso la vita due bambini è il pretesto per riaprire senza mezze misure lo scontro sulle norme in materia di stupefacenti tra proibizionisti e antiproibizionisti. La polemica sulla liberalizzazione delle droghe leggere, sulle quantità di uso personale, si riaccende attorno al corpo delle giovani vittime, alle famiglie straziate dal dolore. Con l’opposizione all’attacco del "governo di giardinieri", tra richieste di test per chi lavora al pubblico servizio, la volontà di mettere fuori legge qualsiasi tipo stupefacente. Col sindaco di Milano Letizia Moratti che dopo aver proposto il kit test anti droga nelle scuole annuncia che i Sert non distribuiranno più siringhe pulite gratis ai tossicodipendenti e accusa il governo. "L’incidente in cui sono morti i due bambini dimostra che questo governo sottovaluta il problema della cannabis. Se prosegue la politica del ministro Turco, e se va avanti il disegno di legge Ferrero che vuole depenalizzare le cosiddette droghe leggere, questo è il rischio che ci troviamo: molti più episodi di questo tipo, perché a questo punto le droghe saranno legittime". È strumentalizzazione", ribatte il ministro Ferrero, che alla Moratti chiede "cosa direbbe se risultasse che l’autista del bus aveva bevuto troppo: forse che si deve proibire il vino? È evidente come anche su questo tema la destra preferisca la speculazione e la propaganda a ogni seria riflessione". E propone sanzioni diverse per chi usa sostanze psicotrope, alcol o cannabis, in casa o alla guida mettendo a rischio la vita altrui. Sanzioni per aumentare il senso di responsabilità dei consumatori. Ieri è stata una lunga giornata segnata da polemiche e accuse. Con Biancofiore di Forza Italia che parla di "mani sporche di sangue", Gasparri di Alleanza Nazionale che chiede la messa al bando di "tutte le sostanze stupefacenti". Mentre il centrodestra sottolinea gli "effetti devastanti" delle cosiddette droghe leggere e chiede il ritorno alla legge Fini-Giovanardi, ma anche controlli severi per gli autisti di bus pubblici e privati. Dai banchi dell’opposizione Elisabetta Gardini (Fi) ribadisce la necessità di non legalizzare le dosi minime di droga e Alfredo Mantovano (An) chiede se dopo quanto accaduto il ministro Ferrero intenda ancora cambiare la norma della legge sulla droga. "Piuttosto che tentare di cancellarla, la Fini Giovanardi andava sostenuta", aggiunge Maurizio Gasparri (An), mentre l’eurodeputata Alessandra Mussolini (Alternativa sociale) sottolinea che drogarsi è un reato, "perché chi si droga mette in pericolo la vita propria e quella degli altri. Per Silvana Mura (Idv) se l’assunzione di droga da parte dell’autista è alla base dell’incidente, sarà necessario "aprire una seria riflessione sull’ipotesi di rendere illegale sempre e comunque anche il consumo di droga, cancellando il concetto di quantità per uso personale". Voci fuori dal coro quella di Vladimir Luxuria del Prc ("Secondo me, in Parlamento ci sono alcuni che si drogano. la smettano di fare i moralisti sull’uso delle droghe"). E in serata dal ministro della Salute Turco arriva la prima risposta concreta. Dice immediatamente sì ai "test periodici obbligatori per verificare l’assunzione di stupefacenti, alcol e farmaci che possono compromettere la capacità di guida degli autisti". Droghe: Minniti; sequestrate 10-15% sostanze su mercato
Notiziario Aduc, 12 maggio 2007
Ad avviso del viceministro dell’Interno Marco Minniti il problema del traffico di droga si affronta principalmente combattendo quello internazionale e la criminalità organizzata perché "scaricare tutto quanto sul consumatore" significa "avere buone intenzioni ma non capire che la partita è molto più impegnativa". A margine della Festa della Polizia a Milano, a chi sottolineava come da più parti si vorrebbe una sostanziale abolizione della terapia della riduzione del danno, Minniti ha risposto: "Parliamoci con sincerità: non sono mai stato un proibizionista, nel senso che non ho mai considerato da questo punto di vista il problema fondamentale. Sappiamo che il grande tema di oggi è quello di combattere i grandi traffici di stupefacenti. Noi abbiamo oggi un traffico mondiale che movimenta diversi miliardi di euro e la partita del contrasto è ancora difficile da vincere". Per il viceministro "dobbiamo recuperare molto, del cento per cento della droga che circola nel mondo, le polizie di tutti i paesi riescono a intercettarne tra il 10 e il 15%. Se questa è la sfida, scaricare tutto quanto sul consumatore, pur essendo consapevole che si debba fare un’azione di convincimento contro l’uso della droga, significa prendere un poco l’acqua con un mestolo bucato. Significa aver buone intenzioni ma non capire che la partita è molto più impegnativa". Il viceministro, sempre rispondendo alle domande dei cronisti, ha spiegato che un completo dossier sulla criminalità e sicurezza sarà illustrato il prossimo 18 giugno. Droghe: Piobbichi (Prc); non ho mai detto che usarle è diritto
Ansa, 12 maggio 2007
"Fini fa solo demagogia, nessuno ha mai detto che utilizzare sostanze è un diritto, ma un dato di fatto con il quale confrontarsi". Francesco Piobbichi, responsabile politiche sociali del Prc, punta il dito contro il leader di An Gianfranco Fini che, all’indomani del tragico incidente di Vercelli, è tornato ad accusare la politica sulle droghe della sinistra. "Sanzionare il consumo automaticamente, anche quando non mette in pericolo terze persone - afferma Piobbichi - ha soltanto aumentato i danni, e favorito l’irresponsabilità degli assuntori che rischiano di essere colpiti comunque da pesanti limitazioni. Una volta segnalati, passano anni prima del colloquio in molte prefetture, e per i recidivi si possono prefigurare pesantissime restrizioni date in maniera discrezionale". Molte ricerche, secondo l’esponente di Rifondazione, evidenziano l’inefficacia di queste politiche: "in 17 anni di sanzioni amministrative e repressione generalizzata, i consumi sono esplosi invece di restringersi". "Infine - conclude - se vogliamo combattere lo spaccio, appare paradossale la discussione sulla modica quantità, dato che la vera lotta dovrebbe essere contro la mafia e il narcotraffico, che di quantità ne spostano a tonnellate. Dato che Fini era a Gela, almeno su questo secondo aspetto poteva ricordarsi di dire qualcosa in più". Droghe: sempre di più i minori detenuti che ne fanno uso
Notiziario Aduc, 12 maggio 2007
"Il consumo di droga fra i minori che entrano in carceri, centri di prima accoglienza e comunità italiane, è in crescita e si sta diffondendo anche l’abitudine di assumere sostanze stupefacenti in combinazione con l’alcol". A lanciare l’allarme è Serenella Pesarin, direttore generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari del dipartimento giustizia minorile, ospite oggi a Milano del convegno "Adolescenza inquieta - esperienze stupefacenti e comportamenti delinquenziali nella minore età", organizzato da Asl città di Milano e Regione Lombardia. "Nel 2006 i minorenni consumatori di sostanze stupefacenti venuti a contatto con i servizi della Giustizia minorile sono stati 857, la maggior parte dei quali, il 71%, di nazionalità italiana". Questi i dati raccolti dal dipartimento del ministero di Grazia e giustizia. Fra gli stranieri sono i nordafricani (16%) e in particolar modo i marocchini (12%) a fare uso di droghe, seguiti dai minori provenienti dall’Est Europeo, che rappresentano il 9% del totale, in aumento di tre punti percentuali rispetto all’anno precedente. "Entrambe le etnie costituiscono la maggioranza dell’utenza straniera che transita nel circuito penale della giustizia minorile italiana. Rispetto all’anno precedente si è verificato anche un aumento del numero dei consumatori di sostanze stupefacenti provenienti dalla Romania". Ragazzi coinvolti in reati di spaccio e detenzione di stupefacenti, gli illeciti più frequenti rappresentando il 57% del totale, e reati contro il patrimonio (37%). Adolescenti che fumano hashish nel 75% dei casi, o sniffano cocaina (11% del totale): "A fare uso di cannabinoidi sono soprattutto gli italiani - spiega Pesarin - con una percentuale del 78% a fronte del 67 % degli stranieri". L’età in cui è più diffuso il consumo di stupefacenti è la fascia dai 16 ai 17 anni. "Un’età delicata. In cui alcuni adolescenti esprimono diverse forme di disagio che derivano da una perdita di autorevolezza degli adulti, da uno stato di solitudine e di mancanza di stimoli emotivo-affettivi che porta a ricercare l’autoaffermazione, il riconoscimento dell’identità e l’aggregazione nel gruppo dei pari attraverso un’alterazione della coscienza e della percezione di sé stesso e della realtà". Così a consumare droga quotidianamente è il 32% dei giovani che accedono ai servizi di giustizia minorile, mentre il 47% ne fa un uso settimanale e il 21% occasionale. Per affrontare questa situazione complessa, secondo Pesarin, occorre individuare precise linee d’azione. "L’assistenza sanitaria nei casi di abuso di sostanze stupefacenti è in cima alla lista. Non si può escludere il sistema sanitario locale dalla presa in carico del minore. Serve anche un collegamento costante con il Sert e l’Asl per il collocamento dei minorenni in comunità terapeutiche. E anche la copertura finanziaria degli oneri relativi al pagamento delle rette dovute alle comunità specialistiche territoriali dovrebbe essere a totale carico del sistema sanitario regionale. Ciò anche in considerazione della possibilità che venga comunque assicurata la permanenza del minore nella struttura anche a conclusione della misura penale". Un primo passo, spiega ancora Pesarin, sono gli accordi tra Asl e Centri per la giustizia minorile, già presenti per esempio a Milano, "che potrebbero essere estesi a tutte le aree territoriali e adattati alle specifiche esigenze locali".
|