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Giustizia: ddl di riforma "Mastella", il Senato approva
Adnkronos, 14 luglio 2007
L’aula del Senato ha approvato il ddl di riforma dell’ordinamento giudiziario. Dopo lo stop al controverso emendamento Manzione e la protesta della Cdl, che ha abbandonato l’aula per protesta contro il voto dei senatori a vita, la maggioranza ha dato il via libera a tempo di record, decisamente in anticipo rispetto al previsto. La riforma passa ora all’esame della Camera, che dovrà approvarla entro il 31 luglio per evitare che entrino in vigore le disposizioni della legge Castelli. "Abbiamo fatto un’ottima cosa per il Paese evitando gli eccessi e facendo sì che non ci siano contrapposizioni tra potere giudiziario e potere politico", ha commentati il Guardasigilli Clemente Mastella. Il ministro ha inoltre espresso l’auspicio che l’Anm ripensi lo sciopero dei magistrati, che "non è una buona cosa" e che la magistratura "non scenda lungo il crinale del populismo che rischia di creare problemi e tensioni". La maggioranza ha superato la prova più difficile quando l’aula di Palazzo Madama ha respinto l’emendamento di Roberto Manzione all’art. 4. La proposta è stata bocciata per appena un voto di differenza: sono stati, infatti, 156 i voti contrari, 155 i favorevoli, due gli astenuti, astensione che al Senato vale come voto contrario. I due senatori astenuti sono stati Willer Bordon e Giulio Andreotti, mentre ovviamente il senatore firmatario ha votato a favore, insieme all’opposizione. I senatori a vita presenti, oltre all’astenuto Andreotti, erano Rita Levi Montalcini, Emilio Colombo, Oscar Luigi Scalfaro, che hanno votato contro l’emendamento. "Ancora una volta il governo si salva per il voto determinante dei senatori a vita", ha detto il presidente dei senatori di An Altero Matteoli, annunciando l’abbandono dell’Aula da parte dei senatori del gruppo. Anche Forza Italia e Udc hanno lasciato per protesta l’Aula del Senato. "Con il loro voto, costituzionalmente legittimo, ma politicamente immorale, il presidente Scalfaro e i senatori a vita si sono assunti la responsabilità di alimentare il crescente disprezzo per le istituzioni - è stato l’affondo del leader di Alleanza nazionale Gianfranco Fini -. Perché un governo che non si dimette anche se non ha una maggioranza politica, è un insulto per la democrazia". Ieri ci sono state tensioni quando Gerardo D’Ambrosio, senatore dell’Ulivo, ed ex capo della Procura di Milano, ha difeso l’indipendenza della magistratura. Vi sono state diverse interruzioni, soprattutto dai banchi di Forza Italia, e il vicepresidente Milziade Caprili ha richiamato all’ordine l’azzurra Anna Bonfrisco e poi Goffredo Bettini (Ulivo), che aveva replicato alle proteste della collega. A D’Ambrosio, che aveva esordito ricordando la figura dell’eroe borghese Giorgio Ambrosoli, la senatrice Bonfrisco ha rivolto frasi, secondo la denuncia successivamente fatta in Aula dal vicepresidente dei senatori dell’Ulivo, Luigi Zanda, del tipo "sei un assassino e un criminale, oggi è il tuo giorno". La Bonfrisco da parte sua non si è detta affatto pentita: "Pentita io? E perché? L’unica cosa che non dovevo fare era sostare nell’emiciclo e parlare ad alta voce. Di quello, sì, mi scuso con la presidenza". "Ovviamente la mia non è un’offesa personale ma è un’accusa politica - dice - legata a ciò che il pool di Milano ha fatto 15 anni fa, spazzando via un’intera classe dirigente con quello che per me può essere paragonato a un vero e proprio colpo di stato. In molti, e anch’io, dovrebbero chiedere scusa a quei magistrati di essere ancora vivi". E poi, una stoccata a Bettini, anche lui richiamato dalla presidenza: "Ha alzato il dito medio verso di me... Bella dimostrazione di sensibilità". Bettini in una nota si è detto rammaricato "per aver perso la pazienza, ma ho avvertito uno sdegno incontenibile quando la senatrice Bonfrisco è venuta sotto i nostri banchi urlandoci in faccia più volte con odio tremendo parole rivolte al senatore D’Ambrosio: "Assassino, assassino, oggi è il tuo giorno". "Tuttavia - aggiunge - il mio gesto di rabbia non era rivolto alla senatrice Bonfrisco, bensì ad alcuni colleghi dell’opposizione i quali, nonostante la provocazione subita dal pacatissimo senatore D’Ambrosio, continuavano a inveire minacciosi verso i banchi dei senatori di centrosinistra". Giustizia: Mastella; e adesso l’Anm revochi lo sciopero
Adnkronos, 14 luglio 2007
"Abbiamo fatto un’ottima cosa per il Paese evitando gli eccessi e facendo sì che non ci siano contrapposizioni tra potere giudiziario e potere politico". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, commentando il via libera di palazzo Madama alla riforma dell’ordinamento giudiziario. Il Guardasigilli ha inoltre espresso l’auspicio che l’Anm ripensi lo sciopero dei magistrati, che "non è una buona cosa" e che la magistratura "non scenda lungo il crinale del populismo che rischia di creare problemi e tensioni". Giustizia: Camere Penali presentano il "Rapporto Carcere"
Adnkronos, 14 luglio 2007
L’Unione delle Camere Penali (Ucpi) ha presentato il documento programmatico del proprio "Osservatorio Carcere", che contiene rilievi e proposte riguardanti la vita negli istituti penitenziari italiani. Di seguito la sintesi di alcuni punti del documento.
Tante norme per la tutela dei detenuti, ma poco applicate
"È stato affermato che le teorie della giustizia sembrano costruite per mondi ideali ed ipotetici, se non del tutto fittizi. Le norme in materia di detenzione sono uno dei tanti esempi di tale affermazione, in quanto, scritte da decenni, trovano rara applicazione. Coloro che dovrebbero beneficiare di quanto in esse stabilito, i detenuti, sono considerati evidentemente soggetti che non meritano alcuna attenzione, nemmeno che venga, per loro, applicata la legge". "I detenuti siano essi in attesa di giudizio, quindi presunti innocenti, siano essi stati condannati a pena definitiva, non sembrano considerati degni di tutela. Si scrivono regole con riferimento ai principi costituzionali, ben sapendo che esse non saranno rispettate, perché alcun finanziamento viene disposto". L’Italia, si spiega, ha un Ordinamento ed un Regolamento Penitenziario che possono essere considerati un valido strumento per il rispetto della dignità della persona-detenuta. La loro "parziale" applicazione rende ancora più mortificante, secondo l’Osservatorio, la vita dietro le sbarre e "delude coloro che, pur liberi, continuano a credere che la legge vada sempre e comunque applicata". Nel documento si evidenzia che "la punizione per chi ha sbagliato deve consistere esclusivamente nella privazione della libertà, ma la dignità, la psiche, gli affetti, la salute, la speranza, devono continuare a vivere nell’essere umano".
Grave la situazione dell’assistenza sanitaria
Nel pianeta carceri particolarmente grave è la situazione dell’assistenza sanitaria per la quale è ancora inattuato il decreto legislativo 230/1999 che, in attuazione del principio dell’universalità del diritto alla salute, prevede il passaggio della medicina penitenziaria al servizio sanitario pubblico. Di fatto l’assistenza sanitaria carceraria, tranne che per alcune Regioni che hanno autonomamente stipulato protocolli d’intesa tra Amministrazione penitenziaria e Servizio nazionale, è "devoluta all’iniziativa dei singoli istituti e si dibatte tra mille problemi con un futuro incerto". "La questione è tanto semplice quanto ineludibile - spiega il documento - se non si risale alle cause che hanno determinato il sovraffollamento la situazione è destinata a ritornare nell’arco di pochi anni ad essere come quella del luglio 2006". La legge finanziaria 2007, si aggiunge, ha previsto tagli consistenti (66 milioni di euro) alle spese dell’amministrazione penitenziaria e saranno penalizzate proprio le voci di bilancio relative alla "qualità" e alla funzione delle carceri e cioè l’assistenza sanitaria, le spese per le attività scolastiche, quelle destinate all’area penale esterna, le mercedi per i detenuti lavoranti, gli interventi per i detenuti tossicodipendenti. E questi tagli, scrive il documento "non si giustificano certo per il diminuito numero di detenuti, sia perché molte spese non hanno rapporto di proporzionalità con il numero dei detenuti, sia perché la gravissima situazione debitoria dell’amministrazione penitenziaria ridurrà notevolmente le risorse disponibili".
Igiene e affetti sono considerati beni non primari
L’igiene non è considerata un bene primario. Circa il 90% dei detenuti non ha doccia nella propria cella. Sono effettuati dei turni, che in alcuni Istituti sono settimanali. Circa il 70% non ha acqua calda in cella, mentre circa il 60% delle detenute non ha il bidet. "La toilette nelle celle, a volte, non ha separazione ed è composto da water e lavabo e la maggior parte dei detenuti cucina e mangia in cella, lavando e preparando gli alimenti nello stesso angusto spazio che serve da toilette. Gli alimenti vengono accatastati nelle stesse celle". I rapporti con la famiglia, continua il documento "sono soggetti a limitazioni che rendono disagevoli le relazioni tra gli internati e coloro che vengono a trovarli, alimentando un allontanamento fisico ed a volte affettivo. In più della metà degli Istituti non sono consentiti colloqui in spazi all’aria aperta. La maggior parte dei colloqui (uno a settimana) avviene in enormi stanzoni, dove i detenuti parlano, o meglio urlano, ai familiari, posti dall’altro lato di un tavolo, i loro affetti e le loro esigenze, per un tempo che è di circa un’ora. La riservatezza è garantita dall’enorme frastuono".
Uso smodato della custodia cautelare
Per l’Osservatorio carceri "tale dato è significativo di una scelta culturale e politica che valorizza parametri di tutela della collettività e di ripristino della sicurezza attraverso un messaggio esclusivamente repressivo e orientato in modo uniforme verso tutti i cittadini che infrangono la legge indipendentemente dalle singole e specifiche caratteristiche". Custodia cautelare, quindi, come anticipazione di una pena che erroneamente si crede non più espiabile - si conclude - come strumento coercitivo per ottenere confessioni o come risposta alle richieste dell’opinione pubblica alimentate spesso da campagne mediatiche distorte.
Basta con le politiche emergenziali
L’indulto ha costituito "un provvedimento tampone per fronteggiare l’emergenza del carcere, ma l’emergenza non è finita". Il compito dell’Ucpi, si sottolinea, "in linea con i principi che ne hanno sempre inspirato la linea politica, è quello da un lato di farsi promotrice di modifiche normative che possano contribuire a risolvere i problemi alla sua origine e dall’altro di vigilare affinché la politica, una volta tamponata l’emergenza, non rimuova il problema del carcere, non costituendo lo stesso un problema da risolvere in maniera emergenziale". Per l’Osservatorio, "proprio la cultura dell’emergenza che ha guidato l’azione politica del legislatore negli ultimi anni è oggi il pericolo più grande, anche nella gestione dei problemi legati al carcere", sul quale l’Ucpi vuole richiamare l’attenzione: quasi che finita l’emergenza è risolto il problema. "Una prospettiva così miope e superficiale di legiferare - si conclude - costituisce una delle più rilevanti critiche politiche che i penalisti negli anni hanno rivolto al legislatore di turno, senza mai dimenticare che la sterile critica non accompagnata dalla proposta non costituisce, a volte, momento di riflessione". Il contributo che l’Ucpi può e vuole dare è quello di invitare a una comune riflessione sui temi più rilevanti collegati al pianeta carcere in un convegno nazionale. Lavoro: la "Smuraglia" funziona, crescono detenuti occupati
Adnkronos, 14 luglio 2007
Aumenta il numero dei detenuti impiegati, secondo la legge Smuraglia del 2000, alle dipendenze di datori di lavoro, cooperative o imprese, esterni all’amministrazione penitenziaria: lo scorso anno sono stati 950 rispetto agli 867 del 2005, ai 737 dell’anno precedente, ai 644 del 2003 ed ai 436 del 2002. Il dato si ricava dalla relazione che il ministro della Giustizia Clemente Mastella ha presentato al Parlamento sull’attuazione delle norme che regolano il lavoro dei detenuti. Il numero complessivo dei detenuti lavoratori, nel 2006, è stato pari a 15.501, di cui 2.910 assunti da ditte esterne. La riduzione della popolazione carceraria per effetto dell’indulto ha influito sul numero dei detenuti lavoratori, ma il trend, complessivamente, è positivo, soprattutto per quel che riguarda la legge Smuraglia che, giova ricordarlo, prevede benefici fiscali e contributivi: 516 euro di bonus fiscale per ogni detenuto assunto a tempo pieno e una riduzione dell’80% della quota contributiva previdenziale. Rispetto al passato, dicono al ministero di Via Arenula, è leggermente migliorata rispetto ad un recente passato, anche se sarebbero necessari più fondi rispetto ai 50milioni di euro l’anno investiti per dare ai detenuti una possibilità di lavoro fuori e dentro il carcere. Da due anni è in vigore un protocollo d’intesa con le Camere di Commercio, soprattutto per far conoscere meglio alle imprese le possibilità, per loro vantaggiose, offerte dalle norme contenute nella legge Smuraglia. Nei prossimi mesi saranno avviati incontri specifici sul territorio per pubblicizzare con maggiore incisività le disposizioni di legge che regolano il lavoro dei detenuti. Nel 2006 la "Direzione generale dei detenuti e del Trattamento" si è impegnata per aumentare e razionalizzare il numero delle strutture lavorative all’interno degli istituti penitenziari (industrie, laboratori artigianali, colonie, terreni agricoli), dedicando particolare attenzione, si legge nella relazione di Mastella, a quelle potenzialmente in grado di aumentare le proprie capacità produttive e quindi occupazionali. Sono state sollecitate progettualità per il rilancio delle attività lavorative, tenendo anche conto delle realtà territoriali e delle locali esigenze di mercato. In Lombardia e nel Veneto, soprattutto, gli effetti più evidenti della legge Smuraglia: 604 i detenuti occupati nei 12 istituti penitenziari lombardi, e 147 quelli impiegati negli istituti del padovano, su un totale di 970 detenuti lavoranti. Da quest’anno negli Autogrill si possono trovare prodotti di qualità con marchio di agricoltura biologica, come vino, olio, miele e biscotti, frutto del lavoro dei detenuti assunti dalle cooperative dei consorzi Copa e Cgm all’interno degli istituti penitenziari. Nel 2006 è proseguito in 6 istituti penitenziari (due del complesso romano di Rebibbia, a Ragusa, Trani, Padova e Torino) il progetto che affida a terzi il servizio di confezionamento pasti dei detenuti, purché il personale addetto sia composto da detenuti. Lo scopo, spiegano al ministero, è quello di massimizzare il numero dei detenuti da integrare in attività lavorative, migliorandone la qualificazione professionale ed ottenendo, al tempo stesso, un miglioramento della qualità del servizio. Un’esperienza, questa, che ha incontrato e continua ad incontrare, dicono a Via Arenula, la massima soddisfazione sia da parte della popolazione carceraria, sia da parte delle cooperative che gestiscono il servizio. "Spiace - si legge nella relazione del ministro Mastella - non poterla estendere ad altri istituti, che ne fanno pressante richiesta, a causa della carenza di fondi a disposizione". A fronte di un complessivo miglioramento della situazione, l’indulto ha comunque avuto l’effetto di ridurre parzialmente il numero dei detenuti lavoratori. Ne hanno sofferto, in particolare, si legge nella relazione ministeriale, quelle attività che richiedono lavoranti con una specifica esperienza e qualificazione professionale che non sono di facile e immediata sostituzione. Al di là del dato numerico, il dicastero di Via Arenula sottolinea la difficoltà, malgrado gli sforzi compiuti, di mantenere produttive le lavorazioni gestite in proprio per mancanza di commesse. Di tutta evidenza è anche il dato che riguarda i detenuti in semilibertà, che nelle statistiche rientrano nel gruppo dei lavoranti non alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, che sono passati da 1.639 del 2005 a 597 nel 2006. In lieve flessione il numero dei detenuti assunti da imprese e cooperative all’interno degli istituti penitenziari: erano stati 663 nel 2005, sono stati 609 lo scorso anno. Da parte delle imprese c’è un certo interesse nei confronti della manodopera detenuta, ma la presenza del mondo imprenditoriale all’interno del carcere è ancora poco significativa a causa della scarsa produttività e dalla limitata professionalità di chi è recluso negli istituti penitenziari, dicono al ministero. È proseguita, sia pure gradualmente, nel 2006 l’azione di adeguamento alla normativa anti infortunistica delle officine penitenziarie già esistenti. Polizia Penitenziaria negli Uepe: la Cgil; ecco cosa non va
Redattore Sociale, 14 luglio 2007
Dopo l’incontro con l’amministrazione penitenziaria, chiusosi con un nulla di fatto, il sindacato evidenzia i punti di disaccordo rispetto ad un decreto osteggiato anche dalle assistenti sociali. Lo scorso 11 luglio è ripreso il confronto tra sindacati e amministrazione penitenziaria sulla bozza di decreto interministeriale (Giustizia e Interni) che prevede la sperimentazione presso alcuni Uffici per l’esecuzione penale esterna (Uepe) dell’inserimento della polizia penitenziaria con l’istituzione dei Nuclei di verifica e controllo. Ieri abbiamo riportato il commento degli assistenti sociali, felici che il confronto si sia chiuso con un sostanziale nulla di fatto. Stavolta è una nota della Cgil, a firma di Francesco Quinti e Lina Lamonica, ad illustrare l’andamento del confronto. "La discussione è stata molto intensa e si è protratta fino a tarda mattinata, favorendo un ulteriore e crediamo proficuo confronto con l’amministrazione la quale, comunque, conferma il suo deciso orientamento ad avviare la sperimentazione (vuole comunque ottemperare ad un preciso input politico, motivato da una pseudo e confusa richiesta di maggiore sicurezza sociale)". La Fp-Cgil ha rappresentato "in maniera ferma e determinata" tutte le osservazioni e le criticità emerse nel corso dell’assemblea degli AASS penitenziari Fp-Cgil svoltasi il 10 luglio, "nel corso della quale, grazie anche al confronto con le strutture del coordinamento nazionale della polizia penitenziaria, (anche di quelle interessate alla sperimentazione), "si è avuto modo di continuare l’approfondimento interprofessionale sulla tematica in questione, esaminando congiuntamente il contenuto del decreto ed evidenziandone criticità e perplessità assolutamente condivise". La Fp-Cgil, "dando atto all’amministrazione di una diversa capacità di ascolto rispetto alle chiusure che hanno contraddistinto l’avvio del confronto su questo tema, ha evidenziato che quanto emerge dall’articolato in esame risulta ulteriormente lesivo degli aspetti organizzativi, amministrativi e professionali degli operatori che saranno interessati da questa operazione, siano essi di polizia penitenziaria che di servizio sociale". "L’attuazione della sperimentazione secondo le modalità enunciate nell’articolato - precisa il sindacato - rischia un impatto fortemente negativo su quelli che sono i principi del mandato istituzionale assunti dalla norma di riferimento e assolutamente non sostituibili da un semplice atto amministrativo; ci riferiamo alla soverchiante funzione del Prefetto che non solo sembra sostituire la magistratura di sorveglianza, ma entra invasivamente nella gestione del personale della Polizia penitenziaria, nella sua selezione e nei rapporti di dipendenza funzionale dei direttori degli Uepe; ci riferiamo anche alle misure alternative, la cui natura e relative specificità sembrano quantomeno sottovalutate e allo svilimento professionale e operativo dei lavoratori, del servizio sociale, della Polizia penitenziaria". La Fp-Cgil dichiara inoltre di aver posto anche "la necessità che le osservazioni da più parti arrivate, circa l’incompatibilità di tale sperimentazione con le attuali caratteristiche previste dall’ordinamento per la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, siano tenute in alta considerazione e che la prossima bozza di decreto espunga dalle attività di controllo formale tale misura, concentrandosi, eventualmente, sulla sola detenzione domiciliare, oltre che sulle altre misure per le quali già oggi è già previsto il controllo della Polizia penitenziaria". "Abbiamo inoltre rappresentato l’impatto negativo in termini di risorse, economiche e umane e strutturali che tale operazione comporterà - continua la Cgil -. Abbiamo in tal senso chiesto all’amministrazione una stima sia sul personale di Polizia penitenziaria che necessiterebbe per tale sperimentazione, sia sui mezzi e le strumentazioni da destinare a tale servizio, certi che i numeri confermeranno le enormi difficoltà in termini di organici che abbiamo già ripetutamente denunciato, anche per le regioni per le quali il decreto prevede la sperimentazione. Abbiamo infine posto l’attenzione sulla scientificità della sperimentazione: essa manca degli indicatori necessari per una valutazione intermedia e finale e, soprattutto, risulta insostenibile laddove affida ai soli capi del Dap e della Polizia di Stato la capacita di valutare gli effetti". "Riteniamo necessario, invece - conclude il sindacato -, che già nel decreto di sperimentazione sia previsto un vero e proprio comitato scientifico, di valore e terzo rispetto al Dap, al quale affidare il monitoraggio e la valutazione dei risultati della sperimentazione, anche attraverso la preventiva individuazione di criteri oggettivi e, appunto, scientifici. Abbiamo, infine, rappresentato l’opportunità di allocare organizzativamente gli eventuali nuclei di controllo presso i provveditorati regionali ciò per garantire l’assoluta autonomia professionale di entrambi gli attori della sperimentazione: polizia penitenziaria, assistenti sociali". Come detto in apertura, l’amministrazione penitenziaria, considerate le notevoli osservazioni formulate dalle organizzazioni sindacali, ha ritenuto opportuno rinviare l’incontro a nuova data. Lazio: 4.418 detenuti, carceri quasi al limite della capienza
Il Velino, 14 luglio 2007
Nelle carceri laziali si contano 4.418 detenuti, a fronte di una capienza "regolamentare" di 4.649. Di questi 1.958, pari al 44.42 per cento, sono stranieri (1.754 uomini e 204 donne). Questo quanto emerso dai dati forniti dal Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria del Lazio che si riferiscono alla situazione fino al 30 giugno 2007. Dal primo agosto 2006 al 9 luglio 2007 sono inoltre rientrati in carcere dopo aver beneficiato dell’indulto in 522 su un totale di 2.557 beneficiari (pari a una percentuale del 20.41 per cento). Di questi 341 sono italiani (16 donne e 325 uomini) e 181 stranieri (174 uomini e 7 donne). Percentuali che sono in linea con quelle nazionale dove su 26.491 persone scarcerate i rientrati in carcere per aver di nuovo commesso un reato sono stati 5.331 (il 20,12 per cento). Analizzando la situazione nei singoli istituti penitenziari, il più affollato della regione risulta essere Rebibbia 1 (1.144 detenuti) seguito da Roma Regina Coeli (877) e Viterbo nuovo complesso (494). La percentuale più alta di detenuti stranieri si trova invece a Civitavecchia Nuovo complesso dove su un totale di 382 detenuti il 62.04 per cento è costituito da non italiani e a Rebibbia femminile dove su 292 detenute le straniere sono 178 (60.96). Per quanto riguarda, infine, le rilevazioni precedenti, secondo i dati del sistema informativo dell’amministrazione penitenziaria, fino allo scorso 28 febbraio il totale dei detenuti nelle carceri laziali era 4.201 di cui 1.876 stranieri (44.06 per cento) mentre allo scorso 31 marzo si contavano 4.268 detenuti di cui il 44.40 per cento (1895) non italiani. "Possiamo dire che se vogliamo effettivamente ridurre il numero dei reati e favorire una maggiore sicurezza - ha commentato il Garante regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni - non occorre diminuire il ricorso alle misure alternative, ma aumentarlo sensibilmente. Andrebbero immaginate nuove forme di sanzioni, - ha aggiunto il garante - dal lavoro di pubblica utilità all’affidamento in prova o alle comunità terapeutiche, estese anche alla fase del giudizio, che consentano di modellare il sistema penale ai principi costituzionali come l’articolo 27, secondo cui le pene debbono essere dirette alla rieducazione del condannato". Cagliari: progetto dopo-indulto, 5 tirocini per ex detenuti
Ansa, 14 luglio 2007
Al via, a Cagliari, 5 tirocini destinati a beneficiari dell’indulto. Sono stati attivati grazie al progetto "Lavoro nell’inclusione sociale dei detenuti beneficiari dell’indulto", promosso dal ministero del Lavoro in collaborazione col ministero della Giustizia e con le amministrazioni penitenziarie territoriali, con l’assistenza tecnica dell’agenzia governativa Italia Lavoro. Un progetto nazionale, destinato alle aree metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Trieste, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Cagliari, Catania, Messina, Palermo (o a particolare condizioni anche in altri territori), proprio per favorire il reinserimento lavorativo degli indultati, attraverso tirocini accompagnati da servizi d’incontro tra domanda e offerta, misure di sostegno al reddito, tutoraggio. In provincia di Cagliari (nella "vecchia" provincia di Cagliari, ovvero quella con estensione più ampia di quella attuale, prima dell’istituzione di nuove province), gli indultati sono stati circa 800, concentrati in maggioranza (circa 300) a Cagliari città. Su questi opera il progetto "Lavoro nell’inclusione sociale per i detenuti beneficiari dell’indulto" che, in questa prima fase di attività (la convenzione con la provincia è stata firmata il 3 maggio), prevede di mettere in cantiere complessivamente 70 tirocini. Un primo tirocinio, di 6 mesi complessivi, è cominciato da pochi giorni in un’autodemolizione, dove le macchine vengono smontate e i pezzi rivenduti e riciclati. A beneficiarne un ex detenuto di 42 anni, che il Centro servizi per il lavoro di Isili, in provincia di Cagliari, insieme al progetto "Lavoro nell’inclusione sociale per i detenuti beneficiari dell’indulto", ha messo in contatto con un’azienda che lo ha accettato subito mostrando grande disponibilità anche a proseguire l’esperienza con un contratto stabile, se tutto andrà bene nei prossimi mesi. "Determinante - racconta Monica Melis, coordinatrice regionale del progetto - il contributo del Csl e soprattutto la volontà della provincia di Cagliari di supportare il progetto". Altri 4 tirocini sono partiti proprio in questi giorni, in diverse realtà produttive: un panificio, un call center (il tirocinio si svolge negli uffici amministrativi), una cooperativa di pesca. In quest’ultimo caso, il beneficiario del tirocinio aveva competenze specifiche proprio in questo campo, tant’è che, in parallelo con il progetto, ha fatto richiesta di uno specifico contributo che la regione Sardegna eroga agli ex detenuti, per l’acquisto di attrezzatura da pesca, probabilmente in previsione di una futura attività autonoma. Palermo: solidarietà a Scuola "Don Puglisi" di Brancaccio
Comunicato stampa, 14 luglio 2007
Il Presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia a nome delle associazioni di volontariato aderenti, esprime solidarietà al quartiere e alla scuola di Brancaccio per le violenze di stampo mafioso subite. Dopo il Centro Padre Nostro, tocca ora alla scuola del quartiere Brancaccio di Palermo ad essere colpita. Dal Volontariato all’Istituzione pubblica simbolo dell’emancipazione culturale di una popolazione, che si vuole invece intimidire e mantenere assoggettata alla subcultura mafiosa dell’illegalità assunta a sistema. Ancora Padre Pino Puglisi, a cui è intitolata la Scuola di Brancaccio, è nel mirino della mafia, da vivo come da morto. Quanto deve essere scomodo il messaggio lasciato in eredità alla sua gente, gente per bene, che ne segue le orme, ma anche gente che vuol dimenticare, che non vuol sentire ragioni e che per sopravvivere preferisce "farsi gli affari propri"! Come se la vita di un quartiere così degradato e difficile - quello appunto di Brancaccio - fosse questione che non riguarda i suoi abitanti. Troppi silenzi avvolgono questa triste vicenda e non bastano certo le riunioni convocate d’urgenza per affermare che si sta facendo tutto il possibile. Ma quante omissioni da 14 anni a questa parte, dall’uccisione di Padre Puglisi, almeno sul piano della prevenzione e del sostegno a quelle iniziative spontanee, di grande valenza civica e morale, ma deboli nei mezzi e nella protezione, come quelle portate avanti coraggiosamente dal Centro Padre Nostro. Il volontariato è una grande risorsa del nostro paese ma rifiuta di essere un alibi comodo per quelle istituzioni e amministrazioni pubbliche troppo spesso inadempienti. Il fatto che i volontari abbiano a cuore il bene comune e per questo operino con abnegazione è caso mai una denuncia implicita delle carenze sofferte, una risposta possibile, un esempio eloquente di cittadinanza responsabile in contesti sociali disgregati. Auspichiamo perciò maggiore attenzione da parte delle autorità tenute a garantire la sicurezza dei cittadini, soprattutto attraverso le misure della prevenzione, ovvero favorendo l’affermazione di una cultura della legalità per una migliore giustizia sociale.
Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia Caserta: quattro ex detenuti ripuliscono la villa comunale
Il Mattino, 14 luglio 2007
È iniziato a Mondragone il progetto pilota denominato "Para-Cadute", relativo al reinserimento di ex detenuti beneficiari dell’indulto. Il progetto, finanziato dal Ministero della Giustizia, dà la possibilità a quattro persone di poter intraprendere un percorso di reinserimento nella società attraverso lo svolgimento di un corso formativo e lavorativo della durata di mesi sei. Il Comune di Mondragone è il primo Ente che dà l’avvio a questo progetto nell’ambito della Regione Campania; ciò è stato reso possibile grazie alla collaborazione tra il Co.Re (Consorzio Cooperative Sociali di Napoli), il settore Servizi Sociali e l’Assessorato all’Ambiente del Comune di Mondragone. L’assessore all’ambiente Giuseppe Piazza afferma: "Si è deciso di assegnare loro il compito di pulizia e sorveglianza della villa comunale e di piazzale Conte, per lanciare un duplice messaggio; il primo: è quello di coinvolgere direttamente i partecipanti al progetto, alla salvaguardia di un’area pubblica che è il simbolo del turismo mondragonese, ma che è anche un punto di ritrovo di tutti i nostri giovani, il secondo è quello di portare all’attenzione di tutti, soprattutto dei giovani, che il bene pubblico va conservato e tutelato ad ogni costo". Milano: torna la sit-com "Belli dentro"... risate in libertà
Ansa, 14 luglio 2007
Torna una delle sit-com più divertenti del palinsesto italiano, che racconta con sorprendente leggerezza storie di quotidianità carceraria. Dopo il successo della prima serie di "Belli dentro", sono iniziate presso gli studi Grundy di via Feltre le registrazioni della seconda, aperte al pubblico che dalla platea potrà godersi le gesta dei protagonisti prestati dal mondo della risata di Zelig, tra cui primeggiano Geppi Cucciari e Leonardo Manera. Nata da un’idea dei detenuti del carcere di San Vittore, la sit-com è uno spaccato di vita "dietro le sbarre" al di là della violenza, dell’ingiustizia e dell’isolamento sociale che il carcere inevitabilmente comporta. Protagonisti tre donne e tre uomini: Gonni (Geppi Cucciari), Lilli (Brunella Andreoli) e Iolanda (Alessandra Ierse) in una cella, Ciccio (Claudio Batta), Mariano (Stefano Chiodaroli) ed Eugenio (Leonardo Manera), ognuno con un passato diverso alle spalle che li ha portati a vivere insieme e diventare un’allegra e ridanciana "famiglia". Insieme a loro due agenti di polizia penitenziaria (Tony Rucco e Maria Rossi), uno spesino (Alessandro Fullin) e una suora (Pia Engleberth). Ogni puntata due storie di vita vissuta all’insegna di una sana risata, nonostante tutto. Nello scrivere la sceneggiatura, come nella prima serie, è stato determinante la redazione del magazine curato da alcuni detenuti di San Vittore, che ha fornito preziosi spunti di vita carceraria: convivenza forzata in spazi ridotti, necessità di impegnarsi per usare al meglio i pochi oggetti a disposizione, la noia, le gerarchie, compleanni, scambi di favore, riti, gesti e pensieri. Si potrà assistere alle registrazioni fino al 27 luglio, con ingresso libero e prenotazione telefonica allo 02/28970640. Droghe: Barra (Cri); tutti i tossicodipendenti vanno curati
Notiziario Aduc, 14 luglio 2007
"È interesse dello Stato e del Governo e quindi della collettività, prendersi cura dei tossicomani, di tutti i tossicomani e non solo di quelli che vogliono o possono voler smettere": lo afferma in una nota Massimo Barra, presidente della Croce Rossa, commentando i dati della Relazione annuale sullo stato delle tossicodipendenze in Italia presentato dal ministro Paolo Ferrero. "È altresì dimostrato che i risultati migliorano in maniera direttamente proporzionale alla durata della presa in carico e che il rischio di morte nei 30 giorni successivi alla fine di un trattamento è 10 volte maggiore rispetto ai giorni in cui il soggetto è in cura". "Tutto ciò che ostacola la nascita di un rapporto terapeutico (carenza di strutture e di fondi, bizantinismi burocratici, stigmatizzazione e discriminazione dei tossici) - sottolinea ancora Barra - va contro l’interesse comune e appesantisce un fenomeno che nel nostro Paese è già grave di suo per sopportare ulteriori aggravamenti artificialmente indotti".
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