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Milano: detenuto con sclerosi multipla, negati i domiciliari
Ansa, 10 gennaio 2007
Affetto da sclerosi multipla, cieco da un occhio. Eppure, condannato a 13 anni di reclusione per reati di camorra, è in carcere a Opera, nonostante l’istituto di pena abbia dichiarato la sua condizione "incompatibile" con la reclusione. È l’odissea di un detenuto 28enne, il cui avvocato ha presentato istanza al Ministero della Giustizia per ottenere il ricovero in un centro per minorati fisici, non ricevendo risposta. Costretto su una sedia a rotelle, l’uomo non risponde più alle terapie, ha difficoltà a muovere un braccio e non è quasi più in grado di vedere da un occhio, ma il ministero di Giustizia continua a considerarlo "socialmente pericoloso" e non ha accolto la richiesta di trasferimento presso una struttura specializzata. I medici dell’istituto ospedaliero milanese in cui è stato ricoverato a dicembre hanno spiegato al suo legale, l’avvocato Alessandro Bonalume, la necessità di un ricovero in un centro di riabilitazione, ma tanto non è bastato per evitare al suo assistito il rientro in cella. Rifiutate anche tre istanze presentate al Tribunale di Sorveglianza di Milano per ottenere gli arresti domiciliari. Il soggetto, stando alle repliche degli organi competenti, è considerato ancora in grado di nuocere nonostante la grave malattia che l’ha colpito. "Lo Stato, secondo i dettami costituzionali, dovrebbe garantire l’assistenza sanitaria ai cittadini - ha spiegato l’avvocato Bonalume - ma in questo caso, quello di una malattia grave e incurabile, l’assistenza non esiste. È brutto da dire ma l’aspettativa di questa persona è quella di morire. Lo vorrebbe fare, però, arrivando alla fine dei suoi giorni nel modo più sereno e dignitoso possibile. Anche nei confronti di una persona condannata per reati di camorra, Il senso di umanità viene prima di tutto". Erba: entro venerdì il Gip decide sul fermo dei coniugi
Ansa, 10 gennaio 2007
Più che prove certe, gli investigatori da un mese impegnati a scoprire chi ha compiuto la strage di Erba sarebbero in possesso "solo" di prove indiziarie. Prove che, comunque, messe insieme, delineano un quadro probatorio molto compromettente per i coniugi Olindo Romano e Angela Rosa Bazzi, in carcere da lunedì pomeriggio con il pesante sospetto di essere i mostri della porta accanto. In mattinata il pool di magistrati che segue l’inchiesta (il procuratore capo Alessandro Maria Lodolini, il sostituto Simone Pizzotti - di turno quella sera - e i colleghi Mariano Fadda, Antonio Nalesso e Massimo Astori) depositeranno presso la cancelleria del Giudice preliminare Nicoletta Cremona le cinque pagine che contengono le motivazioni che hanno portato al provvedimento di fermo scattato alle 16 dell’altro giorno, dopo tre ore e mezza di interrogatorio nel corso delle quali marito e moglie hanno sempre respinto ogni accusa, così come hanno fatto in serata per altre tre ore in carcere. Lui si trova in infermeria (per questioni logistiche) lei nel braccio femminile del "Bassone". In isolamento. La palla passa ora, in attesa di nuovi elementi, al Gip che entro venerdì dovrà esprimersi positivamente verso l’impianto accusatorio oppure ritenere non sufficienti gli elementi in possesso alla Procura e scarcerare i detenuti. Mancherebbe ancora, comunque, la "pistola fumante". Gli investigatori non avrebbero una prova schiacciante contro i coniugi Romano, ma una serie di indizi, alcuni dei quali potrebbero crollare in un confronto processuale. È il caso della macchia di sangue trovata su una maglietta della donna nella lavatrice di casa Romano, traccia ematica che apparterrebbe ad Angela ma che non dimostra la sua presenza e il suo coinvolgimento alla mattanza. Per gli investigatori più compromettente sarebbe l’impronta di pantofola trovata su un cuscino all’interno del bilocale di Raffaella Castagna e compatibile con quelle utilizzate da Angela. Ma anche questo poco vuol dire in sede processuale: di pantofole simili ce ne sono molte. Certo non tutti vanno in giro con quel tipo di calzatura ai piedi se non in casa o nelle immediate vicinanze. Vi è il riscontro dell’unico testimone oculare, Mario Frigerio, che parla di "un uomo di grande stazza, che parlava in italiano, che mi pareva essere il mio vicino di casa". Ma anche in questo caso la difesa potrebbe giocare la carta della "somiglianza" prendendo anche spunto dall’equivoco sorto ieri con la foto diffusa da Sky Tg24 e scattata da un residente nella vecchia "ca del giazz" (casa del ghiaccio), così come chiamata in tempi remoti la cascina di via Diaz. I Romano continuano a dirsi innocenti. Lei durante gli interrogatori è anche scoppiata a piangere. "Chiunque nelle sue condizioni - dice l’avvocato della difesa, Pietro Troiano - sarebbe stato colto da una crisi di pianto". Lo stesso legale ricorda che "per ora il loro alibi, quello della pizzeria, non è crollato". Loro hanno sempre detto che quella sera sono usciti da casa verso le 19 per andare a fare un giro nei negozi cittadini e poi andare nella zona del lungolago di Como per una pizza. Mostrano uno scontrino che, però, lascia un "buco" di circa tre ore.
In isolamento sono controllati a vista, non possono neanche guardare la tv
C’è un muro, un bel po’ di cancelli chiusi a doppia mandata e un mondo intero a dividere Olindo Romano e Rosa Bazzi dagli altri detenuti del carcere Bassone di Como. Un muro invalicabile, per fortuna loro. "La sottocultura criminale non perdona chi commette certi reati", spiega un educatore, abituato ad avere a che fare con il peggio del peggio di questo carcere di frontiera, 350 detenuti dopo l’indulto, oltre il 50 per cento extracomunitari. Marocchini e tunisini che già nei giorni scorsi, davanti alle foto di Youssef che aveva appena due anni, promettevano vendette e ritorsioni. "I miei clienti sono in isolamento giudiziario. Non li posso vedere nemmeno io, almeno fino all’udienza di convalida del fermo", spiega l’avvocato Pietro Troiano. Olindo Romano e Rosa Bazzi non sono solo in isolamento, divisi in due luoghi distanti. Sono nel raggio speciale dei detenuti che vanno protetti dagli altri prigionieri, sezione "Nuovi giunti", piano terra, proprio vicino alla sala colloqui con gli avvocati, dove sono reclusi un paio di violentatori e un tossico che malmenava la madre. Il netturbino, che al suo arrivo a Bassone ha avuto una forte crisi di pianto si trova in realtà nell’infermeria del carcere, non perché non si senta bene ma, a quanto pare, per una questione logistica, il timore appunto degli altri eventuali compagni di cella. Rosa invece, rinchiusa nel reparto femminile, appare tranquilla. Davanti alla sua cella, gli agenti di polizia penitenziaria controllano a vista. Dentro la cella, il letto a castello, lo stipetto, il tavolo di metallo, una sedia, i muri scrostati. Il peggio del peggio che possa esistere per una donna ordinata al limite della maniacalità come è sempre stata Rosa, gli stessi pantaloni bianchi di quando l’hanno portata via i carabinieri, lo stesso maglione blu, la stessa frase che ha ripetuto almeno un milione di volte ai magistrati anche versando un bel po’ di lacrime e che dice anche a padre Giovanni, cappellano del carcere: "Noi non siamo assassini, noi non c’entriamo niente...". Lo stesso concetto ostinatamente ripetuto da Olindo Romano, pantaloni scuri, maglione scuro, camicia arancione che spunta dal colletto, gli stessi vestiti finiti su tutti i giornali e in tutte le riprese televisive. Arrotando appena più del solito la erre nei momenti concitati dell’interrogatorio finito a mezzanotte passata, il netturbino che si alzava ogni giorno alle cinque e che secondo i magistrati avrebbe ucciso dopo anni di litigi coi vicini, ripete anche agli agenti che lo trovano fin troppo tranquillo: "Non mi agito, non voglio agitarmi, tanto non ho fatto niente". Non chiede nulla, non i giornali che nemmeno gli possono dare, non di vedere la televisione che tanto deve rimanere spenta per ordine del giudice. Forse gli portano un libro per aiutarlo a non pensare, come se fosse possibile convivere con questa vita sotto i riflettori che andava avanti da giorni, iniziata con una specie di conto alla rovescia finito con l’auto dei carabinieri che lo porta via con la moglie. Dal suo letto di ospedale Mario Frigerio, l’unico sopravvissuto, rinnova le sue accuse: "Questo fermo è una conferma". Matteo che fino a settembre abitava nell’appartamento adesso vuoto a fianco di quello del netturbino e di sua moglie, fa lo scettico: "Non credo che siano stati loro, lui era una persona così gentile... Si sapeva delle liti ma da qui ad ammazzare un bambino...". I ceffoni sulle scale, le accuse di rumori molesti, gli spintoni e quella vicenda giudiziaria che si trascinava da anni e che sarebbe dovuta finire due giorni dopo la strage, la ricordano tutti. Qualche litigio condominiale non lo hanno dimenticato nemmeno a Canzo, dove la coppia aveva abitato fino al 2000 prima di trasferirsi a Erba. Una vicina giura che era tutta colpa di Rosa, ordinata ma anche incapace di tenere la lingua e le mani a freno: "Qualche parola di troppo se l’era lasciata scappare...". Niente di così grave come quattro omicidi in punta di coltello, con le armi che ancora non si trovano, gli uomini del Ris che le cercano e che continuano i sopralluoghi nell’appartamento di via Diaz dove Olindo e sua moglie Rosa sperano di tornare. Roma: nasce lo sportello legale per l’assistenza gratuita
Prima, 10 gennaio 2007
Ogni due settimane uno Sportello Legale - con avvocati incaricati dal Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni - fornirà assistenza legale gratuita ai detenuti di Roma e Latina in esecuzione penale esterna sulle problematiche inerenti il loro reinserimento sociale. L’iniziativa, prima del genere nel Lazio, è frutto di un Protocollo d’Intesa siglato nei giorni scorsi dal Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni e dalla Dirigente dell’Ufficio di Esecuzione Penale esterna (U.E.P.E.) di Roma e Latina, Rita Crobu. L’Ufficio Esecuzione Penale Esterna gestisce le misure alternative alla detenzione carceraria (semilibertà, detenzione domiciliare, affidamento in prova al servizio sociale) e l’effettuazione, su richiesta dei Tribunali di Sorveglianza e degli Istituti, delle inchieste socio familiari. Compito dell’U.E.P.E. è, in sostanza, quello di favorire il reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti con specifici interventi di aiuto e controllo. Per comprendere l’importanza della funzione degli U.E.P.E. basti pensare che prima dell’indulto solo nel Lazio c’erano 6.100 detenuti in carcere e altri 4.000 in misura di esecuzione penale esterna. Nel dettaglio, lo Sportello Legale organizzato dal Garante Regionale dei detenuti sarà ospitato a Roma, nella sede dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Roma e Latina, che si occupa delle carceri di Rebibbia, Regina Coeli, Civitavecchia, Latina e Velletri. I consulenti legali indicati dal Garante Angiolo Marroni svolgeranno, ogni quindici giorni, colloqui di orientamento giuridico con i detenuti in regime di esecuzione penale esterna segnalati dagli assistenti sociali dell’U.E.P.E.. "Compito dei nostri assistenti sociali - ha detto la direttrice dell’U.E.P.E. di Roma e Latina Rita Crobu - sarà quello di collaborare con i legali nelle azioni a favore delle persone segnalate, secondo le modalità concordate nel progetto individuale della persona interessata al percorso di reinserimento sociale fornendo, nel rispetto della legge sulla Privacy, ogni informazione utile sulla posizione giuridica degli interessati." "Semilibertà, detenzione domiciliare e affidamento in prova non sono solo delle misure alternative alla detenzione, ma anche opportunità concrete di non perdere contatto con il mondo esterno, e questo è bene che ai detenuti venga fatto capire - ha detto il Garante dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni - Organizzare uno sportello legale all’interno dell’U.E.P.E. vuol dire spiegare le opportunità che hanno, mettendo a loro disposizione un aiuto concreto per organizzare e gestire un ritorno a pieno titolo, da cittadini con diritti e doveri, nella società." Terni: un concerto "In Jazz" nella Casa Circondariale
Comunicato stampa, 10 gennaio 2007
La Terni Jazz Orchestra ha tenuto per il secondo anno il Concerto di Natale nella Casa Circondariale di Terni. L’Associazione Culturale Charlie con il patrocinio e in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Terni e l’Assessorato alle Politiche Sociali della Regione Umbria nell’ambito della "Terninjazz" ha presentato il concerto di Natale " La Terni In Jazz Orchestra incontra Maurizio Giammarco". Quando la musica non conosce barriere, la musica come energia, messaggio non solo per il pubblico selezionato delle sale da concerto ma opportunità di dialogo e di confronto con le aree più emarginate e silenziose della città. Lo spettacolo, inserito nell’ambito degli eventi culturali programmati per la stagione invernale della Terni in Jazz, nel mese di dicembre prevedeva un doppio concerto natalizio: mercoledì 27 dicembre alle ore 14.00 nella Sala Teatro della Casa Circondariale di Terni e in replica, alle ore 21.00 a Palazzo Primavera, a sottolineare il fatto che il carcere è percepito come parte della realtà cittadina, il luogo dove le regole degli uomini costringono altri uomini a vivere in condizioni di privazione della libertà. La Terni Jazz è un’orchestra giovanile a carattere didattico fondata nel 1999, che ha lo scopo di formare giovani musicisti di jazz. È composta da 18 musicisti, in gran parte umbri ed è una della poche orchestre stabili di jazz in Italia. Marco Collazioni - sassofonista e direttore - e Bruno Erminero - arrangiatore e condirettore - sono musicisti di talento a livello nazionale, ogni anno rinnovano il repertorio dell’orchestra con lavori sui grandi artisti della storia del jazz e arrangiamenti in chiave jazz dei classici della musica italiana. Dopo la pubblicazione e la distribuzione a livello nazionale del primo album e la partecipazione ad importanti festival, per questa importante occasione l’Orchestra cittadina è stata affiancata dal grande sassofonista Maurizio Giammarco, direttore della PMJO (Orchestra Jazz del Parco della Musica), musicista polivalente, compositore e arrangiatore di notorietà internazionale. La Terni in Jazz orchestra ha presentato un repertorio rinnovato con ancora più energia, affinata dalla classe del sax di Maurizio Giammarco. I brani hanno determinato il pieno coinvolgimento degli spettatori che gremivano l’intero Teatro della Casa Circondariale. Gli applausi hanno determinato il bis del brano finale. Il concerto ha visto la partecipazione del Magistrato di Sorveglianza di Spoleto e dell’assessore regionale alle politiche sociali, Damiano Stufara. Si esprimono i più vivi complimenti e i ringraziamenti alla Associazione Charlie e all’Orchestra Terni in Jazz per un concerto di così elevata qualità che ha permesso di realizzare un’esperienza artistica straordinaria in questo Istituto. Medici penitenziari: lettera "aperta" a operatori della Lombardia
Simspe, 10 gennaio 2007
Cari colleghi ed operatori sanitari penitenziari, nel 2000 un gruppo di operatori e colleghi - facendo sintesi dell’impegno e delle esperienze maturate in un lungo arco di tempo - fondò la SIMSPe, ritenendo che porre la cultura professionale e la formazione al centro del dibattito sulla medicina penitenziaria fosse il modo più efficace per rendere visibile quanto di buono e con grandi sacrifici veniva fatto all’interno delle carceri, da chi vi operava; essere di stimolo anche alle istituzioni affinché (sulla base di dati rigorosamente registrati) comprendesse con maggiore lucidità le problematiche sanitarie e potesse quindi affrontarle in maniera più efficace; consentire la valorizzazione delle realtà e dei comportamenti professionalmente più esemplari e validi, permettendo di distinguerli da quelli meno virtuosi e potenzialmente lesivi dell’immagine professionale di tutti. Ma la realtà penitenziaria, sia sul piano nazionale che regionale è disomogenea ed in essa esperienze molto positive si associano - a prescindere dall’indiscutibile buona volontà di tutti - a realtà sclerotizzate, disorganizzate o inappropriate. Compito di tutti è cercare (nell’ambito della professione) di contribuire alla crescita culturale e tecnica. Negli ultimi cinque anni, nella nostra regione, di risultati se ne sono visti; lo sforzo compiuto dall’allora nascente UOSP e quindi da Angelo Cospito e da Patrizia Massa si è sempre più concretizzato in momenti di aggiornamento; di dibattito e confronto; di conoscenza e di scambio. Con Angelo e Patrizia, accanto a quelli storici di sempre, si è creato un gruppo sempre più numeroso ed affiatato di colleghi che ha contribuito (soprattutto in occasione dell’indulto) a fare ricevere alla nostra regione apprezzamenti e riconoscimenti sia in ambito dipartimentale che dai politici e dal Ministero della Salute. Il contributo dato dalla SIMSPe a tale processo è palpabile: i congressi degli ultimi anni (in particolare gli ultimi due) hanno reso visibile quanto anche da noi la medicina penitenziaria stia crescendo e subendo una salutare metamorfosi; quanto un modo di esprimere la propria professione in maniera coordinata con le realtà sanitarie esterne, in un’ottica di Continuità Assistenziale, si stia esprimendo sempre di più. Il contributo che attualmente noi diamo alla società è un segretario nazionale, nella persona del Dottor Angelo Cospito, che sarà in grado (partendo dalla efficace esperienza regionale) di favorire una sempre maggiore valorizzazione e catalizzazione degli entusiasmi e delle qualità presenti nelle aree penitenziarie del paese. Tra gli strumenti messi a disposizione degli operatori sanitari del nostro territorio ci sono la mail sanitapenitenziaria@gmail.com che consentirà di comunicare direttamente, tramite il presidente, con l’ufficio di presidenza e il sito aperto http://www.sanitapenitenziaria.it con la pagina web dedicata alla sezione Lombardia. Questa pagina può essere e deve sempre più diventare luogo di incontro, dibattito e promozione culturale per noi tutti. La possibilità di espressione e diffusione di notizie ed idee rappresenta un fattore di forte impulso alla ricerca, al confronto ed alla ideazione di soluzioni. Il relativo isolamento degli operatori e la distanza di coloro che si interessano del carcere possono essere superati con la possibilità di colloquio e circolarità di notizie. Per fare questo - ed è l’invito che (su delega del segretario nazionale) rivolgiamo a tutti gli interessati - è necessario rendersi disponibili a collaborare, ognuno per le proprie possibilità. Chiunque abbia intenzione di contattarci o di fornire la propria adesione può farlo ai numeri ed agli indirizzi di posta elettronica di seguito riportati.
Dottor Antonello Boninfante Medico Incaricato Provvisorio Medico SIAS C.C. di Brescia C.R. Milano - Opera Cellulare: 348.0709986 mail: aboninfa@libero.it Viterbo: tagli del trenta per cento per il personale sanitario
Tuscia Web, 10 gennaio 2007
La ha deciso il provveditorato dell’amministrazione penitenziaria per il Lazio poiché l’indulto ha ridotto la popolazione carceraria. È una decisione inaccettabile - afferma Enrico Giuliani, consigliere nazionale del Simspe (Società italiana di medicina e sanità penitenziaria) - sia per le ricadute che sull’assistenza sanitaria ai detenuti sia per la motivazione addotta, cioè l’indulto. A questo punto dovremmo aspettarci che venga ridotto anche il personale amministrativo e di polizia penitenziaria. Il provveditorato - continua Giuliani - non tiene in alcun conto che il numero dei detenuti sta di nuovo aumentando e che, in pochi mesi, si tornerà ai livelli precedenti. Un carcere come Mammagialla, dotato di un reparto per detenuti sottoposti 41 bis, necessita di un’assistenza adeguata. I sindacati hanno del tutto ignorato il problema dell’assistenza sanitaria nel penitenziario. Senza un immediato intervento il problema esploderà. Psichiatria: Unasam; Dsm su tutto il territorio nazionale
Redattore Sociale, 10 gennaio 2007
Mentre il ministro Livia Turco rilancia la questione dei Lea, i livelli essenziali di assistenza, le associazioni dei malati di mente riunite nell’Unasam, espongono un vero e proprio prontuario di lavoro al governo. Le richiesto sono state presentate oggi durante un seminario nazionale. Ecco nel dettaglio le più importanti proposte che sono state avanzate dal presidente dell'Unasam, Gisella Trincas e dai rappresentanti delle associazioni a livello delle singole regioni. Prima di tutto si deve ripartire dalle conclusioni della Conferenza di Helsinky dei ministri europei della salute, che si sono trovati d’accordo nel promuovere la consapevolezza dell’importanza del benessere mentale, lottare collettivamente contro lo stigma, la discriminazione e l’ineguaglianza e responsabilizzare e sostenere le persone con problemi di salute mentale e le loro famiglie. Provvedere all’esigenza di disporre di una forza lavoro competente ed efficace nel campo dei servizi psichiatrici. Ma se queste sono le linee direttrici generali, per quanto riguarda l’Italia, l’Unasam, avanza tutta una serie di richieste alla luce del fatto che il processo di superamento dei manicomi non è stato accompagnato (o almeno non è sempre stato accompagnato) dalla realizzazione di buoni servizi alternativi. Si tratta quindi oggi di fare il punto sulla situazione e di ricominciare dalla legge 180 che deve essere applicata nella sua totalità. L’Unasam chiede con nettezza la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari e l’eliminazione della contenzione fisica e farmacologica. Sembrerà assurdo e fuori dal mondo, ma l’elettroschock è ancora una pratica. L’Unasam propone di abolirlo completamente, mentre si propone la diffusione in tutte le regioni dei dipartimenti di salute mentale. Si tratta di realizzare un sistema integrato di servizi radicato nei territori. È necessario assicurare la presa in carico, la continuità terapeutica e assistenziale, promuovendo il protagonismo delle persone affette da disturbo mentale. I dipartimenti di salute mentale devono essere costituiti e diffusi su tutto il territorio nazionale e i centri di salute mentale devono garantire la presa in cura e l’accoglienza nelle 24 ore, sette giorni su sette. Un problema emergente è quello dell’uso (o meglio dell’abuso) delle normative sulla privacy da parte dei medici. "I dipartimenti di salute mentale - ha detto oggi nella sua relazione Trincas - devono contrastare qualunque abuso, da parte dei propri operatori, della legge sulla privacy. Accade infatti, abbastanza di frequente, che i medici non comunichino con i familiari del loro paziente trincerandosi dietro la legge sulla privacy, ottenendo come unico risultato l’inasprimento dei conflitti interni alla famiglia, l’allontanamento del paziente dal servizio, l’abbandono della famiglia a qualunque tipo di collaborazione". Fondamentale anche la questione della residenzialità. Le residenze, sempre secondo l’Unasam, dovrebbero essere di piccole dimensioni (non più di 6/8 abitanti) nel contesto urbano e somiglianti alle case vere. Residenze intese come spazio della ripresa e proiettate verso l’autogestione, l’autonomia personale e la risocializzazione. L’unione delle associazioni chiede anche una Circolare ministeriale che, nel rispetto delle leggi vigenti, sancisca una volta per tutte l’illeicità della contenzione fisica. L’Unasam ritiene anche che non possa essere ulteriormente consentito l’uso di ingenti risorse pubbliche per mantenere in piedi istituti privati che - seppure decorosi - non rispondono alle esigenze dei malati. Per questo sarebbe necessaria una puntuale verifica della situazione degli istituti privati in ogni regione. Infine l’unione delle associazioni che si occupano di salute mentale ritiene che sia assolutamente indecorosa la pensione di 250 euro al mese per le persone con disabilità mentale, mentre sono ormai maturi i tempi per una legge abrogativa dell’interdizione e dell’inabilitazione.
Elettroshock, malati legati, ricorso massiccio agli psicofarmaci
Le risorse sono sempre più scarse, i servizi sono spesso mal organizzati, il personale sia medico, sia infermieristico, è carente. La situazione in molte realtà italiane sta ridiventando esplosiva e c’è il rischio di tornare indietro rispetto alle grandi riforme della fine degli anni Settanta. Ma non c’è solo un problema di scarsità di risorse e di servizi insufficienti. Ci sono anche casi di vera e propria violazione dei diritti dei malati mentali che vengono sottoposti a cure e terapie forzate e spesso inadatte. È la denuncia molto forte che oggi ha rilanciato l’Unasam, l’unione nazionale delle associazioni per la salute mentale che ha organizzato un convegno a Roma sulle "questioni inderogabili" relative appunto alla salute mentale. Gisella Trincas, presidente dell’Unasam, nella sua relazione introduttiva, che è stata ascoltata direttamente dal ministro della Salute, Livia Turco non ha usato mezzi termini, né una fraseologia diplomatica per descrivere la situazione reale in Italia. Nella maggior parte degli istituti (quelli che hanno sostituito i vecchi manicomi), persistono situazioni "molto difficili e inaccettabili". Ecco solo qualche esempio che Gisella Trincas ha voluto estrapolare dalle tante esperienze dirette raccontate dalle associazioni che si occupano dei malati e delle loro famiglie. Si verifica spesso il ricorso a pratiche coercitive e lesive della dignità della persona, in molti Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, "che violano i diritti umani". Il presidente dell’Unasam ha fatto riferimento in particolare a casi di contenzione fisica, porte chiuse, video sorveglianza. Ma queste sono quasi banalità in confronto al ritorno della pratica dell’elettroshock e del forte contenimento farmacologico, che tradotto significa uso e abuso di psicofarmaci. Ci sono poi altri problemi non meno pesanti. Uno di questi è il sostegno quasi sempre inadeguato alle famiglie dei malati che si trovano ad assumersi sempre più di frequente il carico assistenziale in totale solitudine e disperazione. Il taglio delle risorse nei Comuni e nelle Regioni ha determinato le tante difficoltà che vivono gli operatori nei Servizi. "Il più delle volte - ha detto Trincas - gli interventi si limitano a visite periodiche ambulatoriali a distanza di uno, due o più mesi. Un medico può avere in carico anche 300 pazienti. Ci sono poi decine di casi di malati di mente che vengono letteralmente abbandonati a se stessi, mentre anche il sostegno e la tutela dei bambini e degli adolescenti figli o fratelli di persone con sofferenza mentale sono a dir poco carenti o inesistenti. In tutto ciò, nonostante la disoccupazione e l’inoccupazione in vari settori, è allarme per la mancanza di figure professionali adeguate, quali gli psicologi, gli educatori, i terapisti della riabilitazione e gli assistenti sociali. Se qualcosa ha retto, ha spiegato il presidente dell’Unasam, lo si deve alla società civile che è riuscita a reagire nonostante l’assenza della politica e delle risorse finanziarie. In una situazione del genere colpiscono le violazioni dei diritti quanto e più delle carenze. Nei Servizi succede speso che le persone in cura vengano legate, mentre denunce sul comportamento di alcuni operatori sono stati avanzate in parecchi ospedali italiani e non solo nei reparti psichiatrici, ma anche in quelli di pediatria e geriatria. I manicomi non ci sono più, ma spesso la pratica di intervento rimane manicomiale. Anche i famosi Opg, gli ospedali psichiatrici giudiziari, hanno mostrato il loro totale fallimento e ci sono casi di vero e proprio scandalo, come quello del reparto femminile di Castiglione delle Stiviere o di Bisceglie. Il presidente Trincas ha chiesto quindi al ministro Turco di avviare un’indagine conoscitiva su tutto il territorio nazionale per eliminare tutte quelle "situazioni di illegalità e abuso che lucrano sulla sofferenza e le difficoltà delle famiglie". E sì perché oltre alla mala sanità mentale e alle tante carenze nel superamento delle vecchie strutture manicomiali si verifica anche una sorta di nuovo business. Ci sono vari istituti privati che non risolvono i problemi dei malati e si fanno pagare molto bene, magari "deportando" lontano dalle città di provenienza le persone sofferenti, con ulteriori aggravi e disagi per le loro famiglie che sono costrette a viaggiare continuamente per far visita ai propri cari. Ma nel seminario di oggi sono state sporte anche denunce ancora più dettagliate, come quella che ci arriva dalla Puglia. Il presidente dell’associazione famiglie disabili psichici (Afdp) di Taranto, Mario Tursi, ha raccontato per esempio di un ragazzo malato che è stato maltrattato all’interno del reparto psichiatrico dell’ospedale pubblico (l’unico della città). È stata sporta denuncia alla magistratura e ci sono state anche delle condanne, ma ora l’ospedale ha contro denunciato la famiglia del ragazzo. E sempre in Puglia ci sono stati altri casi strani. Sempre l’associazione Afdp parla di quattro morti sospette. In almeno due casi si è trattato di persone che sono state dimesse dagli ospedali e che poi sono morte a casa per motivi imprecisati. La malattia mentale è ridiventata un mondo a parte. Immigrazione: baby mendicanti, un affare per gli sfruttatori
Il Giornale, 10 gennaio 2007
Sembra impossibile, eppure un piccolo esercito di schiavi bambini attraversa ogni giorno le nostre città. Sono i tanti ragazzini costretti a mendicare da genitori che li lasciano all’angolo di una strada la mattina e li vengono a riprendere la sera per contare gli spiccioli raccolti. Una vera e propria piaga che si fa ancor più grave nel periodo delle feste o magari durante i saldi, quando il centro è più affollato. E loro spuntano ancor più numerosi. Giovani, più spesso giovanissimi, per impietosire chi deve lasciare loro una moneta. Per loro niente scuola, niente giochi, abiti sporchi e stracciati. La maggior parte sono Rom, in molti arrivano da Romania e Bulgaria. E così, dopo l’apertura delle frontiere, l’allarme rischia di diventare ancor più inderogabile. "Basta minori che chiedono l’elemosina nelle vie di Milano", l’ultimatum del vicesindaco Riccardo De Corato che nei panni di deputato ha presentato alla Camera una proposta di legge di modifica dell’articolo 602 del codice penale che contempla il reato di induzione alla schiavitù, ma non quello di "istigazione all’accattonaggio". Nel testo di De Corato, invece, l’articolo 602/bis prevede pene fino a 3 anni di reclusione e pagamento di una sanzione di 3.750 euro per chiunque si avvalga di anziani o minori per mendicare. E nel caso in cui il reato venga commesso da cittadini extracomunitari, oltre alla sanzione amministrava pecuniaria, è prevista l’espulsione immediata e definitiva dal territorio nazionale. Chiunque poi induca un minore o un anziano all’accattonaggio con sevizie o crudeltà, recita la modifica, sarà punito con la reclusione fino a 6 anni e il pagamento di una sanzione di 7.500 euro. "Oggi a Milano, come in altre città - spiega De Corato -, i più piccoli vengono sfruttati per accattonaggio, questua ai semafori, furti e altri traffici clandestini. Ma come evidenziato dalle sconcertanti inchieste di alcuni quotidiani, i bimbi sono anche "merce" richiesta per chi gestisce il losco e spregevole affare della prostituzione minorile". Immigrazione: Manconi; rumeni da scarcerare? meno di 100
Apcom, 10 gennaio 2007
"In relazione alle notizie diffuse nei giorni scorsi, siamo in condizione di precisare che solo 98 persone di nazionalità rumena e 4 di nazionalità bulgara risultano attualmente detenute nelle carceri italiane a motivo della violazione dell’obbligo di allontanamento dal territorio dello Stato conseguente all’ingresso irregolare". Lo riferisce in una nota Luigi Manconi, sottosegretario alla Giustizia con delega all’Amministrazione penitenziaria. "All’autorità giudiziaria competente - si legge nel comunicato - spetterà valutare se, a seguito del mutamento del loro status in cittadini di Paesi membri dell’Unione europea, queste 102 persone possano essere scarcerate". Cassazione: illegittime molte multe per divieto di sosta
Ansa, 10 gennaio 2007
Nei centri urbani gli amministratori comunali hanno l’obbligo di realizzare parcheggi gratis accanto a quelli a pagamento a fascia oraria. Lo sottolinea la Cassazione escludendo da questo obbligo le zone a traffico limitato, le aree pedonali e quelle di particolare rilevanza urbanistica. I giudici hanno rigettato il ricorso del comune sardo di Quartu Sant’Elena contro un avvocato che non pagava il ticket in un posteggio a pagamento in assenza di "adeguate aree destinate al libero parcheggio".
Codacons: impugnabili 50% multe in città
Il 50% delle multe comminate in città è impugnabile davanti ai giudici di pace, se non ci sono aree di parcheggio libero. È questa la stima del Codacons in seguito alla sentenza della Cassazione che obbliga i comuni a realizzare aree di sosta libera accanto ai parcheggi a pagamento a fascia oraria. Una sentenza che il Codacons definisce "rivoluzionaria". Sarebbero, infatti, molti, secondo l’associazione, gli articoli del Codice della strada violati dai Comuni. Però se per i cittadini che infrangono le regole c’è una multa, "per i Comuni non ci sono mai conseguenze negative". Secondo il Codacons, nel caso delle eccezioni previste dalla sentenza - zone a traffico limitato, aree pedonali o di particolare rilevanza urbanistica - i Comuni "dovranno dimostrare che ci si trova di fronte a queste zone". Brasile: detenute incinte fanno causa a stato di San Paolo
Associated Press, 10 gennaio 2007
Un feto può presentare una causa civile in tribunale. Lo ha decretato un tribunale di San Paolo. Il tribunale ha accettato 8 cause del genere di detenute incinte contro lo stato di San Paolo. La causa è per assenza di trattamento medico e prenatale adeguato in carcere, ed è stato presentato in nome del feto, dice la pubblica difesa, perché il trattamento prenatale non deve garantire solo la vita e la salute della madre ma anche quelle del neonato. Marocco: entro il 2008 in funzione otto nuovi penitenziari
Associated Press, 10 gennaio 2007
In Marocco saranno costruiti otto nuovi penitenziari entro il 2008: questo è quanto prevede il programma messo a punto dall’amministrazione generale degli istituti carcerari per combattere la saturazione nelle prigioni marocchine, informa oggi il quotidiano Le Matin. Attualmente nel paese maghrebino sono operativi 59 istituti carcerari ed un solo carcere centrale, a Kenitra (città sulla costa atlantica). Secondo il progetto, entro fine del 2008 verrà aperto un altro carcere centrale a Safi (più a sud sulla stessa costa), mentre nel corso di quest’anno sarà resa operativa la prigione di Taounate (nord del paese) e inizieranno i lavori per la costruzione di un istituto carcerario a Marrakech. "Nelle carceri marocchine ogni prigioniero dispone in media di 1,5 metri quadrati, dunque, la prossima sfida consisterà nella creazione di altri spazi affinché ognuno abbia a disposizione almeno tre metri quadrati", ha annunciato Mohammed Abdennabaoui, direttore dell’amministrazione dei penitenziari marocchini. Secondo il ministro marocchino della Giustizia, Mohammed Bouzoubaa questa situazione è imputabile tanto alla mancanza di infrastrutture quanto "alla cattiva gestione giudiziaria dei casi, infatti un considerevole numero di prigionieri resta per molto tempo in detenzione provvisoria".
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