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Giustizia: Realacci (Verdi); no ai tagli sulla medicina penitenziaria
Ansa, 7 febbraio 2007
"Occorre dare rapidamente una risposta all’emergenza che i tagli alla medicina penitenziaria hanno provocato alla popolazione carceraria: è una questione di civiltà". Lo sostiene Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente e Lavori Pubblici della Camera, in un’ interrogazione al Ministero di Grazia e Giustizia. Il caso dei tagli (13 mln) all’assistenza ai detenuti (ci sono difficoltà anche per avere i farmaci salvavita) è stato sollevato dall’associazione dei medici penitenziari (Amapi), presieduta dal prof. Francesco Ceraudo, in servizio al carcere don Bosco di Pisa, che per segnalare i rischi ha scritto anche al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. "La finanziaria - argomenta Realacci - ha operato tagli un po’ in tutti i settori del bilancio statale. In questo caso però un piccolo risparmio per il bilancio statale rischia di avere come effetto un grande danno alle persone che non potranno più essere curate nei centri clinici degli istituti penitenziari. Ciò potrebbe comportare maggiori spese per le aziende sanitarie locali, annullando l’effetto del taglio". Da un’indagine condotta nel periodo aprile 2005-dicembre 2006 su 117.217 persone detenute sono state diagnosticate 131.547 casi di patologie. I tagli inoltre produrranno, secondo Realacci, il mancato rinnovo di contratti e/o il licenziamento di circa 1.400 addetti alla medicina penitenziaria. Nell’interrogazione Ermete Realacci sollecita la risoluzione del problema entro il giorno dello sciopero nazionale proclamato dal personale dei centri clinici penitenziari, il 21 febbraio. Giustizia: D’Elia (Radicali); detenuto col cancro, 1 anno senza cure
Ansa, 7 febbraio 2007
Il deputato della Rosa nel Pugno Sergio D’Elia ha ripresentato una interrogazione parlamentare ai ministri della Giustizia e della Salute sul caso di Antonio Cordì, presunto capo dell’omonimo clan della ndrangheta, detenuto da otto anni in 41 bis e, da un anno affetto da un cancro al polmone ormai incurabile. "Perché - chiede D’Elia nell’interrogazione - è stato fatto trascorrere quasi un anno dal momento in cui al signor Cordì è stata diagnosticata la grave neoplasia polmonare per la quale le relazioni sanitarie contenute in cartella clinica asseveravano la necessità di un intervento chirurgico da effettuare in ambiente altamente specialistico ed extramurario?". D’Elia, che ricorda che un’analoga interrogazione presentata a luglio non è stata data risposta, chiede anche "se non intendano procedere all’accertamento di eventuali responsabilità, comportamenti omissivi o inadempienze che hanno impedito un tempestivo intervento chirurgico e le cure necessarie che avrebbero potuto bloccare l’invasività di un cancro diventato oggi incurabile". "La verità - commenta D’Elia - è che dal 41 bis si può uscire solo in due modi: o da pentito o da morto. Non sono pochi infatti quelli che in questi anni ne sono usciti come si suol dire: coi piedi davanti. Morti di infarto, di cancro o suicidi". Giustizia: maggioranza battuta su Commissione Diritti Umani
Agi, 7 febbraio 2007
L’Aula della Camera ha sospeso l’esame del provvedimento che istituisce una commissione per la protezione dei diritti umani e il Garante dei detenuti. La richiesta di sospendere i lavori è stata avanzata dal presidente della commissione Affari Costituzionali Luciano Violante (Ulivo) dopo l’approvazione di un emendamento del centrodestra e dell’Italia dei Valori che dimezza (da otto a quattro) i componenti della commissione. Un emendamento sul quale commissione e governo avevano espresso parere contrario. Il motivo della riduzione dei componenti è, per i proponenti, l’eccessivo costo della commissione. Il comitato dei nove ora dovrà verificare se esistano le condizioni per proseguire l’esame del testo e coordinare gli emendamenti dal momento che il numero di otto componenti, come ha spiegato Violante, era stato indicato per consentire sia la presenza di esponenti dell’opposizione sia di donne. Roma: Olga D’Antona critica i Ds per presenza di Adriano Sofri
Ansa, 7 febbraio 2007
"Un vulnus". Una ferita. Olga D’Antona critica così la presenza di Adriano Sofri, ieri a Roma, alla presentazione della "Mozione Fassino". L’ex leader di Lc, infatti, era seduto in platea ed ha anche preso la parola dal palco. Una scelta, quella diessina, che Olga D’Antona non condivide. "Non posso altresì fare a meno di rilevare - dice la vedova del giuslavorista ucciso dalle Br - che Adriano Sofri è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per l’omicidio di un servitore dello Stato e che non ha finito di scontare la sua pena". Un riferimento diretto all’assassinio del commissario Calabresi per cui l’ex leader di Lc sta scontando una condanna a 22 anni. "Mi chiedo perché il gruppo dirigente del mio partito lo sceglie come interlocutore privilegiato. Qual è il messaggio simbolico di questa scelta?" si chiede Olga D’Antona. "Se si ritiene che Sofri sia vittima di un errore giudiziario, in base ad elementi concreti, perché non chiedere la revisione del processo per scagionarlo e cercare i veri colpevoli? - continua la deputata diessina -. Ma se invece è colpevole, come la magistratura ha ritenuto, chiedo ai dirigenti del mio partito se, in un Paese democratico, questo non rappresenti un vulnus nei rapporti con una delle più importanti istituzioni dello Stato, cioè nei confronti della magistratura, che ha emesso una sentenza definitiva, infliggendo una pena non ancora completamente scontata". "È mia convinzione che si debbano fare i conti con la storia e che il modo peggiore sia comportarsi come se non fosse successo niente - conclude la deputata diessina - Ci tengo a dichiarare che auspico ed opero per una soluzione politica al fine di superare il clima di odio e di strumentalizzazione che troppo spesso riapre ferite mai completamente rimarginate". Una soluzione che, però, non potrà sanare le ferite "cancellando la memoria e dimenticando la responsabilità di ognuno nella ricerca della verità". Bologna: pm Bologna su "Uno bianca"; rivedere sistema premiale
Ansa, 7 febbraio 2007
Non commenta la richiesta di permesso premio di Pietro Gugliotta, perché "valuteranno i singoli magistrati di sorveglianza l’eventuale concessione dei benefici". Ma crede che "i tempi siano maturi per ripensare tutto il sistema premiale dell’ordinamento carcerario". Valter Giovannini, il Pm che condusse le inchieste bolognesi sulla Uno Bianca, risponde così a chi gli chiede un commento sull’istanza di permesso premio presentata dall’ex poliziotto della banda della Uno Bianca al Giudice di sorveglianza di Bologna. Una riflessione che dovrà essere fatta per il magistrato "alla luce della esperienza trentennale, e di come viene vissuto questo sistema dal cittadino. Provando a rivederlo senza nessuna deriva di carattere ideologico, riportando al centro dell’attenzione la vittima del reato". Bisogna cioè "ripensare come oggi, per il solo fatto di essere buono, cioè non dare problemi durante l’espiazione, il detenuto abbia diritto a ottenere tre mesi di sconto di pena ogni anno". Per il Pm, "o si inizia a chiedere di più al detenuto, oltre allo stare buono, poiché le regole vanno comunque sempre rispettate", oppure "non gli si chiede di più, ma allora si ridimensiona lo sconto". Perché oggi, "se si unisce a questo sconto quello ottenuto a seguito di riti alternativi spesso per il cittadino comune la pena è come se evaporasse". Il di più da chiedere ai detenuti potrebbe essere, per Giovannini, la partecipazione a progetti di recupero e programmi di reinserimento, ma lo stesso magistrato ha sottolineato come la difficile situazione in cui lavorano oggi gli operatori carcerari faccia sì che "nella maggioranza dei casi ci si limiti a prendere atto che la condotta è buona, nel senso che non ha dato problemi". Per Giovannini andrebbe rivisto l’istituto dell’affidamento in prova ai servizi sociali, che andrebbe ricondotto all’idea originale e riservato a chi ha condanne massime a tre anni di pena e non anche a chi ha un residuo di pena di tre anni. Mentre per certi reati più gravi, andrebbe rivalutata la possibilità di concessione degli arresti domiciliari. Forlì: Equal Pegaso, nuovo accordo per il lavoro in carcere
Comunicato stampa, 7 febbraio 2007
Venerdì 9 febbraio verrà siglato un accordo per la sperimentazione all’interno della Casa circondariale di Forlì di un laboratorio produttivo finalizzato all’inserimento socio-lavorativo di persone in esecuzione penale. L’accordo, che rientra nell’ambito dell’Azione 2.2 del progetto Equal Pegaso per promuovere la governance integrata delle "reti territoriali", sarà siglato tra la direzione della Casa circondariale di Forlì, la cooperativa sociale San Giuseppe di Castrocaro Terme (commissionaria), l’impresa "Mareco Luce s.r.l." di Bertinoro (committente), la Direzione provinciale del lavoro - Gruppo paritetico cooperative sociali di FC, Techne ScpA, promotore e partner dell’iniziativa comunitaria Equal Pegaso, la Provincia di Forlì-Cesena. Nisida: 20 borse-premio per avvio al lavoro ragazzi dell'Ipm
Comunicato stampa, 7 febbraio 2007
Presso la sala convegni del Centro europeo di studi contro la devianza minorile di Nisida, si è svolta la cerimonia di consegna di venti borse-premio assegnate dalla Fondazione Chianese ai giovani segnalati dai Servizi della Giustizia Minorile che si sono distinti per l’adesione a progetti di recupero e reinserimento sociale. Il riconoscimento permetterà a questi ragazzi, che vivono in una situazione di rischio dell’area penale, di voltare pagina frequentando stage professionali in diverse aziende. Alla cerimonia di consegna erano presenti i giovani e i loro familiari. Roma: droghe e alcol, la prevenzione inizia nel quartiere
Roma One, 7 febbraio 2007
La sfida parte proprio da San Lorenzo, quartiere simbolo della "dissoluta" movida nel cuore di Roma. Locali d’ogni tipo animati tutte le notti da ragazzi che consumano alcolici a volontà. E spesso anche droghe. Da qui prende avvio il "Progetto Giovani", l’iniziativa pilota in Italia che punta a contenere il disagio psicologico e sociale delle giovani generazioni, mortificando la diffusione delle dipendenze da alcol, sostanze stupefacenti, video games e gioco d’azzardo. Il piano d’intervento, che durerà 10 mesi, mette insieme il III Municipio, la Questura (attraverso il Commissariato del rione), il Garante regionale per i diritti dei detenuti, Angiolo Marroni, l’Istituto scolastico comprensivo di Via Tiburtina Antica, la Asl Roma A, il Ser.t., la Fondazione Villa Maraini, l’Azienda per il diritto allo studio universitario LazioDisu e la cooperativa sociale Parsec. La scelta di San Lorenzo per l’avvio della sperimentazione, dunque, non è casuale: il quartiere più colpito dalle bombe della Seconda guerra mondiale ospita oggi appena 6mila residenti, ma di notte, soprattutto nel weekend, vede brulicare per le sue strade anche 150mila persone. L’iniziativa, elaborata nel Tavolo permanente sul fenomeno delle Dipendenze promosso dalla Polizia, nasce per favorire l’integrazione tra diversi approcci d’intervento: servizi, forze dell’ordine, settore no profit, scuola. Lo scopo è studiare e combattere il fenomeno delle dipendenze giovanili in modo sistemico, non sporadico. Nel momento in cui le cronache romane raccontano come sia facile acquistare cocaina nel cuore dell’Urbe, il "Progetto Giovani" è rivolto a 162 studenti fra gli 11 e i 14 anni dell’Istituto della Tiburtina Antica e a 500 giovani tra i 15 e i 25 anni contattati direttamente in strada. Non mancheranno però iniziative didattiche, culturali e sportive per far conoscere ai ragazzi le problematiche legate alle principali dipendenze psico-fisiche. Le prime due fasi dell’iniziativa (quella tra gli studenti con il coinvolgimento dei genitori e quella nel quartiere con la creazione di gruppi di incontro appositamente organizzati), saranno seguite dal terzo e conclusivo momento dell’elaborazione dei risultati, che prevede l’apertura di un Tavolo di lavoro per realizzare i servizi territoriali che tengano conto delle aspettative espresse dai destinatari del progetto. Il costo complessivo dell’iniziativa è di 29mila euro. Un grosso sforzo arriva dal Garante per i detenuti, con ben 17mila euro. "In questi anni ci siamo occupati della tutela dei diritti dei reclusi - spiega Marroni - Ora spostiamo l’attenzione su un altro obiettivo che ci è stato assegnato dal legislatore regionale: la prevenzione. Una persona in carcere è spesso la conseguenza di errori commessi in gioventù, come l’abuso di droghe o la schiavitù da altre dipendenze. In questa ottica informare, far prender coscienza e aiutare tanti giovani potrebbe voler dire non doverlo fare dopo, all’interno di un carcere". Bullismo: nelle prime 24 ore 1.150 telefonate a numero verde
Redattore Sociale, 7 febbraio 2007
Hanno chiamato insegnanti (326), dirigenti scolastici, familiari ma soprattutto studenti (617). "L’impressione è che stiano emergendo situazioni che prima non venivano denunciate". In 24 ore sono state 1.150 le persone che si sono rivolte alle 10 linee del Numero Verde (800669696) istituito dal Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni all’interno del pacchetto delle iniziative per la prevenzione e la lotta al bullismo nelle scuole. Grazie anche alla visibilità che la campagna "Smonta il bullo" ha avuto sui mass media, gli operatori sono stati letteralmente sommersi dalle telefonate. Molte le richieste di informazioni da parte di genitori, docenti, studenti e dirigenti scolastici, ma numerose anche le denunce circostanziate che il team di operatori, composto da esperti in psicologia giuridica e personale del Ministero della Pubblica Istruzione sta raccogliendo per raccordarsi al meglio con i Forum delle Associazioni professionali dei docenti e dei dirigenti scolastici, dei genitori e degli studenti e con gli organi competenti sul territorio e la Polizia di Stato. Delle 1.150 telefonate arrivate, 326 sono state quelle degli insegnanti, 102 dei dirigenti scolastici, 105 dei familiari e 617 degli studenti. Nel 37% dei casi sono stati denunciati episodi persistenti di bullismo a fronte di un 25% di situazioni sporadiche. Il 24% degli utenti ha invece chiesto informazioni sulle sanzioni previste. "L’impressione che abbiamo avuto - racconta Laura Volpini dell’Università "La Sapienza", coordinatrice della task force del numero verde - è che stiano emergendo delle situazioni che prima non venivano denunciate per molte ragioni. Ci ha stupito soprattutto il numero di giovani e giovanissimi che, con molto imbarazzo e superando la diffidenza iniziale, hanno raccontato episodi accaduti nelle loro classi". Fossombrone: assessore regionale Amagliani visita il carcere
Corriere Adriatico, 7 febbraio 2007
Una delegazione della Regione Marche, guidata dall’assessore ai servizi sociali Marco Amagliani, ha effettuato una visita ufficiale presso il carcere di Fossombrone. Nel corso della mattinata la delegazione si è incontrata con la direttrice Casella, il commissario Profili e il responsabile dell’area trattamentale Proietti, unitamente al cappellano don Guido Spadoni e al presidente dell’associazione di volontario denominata "Un mondo a quadretti". Nel corso del pomeriggio c’è stato un incontro con una delegazione di detenuti i quali sottolineano il bisogno di un lavoro interno. Giorgio Manganelli, presidente dell’associazione di volontariato ha illustrato il progetto condotto in collaborazione con l’Asur Marche zona 3 consistente in una serie di servizi informatici da svolgersi all’interno della casa di reclusione. Roberto Profili alla guida della polizia penitenziaria di Fossombrone ha messo in evidenza le gravi carenze di personale. Molti agenti operano da oltre 25 anni. Diversi tra loro hanno maturato il diritto alla pensione. Negli anni ‘80 gli agenti erano circa 200. Oggi 133 di cui 18 addetti assenti per lungo periodo per motivi sanitari, 11 appartenente al nucleo traduzioni. Gli effettivi sono solo 104. Il livello minimo di sicurezza ne prevede 171. Quota che può essere ridotta a 113 per effetto del recente indulto. Il commissario ha ringraziato il personale in servizio che opera con grande spirito di abnegazione e professionalità. Rom: appello contro il "Patto di legalità per la cittadinanza"
Comunicato stampa, 7 febbraio 2007
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana". (Costituzione italiana art. 3).
"Davanti alla legge tutti sono uguali ma qualcuno è più uguale degli altri" (George Orwell, La fattoria degli animali).
A Milano si è celebrato il ricordo dello sterminio dei campi di concentramento nazisti. Raramente si ricorda che in quei lager vennero uccisi anche più di mezzo milione di zingari, giudicati dal nazismo criminali e asociali per definizione. A Milano e Opera ai rom e ai sinti, che a tutt’oggi continuano troppo spesso a essere considerati delinquenti per vocazione, è stato imposto uno speciale "patto di legalità" per poter avere diritto a un ricovero in un container o in una tenda. C’è una legge per tutti, ma per questi uomini, per queste donne c’è una legge in più, un trattamento differenziale, sintetizzato con queste parole: "Dovete comportarvi bene perché il primo che picchia, che ruba, che sporca, insomma, il primo che sgarra al regolamento, viene sbattuto fuori". Un patto che rende questi cittadini, europei a tutti gli effetti, diversi dagli altri: ancora una volta ufficialmente proclamati portatori di "asocialità" e "criminalità", chiusi in ghetti, nei quali loro stessi per poter entrare devono esibire un "pass". È preoccupante che questa nostra città diventi una città di ghetti. La recinzione fisica invocata dai cittadini "benpensanti" e applicata dalle istituzioni è indegna quanto i muri che ci sono già nel linguaggio, nei gesti, nei pre-giudizi: quasi archetipi culturali verso i Rom, barriere insormontabili e lugubri quanto se non di più di una recinzione. È preoccupante che i Rom siano costretti a firmare questo patto come il male minore. Come cittadini di serie B che non hanno un’alternativa. Rassegnati a subire il rapporto del più forte viene loro sottratta la capacità di autogoverno, si rendono soggetti passivi di interventi assistenzialistici e di ordine pubblico. È preoccupante soprattutto che questo patto, frutto di un accordo istituzionale tra Provincia e Comune di Milano, non abbia sollevato molte obiezioni nella politica e nella società milanese più sensibile. Eppure questo patto è un mostro giuridico perché viola tutti i principi di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, non affronta i nodi strutturali dell’emergenza abitativa, impone una politica "emergenziale" che produce solo nuovi ghetti sociali e infine, se le istituzioni usano la discriminazione e l’umiliazione, puntando il dito contro quelli che non sono criminali ma comunque considerati di fatto potenziali delinquenti, si istiga all’odio razziale e si legittima conseguentemente coloro che bruciano le tende, buttano molotov tra le roulotte. Fatto? questo sì evidentemente illegale ? che, peraltro, non ha provocato la riprovazione politica e la censura pubblica che avrebbe meritato. Con questo appello rifiutiamo un patto che attribuisce ai rom una "cittadinanza imperfetta" e ci impegniamo perché il rapporto tra la nostra società e quella rom venga portato nell’ambito di una dialettica sociale che riconosca e rispetti i valori culturali e umani di ciascuno. I "campi nomadi" per il solo fatto di esistere producono malattia, disoccupazione, devianza, induzione alla criminalità, conflitti sociali: effetti tipici del disagio sociale diffuso. Nati negli anni settanta del secolo scorso, da contenitori di umanità per l’emergenza si sono trasformati in campi di concentramento istituzionali, nuovi "Zigeunerlager" dove non c’è bisogno di "soluzione finale" perché i Rom e Sinti vi muoiono lentamente di diritti negati, di esclusione continua dal lavoro, dalla casa, dalle cure sanitarie, dall’istruzione, di induzione alla devianza ed alla criminalità. Va quindi assunta la prospettiva di smantellarli sostituendoli con soluzioni abitative idonee alla cultura rom. In più: ciò che oggi si vuole applicare a Rom e sinti rischia di diventare un pericoloso precedente applicabile un domani a chiunque venga predefinito pericoloso per il potere costituito. Lo smantellamento dei "campi" è la conquista di libertà e giustizia nell’eguaglianza dei diritti e dei doveri per una cittadinanza compiuta almeno a livello europeo se non mondiale.
Associazione culturale Punto rosso, Associazione liberi, Gabriella Benedetti, Edda Boletti, Paolo Cagna Ninchi, Grazia Casagrande, Comitato per le libertà e i diritti sociali, Sergio Cusani, Bianca Dacomo Annoni, José Luiz Del Roio, Antonella Fachin, Dario Fo, Grazia Paola Fortis, Massimo Gentili, Opera Nomadi, Dijana Pavlovic, Roberto Prina, Alessandro Rizzo, Basilio Rizzo, Sergio Segio, Sabina Siniscalchi, Angelo Valdameri. Per adesioni: nopattodilegalita@fastwebnet.it Albania: lettere dei Giuristi Democratici "contro il femminicidio"
Comunicato Stampa, 7 febbraio 2007
Il testo di due lettere sottoscritte anche dai Giuristi Democratici per sollecitare una politica di tutela delle donne in Albania.
All’ambasciatore albanese in Italia Eccellenza! Abbiamo l’obbligo di esprimerLe lo sconcerto dei Giuristi Democratici Italiani per l’uccisione di Gjelina Markaj lo scorso 8 gennaio, da parte del figlio sedicenne con cinque colpi di pistola in una delle strade principali di Scutari in pieno giorno. Abbiamo motivo di ritenere che tale barbaro femminicidio sia strettamente legato alla situazione di violenza e maltrattamenti familiari nella quale Gjelina viveva, ed al suo tentativo di liberarsene attraverso il divorzio, con il sostegno del Centro Donna "Passi Leggeri" che con lei si era impegnato per vincere una battaglia in nome del diritto ad una vita dignitosa e senza violenza. Riteniamo che tale uccisione costituisca l’ennesimo triste epilogo di una serie di violenze brutali fisiche e psicologiche agite all’interno della famiglia nei confronti della donna, particolarmente grave in quanto episodi significativi di maltrattamento denunciati alle autorità prima della morte sono passati inosservati. La preghiamo quindi di far pervenire al Suo governo la nostra vibrata protesta e la richiesta accorata di impegnarsi per far luce non solo su tale caso, ma anche su tutti gli altri casi di violenza sulle donne, ed ottenere giustizia, affinché crimini di tal fatta non passino più impuniti, preghiamo inoltre il Suo governo di attivarsi per porre in essere una tutela giuridica più efficace in materia di violenza sulle donne e di sostenere con politiche e risorse adeguate delle associazioni di donne che si adoperano contro la violenza domestica, nella speranza che eventi di questo tipo non si ripetano in futuro, e nel comune interesse a far sì che siano tutelati ovunque nel mondo i diritti fondamentali della persona e che la donna possa fruirne liberamente come soggetto di diritto autodeterminato libera da coercizioni e da vincoli giuridici e culturali discriminatori.
All’ambasciatore italiano in Albania All’On. Patrizia Sentinelli All’On. Barbara Pollastrini
Eccellenza! Abbiamo l’obbligo di esprimerLe lo sconcerto dei Giuristi Democratici Italiani per l’uccisione di Gjelina Markaj lo scorso 8 gennaio, da parte del figlio sedicenne con cinque colpi di pistola in una delle strade principali di Scutari in pieno giorno. Abbiamo motivo di ritenere che tale barbaro femminicidio sia strettamente legato alla situazione di violenza e maltrattamenti familiari nella quale Gjelina viveva, ed al suo tentativo di liberarsene attraverso il divorzio, con il sostegno del Centro Donna "Passi Leggeri" che con lei si era impegnato per vincere una battaglia in nome del diritto ad una vita dignitosa e senza violenza. Riteniamo che tale uccisione costituisca l’ennesimo triste epilogo di una serie di violenze brutali fisiche e psicologiche agite all’interno della famiglia nei confronti della donna, particolarmente grave in quanto episodi significativi di maltrattamento denunciati alle autorità prima della morte sono passati inosservati. La preghiamo quindi di far pervenire al governo albanese la nostra vibrata protesta e la richiesta accorata di impegnarsi per far luce non solo su tale caso, ma anche su tutti gli altri casi di violenza sulle donne, ed ottenere giustizia, affinché crimini di tal fatta non passino più impuniti. La preghiamo inoltre di farsi portavoce delle nostre istanze davanti al governo albanese , anche a nome del governo italiano, affinché si attivi per porre in essere una tutela giuridica più efficace in materia di violenza sulle donne e sostenga con politiche e risorse adeguate le associazioni di donne che si adoperano contro la violenza domestica, anche attraverso un intervento legislativo ad hoc, nella speranza che eventi di questo tipo non si ripetano in futuro, e nel comune interesse a far sì che siano tutelati ovunque nel mondo i diritti fondamentali della persona e che la donna possa fruirne liberamente come soggetto di diritto autodeterminato libera da coercizioni e da vincoli giuridici e culturali discriminatori.
Roma, 25.01.2007
Per l’Associazione Giuristi Democratici, dr. Fabio Marcelli, Vicesegretario dell’Associazione internazionale Giuristi Democratici e Portavoce della Associazione Italiana Giuristi Democratici; per la Casa della Donna di Pisa, Giovanna Zitiello, Presidente Associazione Casa della Donna; per il Cospe, dr. Fabio Laurenzi, Presidente Onlus Cooperazione per lo Sviluppo dei Paesi Emergenti; Rete Nazionale Italiana dei Centri Antiviolenza; Tavolo Interistituzionale della Zona Pisana.
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