|
Giustizia: gli effetti dell’indulto dureranno almeno 25 anni
Redattore Sociale, 6 febbraio 2007
Lo sostiene l’associazione Antigone che ieri ha presentato un proprio dossier: oltre 25 mila gli scarcerati al 31 gennaio 2007. Gonella: "Adesso servono riforme per il sistema penale, penitenziario e amministrativo". Gli effetti dell’indulto si faranno sentire sulla popolazione carceraria per oltre 25 anni a venire. L’associazione Antigone, che svolge attività di osservatorio e tutela dei diritti nel settore del sistema penitenziario, ha presentato ieri il proprio dossier sull’indulto, aggiornato al 25 ottobre 2006. In realtà i numeri complessivi, riguardanti solo le presenze e le scarcerazioni avvenute grazie alla legge 241/06 approvata dal Parlamento il 29 luglio 2006, sono stati aggiornati al 31 gennaio di quest’anno. Così gli ultimissimi numeri dicono che le persone uscite dal carcere grazie all’indulto sono 25.563, mentre quelle uscite dalle misure alternative sono 5764; le presenze negli istituti di pena il 31 maggio 2006 erano 60633 mentre il 31 gennaio scorso arrivavano a 39663. "La gran parte delle scarcerazioni - ha detto Susanna Marietti, responsabile della pubblicazione di Antigone - ha interessato i beneficiari immediati dell’indulto, vale a dire quei detenuti con sentenza definitiva che, senza avere condanne per reati ostativi alla sua applicazione, alla data dell’entrata in vigore del provvedimento di clemenza del Parlamento, aveva un residuo di pena inferiore ai tre anni". Secondo Marietti, "il ritmo di circa 1500 scarcerazioni mensili è quello che dobbiamo aspettarci nella quotidianità del futuro più prossimo, andando a riguardare coloro che, con un residuo di pena superiore a tre anni al momento dell’entrata in vigore del provvedimento di clemenza, scendono a mano a mano al di sotto di quella soglia". I dati pubblicati ieri da Antigone, però, divergono leggermente da quelli già ufficializzati dal Guardasigilli Clemente Mastella a novembre del 2006, quando scoppiò la polemica dei dati riguardanti le scarcerazioni dovute all’indulto. Secondo l’associazione, le persone rientrate in carcere dopo aver beneficiato delle misure di clemenza al 25 ottobre 2006 erano 1.336, mentre per il ministro della Giustizia, intervenuto il 21 novembre 2006 a Palazzo Madama davanti alle commissioni Giustizia e Affari costituzionali, fino al 15 novembre i detenuti rientrati in carcere erano 1.715. Dei 1336 rientrati secondo i dati di Antigone, ben 1.115 sono stati arrestati in flagranza di reato. Di questi 537 stranieri di cui "un alto numero arrestato per aver commesso altro reato che la mancata ottemperanza al provvedimento di espulsione che automaticamente li aveva raggiunti al momento dell’uscita dal carcere". Quasi tutti gli stranieri sono rientrati in carcere nelle regioni settentrionali: in Emilia Romagna sono rientrati 77 stranieri e 42 italiani, in Toscana 82 stranieri e 39 italiani in Veneto 37 stranieri e 22 italiani, in Lombardia 149 stranieri e 108 italiani, mentre in Calabria è rientrato un solo straniero contro 17 italiani, in Campania 11 stranieri contro 154 italiani, in Puglia 5 stranieri e 58 italiani in Sicilia nessuno straniero e 83 italiani. L’associazione ha evidenziato che l’indulto non è ancora stato applicato in maniera rilevante all’area penale esterne: al 30 giugno 2006 le persone interessate dalle misure alternative erano 37.175 di cui 24.883 in affidamento in prova al servizio sociale, 2.637 in semilibertà e 9.655 in detenzione domiciliare. Al 25 ottobre, solo 4.708 persone hanno visto finire la misura alternativa anticipatamente, il che secondo Antigone, fa supporre che l’esame delle posizioni di tutti coloro che hanno avuto accesso alla misura alternativa grazie alla Simeone-Saraceni sia stato rimandato nel tempo. Per il magistrato del tribunale di sorveglianza di Napoli, Rosa Labonia, questo potrebbe dipendere semplicemente dal fatto che non sia arrivata ancora la pronuncia per coloro che sono ancora in attesa dell’esecuzione della pena. "Man mano che arriveranno le richieste da parte della Procura e il Tribunale di sorveglianza si pronuncerà sulle misure alternative, arriverà anche l’applicazione dell’indulto". A Napoli, ha detto Labonia, l’indulto non è stato negato a nessuno. Al termine della presentazione dei dati, l’associazione ha chiesto riforme per il sistema penale, penitenziario e amministrativo. Il presidente dell’associazione, Patrizio Gonella, ha chiesto "un nuovo Codice penale, l’abrogazione della ex Cirielli, della Fini-Giovanardi e della Bossi-Fini (leggi sulle droghe leggere e sul contrasto all’immigrazione clandestina, ndr), un nuovo ordinamento penitenziario per i minori, il riconoscimento del diritto di voto per le persone in esecuzione penale e per gli ex detenuti, l’approvazione di una legge istitutiva del difensore civico nazionale delle persone private della libertà e l’esclusione dal circuito carcerario dei bambini figli di madri detenute". Giustizia: Eurispes; una vittima su quattro non denuncia reato
La Provincia di Como, 6 febbraio 2007
L’ultima ricerca in ordine di tempo sulla sicurezza in Italia è il rapporto Eurispes pubblicato a metà gennaio. E dallo studio si ricava che in maggioranza vi è una scarsa o poca fiducia nelle forze dell’ordine, aumenta la voglia di farsi giustizia da sé, sale la paura di ritorsioni. E così di fronte ad un crimine, un italiano su quattro non denuncia il reato pur essendone la vittima. E non solo perché i danni subiti sono minimi. Infatti il quadro che emerge dal rapporto Italia 2007 dell’Eurispes rivela anche un volto poco edificante di una larga fetta dell’opinione pubblica italiana: dalla fotografia dell’Eurispes emerge il quadro di un paese in cui scarseggia una cultura della legalità. Dal sondaggio condotto sulla percezione che gli italiani hanno della sicurezza, emerge che il 26,8% degli intervistati non denuncia il reato subito. La maggioranza (52,4%) lo motiva con il fatto che "i danni subiti non erano gravi", ma in tutti gli altri casi, ha scritto l’Eurispes, quello che è prevalso è un "senso di arrendevolezza nei confronti delle forze di polizia e del sistema giustizia". Il 7,9% ha risposto sostenendo che "le forze dell’ordine non avrebbero fatto nulla" e un altro 7,9% ha detto invece "di esser rimasto scoraggiato a causa di precedenti esperienze negative con le forze dell’ordine". Oltre un italiano su dieci (14,3%) ha invece sostenuto che ha preferito farsi giustizia da solo, mentre un 6,3% non ha sporto denuncia per paura di vendette e ritorsioni. Comportamenti che, secondo il 15,6% degli intervistati dall’ Eurispes, discendono dalla mancanza nel nostro paese di una cultura della legalità. "La conferma - è scritto nel rapporto - che l’Italia è un paese in cui, nell’ultimo decennio, è tramontata un’idea condivisa di legalità". Quanto alla diffusione della criminalità, la maggioranza se la prende ancora una volta con il sistema giudiziario: il 21,7% ritiene che sia alimentata dalle pene poco severe e dalle scarcerazioni facili. Vi è, infine, un buon 16,1% degli intervistati che non nasconde atteggiamenti xenofobi: la colpa della diffusione del crimine, secondo costoro, è dovuta all’aumento del numero di immigrati. Leggendo l’altra faccia del rapporto Eurispes emerge comunque un desiderio di maggior incisività nella repressione del mentre vengono criticati gli atteggiamenti "lassisti". Lo studio ha rilevato che un italiano su 5 ignora completamente l’argomento "indulto", soltanto il 14% condivide il provvedimento nella forma in cui è stato realizzato mentre 2 connazionali su 3 sono contrari a questa modalità di clemenza. Il provvedimento di clemenza varato l’estate scorsa - è stato sottolineato nella relazione dell’Istituto - ha fatto uscire dagli istituti penitenziari 24.490 persone, 15.204 italiani e 9.286 cittadini stranieri. La percentuale più alta di detenuti usciti per l’indulto si è registrata in Lombardia (14,1%) seguita da Campania (11,1%) e Sicilia (10,4%). Intervista a Pietro Maso: provo a salvare i ragazzi come me
La Repubblica, 6 febbraio 2007
"Sono una persona diversa. Sedici anni di carcere mi hanno cambiato. Mi ero perso, ho cercato di ritrovarmi, grazie anche alla fede. Ai ragazzi che mi scrivono e mi raccontano che vogliono uccidere i genitori, dico di fermarsi, di ragionare, di ricucire i rapporti. Non ho potuto salvare me stesso, almeno ci provo con gli altri. Perché quando fra cinque anni uscirò da qui, anche queste cose, forse, mi serviranno per iniziare una nuova vita". Parla Pietro Maso, il giovane veronese che il 17 aprile 1991, a 19 anni, massacrò - aiutato da tre amici - i genitori a colpi di padella e bloccasterzo. Erano le 23.30 quella sera nella villetta di Montecchia di Crosara. Antonio Maso e Maria Rosa Tessari sono appena rientrati da una funzione religiosa. Pietro, il figlio minore che abita con loro e le due sorelle, Laura e Nadia, li sta aspettando in cucina. È un’imboscata. Mascherati da demoni e draghi, Maso e i suoi tre amici (Paolo Cavazza, 18 anni, Giorgio Carbognin, 18, e Damiano Burano, 17) danno il via a una mattanza che dura 53 minuti. Dopo l’aggressione, simulano una rapina e vanno tranquillamente in discoteca. A portare i carabinieri sulle tracce del delitto, qualche giorno dopo, sono proprio le due sorelle di Pietro, le quali scoprono che dal conto corrente della madre erano stati prelevati 25 milioni di lire con un assegno recante la sua firma contraffatta. Soldi che sarebbero serviti a estinguere un debito contratto da Carbognin con una banca per comprare una lancia Delta integrale, ma che nel frattempo erano stati spesi lo stesso nel giro di due mesi. Per fare la "bella vita" nei locali. Secondo l’accusa, fu proprio per evitare che i genitori se ne accorgessero che Maso decise di ucciderli. Condannato a 30 anni e due mesi (confermati fino all’ultimo grado di giudizio), Maso, che oggi ha 35 anni, finirà di scontare la sua pena il 18 agosto del 2015, anziché nel 2018 (grazie ai benefici dell’indulto). A Opera, dov’è detenuto e dove si occupa della gestione della palestra, il killer di Montecchia parla per la prima volta. Lo fa con un consigliere regionale della Lombardia, il verde Marcello Saponaro, che, in visita al carcere, dove è stato sia nella sezione maschile sia in quella femminile, lo ha incontrato ieri mattina. Il colloquio è durato quasi un’ora, nell’ufficio di un agente di custodia. Jeans, pullover marrone a girocollo, scarpe Nike bianche di pelle, capelli corti, un rosario di legno dal quale pende un crocifisso. Pietro Maso è sorridente, garbato e riflessivo. Questa è la trascrizione di quanto si sono detti. "Possiamo partire da questo rosario? - esordisce Maso - Lo recito spesso, anche mentre lavoro in palestra. Pregare è come dire "ti amo" alla tua donna. È una cosa che può sembrare banale e scontata ma che invece non lo è. Perché fa piacere dirlo, e fa piacere sentirselo dire. Grazie alla fede, in questi anni, ho iniziato un percorso di redenzione. Ho chiesto perdono, mi sono pentito. E Dio mi ha aiutato molto. Ci credevo anche prima, ovviamente. Ho fatto la prima media in seminario, e il mio tutor, oggi, è fra Beppe Prioli. Ci siamo scelti l’un l’altro. Quando ci vediamo lo diciamo sempre".
Come ha vissuto questi anni in carcere? Ci racconti le sue giornate. "Sono molto piene. Non è vero che in carcere il tempo non passa mai. Io curo la palestra, insegno body building (con il compagno di cella, al-Assadi Jabbar, un omone alto due metri, ex guardia del corpo di Saddam Hussein condannato in Italia per omicidio, ndr). Prego e leggo, leggo molto. Ma non le cose che riguardano la mia vicenda. Quelle le evito accuratamente. Preferisco Platone, Aristotele, e anche i moderni. All’inizio non capivo tanto, poi, con il tempo, mi sono reso conto che certi messaggi, il senso delle cose, possono venire fuori da ogni lettura. Dalle più difficili, a Topolino. E poi rispondo alle lettere. In questi anni ne ho ricevute migliaia".
Anche di ammiratrici, si diceva un tempo. "Anche. Ma a quelle non rispondo più. Non ha senso. Preferisco aiutare i giovani che rischiano di perdersi in situazioni uguali o simili alla mia. Mi scrivono per raccontarmi i loro sentimenti, l’odio verso i genitori, il desiderio di fargli del male o di ucciderli. Io cerco di dissuaderli, dico che è bestiale fare quello che ho fatto io. È un piccolo contributo al disagio enorme che c’è oggi tra i giovani. Non dico che faccio da psicologo, ma quasi. Parlo il loro linguaggio, capisco cosa vogliono trasmettere quando lanciano certi messaggi. Alcuni sono davvero giovanissimi. E ti accorgi che vivono proprio male".
Ci spieghi meglio, per favore. "Lo so che fa effetto detto da me, ma c’è un vuoto e una solitudine pazzesca oggi tra i ragazzi. Avrebbero bisogno di risposte, e soprattutto di prevenzione. Quando vai in crisi e stai per perderti non c’è nessuno che ti ascolta. E non è vero che quando commetti un’atrocità non sei cosciente. Sei razionale, eccome, ti rendi conto perfettamente di quello che stai facendo. Dall’inizio alla fine. Ecco, bisognerebbe creare delle strutture per prevenire, per evitare che tanti ragazzi arrivino a commettere dei delitti così. Non sempre i sociologi sono spinti dalla volontà di capire. Spesso cavalcano l’onda mediatica perché gli conviene".
Della sua vicenda oggi che cosa pensa? "Non ho mai cercato alibi. Ho sbagliato, ho fatto una cosa atroce e, come ho detto, quando commetti una cosa del genere sei assolutamente consapevole. Anche a 19 anni. Oggi cerco di guardare al futuro, penso a costruire una vita quando sarò fuori di qui".
Tra otto anni. Che cosa farà dopo? "Intanto sto ancora studiando. Sono al quarto anno di ragioneria. Faccio cinque ore al giorno, dal lunedì al venerdì. Ho ricominciato da capo, perché prima avevo fatto tre anni di agraria. L’anno prossimo prenderò il diploma, poi mi iscriverò a filosofia".
Cosa c’è nel suo futuro? "Di sicuro sarà lontano da Verona. Le mie sorelle vivono ancora lì. Ma per ricominciare devi cambiare anche i luoghi fisici. Magari, chissà, me ne andrò anche lontano dall’Italia. Dove nessuno sa chi sono, quello che ho fatto, quello che sono stato. Mi piacerebbe continuare ad aiutare i giovani, parlare con loro, incontrarli nei momenti di difficoltà. Tendere loro una mano prima che facciano cose assurde. Che so, magari anche insegnare".
Lei ha ucciso i suoi genitori perché coi loro soldi voleva fare la bella vita. Divertirsi, andare in discoteca, comprarsi le macchina nuova. È stata una storia drammatica ambientata nel ricco Nordest. Quelli che hanno 19 anni oggi secondo lei che persone sono? "La prima cosa che noto di loro, almeno dalle lettere che ricevo, e anche da quello che vedo in televisione, è la grande solitudine. E poi, certo, la massificazione. Oggi i ragazzi sono tutti uguali, pensano tutti allo stesso modo. Ne vedi cinque e ne hai visti tutti".
Ha seguiti i recenti fatti cronaca. Per esempio il massacro di Erba? "Sì, l’ho seguito e mi ha molto colpito. La figura che mi ha impressionato di più è quella del signor Castagna. All’inizio, quando ho sentito le parole di perdono per gli assassini di sua figlia, di sua moglie e del nipotino, ho pensato: questo o è stupido o è davvero guidato da una grande fede. Poi ho capito che è una grande persona, e che credere in Dio lo ha aiutato a non provare odio per quei vicini di casa. Io ho ucciso, mi sono perso e sono stato aiutato da Dio. Certo, però, non avrei reagito come lui. Almeno non a caldo. Di impulso avrei buttato fuori tutta la rabbia. Anche se è sbagliato".
Gli assassini di Erba in carcere sono stati accolti con offese e minacce. Nel codice dei detenuti quello che hanno fatto è un reato infamante. Anche lei ha avuto problemi con gli altri detenuti? "No, mai. In tutti questi anni nessuno mi ha mai insultato o minacciato".
Maso, se guarda indietro ci sono ancora delle sequenze orribili che affollano la sua mente? "Di questo preferirei non parlare. Me le tengo dentro queste cose. Potessi tornare indietro, certo, chiederei aiuto a qualcuno". Firenze: a Sollicciano una "Guida per i detenuti" in 7 lingue
Ansa, 6 febbraio 2007
I detenuti di Sollicciano, già in carcere o che vi entreranno in futuro, avranno un vademecum che spiega nel dettaglio i diritti e i doveri. Sessanta pagine tradotte in sette lingue (italiano, albanese, arabo, inglese, francese, spagnolo, rumeno) fanno da guida ragionata alle regole penitenziarie e ai servizi per i cittadini reclusi. Nel vademecum viene illustrata la vita dell’istituto e il rapporto con gli operatori, dalle prime ore in carcere alle attività ricreative, dalle opportunità di lavoro e studio all’igiene e salute personale, dalle formalità da seguire per chiedere colloqui ai benefici a sostegno del reddito. La "Guida per i detenuti di Sollicciano" è stata realizzata dall’assessorato all’accoglienza del Comune di Firenze e dalla direzione del nuovo complesso penitenziario del carcere fiorentino. L’obiettivo, hanno spiegato l’assessore Lucia De Siervo e il direttore di Sollicciano Oreste Cacurri, è orientare chi entra in carcere, soprattutto gli stranieri, ai servizi della struttura e ai propri diritti. "La situazione strutturale di Sollicciano è complicata, rende più difficile tutto, anche la gestione della sicurezza. Ma faremo di tutto per migliorare le condizioni di vita dei detenuti e dei lavoratori, anche per favorire un clima sereno nei rapporti reciproci". Il direttore del carcere di Sollicciano Oreste Cacurri, presentando la nuova "Guida per i detenuti", ha spiegato la difficile situazione dell’istituto penitenziario. Dopo l’indulto, dice, le condizioni sono migliorate: da 1080 di luglio scorso, i detenuti dopo la moratoria sono scesi a 539. Attualmente a Sollicciano ci sono 672 persone, 60 delle quali donne. I numeri sono ancora sopra la capienza prevista di 450 detenuti ma comunque la situazione è più accettabile del passato, con celle da 9 metri quadrati che invece di ospitare 4 detenuti ne accolgono due. "La maggioranza dei carcerati - spiega il comandante di reparto Pietro Masciullo - è di nazionalità straniera, molti dei nord Africa, tanti dell’est europeo. Tra le donne ci sono molte albanesi e rom, ma in cella non ci sono mamme con bambini, mentre prima dell’indulto siamo arrivati a ospitarne dodici". Centoventi sono rientrati a Sollicciano dopo aver usufruito dell’indulto. Circa 130 detenuti lavorano all’interno del carcere, altrettanti frequentano corsi scolastici dalle elementari alle superiori; cinque seguono corsi universitari. "La situazione è migliorata - continua Cacurri - ma la struttura è problematica. Dobbiamo intervenire sulle pareti dove filtra l’acqua e in manutenzioni ordinarie per le quali anche nel passato sono passati i soldi. Quest’anno dovrebbero arrivare nuovi finanziamenti con i quali cercheremo di risolvere qualche problema". Manca anche personale, conclude il commissario Masciullo: attualmente sono in servizio 480 agenti di polizia penitenziaria ma ce ne vorrebbero 695. Firenze: indulto; rientrati in 120 detenuti, nessuna mamma
Agi, 6 febbraio 2007
Nel carcere fiorentino di Sollicciano avevano usufruito dell’indulto 558 detenuti su oltre mille, ne sono rientrati 120. "È difficile fare una stima reale - ha spiegato il comandante del carcere, commissario Oreste Cacurri - poiché i 120 non provengono tutti dalla stessa struttura". Attualmente sono 672 i detenuti presenti nel carcere per una capienza ottimale massima di 483, Il 67% dei detenuti sono extracomunitari: sono in maggioranza algerini, marocchini e tunisini. Seguono Albania, Romania e poi Sud America. Sono 60 le donne detenute e, dopo la legge sull’indulto, ad oggi non sono rientrate le madri con figli e quindi l’asilo dentro la struttura è vuoto. Sono 130 i detenuti lavoratori e altrettanti 130 sono gli studenti che frequentano le scuole, mentre sono 5 gli studenti universitari. l’emergenza riguarda anche gli agenti di polizia penitenziaria che sono attualmente 480 a fronte dei 695 previsti. Firenze: in carcere si riparano le biciclette abbandonate
Redattore Sociale, 6 febbraio 2007
L’iniziativa amplia il piano dell’amministrazione per incentivarne l’uso in città. Affidato alla cooperativa sociale Ulisse il laboratorio all’interno dei carceri per minori e adulti. Le biciclette abbandonate o rimosse per violazione del codice della strada saranno acquisite dal Comune di Firenze e donate alla cooperativa sociale Ulisse, che le destinerà alle officine di riparazione degli istituti di pena per minori e adulti. Il progetto, che prevede oltre alla riparazione anche la vendita e il noleggio, nasce dal protocollo d’intesa firmato lo scorso anno tra il Comune, la società della Salute, il Nuovo Complesso penitenziario di Sollicciano, l’Istituto Penale per i Minorenni di Firenze, Firenze parcheggi s.p.a. e la cooperativa sociale Ulisse. In pratica la cooperativa Ulisse otterrà, in base all’accordo, la gestione del laboratorio "Officina" per la riparazione delle biciclette in comodato gratuito, dei locali interni all’istituto e delle attrezzature. Il comune di Firenze ha già approvato in passato il progetto "Mille e una bici" presentato dalla Firenze parcheggi S.P.A, con l’obiettivo di incentivare l’uso della bicicletta nel contesto cittadino e metropolitano e lo ha affidato alla cooperativa Ulisse che prevede un servizio di custodia, noleggio e manutenzione di biciclette presso i centri di distribuzione dislocati in vari punti della città. Adesso il progetto si amplia fino a coinvolgere gli istituti di pena: d’ora in avanti la cooperativa potrà realizzare laboratori per la manutenzione di biciclette all’interno dei carceri per adulti e minori di Firenze e il Comune avrà la possibilità di promuovere percorsi formativi e lavorativi per detenuti, che in alcuni casi, possono prevedere anche attività da svolgere all’esterno, come ad esempio quella del noleggio. Da parte loro, gli istituti di pena si impegneranno a individuare, nel rispetto dei criteri previsti dall’ordinamento penitenziario, i detenuti da avviare all’attività lavorativa, tramite un colloquio selettivo che sarà gestito dalla cooperativa. Il Dipartimento giustizia minorile, direzione Istituto penale minorenni di Firenze, concederà in comodato gratuito alla cooperativa Ulisse i locali individuati all’interno dell’istituto penale minorile e provvederà a favorire l’attività del personale incaricato dalla cooperativa per la consegna del materiale, il controllo dell’esecuzione delle prestazioni e il ritiro dei lavori completati. La Società della Salute di Firenze si impegnerà a coordinare l’iniziativa, tramite il Servizio marginalità e Inclusione Sociale - Ufficio interventi area carcere, e anche a raccordarla con altre, sempre a favore di detenuti, previste nel Piano integrato di salute. Gli enti e istituti coinvolti, considerata la crescente necessità di promuovere l’uso della bicicletta per la mobilità in città, pensano anche a verificare la fattibilità dell’istituzione di una bottega per la manutenzione, riparazione e vendita delle biciclette in almeno uno dei cinque quartieri della città, con la prospettiva di estendere l’esperienza alle altre circoscrizioni, raccordandole con i laboratori situati all’interno degli istituti di pena. "Mille e una bici" è un’iniziativa promossa dalla Direzione mobilità del Comune di Firenze per l’uso e la diffusione della bicicletta come mezzo di trasporto in vista della tutela della salute pubblica. Il servizio è partito nel 1998 con l’apertura di numerosi parcheggi distributori per ritirare le biciclette a noleggio versando una quota minima giornaliera. Nell’ambito di questa iniziativa l’associazione ha anche coordinato gli sponsor che hanno fornito le prime biciclette con le quali è stato dato inizio al servizio. Il servizio è attualmente gestito dalla Firenze parcheggi s.p.a. che ha affidato alcuni dei punti noleggio alla cooperativa sociale Ulisse, che si occupa principalmente dell’inserimento e dell’integrazione lavorativa di persone in condizioni di svantaggio. Noleggiare le biciclette è semplice: basta recarsi in uno dei punti prelievo/raccolta sparsi per la città con un documento d’identità e ritirarle. I mezzi noleggiati possono essere riportati in un punto raccolta diverso da quello di prelievo, dove è più comodo. Si tratta di una valida alternativa per i pendolari che si muovono con i mezzi Ataf o con il treno; infatti anche le tariffe sono strutturate per agevolare i residenti e i pendolari (possessori di abbonamento Ataf e treno). Roma: a marzo il Papa visiterà l'Ipm di Casal del Marmo
Radio Vaticana, 6 febbraio 2007
Benedetto XVI si recherà in visita al carcere minorile romano di Casal del Marmo, domenica 18 marzo. A darne notizia è oggi il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi. È la prima volta che Benedetto XVI visita un carcere, seguendo le orme di Giovanni XXIII e Paolo VI che visitarono il carcere di Regina Coeli, e di Giovanni Paolo II che - oltre a Regina Coeli e Rebibbia - si recò in visita proprio al carcere minorile di Casal del Marmo, nel 1980. In tale occasione, Papa Wojtyla affermò: "La mia presenza in questo luogo vuole essere pertanto anche un incoraggiamento per tutte quelle sagge riforme dell’ordinamento giudiziario e amministrativo, che tendano non a deprimere chi ha mancato, ma ad aiutarlo a ritrovare se stesso, a reinserirsi con serenità e consapevolezza nell’ordinato concerto della civile convivenza". Ai giovani detenuti di Casal del Marmo, la Santa Sede è legata da un rapporto particolare: oltre alla visita di Giovanni Paolo II e ora di Benedetto XVI, infatti, nel penitenziario ha prestato per lunghi anni il suo servizio pastorale il cardinale Agostino Casaroli, segretario di Stato vaticano negli anni ‘80. Imperia: aggressione nel cortile del carcere, detenuto grave
Secolo XIX, 6 febbraio 2007
Un giovane detenuto di origine maghrebina versa in gravi condizioni all’ospedale di Imperia. È stato aggredito da altri due detenuti nordafricani che, durante l’ora d’aria, l’hanno preso a calci e pugni nel cortile della casa circondariale. Il giovane ha riportato lesioni al volto e traumi all’addome. La prognosi emessa al pronto soccorso è di 40 giorni, ma le sue condizioni appaiono poco confortanti. L’aggressione è avvenuta nel primo pomeriggio di giovedì scorso, ma solo ieri è stata segnalata. Sono in corso indagini per risalire ai motivi della brutale aggressione. Roma: su Radio Radicale "Una telefonata per la Giustizia"
Radio Carcere, 6 febbraio 2007
"Una telefonata per la Giustizia": è l’iniziativa di Radio Carcere, trasmissione di Riccardo Arena in onda il martedì alle 21.00 su Radio Radicale. Basta chiamare il n. 06.48878495, risponderà una segreteria telefonica attiva 24 ore su 24. La voce di Radio Carcere vi chiederà: "Avete fiducia nella Giustizia?" ed ancora " Quali riforme sarebbero necessarie per rendere efficace la Giustizia in Italia?". Un minuto di tempo per dire la Vostra opinione. I messaggi registrati verranno trasmessi in integrale, senza censura, durante Radio Carcere. "Una telefonata per la Giustizia": 06.48878495. Non lasciate che la vostra voce sia taciuta!
Riccardo Arena (Radio Carcere) Milano: a volontaria carceraria il premio "Ambiente e legalità"
Redattore Sociale, 6 febbraio 2007
Il riconoscimento è stato consegnato alla volontaria per aver coinvolto sei detenuti del Carcere di Como nella pulizia dell’area dell’ex Icmesa di Meda. "È un premio ai detenuti, non a me". Si schermisce così Cesarina Del Pero, volontaria da dieci anni nel carcere di Como e consigliere comunale in una lista civica a Meda (Mi). Oggi Provincia di Milano e Legambiente le hanno consegnato il premio "Ambiente e Legalità": il 2 aprile del 2006 con sei detenuti della Casa Circondariale di Como e un gruppo di volontari ha ripulito da detriti e rifiuti l’area dell’ex Icmesa di Meda, l’azienda chimica che 30 anni prima aveva causato un disastro ambientale. Era il 2 luglio 1976, infatti, quando si verificò la fuoriuscita di una nube di diossina. In quell’area ora sorge un centro sportivo, ma accanto alla struttura fino all’anno scorso c’era una discarica a cielo aperto. "Ho voluto celebrare la ricorrenza della tragedia dell’Icmesa con un’iniziativa che avesse anche una valore sociale -spiega Cesarina Del Pero-. Mi è venuto spontaneo pensare al carcere di Como e la risposta della direzione è stata subito entusiasta". Cesarina è riuscita poi a coinvolgere i volontari dell’Avis e della Protezione Civile di Meda. "È stata una giornata di lavoro e di amicizia - racconta -. Volontari e detenuti hanno raccolto tonnellate di rifiuti". Mentre ritornavano in carcere, i sei detenuti avevano confidato a Cesarina il loro entusiasmo per un giornata diversa dal solito. "Erano felici perché, almeno per una volta, erano stati capaci di fare qualcosa di utile per gli altri - racconta la vincitrice -. Per questo il premio è loro: domani mattina sarò io stessa a portarglielo". Il premio "Ambiente e legalità" è stato consegnato anche ad altre persone o realtà che nel 2006 si sono distinte per iniziative di salvaguardia dell’ambiente. Per la categoria Enti locali, hanno vinto i comuni di Trezzano sul Naviglio, di Baranzate e di Corsico. Per la categoria Corpi di Polizia: le polizie comunali di Novate Milanese e Milano e i comandi di Cesano Maderno e Baranzate della Polizia provinciale. Per la categoria Associazioni: il coordinamento Salviamo il Ticino, le Guardie Ecologiche Volontarie della Provincia di Milano e l’Associazione Eco Alba di Albairate. Per la categoria Cittadinanza attiva: oltre a Cesarina Del Pero, sono stati premiati Erminio Cappelloni, guardia ecologica volontaria nel parco Nord di Milano, il giornalista Davide Zanesi, che ha scritto un reportage sul Parco agricolo di Milano, e la Scuola Elementare Robarello di Buccinasco che si è impegnata a sgomberare una discarica abusiva in una delle vie del paese. Droghe: ministero Salute; piano contro dipendenze patologiche
Redattore Sociale, 6 febbraio 2007
Contrasto a nuove droghe, alcol e psicofarmaci per difendere la salute dei cittadini. Si torna a parlare di monitoraggio dei Sert, pagamento delle rette alle comunità e sanità penitenziaria. Insediata la nuova Commissione consultiva sulle dipendenze patologiche, lo scorso 2 febbraio, ora il Ministro della Salute Livia Turco si impegna, anche grazie a questo nuovo strumento, ad incrementare le azioni di contrasto all’uso delle droghe ma anche all’uso e all’abuso di sostanze legali come l’alcol, il fumo o gli psicofarmaci che danno dipendenza e che provocano danni alla salute dei cittadini. La soppressione del Dipartimento nazionale politiche antidroga (Dnpa) - prevista nel contesto del maxi emendamento al decreto che nel 2006 ha definito i nuovi ministeri -, elemento di raccordo tra i diversi dicasteri competenti, spinge il ministero della Salute a promuovere una propria azione di contrasto sulle dipendenze patologiche; lo fa con un piano nazionale che, rispettando le competenze ministeriali, guarda al "benessere della società e dell’individuo" e alla difesa della salute pubblica. Atteso, nel contempo, il ddl del ministro per la Solidarità sociale Paolo Ferrero che ha annunciato per giovedì 8 febbraio la presentazione delle linee guida della nuova legge, che andrà a superare l’attuale, la cosiddetta Fini Giovanardi. L’azione del ministero si concentra sul contenimento della domanda attraverso azioni specifiche e obiettivi a medio e lungo termine. Si torna a parlare di un monitoraggio dei Sert e delle altre strutture; primo tra gli obiettivi prioritari l’avvio di una "accurata" ricognizione qualitativa e quantitativa che serva a ripensare il servizio pubblico sui nuovi modelli di consumo. Il ministero pensa anche ad un accordo tra ministeri, regioni, enti locali, privato sociale ed associazionismo per realizzare un "progetto nazionale di prevenzione" e, più in specifico, ad un accordo con le regioni perché, da un lato, le azioni di riduzione del danno diventino strutturali e, dall’altro, venga attuato l’atto di intesa Stato-Regioni del 1999 che prevede l’istituzione di dipartimenti delle dipendenze con funzioni di coordinamento tra servizi pubblici e privato sociale. Il piano affronta tra le priorità due nodi centrali non nuovi al dibattito pubblico e politico: garantire il pagamento da parte delle Asl delle rette alle comunità terapeutiche convenzionate, che lamentano da tempo ritardi ormai inaccettabili, e riavviare il percorso di trasferimento delle competenze alla sanità regionale e alle Asl della sanità penitenziaria (in particolare per l’assistenza ai detenuti tossicodipendenti). Il ministero annuncia anche una nuova campagna informativa sui rischi per la salute per chi consuma sostanze stupefacenti, pensata in particolare al consumo di nuove droghe. Parallelamente a queste azioni, vengono previste correzioni e aggiornamenti dei progetti gia avviati tra cui la costruzione di un Sistema informativo nazionale sulle dipendenze (Sind) dentro un sistema di riordino del sistema informativo sanitario, l’avvio di un Piano nazionale alcol e il passaggio a legge dello stato del disegno di legge sulla terapia del dolore. Droghe: ministero Salute; una nuova cultura della prevenzione
Redattore Sociale, 6 febbraio 2007
Cambiano attori e strumenti. Il ministero della Salute fissa per il 29 marzo un giornata di riflessione e confronto tra istituzioni associazioni e famiglie. "Progettare un futuro senza droghe": è lo slogan scelto dal ministero della Salute per promuovere la salute ed il benessere e prevenire le dipendenze ma è anche il tema ideale della Giornata nazionale di confronto sulla prevenzione che il dicastero ha previsto per il prossimo 29 marzo. Un seminario di riflessione e sensibilizzazione in cui saranno messe a confronto le esperienze degli enti locali e del privato sociale, con particolare attenzione a quelle dell’associazionismo giovanile, e saranno chiamati a intervenire gli altri cinque ministeri competenti: istruzione, famiglia, politiche giovanili, solidarietà sociale e interno. In questi anni il consumo si è modificato, si è allargato a nuove sostanze legali ma dannose come alcol e farmaci e ha incluso nuovi attori e luoghi, tanto che il dicastero retto da Livia Turco oggi punta a costruire un "nuovo paradigma culturale", che cambi la stessa idea di prevenzione. Via i "modelli rigidi e ideologici" a favore di "una cultura della prevenzione" che punti sulla centralità della persona (libertà ma insieme responsabilità verso la propria salute), che neghi l’idea di "divieti punto e basta", che guardi ai comportamenti devianti come parte di un "mix di pressioni culturali e sociali" e che infine tenti un approccio globale a fenomeni fino ad ora considerati singolarmente; ne sono un esempio l’uso di sostanze legali come l’alcol o i comportamenti compulsivi come il gioco d’azzardo. "Nuovi attori" di questo nuovo concetto di prevenzione i giovani stessi, quelli che hanno sperimentato l’uso di sostanze, ma anche coloro che non sono consumatori o che lo sono solo occasionalmente, tutti in ogni caso portatori di conoscenze dirette che possono indirizzare l’istituzione verso strategie più efficaci. Cambiano gli attori e quindi anche gli strumenti: secondo il ministero della Salute vanno ripensate le campagne di informazione verso un maggiore utilizzo del web, gli interventi in ambito scolastico e nei luoghi di aggregazione coinvolgendo figure leader, ma anche le attività per le fasce più deboli come giovani non scolarizzati, disoccupati o immigrati. Per andare in queste direzione - che non secondariamente per il dicastero punta a rafforzare l’esercizio di una cittadinanza responsabile - sembra più utile che i progetti di prevenzione abbiano una ricaduta locale, nel senso che non siano pensati come azioni straordinarie, ma come "azione ordinaria nei luoghi dell’apprendimento, del vivere sociale, dello sporto, del divertimento". Tuttavia non è trascurabile la dimensione globale del fenomeno, le "suggestioni suscitate dai media", "l’incessante interscambio culturale" accanto al sistema di relazioni più vicine ai ragazzi, come la famiglia, la scuola, le amicizie. Per questo il ministero pensa ad una task force tra figure professionali, istituzionali, ma anche del divertimento dello sport accanto alla famiglia in gradi di incidere positivamente sul comportamento dei giovani. Droghe: su cocaina basta allarmi, costruiamo insieme la rete
Progetto Uomo, 6 febbraio 2007
Dal confronto interno al dibattito pubblico: un successo l’incontro organizzato dalla Rete tematica FICT sulla cocaina. On line tutti gli interventi. L’allarme lanciato nei giorni scorsi dal ministro dell’Interno Giuliano Amato sui consumi di cocaina non ci ha certo colti di sorpresa. Sappiamo bene che oggi purtroppo la cocaina rappresenta uno stile di vita diffuso, un modus vivendi, e chi la usa non si considera certo malato. C’è quindi una grande difficoltà, da parte dei servizi, ad agganciare i consumatori, che raramente vivono l’assunzione di cocaina come un problema: arrivano a farsi curare solo quando sopraggiunge una patologia fisica, come ad esempio un problema cardiaco. Stiamo studiando le strategie migliori per recuperare la domanda prima che le persone la formulino. La Federazione Italiana Comunità Terapeutiche (FICT) dispone di una ventina di Centri terapeutici, presenti su tutto il territorio nazionale, specializzati nel trattamento dei cocainomani. Sono per lo più strutture ambulatoriali che lavorano in stretto contatto con le Prefetture, che svolgono essenzialmente programmi di consulenza psico sociale e che all’occorrenza funzionano anche di sera o nei fine settimana, come questo speciale tipo di utenza spesso richiede. Alle persone viene garantito l’anonimato, e vengono aiutate anche a prendere periodi di aspettativa dal lavoro per "curarsi". I costi, al momento, non vengono riconosciuti dal Servizio sanitario nazionale. Abbiamo ideato anche il sito internet www.drogaonline.it, una sorta di sportello gratuito al quale ci si può rivolgere in qualsiasi momento. Ci stiamo inoltre occupando della prevenzione che riguarda gli stili di vita. Stiamo studiando con gli psicologi i modi per far capire, ad esempio, che il piacere che procura la cocaina si può ottenere in maniera diversa. La novità è infatti questa: che si tratta di una droga che non è usata, come accadeva per l’eroina, per alleviare una sofferenza, ma per aumentare le proprie performance.
Da isole ad arcipelaghi
Queste sono solo alcune delle considerazioni emerse durante la giornata di studio organizzata il 26 gennaio scorso, a Reggio Emilia, dal gruppo di lavoro della FICT specializzato su cocaina e nuove droghe. Un appuntamento particolarmente ricco di spunti che ha dimostrato la possibilità di concretizzare e consolidare con i fatti una scommessa lanciata due anni fa: riflettere sulle esperienze proveniente dai Centri aderenti alla FICT presenti in tutta Italia "mettendosi in rete". Sin dai primi incontri, gli operatori si sono confrontati sulle metodologie utilizzate, sui cambiamenti dei propri servizi in risposta all’evoluzione esponenziale del fenomeno droga e alle istanze sempre nuove che la realtà sociale ci pone quotidianamente. I vari gruppi hanno saputo realizzare un vero osservatorio/laboratorio di ricerca dove elaborare i numerosi dati statistici forniti dai vari centri federati e sono riusciti ad offrire momenti di formazione e di consulenza per altri operatori disposti ad aprire nuovi servizi nei loro territori. Grazie al contributo del CeIS di Reggio Emilia, c’è stato un passaggio successivo: l’apertura ad uno scambio e ad una condivisione con l’esterno FICT, per una conoscenza reciproca e costruttiva: "non più come isole solitarie, ma come arcipelaghi…". Dal confronto si è passati quindi alle proposte, alle "buone prassi", tra la rete FICT e i risultati della Ricerca Internazionale ed Europea, brillantemente presentata da Umberto Nizzoli, e ad un dibattito con il mondo politico, rappresentato dagli assessori comunali e regionali presenti in sala, per concertare insieme una rilettura delle politiche sulle dipendenze. Sono convinta ancor più che occorra al più presto andare oltre agli interventi "con il bilancino" e proporre una strategia complessiva, che comprenda la prevenzione, attuata sin dalle scuole primarie via via fino ad investire le questioni dell’autostima e degli stili di vita. Come coordinatrice delle reti tematiche non posso quindi che ringraziare tutti gli operatori che, con gratuità, solidarietà e professionalità, partecipano ai vari incontri, contribuendo al successo dell’iniziativa ed augurare a tutti i Centri di "cadere nella rete… facendo rete". Una modalità, questa, che propongo anche a tutti coloro che in Italia si occupano di tossicodipendenze, perché abbiamo bisogno di tutti per tessere tele resistenti e fitte, capaci di resistere alle insidie delle droghe. Roma: "Progetto Giovani", contro tutti i tipi di dipendenza
Comunicato stampa, 6 febbraio 2007
Azioni comuni contro la dipendenza da droghe, alcool, videogiochi e giochi d’azzardo nel territorio del Quartiere San Lorenzo di Roma. Mercoledì 7 febbraio 2007 - ore 11.30. Bar degli Aurunci, piazza dell’Immacolata 42/48.
Progetto Giovani sarà applicato per la prima volta in Italia in uno dei punti nevralgici di Roma, il quartiere San Lorenzo, dove è alta la presenza di giovani e studenti. All’iniziativa parteciperanno i soggetti istituzionali presenti sul territorio: il III Municipio, la Questura di Roma, l’Istituto Scolastico Comprensivo Statale via Tiburtina, il Ser.T., la Asl Roma A, la Fondazione Villa Maraini e la Coop Sociale Parsec. Al progetto hanno aderito anche il Garante Regionale dei diritti dei detenuti e l’Azienda per il Diritto allo studio universitario Laziodisu. I dettagli di Progetto Giovani saranno presentati in una conferenza stampa, mercoledì 7 febbraio 2007, alle ore 11.30 al Bar degli Aurunci (in piazza dell’Immacolata 42/48), cui parteciperanno i responsabili degli enti e delle associazioni coinvolte nell’iniziativa: Angiolo Marroni - Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti; Rolando Corsetti - Presidente del III Municipio di Roma; Lorenzo Suraci - Dirigente del Commissariato di Pubblica Sicurezza di San Lorenzo; Ornella Guglielmino: Commissario Straordinario di Laziodisu; Ferdinando Cesarini: Ser.T Asl Roma A; Maria Antonietta Vergari: Preside dell’Istituto Comprensivo Statale di via Tuscolana; Dr.ssa Muneretto: Presidente della Cooperativa Sociale "Parsec"; Gabriele Mori: Presidente della Fondazione "Villa Maraini". Per ogni ulteriore informazione chiamate il numero 335.6949151. Immigrazione: Staffan De Mistura; il futuro è fuori dai Cpt
Famiglia Cristiana, 6 febbraio 2007
L’alto funzionario dell’Onu, a capo della commissione d’indagine del ministero dell’Interno, tira le somme e racconta le diverse soluzioni suggerite al Governo. È stato a lungo al di là della barricata, in Africa, in Asia, nei Balcani, dove la povertà, i soprusi e la guerra generano disperazione, la quale a sua volta fa decidere per il lungo viaggio, costi quel che costi, pure la vita. Ora, in Italia, dentro quelle strane realtà dal nome strano (Cpt, ossia Centri di permanenza temporanea), presidiate dalle forze dell’ordine e avvolte dal filo spinato anche se non sono prigioni, ha rivisto occhi gonfi d’angoscia: "Quando si è condotti lì dentro, il viaggio è fallito; non c’è che rimpatrio, sogni infranti, debiti". Staffan de Mistura racconta a Famiglia Cristiana i suoi sei mesi a capo della Commissione d’indagine voluta dal ministro dell’Interno Giuliano Amato per far luce su tutte le strutture destinate al trattenimento temporaneo e all’assistenza degli immigrati irregolari, nonché di chi chiede asilo politico. "S’è trattato di un viaggio reale, che di sopralluogo in sopralluogo ci ha portati in tutta Italia e all’estero, un viaggio cominciato il 19 luglio 2006 a Lampedusa e terminato il 12 gennaio scorso a Madrid. Ma è stato anche un intenso viaggio interiore", dice. Alto funzionario dell’Onu, Staffan de Mistura non ha faticato a ottenere la necessaria autorizzazione del segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan per fare quello che il nostro Governo gli chiedeva. La sua storia personale giustificava la scelta di Roma, alla ricerca di una personalità di prestigio, con esperienza maturata sul campo, imparziale, e garantiva per lui. "Ho accettato l’incarico per tre motivi", spiega. "Avendo la cittadinanza italiana, ho voluto rendermi utile al mio Paese; essendo un cattolico convinto sono sensibile alle sofferenze del prossimo; figlio di un rifugiato politico veneto-dalmata, emigrato in Svezia, ho sentito da mio padre quanto sia difficile essere profugo e dover riparare all’estero". "Istituita il 6 luglio 2006, la commissione - 11 membri in tutto, me compreso - era rappresentativa del mondo che gravita attorno al "fenomeno immigrazione", essendo composta da esponenti del Viminale, dell’Associazione nazionale comuni d’Italia, della Caritas, delle Chiese evangeliche, dell’Arci, delle Acli e di altri organismi pubblici e privati", precisa Staffan de Mistura. "Abbiamo operato tenendo presente da un lato il principio della sicurezza, un diritto che lo Stato deve garantire ai suoi cittadini, e dall’altro il principio della dignità della persona, che non viene meno anche se si è privi del permesso di soggiorno". "Oggi", prosegue, "le stime più accreditate parlano di 300.000 extracomunitari irregolarmente presenti in Italia. I 14 Cpt attivi sul territorio nazionale offrono una capienza complessiva di 1.960 posti. A causa della continua rotazione, tra il 2005 e il 2006 i Cpt hanno visto transitare circa 23.000 stranieri, molti dei quali, però, non sono stati identificati e dunque non sono stati rimpatriati. La legge dice che dopo 60 giorni, anche se non identificati, i clandestini vanno rilasciati dai Cpt con l’ordine di espulsione in mano. Si è creata allora una situazione paradossale in cui solo il caso ha stabilito chi alla fine è stato realmente accompagnato alla frontiera. Al di là delle intenzioni, sono stati "puniti" coloro che si sono fatti identificare, mentre sono stati "premiati" i furbi o i "duri" che, con ogni probabilità, non hanno lasciato l’Italia, ignorando il foglio di via". "Al termine dei nostri lavori, abbiamo accertato che il sistema è troppo costoso, inefficace e inefficiente, formulando una serie di proposte alternative", sottolinea Staffan de Mistura. "Il cuore del problema è incentivare la collaborazione tra gli immigrati e le autorità. In buona sostanza, noi proponiamo che al clandestino - a patto che dichiari le sue vere generalità e si dimostri disponibile a seguire il percorso indicato - venga data la possibilità di rientrare nella sua patria con qualche denaro in tasca, senza il divieto formale di tornare in Italia, ma anzi con l’assicurazione che verrà incluso appena possibile nei flussi concordati. Superando l’inaccettabile situazione di coabitazione, fuori dai Cpt andrebbero tenute le vittime del racket della prostituzione, le badanti e le colf, per le quali occorrerebbe trovare appropriate modalità di protezione o di regolarizzazione. Fuori dai Cpt andrebbero tenuti anche gli ex detenuti, che bisognerebbe invece identificare in carcere ed espellere appena scontata la pena. Nei Cpt (non chiusi, ma progressivamente svuotati) dovrebbero finire solo gli "irriducibili", ovvero i clandestini che non si fanno identificare. Se si pensa che adesso un rimpatrio coatto, con tutto lo spiegamento di mezzi e di uomini, costa mediamente 15.000 euro ciascuno, si può capire che lo Stato può risparmiare denaro e guadagnare in fiducia agli occhi di tutti". "Chiediamo infine di smantellare i 4 Centri di identificazione (Cid) destinati a chi intende chiedere l’asilo politico, da sostituire con un sistema nazionale unico. I 5 Centri di accoglienza vanno potenziati e migliorati", conclude Staffan De Mistura. Burundi: i detenuti sieropositivi si uniscono per sopravvivere
Redattore Sociale, 6 febbraio 2007
Nella prigione sovraffollata della capitale, dove i farmaci e il cibo scarseggiano, i detenuti che convivono con l’Hiv hanno costituito un’associazione per aiutarsi a vicenda. A sostenerli è la Società delle donne contro l’Aids in Africa. I carcerati sieropositivi rinchiusi nella prigione Mpimba, a Bujumbura, hanno capito che il modo migliore per sopravvivere nel sovraffollato carcere della capitale è unirsi e sostenersi l’un l’altro. Così hanno costituito un’associazione, originariamente chiamata Mboshwe Kabiri, che in Kirundi significa "prigionieri due volte", e poi ribattezzata con il nome più incoraggiante di Turemeshanye che significa appunto "sostenersi reciprocamente". George Ndabihawe, presidente dell’associazione, spiega che i membri del gruppo si aiutano vicendevolmente per l’accesso al cibo, alle medicine e per il sostegno psicologico. L’organizzazione ha avuto molto successo soprattutto perché molti detenuti sieropositivi vengono dati per spacciati dalle famiglie, soprattutto nel caso di condanne lunghe. La prigione Mpimba è stata costruita per ospitare 800 persone ma ora i detenuti sono oltre tremila e il cibo scarseggia. La dieta consiste in 350 grammi di fagioli e 350 di farina di manioca al giorno, quantità che - come denuncia Martin Yabu, uno dei detenuti sieropositivi - non è sufficiente nemmeno per un bambino. "I dottori mi hanno detto di mangiar bene, per curarmi correttamente; alle volte mi viene da ridere pensandoci", dice Vincent Tugirimana, anch’egli sieropositivo. È in carcere dal 2000 con l’accusa di omicidio ed è ancora in attesa di processo. Turigimana è sempre riuscito a trovare qualcosa da mangiare per prendere la sua dose mattutina di antiretrovirali (Arv). Per la sera invece si affida "alla sola volontà di Dio". Secondo Baselisse Ndayisaba, coordinatore in Burundi della sezione locale della Società delle Donne contro l’Aids in Africa (Swaa), il problema non riguarda la quantità ma la scarsa qualità dell’alimentazione carceraria. Per far sì che i detenuti sieropositivi riuscissero a integrare la loro dieta, la Swaa ha aiutato Turemeshanye ad avviare un piccolo ristorante nel 2006 e generare così anche opportunità di reddito. I detenuti lavorano a turno nel ristorante e possono così integrare la loro alimentazione. L’organizzazione femminile fornisce anche gli Arv, e due volte alla settimana porta un dottore a Mpimba per far curare le infezioni opportunistiche. I programmi di trattamento governativi trascurano i detenuti, e i gruppi di sostegno stanno ora facendo pressione affinché siano inclusi nei piani nazionali. Nonostante l’esistenza di 60 membri di Turemeshanye, Ndabihawe sottolinea la stigmatizzazione rimane alta nella prigione e molti detenuti sono riluttanti a unirsi al gruppo, perché questo vorrebbe dire dichiarare apertamente il loro status davanti agli altri reclusi. "Chi accetta di uscire allo scoperto non ha scelta - spiega Ndabihawe - piuttosto che morire senza cure, accettano il loro status". Swaa Burundi sta lottando per combattere l’ignoranza sull’Hiv nel carcere e regolarmente proietta documentari che considerano l’educazione dei detenuti sulla pandemia al pari della prevenzione di nuovi contagi. Gran parte dei membri di Turemeshanye sono stati formati per diventare essi stessi consulenti, perché - sottolinea il presidente Ndabihawe - il gruppo vuole anche contribuire a garantire che i detenuti sieronegativi restino tali. "Alcuni detenuti possono sviluppare comportamenti altamente a rischio come l’omosessualità", dice Ndabihawe, aggiungendo che le misere condizioni di vita costringono anche molte detenute donne a prostituirsi. I preservativi non sono distribuiti dagli ufficiali della prigione, ma Swaa Burundi li fornisce ai detenuti che li chiedono, e in gran parte si tratta proprio di donne. Nel discorso per l’inizio del Nuovo anno il presidente del Burundi Pierre Nkurunziza ha dichiarato che gli anziani, i bambini e le persone che soffrono di mali incurabili devono essere scarcerati. Una dichiarazione che ha dato speranze ai detenuti sieropositivi. Ma aspettando che accada qualcosa Turemeshanye continua a far pressione sul consiglio nazionale per il controllo dell’Aids affinché garantisca loro un’alimentazione migliore e l’accesso alle cure.
|