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Monza: muore in carcere, ma avrebbe dovuto essere fuori
Il Giorno, 2 febbraio 2007
Ha allagato la sua cella, in preda all’ennesima crisi, ed è scivolato sbattendo violentemente la testa. Quando agenti e infermieri hanno aperto la porta della cella, per Gianluca Concetti non c’era più niente da fare. È morto sul colpo, lunedì pomeriggio. In carcere. Lui che, secondo i medici, in carcere non ci poteva stare per il suo stato di salute. Adesso sarà l’autopsia disposta dal sostituto procuratore del Tribunale di Monza Vincenzo Fiorillo, che verrà effettuata domani, a stabilire esattamente le cause del decesso. E aspetta ancora una risposta anche la relazione con cui i medici della casa circondariale di Monza, oltre due settimane fa avevano segnalato l’incompatibilità di Gianluca Concetti con il carcere. Quarant’anni, originario di Macerata, nelle Marche, divorziato e padre di una ragazzina adolescente, Concetti era stato trasferito dall’istituto di pena di Ancona tre settimane fa. A Monza ci sarebbe dovuto rimanere soltanto 30 giorni, nel reparto di osservazione psichiatrica voluto dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria proprio per verificare la compatibilità o meno con la detenzione di malati psichiatrici. Concetti era dentro per minacce a pubblico ufficiale e per aver rapinato 90 euro a un parente. Era stato arrestato qualche giorno prima di Natale. La prima udienza del processo era già stata fissata per l’inizio di aprile. L’attesa, dietro le sbarre. Ma in carcere, secondo i medici dell’istituto di via Sanquirico, una persona come Concetti non ci poteva stare. "Due giorni dopo il suo arrivo lo abbiamo visitato, insieme al medico internista. Ricordo ancora, era un sabato. Il signor Concetti era affetto dal morbo di Cushing che provoca importanti disfunzioni neurologiche, cefalea e disturbi visivi, obesità, ipertensione. Vista la particolare situazione e le condizioni del detenuto, abbiamo subito inviato al magistrato di Ancona una relazione con il nostro parere sull’incompatibilità alla detenzione - spiega Francesco Bertè, direttore sanitario del carcere monzese -, però da allora non abbiamo avuto risposte". Nel frattempo sono passate più di due settimane. Concetti trascorreva le sue giornate nella cella che non divideva con nessuno, distruggendo qualunque cosa, faceva a pezzetti il materasso. Soltanto davanti a una sigaretta si tranquillizzava. Fino all’ultima crisi. E a quello che, secondo la ricostruzione effettuata dalla direzione e dai medici della casa circondariale di via Sanquirico, sarebbe stato un tragico incidente. Gli agenti e gli infermieri hanno raccontato di aver sentito un tonfo improvviso e di essere corsi nella cella di Concetti. Un intervento immediato visto che le cinque celle singole del reparto di osservazione psichiatrica sono all’interno dell’infermeria. "Per ora non prendo posizioni, ho soltanto ricevuto una telefonata con cui mi hanno comunicato il decesso. È necessario aspettare i risultati dell’autopsia, che, comunque, potrà avvenire solo dopo il riconoscimento del corpo da parte dei familiari, e quindi non credo prima di giovedì", commenta l’avvocato di Gianluca Concetti, Paolo Micozzi. Questa mattina arriverà a Monza da Macerata con i parenti del detenuto. Per cercare la verità. Giustizia: Manconi; grazie all’indulto ora la riforma è più vicina
Caffè Europa, 2 febbraio 2007
L’indulto ha ridotto il sovraffollamento, e nondimeno è un sistema carcerario frammentato e distorto quello fotografato dal 4° rapporto dell’associazione Antigone. Il "prima" e il "dopo" la clemenza del Parlamento, infatti, non modificano la situazione strutturale dei 208 penitenziari italiani, laddove le condizioni di disparità sono così forti da "consigliare" di farsi arrestare in un luogo piuttosto che in un altro e il rischio dei soprusi documentato e presente. Soprattutto resta il timore che le carceri escano dalla vita pubblica, per ritornarvi solo quando un altro provvedimento si renderà urgente. Due o tre anni al massimo - dicono da Antigone - se il governo in cui siede anche il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi, non troverà soluzioni: dalla condizione strutturale dei penitenziari fino alla sospirata riforma del codice penale.
Sottosegretario Manconi, a distanza di mesi l’indulto è il primo passo per una vera riforma del sistema carcerario? Ritengo l’indulto un provvedimento non solo opportuno, ma sacrosanto. Penso che la clemenza non neghi e nemmeno contraddica la giustizia, ma ne costituisca la fibra morale. In una situazione abnorme non funziona né il sistema delle pene né quello della giustizia. Poi c’è anche la questione umanitaria. Carceri come quelle che c’erano fino al 31 luglio sono luoghi invivibili non solo per chi sconta la pena ma per chi deve svolgere una attività professionale, dal direttore fino al volontario.
I detrattori hanno accusato il governo di avere approvato la legge per "lavarsi la coscienza". Anche nel rapporto di Antigone questa possibilità ritorna come timore che, una volta svuotate, le carceri possano rimanere abbandonate a loro stesse... Guai a pensarlo. Certamente l’indulto non risolve i problemi, ma senza l’indulto i problemi non possono essere risolti. Continuiamo a ripeterlo, io personalmente l’ho detto anche all’inaugurazione dell’anno giudiziario a Torino: se non sapremo intervenire su immigrazione, sostanze stupefacenti e recidiva, l’indulto verrà vanificato. Svilupperà invece tutte le sue grandi potenzialità positive nel momento in cui avremo arrestato quel meccanismo di riproduzione fatale dell’affollamento.
Bossi-Fini, Fini-Giovanardi e ex-Cirielli: anche Antigone punta il dito su queste tre leggi come il segnale più forte di una fase "punitiva". È una fase finita? Siamo nella fase più avanzata per superare queste leggi. Per quanto riguarda la legge sull’immigrazione mi auguro che sia questione breve, e lo stesso vale per la legge sugli stupefacenti, su cui si sta operando virtuosamente. E così anche per la ex-Cirielli.
Dal rapporto emerge chiaramente la frammentazione del nostro sistema carcerario. Non esiste un trattamento minimo condiviso, ma una serie di estremi, in prevalenza verso il basso, molto disomogenei. È così, e gli interventi necessari sono tanti. Come politica del ministero ci stiamo concentrando in particolare - non esclusivamente, sia chiaro - sulla razionalizzazione dei circuiti. Per capirci: dentro la popolazione detenuta la prima grande ripartizione è tra condannati e in attesa di giudizio. Ma questa ripartizione elementare non viene rispettata. Quindi si trovano spesso insieme o accanto, e sottoposti a regimi non troppo differenti. E questa è solo la cosa più banale. Esiste ad esempio una categoria "giovani adulti" - dai 18 ai 24 anni - che dovrebbe essere distinta, ma questo succede solo in poche circostanze. Pensiamo ai tossicodipendenti: dentro il carcere ci sono detenuti di accertata pericolosità sociale. Ma infinitamente più detenuti di alcuna pericolosità. Ora, per i primi esiste il circuito del 41bis o di alta sorveglianza. Ma non esiste un circuito per chi è di zero pericolosità sociale. La vera riforma del carcere è questa: far sì che vi siano dei circuiti non discriminatori, dove chi ha bisogno di una custodia "attenuatissima" e di un trattamento "intensissimo" possa averli.
Si è fatto qualcosa in questo senso? Dobbiamo lavorare perché siano rafforzate e non vadano ad esaurirsi le colonie. O perché le esperienze, come quella che sta nascendo a Milano di una casa famiglia per detenute con figli da zero a tre anni, siano ripetute ove necessario. E quindi vi siano luoghi che somiglino pochissimo al carcere e molto più a strutture di tutela per donne con figli.
Questa riorganizzazione è sostenibile dal punto di vista economico? Oggi soprattutto dopo l’indulto è assolutamente realizzabile. Non esiste un grande problema economico su queste cose, ma nel territorio. Cosa non semplice, sia chiaro, perché esiste un grande problema di distribuzione del personale. Una volta che saranno realizzate le nuove carceri che si devono realizzare, il resto delle risorse non deve andare ad immaginare chissà quante nuove strutture. Bensì a manutenzione, ristrutturazione, e riorganizzazione degli spazi esistenti.
Il rapporto fotografa veri e propri paradossi: la maggior parte dei detenuti viene del sud, eppure le carceri affollate sono quelle del nord. "Paradossalmente" parla delle carceri del Nord dove sempre "paradossalmente" non vogliono andare gli agenti, perché sono nati e cresciuti nel Sud. Il problema non sono solo i costi economici: sono costi di organizzazione, di relazione sindacale, di amministrazione di un enorme apparato.
È un problema di tutta l’Europa oppure crede che l’Italia abbia delle criticità specifiche? Non amo queste valutazioni, comunque credo che ci collochiamo in una situazione intermedia per quanto riguarda la vivibilità del sistema carcerario. Più basso per quanto riguarda l’esecuzione delle pene. Da molti anni, purtroppo, continuo a ritenere che nella cosiddetta patria del diritto domini una mentalità condivisa che ha una idea altamente vendicativo-afflittiva della pena. E che in termini di senso comune l’idea di una sanzione diversa dalla cella chiusa fatichi ad affermarsi, laddove in altri paesi c’è maggiore disponibilità ad una "fantasia" che, salvaguardando la sanzione, non la fissi nella detenzione all’interno di una cella.
Perché esiste questa diversa percezione sociale? In Italia dominano due subculture. Una di radice socialista e una di radice cattolica. Entrambe non hanno al proprio interno una forte dimensione libertaria, bensì un intreccio complesso, in termini religiosi tra severità e misericordia; in termini laici tra rigidità e clemenza. Il rapporto all’interno di queste coppie di termini è spesso impazzito, dove l’esercizio della clemenza passa attraverso un’idea molto sacrificale della sanzione. Si ritiene che le due subculture siano culture del perdono: è sbagliato. Sono due culture della indulgenza come conseguenza della sofferenza.
Laddove la cultura è più laica, meno ideologica o religiosa, è più facile arrivare ad una riabilitazione fattiva? La riparazione passa sempre per la mortificazione. Quasi che l’offeso rivendichi l’umiliazione dell’offensore. Questa è una pulsione naturale, ma non una pulsione che lo stato debba soddisfare. Quando si chiede al familiare della vittima "lei perdona?" si commette un pazzesco errore e si alimenta questo equivoco, perché certo un perdono concesso in alcune circostanze può avere una funzione profetica straordinaria, ma quando si chiede alla povera vittima si trasforma un atto secolare, civile, in un rito religioso, o psicologico, o in una terapia.
Ha un che di inquisitorio... Il fondo è inquisitorio, perché se io mi dichiaro responsabile di un reato mi sto dichiarando debitore verso lo Stato, ma non un mostro. Posso esserlo oppure no, ma quello che conta non è la mostruosità, bensì l’atto compiuto che infrange la legge e rompe il legame sociale. Per ripristinare quel legame è prevista una sanzione. Può essere una multa, può essere un divieto...
... ma non mortificante Le faccio un esempio che ogni volta suscita ilarità, ma mi auguro e credo che si andrà anche a questo, in una riforma del codice penale italiano: il "detenuto" il lunedì mattina inizia la settimana, va al lavoro... Solo il sabato mattina si presenta al carcere, e ne esce il lunedì mattina per riprendere l’attività lavorativa. Questa proposta fa ridere, ma già è una soluzione applicata in qualche paese del Nord Europa, ed è civilissima, è saggia, è efficace: sconto una sanzione senza che questa rompa il mio rapporto con il mondo. Il contrario esatto di ciò che oggi è preteso essere efficace. Giustizia: Mastellla; accantonare i processi meno urgenti
Apcom, 2 febbraio 2007
La circolare del procuratore di Torino Marcello Maddalena, che invita i suoi sostituti ad accantonare le indagini destinate a non avere effetti penali a causa dell’indulto è "legittima": lo dice il ministro della Giustizia Clemente Mastella, intervistato dalla Stampa. "Mi pare frutto di una scelta legittima da valutare con serietà e attenzione", spiega il Guardasigilli, aggiungendo che Maddalena "si pone sulla scia dei suoi predecessori che negli anni passati hanno organizzato il lavoro della Procura di Torino secondo criteri di priorità". Mastella nega che la scelta metta in discussione il principio di obbligatorietà dell’azione penale, al quale sono vincolati gli inquirenti: "La selezione dei procedimenti da trattare con maggiore urgenza - precisa - non preclude l’eventuale trattazione di quelli meno urgenti. Il pm non ha alcun potere di archiviazione e sarà il giudice per le indagini preliminari a verificare la sussistenza delle condizioni per cui si debba o meno procedere, lasciando inalterato il potere di opposizione della vittima del reato". Quanto agli effetti della legge ex Cirielli sulle prescrizioni, Mastella annuncia un ddl che interviene sul "sistema della prescrizione, per evitare la moria dei processi, e archiviazione dei procedimenti per fatti di particolare tenuità". Giustizia: eliminare l’obbligatorietà dell’azione penale
L’Opinione, 2 febbraio 2007
Marcello Maddalena, procuratore capo di Torino, ha invitato formalmente, con apposita circolare, i suoi sostituti a richiedere l’archiviazione di tutti i procedimenti ove la cosa "appaia praticabile o anche solo possibile". In altre parole: archiviate tutto l’archiviabile. La ragione di questa direttiva è semplice: la Procura produce più fascicoli di quanti il Tribunale riesce ad esaminare, l’arretrato cresce, le prescrizioni incombono e l’indulto rende virtuale la conclusione di molti procedimenti, quindi, anziché perdere tempo inutile, si getti alla polvere tutto quello che non vedrà mai la naturale conclusione. È comprensibile il suo stato d’animo e condivisibile la sua direttiva. Spero per questo non voglia tornare a querelarmi, come in passato fece, avendo torto e torto ottenendo in giudizio. C’è un problema: nel nostro diritto l’azione penale è obbligatoria, il pm non può scegliere quali indagini condurre, ma deve dare seguito ad ogni notizia di reato. Obbligatoriamente. Sarebbe, però, del tutto ipocrita opporre questa norma alla circolare di Maddalena, perché è vero che la norma esiste, ma è non meno vero che, ogni giorno, i pm scelgono i procedimenti e trasformano l’ossequio formale all’obbligatorietà in una costante violazione sostanziale. Visto che tutte le indagini sono obbligatorie, visto che tutte non si possono fare, ciascuno si sceglie le preferite, senza criteri oggettivi, lasciando le altre ad ammuffire, senza neanche chiederne l’archiviazione se non dopo adeguata stagionatura. Maddalena conosce bene questo sistema, quindi introduce una miglioria, fornisce almeno dei criteri. Ma quando un giorno qualche marziano volesse porre mano ad una riforma della giustizia, anche quello sarà un paletto da abbattere, eliminando quell’obbligatorietà dell’azione penale che lungi dal far tutti i cittadini eguali davanti alla legge finisce con il favorire i più eguali. Anzi, si dovrà rendere il procuratore responsabile dei procedimenti che la procura deciderà di privilegiare, controllando la sua capacità di spendere i soldi dello Stato per far condannare i colpevoli, lasciare in pace gli innocenti e dare risposta alle vittime. Giustizia: medici penitenziari, Ceraudo spiega le sue dimissioni
Redattore Sociale, 2 febbraio 2007
Francesco Ceraudo spiega le ragioni delle sue dimissioni da presidente dell’Associazione dei medici dell’amministrazione penitenziaria. Indetti uno sciopero e una manifestazione nazionale per il 21 febbraio. "Mi sono dimesso perché sono impotente di fronte all’indifferenza di Parlamento e Governo e al caos che ci sarà nelle carceri". Con queste parole Francesco Ceraudo, medico del carcere Don Bosco di Pisa, spiega le ragioni delle sue dimissioni dalla presidenza dell’Amapi (Associazione dei Medici dell’Amministrazione Penitenziaria italiana), che conta 5.000 iscritti fra medici e infermieri. Un gesto di protesta contro il taglio di 13 milioni di euro dal bilancio della sanità in carcere previsto dalla Finanziaria 2007. Per il 21 febbraio l’Amapi ha indetto uno sciopero e una manifestazione nazionale a Pisa. "Abbiamo scritto anche al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ma finora nessuno ha dimostrato interesse verso questo problema", aggiunge Francesco Ceraudo. Il taglio di bilancio, pari al 20% delle risorse stanziate nel 2006, colpirà soprattutto il personale precario. Oggi nelle carceri italiane sono solo 350 i medici dipendenti dello Stato. A questi vanno aggiunti infatti 2.600 medici con contratti a prestazione: 1400 sono medici di guardia che garantiscono l’assistenza 24 ore su 24 e 1.200 sono medici specialisti come il cardiologo, lo psichiatra o l’infettivologo: "Sono i precari della medicina penitenziaria e su di loro si abbatterà la scure dei tagli - spiega Francesco Ceraudo -. Non verranno rinnovati buona parte dei loro contratti, ma senza questi medici si blocca tutto". In pericolo c’è la salute dei detenuti: "Se viene per esempio a mancare lo psichiatra si raddoppia il rischio di suicidi". Non vi saranno più soldi anche per le medicine e per le apparecchiature di laboratorio. "Già prima della Finanziaria il bilancio della sanità in carcere era risicato. Con 13 milioni in meno siamo al collasso, tanto che non vi saranno risorse per fare manutenzione e si sono già verificati problemi per l’acquisto di farmaci", conclude Ceraudo. Giustizia: figli dei detenuti, mai considerati come persone…
Redattore Sociale, 2 febbraio 2007
I bambini figli di detenuti vanno tutelati e aiutati. È il principio base della "Carta dei bambini che hanno un genitore in carcere" che verrà presentata domani a Milano da sei associazioni di volontariato carcerario: Bambinisenzasbarre, A Roma Insieme, Comunità Sant’Egidio, Donne Fuori, Ristretti Orizzonti, Antigone. "I bambini che hanno un genitore detenuto non vengono mai considerati come persone che hanno diritti e bisogno di aiuto - spiega Lia Sacerdote, presidente di Bambinisenzasbarre-. La Carta è un elenco di principi che gli operatori penitenziari, i legislatori e il volontariato devono tenere in considerazione". La Carta è divisa in tre articoli. Il primo prevede che i figli di detenuti hanno il diritto di "essere riconosciuti come gruppo vulnerabile, che ha bisogno di sostegno e attenzioni". Secondo Bambinisenzasbarre sono circa 3.400 in Italia i bambini che hanno la mamma in carcere, mentre 70 mila quelli per i quali è il padre fra le sbarre. "La separazione dell’affetto di uno dei genitori richiederebbe un sostegno esterno da parte del volontariato, dei servizi sociali, ma non sempre c’è", spiega Lia Sacerdote. Il secondo articolo della Carta prevede che il bambino ha diritto di sapere che il genitore è in carcere. "Solo a un terzo dei bambini viene detta la verità, per gli altri o bugie o addirittura nessuna spiegazione dell’assenza per anni del papà o della mamma - sottolinea Lia Sacerdote-. Inoltre, al bambino dovrebbe essere spiegato che il genitore continua a volergli bene anche se è in carcere". Infine, il carcere deve essere strutturato per accogliere al meglio il bambino quando entra in carcere per incontrare il genitore: "Deve essere garantita libertà di movimento e di contatto fisico col genitore-si legge nella Carta- Gli agenti devono ricordarsi della presenza del bambino quando si rivolgono al genitore detenuto". Domani a Milano farà tappa anche la campagna "Che nessun bambino varchi più la soglia del carcere", che appoggia la nuova legge in discussione alla Camera dei deputati e che prevede la costituzione di case-famiglia protette per le mamme detenute con figli minori di 10 anni. "È una legge che fa fare un passo avanti, non capiterà più che bambini di pochi anni debbano vivere in carcere con la mamma", conclude Lia Sacerdote. Cagliari: "Alleviamo la pen(n)a", un concorso per i detenuti
Redattore Sociale, 2 febbraio 2007
Il concorso, organizzato dal comitato "Oltre il carcere: libertà e giustizia", in collaborazione con l’associazione "Asquer, diritti e beni pubblici", è diviso in due sezioni: una dedicata alla narrativa e l’altra alla poesia. Si intitola "Alleviamo la pen(n)a" ed è un concorso letterario dedicato ai detenuti delle carceri della Sardegna. Il concorso, organizzato dal comitato "Oltre il carcere: libertà e giustizia", in collaborazione con l’associazione "Asquer, diritti e beni pubblici", è diviso in due sezioni, una dedicata alla narrativa e l’altra alla poesia. "Il verbo alleviamo - ha ricordato Antonio Volpi, presidente dell’associazione Asquer - ha il duplice significato di allevare le velleità artistiche dei reclusi, e di alleviare la sofferenza della pena". Alessandra Bertocchi, insegnante e fondatrice del comitato, ha sottolineato che "l’iniziativa si propone di attivare un canale di comunicazione tra chi è dentro il carcere e il mondo esterno, in modo da favorire il processo di recupero e reintegrazione". Gli elaborati dovranno essere presentati alla direzione del carcere cagliaritano di Buoncammino entro il 31 marzo prossimo. Saranno valutati da una giuria letteraria composta dall’intellettuale e consigliere regionale Giovanna Cerina, Gianni Filippini, direttore editoriale dell’Unione Sarda, Enrico Dessì, magistrato a riposo della Corte d’Appello di Cagliari e da Ninni Murru, preside del liceo Siotto di Cagliari. Per il primo classificato è previsto un premio di 600 euro, per il secondo di 400 euro e per il terzo di 100 euro. Il concorso letterario è una delle diverse iniziative attivate presso gli istituti di pena dell’isola dal comitato "Oltre il carcere: libertà e giustizia", finanziato con 1.500 euro dalla Regione e 1.500 euro dalla provincia di Cagliari, con l’intento di alleviare le pene dei detenuti. Intanto tra due mesi le ruspe entreranno in azione per costruire, finalmente, il nuovo carcere di Sassari. La notizia, attesa da tempo, arriva dagli uffici del ministero della Giustizia, cui compete l’edificazione dello stabile che dovrà sostituire il vecchio e obsoleto penitenziario di San Sebastiano. Il nuovo carcere, a differenza del vecchio che sorge in pieno centro, in via Roma, sorgerà nnella periferia della città, sulla strada per andare all’Argentiera. La struttura sassarese, per la quale sono stati stanziati già 49 milioni di euro, si svilupperà su una superficie di circa 133 mila mq e sostituirà il vecchio carcere a costruito nel 1871 con struttura panoptica a cinque bracci, che data l’età si trova sotto la sovrintendenza ai beni culturali. Lettere: Sollicciano; dalla Casa Custodia e Cura del Femminile
www.informacarcere.it, 2 febbraio 2007
Due sono in osservazione e le altre 9 internate. Siamo tutte italiane tranne due: una francese e una albanese. La francese vuole tornare in Francia se in libertà, non vuole andare in un carcere francese perché dice che sta meglio in un carcere italiano. L’albanese ha paura a rientrare in Albania perché le donne sono violentate dagli agenti di custodia. Lavoriamo solo in 3, due come scopine e una come piantone ad un’altra compagna che ha grossi problemi fisici. Un problema della sezione è che la socialità la possiamo fare solo in due e siamo già in due per cella e quindi si può dire che non esiste. Perché non ci danno la possibilità di fare socialità in tre per cella? Poi all’aria ci andiamo solo quando c’è il personale e quindi c’è una settimana che andiamo tutti i giorni e un’altra che non ci andiamo quasi mai… Diciamo che in media facciamo l’aria 2/3 volte alla settimana. Siamo aperte dalle 10 alle 12 e dalle 13 alle 17.
Laura, Carcere di Sollicciano Palermo: don Luigi Ciotti incontra gli operatori penitenziari
Redattore Sociale, 2 febbraio 2007
Il Provveditorato Regionale della Sicilia, con la collaborazione e i finanziamenti dell’Istituto Superiore di Studi Penitenziari e d’intesa col Centro per la Giustizia Minorile di Palermo, realizza il progetto formativo dal tema "Etica dell’educare: buone pratiche per il trattamento e l’inclusione dei giovani adulti", rivolto agli operatori penitenziari per adulti e della giustizia minorile della Sicilia e ad operatori del terzo settore. La prima conferenza sarà tenuta da Don Luigi Ciotti il 2 febbraio prossimo alle ore 10.00 presso il Centro Direzionale di Via S. Lorenzo 312/g della Provincia di Palermo, che patrocina l’iniziativa. Questo progetto formativo rientra tra le iniziative previste dall’Accordo siglato nel settembre 2005 tra il Provveditorato Regionale del DAP e il Centro per la Giustizia Minorile della Sicilia per la gestione dei giovani adulti che transitano dal circuito penale minorile a quello degli adulti, nell’intento di avviare una riflessione sui nuovi e diversi significati del trattamento e dell’educare e di promuovere politiche e interventi integrati per l’inclusione dei giovani cittadini in esecuzione di pena. Il successivo appuntamento sarà il 2 marzo 2007 e vedrà, in una conferenza a più voci, la partecipazione di Leopoldo Grosso, Università della Strada del Gruppo Abele, di Carlo Alberto Romano, criminologo - Università di Brescia, e di Fulvio Vassallo Paleologo - Università di Palermo - ASGI. Aosta: musica e cultura nella Casa Circondariale di Brissogne
Ansa, 2 febbraio 2007
Con un concerto di musica classica è partita nei giorni scorsi la prima edizione del progetto "Saison culturelle a Brissogne", promosso dall’Associazione Valdostana Volontariato Carcerario Onlus, in collaborazione con l’Amministrazione Penitenziaria del carcere valdostano. Il 29 gennaio scorso si sono esibiti Giorgio Dellarole, fisarmonicista dal curriculum internazionale, con i suoi allievi Andrea Costamagna, Ezio Ghibaudo e Massimo Marino. "Il concerto eseguito - si legge in una nota - si colloca all’inizio di un percorso che, ad imitazione della ormai classica Saison Culturelle, prevede un calendario di appuntamenti musicali, culturali e ricreativi, attraverso i quali da un lato gli artisti e la società valdostana incontrano il carcere, dall’altro lato i detenuti trascorrono qualche momento di svago e di positive emozioni". Tra febbraio e maggio il calendario prevede i concerti, nella sala polivalente del carcere, dei Trouveurs Valdotains, del gruppo rock-ska Zio Jessie e dell’insieme di musicisti folk Musicanostra. A conclusione della stagione è in programma una piece teatrale con una compagnia ancora da definire. "Si tratta della prima volta - prosegue la nota - che una simile iniziativa viene realizzata nel carcere di Brissogne. Auspichiamo che questo aspetto possa ulteriormente evolversi nelle prossime edizioni, grazie ad un sempre maggiore coinvolgimento della società civile e delle pubbliche istituzioni". Bologna: minorile, al via il progetto "Caro amico ti scrivo"
Adnkronos, 2 febbraio 2007
Al via il progetto "Caro amico ti scrivo", che viene attivato per il terzo anno dagli insegnanti della scuola dell’Istituto penale minorile di Bologna, rendendo possibile l’incontro tra i ragazzi detenuti e i giovani che frequentano le scuole superiori. Nasce così un vero e proprio lavoro di rete tra l’Istituto penale minorenni, l’Istituto comprensivo 1 di Bologna e l’Istituto Salvemini di Casalecchio, nel tentativo di creare un ponte tra i giovani dentro e fuori le sbarre. A fianco di una costante corrispondenza tra gli studenti delle due scuole, verranno realizzati anche diversi incontri all’interno dell’istituto penale, per dare un volto ai reciproci interlocutori epistolari. Il percorso si prefigge un duplice obiettivo educativo: dare ai ragazzi dell’Istituto penale, a volte poco motivati per lo stato di detenzione, uno stimolo a scrivere e la possibilità di riflettere sugli errori commessi, attraverso il confronto a volte anche duro con i coetanei. I ragazzi delle scuole superiori che partecipano al progetto hanno da parte loro la possibilità di approfondire situazioni e problematiche che non conoscono a fondo e modificare le proprie convinzioni, superando spesso stereotipi e pregiudizi. Liguria: legge su immigrazione al vaglio del Consiglio regionale
Ansa, 2 febbraio 2007
È iniziata in Consiglio Regionale la discussione della legge sull’immigrazione proposta dalla maggioranza di centrosinistra. I lavori sono iniziati con una richiesta di An, bocciata, di rimandare il testo in commissione, e sono proseguiti con gli interventi dei relatori Veschi, per la maggioranza, e Plinio, per l’opposizione. An ha annunciato un numero consistente di ordini del giorni e di emendamenti al testo. Tra le novità della norma, hanno evidenziato a margine dei lavori l’assessore Enrico Vesco (Pdci), Moreno Veschi (Ulivo) e Marco Nesci (Prc), una serie di regole che elevano i diritti degli immigrati allo stesso livello di quelli degli italiani in settori delicati come i servizi sanitari e la casa. La legge prevede anche incentivi per favorire l’integrazione. Tra questi 700.000 euro per progetti comunali dedicati alla integrazione culturale degli immigrati anche attraverso la promozione di circoli o altri luoghi di incontro. Alla futura figura di un ‘garante per le persone prive di libertà, oggetto di una apposita legge per i detenuti, viene inoltre affidato il compito di tutelare anche gli immigrati irregolari, specie le donne, vittime di atti di violenza privata. Morgillo (FI), Plinio (AN) e Bruzzone (Lega Nord), hanno detto che si tratta di una legge inutile che serve solo per avere dei voti e non aggiunge nulla di nuovo a quanto previsto dalla Bossi-Fini. "Farà però arrivare nei nostri ospedali - ha detto Morgillo - una invasione di immigrati irregolari "rifugiati" ai quali sarà difficile garantire una adeguata assistenza". Treviso: ricoverata 44 volte in psichiatria, infine va in carcere
Il Gazzettino, 2 febbraio 2007
La donna si era impossessata di un borsello. Depressa e dipendente dagli psicofarmaci, non è stata riconosciuta incapace di intendere e volere È stata ricoverata 44 volte al centro di salute mentale, 18 volte specificamente in reparti psichiatrici. Aveva un marito e tre figlie, ma le perizie dicono che ha sempre vissuto una vita "ai margini", una vita povera da tutti i punti di vista, finché è stata colta da depressione acuta, da dipendenza da psicofarmaci e non è più riuscita a risalire. Rosalia Tapparello però non è stata abbandonata dal suo avvocato, Carlo Augenti di Padova, che è venuto in Tribunale per difenderla, per l’ennesima volta, da un’accusa di furto. Questa volta voleva ottenere che la poveretta venisse dichiarata incapace di intendere e volere, che qualcuno la mandasse in un centro in cui curarla. Ma certo non è il Tribunale, ma se mai i luoghi psichiatrici in cui è stata "curata", che dovrebbero occuparsi di lei e una volta di più è arrivata la condanna a 2 mesi e 200 euro, cifra che la donna magari non ha nemmeno mai visto tutta insieme. A denunciare la donna, che compirà 50 anni nel 2007, questa volta è stata la titolare di un negozio di ferramenta, la Hobby Center Snc di Istrana: l’ha vista aggirarsi per il negozio, e poi nascondersi tra gli scaffali e ha sospettato. L’ha tenuta d’occhio ed è intervenuta solo quando la donna ha strappato un borsello che era appeso nello spogliatoio annesso all’attività, di proprietà di un dipendente. La Tapparello è stata fermata e poi perquisita, ma non era riuscita ancora a prendere nulla dall’interno: era il 7 luglio del 2004. Certo, la Tapparello ha la recidiva specifica; certo non ha un lavoro; certo, non si va a rubare ma... Augenti se la prende: "Ma come può questa disgraziata uscire dalla spirale? Come può tornare in carcere? Quarantaquattro ricoveri e ovviamente 44 dimissioni... verso cosa?". Sembra la storia dell’indulto: prendi uno che ha rubato e rapinato e che magari non ha famiglia e lo mandi fuori dal carcere. Ma dove si pensa che vada? A farsi assumere come contabile? Condannata, e poi ricondannata, periziata e riperiziata. Se le trovavano un buon medico e un lavoro, magari era meglio. Droghe: uno sciopero della fame minimo, di Franco Corleone
Il Manifesto, 2 febbraio 2007
Oggi inizio un digiuno con un obiettivo davvero minimo. Chiedo infatti che inizi in Parlamento la discussione sulla proposta di legge Boato che prevede l’abrogazione delle parti più inaccettabili della legge Fini-Giovanardi e ripropone i contenuti fatti propri dal movimento che per anni era riuscito a bloccare la svolta "di 180 gradi" della politica sulle droghe in senso ideologico e proibizionista. La depenalizzazione completa del consumo di sostante stupefacenti, insieme a credibili alternative al carcere per i tossicodipendenti e ad efficaci misure di sperimentazione di politiche di riduzione del danno, costituiscono una alternativa concreta e largamente condivisa alle norme in vigore. Confesso di provare un po’ di vergogna a mettere in campo uno strumento gandhiano per chiedere solo che siano nominati i due relatori delle commissioni giustizia e affari sociali della camera dei deputati alle quali dal 20 settembre è stato affidato l’esame in sede congiunta della proposta di legge n. 34 presentata il 28 aprile 2006 (esattamente all’inizio della legislatura con oltre quaranta sottoscrizioni di esponenti di tutte le forze dell’Unione). D’altronde questo testo non rappresenta una fuga in avanti e neppure una tentazione estremista, ma si limita a far proprio il programma dell’Unione che esplicitamente e senza ambiguità affermava la necessità della abrogazione del decreto-legge del governo Berlusconi sulle tossicodipendenze e il superamento della normativa in vigore dal 1990. Finora la proposta è stata chiusa in un cassetto delle Commissioni. Martedì 23 gennaio si è svolta una conferenza stampa presso la sala stampa di Montecitorio con la presenza di diversi deputati firmatari (Boato, Leoni, Ruggeri, Dato, Farina, De Zulueta) e tantissimi rappresentanti del mondo associativo e sindacale che hanno deciso di scendere nuovamente in campo di fronte ad una inerzia e a un silenzio intollerabili. Il 28 febbraio si compirà un anno dall’entrata in vigore della legge voluta dal centro-destra e approvata con un vero strappo istituzionale, ingannando perfino il presidente Ciampi. È bene ricordare agli smemorati che il disegno di legge Fini fu inserito con arroganza nel decreto-legge sulle Olimpiadi e votato senza alcuna discussione parlamentare con due voti di fiducia, alla Camera e al Senato. Al di là del merito, un intervento di cancellazione è indispensabile per riparare la forzatura costituzionale della Casa delle libertà, che suggellò una legislatura assai produttiva sul terreno della cancellazione dei diritti e delle garanzie. Questi primi nove mesi di vita della nuova legislatura si sono caratterizzati per l’offensiva "etica" e anche la questione delle droghe è finita nel mirino teo-dem e teo-com, alleati contro la ministra Turco, rea di avere promosso un modesto provvedimento per diminuire il rischio che un semplice consumatore di canapa sia condannato per spaccio presunto (con pene da sei a venti anni di carcere). Proprio Livia Turco, intervenendo il 19 novembre alla Camera, ha rivelato che "nel periodo di vigenza della nuova normativa maggio-ottobre 2006, gli arresti per possesso di hashish rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente sono aumentati del 10,1 per cento, mentre quelli per possesso di marijuana, addirittura, del 63,9 per cento e quelli per possesso di piante intere di cannabis del 17,85 per cento." È una conferma di quanto avevamo preannunciato circa le conseguenze della Fini-Giovanardi, ed è un incredibile scandalo che i media tacciano su questi dati. Solo l’approvazione dell’indulto ha impedito l’esplosione delle carceri, ma questo non può costituire un alibi per nessuno. Droghe: Amato; in Italia un consumo gigantesco di cocaina
La Repubblica, 2 febbraio 2007
In Italia "c’è ‘un consumo gigantesco di cocaina, una spaventosa domanda di cocaina". È l’allarme lanciato dal ministro dell’Interno, Giuliano Amato, a Napoli per fare il punto sul patto per la sicurezza. Amato ha fatto quindi proprio l’esempio proprio della Campania, dove in una anno è stata sequestrata una tonnellata di cocaina. "Tutta questa cocaina forse non era destinata alla regione ma vuol dire comunque che c’è un consumo gigantesco nel Paese", ha detto Amato nel corso della conferenza stampa seguita agli incontri in prefettura a Napoli. "Non si può chiedere - ha aggiunto - alle forze dell’ordine di contrastare se c’è una tale domanda che viene dalle famiglie, dagli italiani adulti, dagli italiani giovani adulti". Un terreno, questo, ha proseguito il ministro, in cui "l’azione di contrasto si intreccia con le azioni di natura pubblico-private". L’allarme del ministro dell’Interno è solo l’ultimo di una lunga serie. Secondo le stime recenti, il numero dei consumatori giovanissimi è in continua crescita. Sarebbero sette italiani su cento, tra i 14 e i 54 anni, ad aver fatto uso di cocaina almeno una o più volte nella vita. Una cifra inquietante soprattutto se la si confronta con l’esiguo l’1,3% di chi afferma di aver usato eroina almeno una volta. Inoltre il 15% di coloro che si rivolgono ai Ser.T. chiede di essere aiutato proprio per disintossicarsi dalla cocaina. L’aspetto più preoccupante segnalato dagli specialisti del settore è infatti che la dipendenza da cocaina è ancora oggi "sottovalutata" con la conseguenza che da un lato continua a passare il messaggio sociale per cui è quello di una droga di minore pericolosità, e dall’altro le stesse istituzioni tendono a trascurare il problema.
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