Rassegna stampa 14 dicembre

 

Giustizia: Eurispes; il Nord-Est è seppellito dalla paura

 

Adnkronos, 14 dicembre 2007

 

La Regione Veneto deve stanziare tre euro in più per ogni residente, per un totale di 15 milioni di euro, in modo da riuscire a garantire ai Comuni veneti mille agenti in più da dedicare a servizi di vigilanza e controllo nelle ore serali e notturne. È la richiesta del gruppo consiliare veneto della Lega Nord che, presentando a Treviso i risultati dell’indagine regionale curata dall'Eurispes sul senso di sicurezza percepito dagli abitanti del Veneto, ha anticipato i contenuti della prossima iniziativa politica del Carroccio veneto: portare il problema sicurezza in cima alla scala delle priorità delle politiche regionali per il 2008.

"Abbiamo già presentato un progetto di legge a favore dei Comuni - hanno spiegato i consigliere Federico Caner e Maurizio Conte a nome dell’intero gruppo presente oggi quasi al completo a palazzo Rinaldi - per cofinanziare apposite convenzione con istituti di vigilanza privata e siamo pronti a dare battaglia con i nostri emendamenti in sede di approvazione del bilancio di previsione della Regione Veneto, in discussione in queste settimane in Consiglio regionale, per riuscire a destinare ai Comuni e alle Unioni di Comuni con almeno 15 mila abitanti residenti un fondo speciale di 15 milioni di euro l’anno che consenta alle amministrazioni locali di assumere personale di polizia municipale o di convenzionarsi con istituti di vigilanza privata. In questo modo i Comuni riusciranno a potenziare prevenzione e controllo nel proprio territorio, a presidiare i pronto soccorso delle aziende ospedaliere e contrastare il dilagare della criminalità".

La richiesta della Lega, sponsorizzata dal sindaco di Treviso e segretario "nazionale" Giampaolo Gobbo e dal vicepresidente della Regione Luca Zaia, si fa interprete del "generale senso di insicurezza" dei veneti, misurato da Eurispes interrogando un campione selezionato di un migliaio di cittadini e una rappresentanza di 200 agenti delle forze dell’ordine.

I risultati dell’indagine - illustrata da Fabrizio de Checchi, responsabile di Eurispes per il Veneto e il Trentino Alto Adige - fotografano l’inquietudine e il malessere dei veneti che negli ultimi due anni avvertono un significativo aumento della criminalità (per il 77,4 per cento degli intervistati), ritengono insufficiente o scarsa la presenza delle forze dell’ordine (74,4 per cento), guardano tutti con preoccupazione e con timore alle zone a forte concentrazione di immigrati e agli accampamenti dei nomadi, abbinano immigrazione irregolare a criminalità e chiedono (2 su 3) l’espulsione immediata di tutti i clandestini (salvo però precisare che dal rimpatrio forzoso dovrebbero essere scuse le badanti e le colf).

"Le interviste raccolte dimostrano che ormai si è rotto il patto sociale tra Stato e cittadini - ha chiosato Luca Zaia - e a Roma qualcuno dovrebbe rendersene conto e prendere atto che il 30 per cento dei reati sono commessi da immigrati, in particolare romeni, marocchini e albanesi, responsabili del 67 per cento dei furti, del 52 per cento delle rapine in casa e del 38 per cento delle violenze sessuali.

Il Veneto non ignora il lavoro degli immigrati regolari, che produce oltre il 4 per cento del Pil veneto, ma sa che con loro sono arrivati anche contingenti di delinquenti da rispedire nei loro Paesi". Nove su 10 degli intervistati chiedono maggior presenza delle forze dell’ordine, più telecamere di controllo, vorrebbero avere una magistratura che giudica con maggior celerità e severità (84,7 per cento) e uno Stato che garantisca certezza della pena sempre e comunque, anche nei casi di detenuti con buona condotta e che dimostrino ravvedimento (62,5 per cento), e che non ammetta misure di perdono (l’indulto viene bocciato da 84 veneti su 100).

Dal canto loro, anche il campione intervistato di agenti delle forze dell’ordine chiede più organico e più mezzi e diverse regole d’ingaggio per fronteggiare una criminalità che in tutto il Veneto avvertono essere in sensibile aumento. Da notare, inoltre, che i rappresentanti delle forze dell’ordine intervistati bocciano senza appello l’utilità e l’efficacia della figura del vigile di quartiere.

Il sondaggio delinea quindi un Veneto impaurito, dove due residenti su 3 sono preoccupati per il pericolo di furti in casa (anche se ad aver subito un furto, un danneggiamento o una rapina negli ultimi tre anni è un intervistato su 3), il 53,5 per cento considera insicuri i mezzi pubblici e le stazioni, 6 donne su 10 hanno timore di uscire la sera, e dove un cittadino su tre non esita ad acquistare e impugnare un’arma per difesa personale o per difendere il proprio patrimonio. "Ma il dato più significativo - commenta Caner, interpretando la domanda politica che nasce dalla ricerca - è la richiesta rivolta ai Comuni, perché siano le amministrazioni locali ad adoperarsi di più per la tutela e incolumità dei loro cittadini.

La ricerca conferma quindi quello che i nostri sindaci sperimentano quotidianamente e che la Lega, sin delle sue origini, ha sempre ribadito chiedendo autonomia finanziaria e la devoluzione dei compiti di polizia alle Regioni e alle autonomie locali". Il Veneto, in materia di sicurezza, si è mosso già da tempo - ha ricordato Conte - dotandosi di una legge per la promozione della legalità e della sicurezza (la legge 9 del 2002 che ha finanziato investimento a favore degli operatori della sicurezza e sistemi pubblici di videosorveglianza) e di norme in materia di polizia locale che promuovono aggregazioni e consorzi tra Comuni (la legge 40 del 1988).

"Ma nel corso del 2007 - ha evidenziato il rappresentante della Lega - i finanziamenti complessivi messi a bilancio per gli interventi previsti da queste due leggi ammontano a 5,5 milioni di euro. Una somma insufficiente che la Lega chiede che sia almeno triplicata per cofinanziare fino al 40 per cento interventi e progetti delle amministrazioni comunali per potenziare i servizi di vigilanza e di controllo. Un investimento regionale di 15 milioni di euro l’anno, riesce a mettere in modo un investimento pubblico complessivo di 37 milioni e mezzo di euro.

Giustizia: Fini (An); sono d’accordo con ordinanze dei sindaci

 

Asca, 14 dicembre 2007

 

"I sindaci fanno bene". Così Gianfranco Fini, leader di An, sulle ordinanze anti-sbandati dei sindaci. In visita al Veneto, sui temi della sicurezza, Fini ricorda di essere stato tra i primi ad esprimere solidarietà al sindaco di Cittadella, Massimo Bitonzi, che aveva firmato un’ordinanza condizionando la residenza degli immigrati al lavoro e alla casa.

Fini ha aggiunto che l’inchiesta aperta dalla magistratura su quel provvedimento "non poteva che concludersi in una bolla di sapone". "Però è evidente che il problema della sicurezza non la possono risolvere i sindaci - ha aggiunto Fini -.

Sicurezza, infatti, significa innanzitutto riaffermare il principio che chi sbaglia paga. Ci sono troppi delinquenti, troppi sbandati, troppa gente che vive di espedienti. E non parlo solo di immigrati clandestini, ma anche di cittadini italiani. Più sicurezza vuol dire - secondo il leader di An - più polizia, più carabinieri e più mezzi alle forze dell’ordine e soprattutto mai più una legge come l’indulto; non a caso noi siamo orgogliosi di non averla votata". "Pensiamo anche ad iniziative di tipo referendario per modificare la legge Gozzini", ha concluso Fini.

Giustizia: Osapp; Penitenziaria confluisca in Polizia di Stato

 

Agi, 14 dicembre 2007

 

"Se continua così ce ne andiamo: vogliamo trasformare la Polizia operante negli istituti in una Forza specializzata della Polizia di Stato, cui per definizione spetta anche il compito dell’ordine e della sicurezza". A dichiararlo è il segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma Polizia Penitenziaria), Leo Beneduci, rilevando che "da tempo il dialogo con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria è interrotto per l’inutilità di recepire iniziative e progetti da parte di coloro che dovrebbero dirigerci".

La proposta dell’Osapp, si spiega in una nota, "nasce nell’ottica del contenimento della spesa pubblica e del miglioramento dei servizi di polizia all’interno delle strutture detentive": "basti pensare - osserva Beneduci - alle inutili duplicazioni di funzioni associate a personale di polizia e della dirigenza pubblica per rendersi conto di quanto dispendioso sia per il contribuente l’attuale sistema gestionale della Polizia Penitenziaria".

Tutto questo, spiega il sindacato, è la causa che porta "il nostro Corpo a svolgere, da troppo tempo, il ruolo di mera manovalanza, non riuscendo più ad eseguire quelle funzioni di mantenimento dell’ordine e della sicurezza". Lo Stato, dunque, conclude Beneduci, "non può pensare di adempiere al suo mandato di rieducare i detenuti se non attraverso una maggiore presenza e servizio di personale a ciò specializzato ed in possesso quindi di una formazione specifica in tal senso. Il recupero dei fondi che scaturirebbe dall’assorbimento delle forze di polizia garantirebbe la riduzione in organico di 20.000 unità, a fronte dell’implemento di poche centinaia di personale specializzato del profilo di educatore".

Giustizia: "chiamo la polizia..." può essere una minaccia

 

Il Sole 24 Ore, 14 dicembre 2007

 

Il responsabile della sorveglianza antitaccheggio di un negozio non può minacciare di chiamare la Polizia un extra-comunitario sospettato di furto ma risultato pulito ai controlli. Chi lo fa rischia una condanna per violenza privata e, nei casi più gravi, per sequestro di persona Più in generale" vanno rispettate di più le preoccupazioni degli immigrati che nascono dalla paura di "intervento repressivo della pubblica autorità".

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza 46405 di ieri. I giudici scrivono, infatti, che "la manifestata volontà di chiamare la Polizia, effettuata dopo l’esito negativo dei controlli, o meglio l’invito di attendere l’arrivo della Polizia, mai in realtà sollecitato, se appare irrilevante per un cittadino italiano che non si sia macchiato di alcun reato, potrebbe costituire una minaccia quando, in particolari contesti, venga rivolta nei confronti di un cittadino extracomunitario che, anche se estraneo a quel fatto specifico, spesso si trova in condizioni di difficoltà e, comunque, di preoccupazione per l’intervento repressivo della pubblica autorità"

La Corte riconosce la particolare situazione di uno straniero che vive in Italia: "È evidente - si legge nelle motivazioni - che questo tipo di minaccia nel caso specifico mirava ad intimorire la parte lesa e a costringerla a confessare il preteso, e presumibilmente inesistente, furto".

Giustizia: pm Why not; tra Mastella e Saladino nulla d'illecito

 

www.radiocarcere.it, 14 dicembre 2007

 

"Allo stato degli atti, si ritiene di escludere che emergano elementi diversi dall’asserita esistenza di rapporti di amicizia tra Antonio Saladino e l’onorevole Clemente Mastella e che, quindi, vi siano fonti di prova che depongano per la sussistenza di reati commessi a Roma". È questo uno dei motivi che ha spinto la procura capitolina a restituire per competenza alla procura generale di Catanzaro il fascicolo dell’inchiesta "Why not" che vedeva indagato il ministro della Giustizia per concorso in abuso d’ufficio, truffa e violazione della legge sul finanziamento ai partiti.

Nel provvedimento trasmesso in Calabria, il procuratore Giovanni Ferrara e il pm Sergio Colaiocco spiegano che sul conto di Mastella non sono affatto emersi elementi di rilevanza penale, sia da quando è alla guida del dicastero di via Arenula sia, in precedenza, nella veste di parlamentare dell’Udeur. I magistrati romani danno conto degli Accertamenti investigativi svolti per individuare l’esistenza di fatti-reato e capire se gli stessi si fossero verificati a Roma. Nulla di tutto ciò sarebbe emerso. Il 31 ottobre scorso, ad esempio, è

stato interrogato il supertestimone Giuseppe Tursi Prato, ex consigliere regionale del partito socialdemocratico, ex assessore nonché ex presidente dell’Asl di Cosenza, attualmente in carcere per scontare una condanna a nove anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa finalizzata al voto di scambio e per corruzione: il pentito, però, ha riferito "di non essere a conoscenza di fatti specifici". È stato poi convocato l’imprenditore Antonio Saladino, vicino alla Compagnia delle Opere calabrese, che però ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere.

I pm romani hanno quindi raccolto le dichiarazioni di Caterina Merante e Giancarlo Franzè, rispettivamente rappresentante legale e componente del consiglio di amministrazione dell’agenzia interinale "Why not srl", ma neanche loro "sono stati in grado di riferire fatti specifici confermando solo di essere, indirettamente, a conoscenza dell’esistenza di un rapporto di conoscenza tra Saladino e Mastella". L’ultima parola, adesso, spetta alla magistratura calabrese.

Giustizia: Ris su Rignano; nessuna prova contro indagati

 

Adnkronos, 14 dicembre 2007

 

Nessun elemento contro le maestre di Rignano Flaminio. L’esame affidato ai carabinieri del Ris di Messina, sui reperti sequestrati nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte violenze subite dai bambini della scuola "Olga Rovere", ha dato infatti esito favorevole ai sette indagati. Secondo l’avvocato Roberto Borgogno che assiste alcuni degli indagati insieme al prof. Franco Coppi, "rappresenta uno zero assoluto dal punto di vista dell’accusa".

L’indagine peritale ha riguardato la possibilità che 19 bambini della scuola "Olga Rovere" abbiano subito violenze da parte delle sette persone coinvolte nell’indagine. In particolare, i tecnici hanno dovuto fare i loro rilievi su tracce raccolte nelle automobili di alcuni degli indagati e su pupazzi di peluche che nel programma didattico erano a disposizione dei bambini. Ebbene, secondo quanto si è appreso, nessun riscontro è stato ottenuto per quanto riguarda il Dna e le impronte digitali dei bambini. La relazione fatta dai Ris è composta di oltre mille pagine che illustrano tutta l’attività di indagine svolta dai Carabinieri per giungere a queste conclusioni che danno all’intera indagine una svolta favorevole alla difesa degli indagati.

Polizia Penitenziaria negli Uepe: il comunicato del Sunas

 

Blog di Solidarietà, 14 dicembre 2007

 

Il Sunas, Sindacato Unitario Nazionale degli Assistenti Sociali che riunisce e rappresenta il maggior numero degli assistenti sociali sindacalizzati dipendenti della P.A. e del privato sociale nonché liberi professionisti, in riferimento al precedente documento del 19.11.07 prot. n. 100/SN, preso atto della più recente bozza di decreto ministeriale che insiste nell’inserire nelle strutture degli Uffici per l’Esecuzione Penale esterna i nuclei della Polizia Penitenziaria rinnova l’espressione di viva preoccupazione per la conferma delle intenzioni di accorpamento della Polizia Penitenziaria a dette strutture, snaturando la natura stessa degli uffici citati ed accentuandone soprattutto la funzione del controllo sulle misure alternative alla detenzione e più in generale di controllo penale, invece che puntare sul potenziamento dei servizi territoriali e sul maggior investimento in politiche sociali.

In tal modo infatti appare evidente che il Ministero non voglia tener in alcun conto né del reiterarsi delle manifestazioni di aperta e motivata opposizione assunta dai colleghi in servizio negli Uepe che protestano in difesa del più ampio mandato istituzionale né delle argomentazione espresse da tante Organizzazioni Sindacali, associazioni e di autorevoli esperti del settore che in più occasioni si sono pronunciati contro tale accorpamento che tra l’altro finirebbe inevitabilmente per svilire aspetti professionali concretizzati sul campo nel tempo. Tanto premesso, la scrivente OS non può che reiterare la richiesta di rivedere l’impostazione del decreto ministeriale e di non procedere nella sperimentazione annunciata.

 

Il Segretario Generale Sunas, Dott.ssa Laura Brizzi

Il SN Sunas Comparto Ministeri, Dott. Luigi Bucci

Roma: indagine su Rebibbia per sicurezza dei lavoratori

 

Corriere della Sera, 14 dicembre 2007

 

La magistratura ha aperto un’inchiesta sul carcere romano per una presunta violazione della legge 626 sulla sicurezza dei luoghi di lavoro. A motivare l’apertura del fascicolo, la denuncia di un sindacato della polizia penitenziaria sulle disfunzioni nella casa circondariale, denuncia che ha spinto il procuratore aggiunto Gianfranco Amendola e il pm Gianfederica Dito a inviare ispettori, che hanno controllato l’intera struttura e ora dovranno stilare un rapporto sulle condizioni di sicurezza nel carcere.

"Chi ha firmato l’esposto lamenta che le verifiche sulla sicurezza sollecitate dai lavoratori cadono nel vuoto - scrive il giornale - che diversi impianti, a cominciare da quello elettrico, non sono a norma; che ci sono strutture non agibili, in particolare il teatro. Per Nanda Roscioli, responsabile del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) per il sindacato Rdb, "la normativa è sistematicamente violata. In carcere non funziona nulla, perché la risposta è sempre la stessa: non ci sono i soldi".

Anche questo, in effetti, è un capitolo finito sotto la lente d’ingrandimento della procura: Rebibbia risale agli anni Settanta, per rispettare la legge 626 gran parte degli edifici dovrebbero essere ristrutturati. Allora, chiedono i magistrati, perché il ministero della Giustizia non eroga i fondi? La domanda costituisce il lato più delicato dell’inchiesta, poiché rischia di mettere in discussione scelte che via Arenula potrebbe rivendicare di sua esclusiva competenza - spiega il quotidiano -.

Al di là dell’organizzazione che ha presentato la denuncia in procura, i sindacati della polizia penitenziaria sono concordi nel sottolineare che le carenze ci sono. E che riguardano l’intera "cittadella" sulla Tiburtina, composta da quattro istituti con 1.300 agenti, altrettanti detenuti e circa 300 impiegati".

Fra le cose che non vanno, i sindacati denunciano fili elettrici volanti, ambulatori infermieristici con spazi insufficienti, ambienti umidi e addirittura fatiscenti, barriere architettoniche per i disabili, la presenza di deflussi in aree protette in caso di incendio, terremoto o altre sciagure anziché "normali" vie di fuga, mentre se "ci fosse una calamità - spiega al Corriere il segretario regionale del Sappe, Maurizio Somma - un solo agente dovrebbe aprire circa 40 celle perché non sono previsti automatismi per le porte".

Perugia: caso Bianzino; fratello di Aldo scrive a Napolitano

di Emanuele Giordana

 

Il Manifesto, 14 dicembre 2007

 

Il fratello di Aldo Bianzino scrive una lettera a Napolitano per chiedere verità e giustizia. La cella in cui è morto non è stata sequestrata e non sono stati fatti rilievi. E l’unico indagato lavora ancora lì.

Sappiamo tutto dell’omicidio a luci rosse di cui è stata vittima la povera Meredith Kercher. "Tanto - commenta caustico un perugino - è tutta gente che viene da fuori". Ma sulla morte di Aldo Bianzino, un falegname di Pietralunga di 44 anni deceduto nel carcere di Perugia in circostanze e per motivi tuttora da accertare, a distanza di due mesi esatti, non si sa ancora nulla.

Con la speranza di essere smentiti viene da chiedersi come mai l’attività del Ris non abbia interessato la cella dove, tra la notte del 13 ottobre e la mattina del 14, Bianzino esalò il suo ultimo respiro. Come mai su quella cella non furono apposti sigilli e perché l’indagine per omicidio, aperta dallo stesso magistrato che di Bianzino aveva ordinato l’arresto, abbia sinora portato all’iscrizione nel registro delle indagini di una sola guardia penitenziaria, indagata per omissione di soccorso, che svolge ancora il suo lavoro nel carcere di Capanne.

Anche il direttore del carcere è al suo posto e tutto sembra filar liscio come l’olio in questo caso fastidioso pieno zeppo di domande senza risposta ma sinora ritenuto poco interessante dalla stampa italiana e, fatta eccezione per il sottosegretario alla giustizia Manconi, che a pochi giorni dal decesso di Aldo andò a trovare in forma privata la compagna Roberta Radici, anche per una macchina giudiziaria straordinariamente lenta, almeno se paragonata all’efficienza dimostrata nel caso di Meredith.

Parecchie di queste domande se le è poste anche Claudio Bianzino, fratello di Aldo, che ha deciso di prendere carta e penna e di mandare una lettera a Giorgio Napolitano. Che qualcuno si appelli al presidente come si faceva con i sovrani, in un paese dove sulla carte le garanzie ci son tutte, sembra un po’ la dimostrazione che c’è qualcosa di ottocentesco in un sistema che si spende molto quando un fatto di cronaca diventa un "caso" strillato, e sembra investire assai meno quando si tratta di una morte talmente ordinaria da far insorgere più di un sospetto che, paradossalmente, meriterebbe per questo più attenzione e maggior efficienza.

"Signor presidente - scrive Claudio Bianzino - leggo sui giornali, con immensa gioia, che è stata finalmente presentata all’Onu la moratoria sulla pena di morte" ma "... in un Paese civile come il nostro, un Paese che diffonde democrazia, pace e giustizia in tutto il mondo" la giustizia in casa di strada sembra farne poca: "Ho la speranza, signor presidente, che un giorno qualche nazione, ancora più civile della nostra, vada all’Onu a chiedere che venga fatta piena luce sulle centinaia di morti che avvengono all’interno delle carceri italiane. Questo per sperare di poter vivere in un mondo un po’ più giusto, un po’ più libero, un po’ più vivibile. Così come avrebbe voluto anche quell’uomo. Quell’uomo che si chiamava Aldo. E che era mio fratello".

Roma: bollette non pagate, il carcere è senza telefono

di Raffaella Troili

 

Il Messaggero, 14 dicembre 2007

 

Rebibbia, Terza Casa Circondariale; il telefono è muto, i contatti con l’esterno impossibili, il carcere isolato. Da martedì scorso, da quando la Telecom ha sospeso il servizio. Fuori uso il centralino, tutte le diramazioni dei telefoni interni, i fax. "Non possiamo comunicare con l’esterno, anche perché i telefoni cellulari per motivi di sicurezza non possono entrare in istituto e vengono lasciati negli armadietti all’entrata", denunciano gli operatori.

L’unico che in teoria ieri ancora funzionava era quello della direttrice, perché autonomo dal centralino; ma nel pomeriggio anche quel numero risultava isolato e una vocina registrata dall’altro capo del filo ripeteva "Telecom Italia informazione gratuita il numero selezionato è inesistente". Il motivo di questo black out all’interno della Terza Casa Circondariale e il mancato pagamento della bolletta di novembre.

I fondi del ministero sono in ritardo e di conseguenza a catena, anche il carcere è costretto a far slittare i pagamenti inattesi dell’arrivo dei soldi. Ma rimanere isolati è un disagio che una struttura di detenzione non può permettersi, tanto che oggi la direttrice presenterà una denuncia in Procura per interruzione di pubblico servizio.

Ancor più che è la quarta volta che il fatto si verifica, la quarta volta in un anno che viene staccato il servizio, come accade per un qualunque privato moroso. Ma qui il telefono è indispensabile, così come il fax. È inoltre curioso il fatto che delle quattro direzioni autonome che compongono il carcere di Rebibbia solo una, appunto la Terza Casa, sia interessata ciclicamente dai distacchi della Telecom.

La Terza Casa ospita 35 detenuti e una cinquantina di dipendenti. Da martedì nessuno può mettersi in contatto con gli uffici, nessuna notizia, da una scarcerazione a un trasferimento di un detenuto, arriva in tempo reale. Per non parlare del rischio di dover far fronte a un’emergenza senza poter comunicare velocemente con l’esterno, inutile stare a elencare tutti i motivi di sicurezza che rendono necessario il ripristino immediato del servizio.

Dal telefono della direttrice sono partiti diversi Sos e solleciti alla Telecom, al 1254, per parlare con un funzionario, ma il contatto non è riuscito. Un paio di volte dall’altro capo del filo ha risposto qualche detenuto ora trasferito in un’altra direzione e impiegato nei call center: "Vi vorrei tanto aiutare? - ha detto premuroso - ma ora non c’è nessuno che vi posso passare in grado di darvi una risposta".

La beffa finale: il call center di riferimento della Tiburtina è dentro il nuovo complesso, sempre a Rebibbia, e quando dal carcere telefonano al 1254 rispondono i detenuti dell’istituto di fianco. L’hanno scoperto per caso, così. Anche questo non è proprio il massimo della sicurezza...

Agrigento: venti i detenuti impiegati in attività esterne

 

La Sicilia, 14 dicembre 2007

 

Ieri mattina, nella sala della presidenza della Provincia, è stata firmata la convenzione tra il ministero della Giustizia e gli enti locali per lo svolgimento di lavori di pubblica utilità da parte dei condannati a pene detentive. Al vertice erano presenti, per il ministero, il presidente del Tribunale di Agrigento, Aldo Lo Presti Seminerio e il presidente del Tribunale di Sciacca Alberto Bellet. Alla convenzione, unitamente ai Comuni agrigentini, ha aderito anche la Provincia Regionale, rappresentata dal presidente, Vincenzo Fontana.

La convenzione prevede che, su richiesta dei condannati, il giudice di pace possa commutare la pena detentiva in lavori non retribuiti in favore della collettività da svolgere in enti di Stato, Regioni, Province, Comuni o altri enti. "La Provincia, insieme ai Comuni - ha detto il presidente della Provincia, Fontana - ritiene che queste attività siano fondamentali per il ravvedimento del condannato e il suo reinserimento nella società".

I detenuti lavoreranno a titolo gratuito, ma saranno regolarmente assicurati contro gli infortuni e le malattie e per eventuali responsabilità verso terzi. La Provincia Regionale garantirà l’attività di dieci Lpu ad Agrigento, saranno impegnati nella manutenzione del Giardino botanico. Altri dieci coinvolti nel progetto verranno impiegati a Sciacca.

Si spera che, scontata la pena, tutti possano rientrare in società e trovare un’occupazione, magari la stessa che hanno svolto in questo periodo di espiazione della pena.

Alghero: "Libri Liberi", promozione della lettura in carcere

 

www.alguer.it, 14 dicembre 2007

 

Previsto per domani un appuntamento culturale promosso dall’Area Educativa dell’Istituto di pena, in collaborazione con l’Assessorato Comunale alla Cultura.

Domani, sabato 15 Dicembre, nella Casa Circondariale di Alghero, si svolgerà un importante appuntamento di carattere culturale, promosso dalla Direzione dell’Istituto ed in particolare dall’Area Educativa, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Alghero, alla presenza della popolazione detenuta, degli operatori penitenziari, a partire dal direttore Francesco Gigante e da varie autorità pubbliche.

L’appuntamento fa parte del calendario di appuntamenti di promozione alla lettura "Libri Liberi", finanziati dal Comune di Alghero ed organizzati dal Sistema Bibliotecario Urbano, di cui fa parte anche la biblioteca carceraria. La biblioteca, dedicata all’illustre cantautore genovese Fabrizio De Andrè, dotata di un patrimonio librario di oltre diecimila volumi, recentemente adornata dai murales realizzati dai detenuti nell’ambito del "Progetto Mosaico", verrà inaugurata ufficialmente domani.

Il servizio di prestito e catalogazione è attualmente svolto da un detenuto studente in Scienze della Comunicazione, il quale ha potuto così beneficiare di una formazione professionale valida nel settore e ben spendibile un domani nel mondo del lavoro. Nel secondo evento della serata, interverranno alla manifestazione vari ospiti, tra cui Alessandro De Roma, vincitore dell’edizione 2007 del Premio letterario "Giuseppe Dessì", che presenterà il suo capolavoro "Vita e morte di Ludovico Lauter", introdotto da Emiliano Di Nolfo, rappresentante della "Società Umanitaria", che cura il coordinamento del Sistema Bibliotecario.

Il terzo evento sarà la premiazione del Concorso letterario nazionale "Una Storia Sbagliata" indetto dall’Associazione culturale "Carta Dannata" e dalla "Libreria Max 88" di Tempio e riservato ai migliori racconti per la sezione "detenuti". Interverrà in merito Massimo Dessena, in rappresentanza dell’associazione, e Giampaolo Cassetta, quale presidente di giuria e funzionario dell’Amministrazione Penitenziaria, nonché scrittore.

La serata verrà animata dal "Laboratorio Musicale Humaniora" che dedicherà un tributo a Fabrizio De Andrè. Si concluderà infine con un buffet organizzato dai docenti e dai detenuti frequentanti l’Istituto Professionale Alberghiero nella Casa Circondariale. L’evento è strettamente riservato alla popolazione carceraria.

Roma: quando l'arte e il carcere femminile s’incontrano

 

www.abitarearoma.net, 14 dicembre 2007

 

Il Meeting del 20 e del 22 dicembre 2007, Le Voci di Dentro, una serie di incontri formativi e artistici dedicati alle donne svantaggiate, alle detenute ed ex-detenute, sarà un assaggio del prossimo festival che Roma Edge Festival 2008 dedicherà interamente alle donne.

Con il sostegno e il Patrocinio dell’Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Roma, il Cetec, Centro Europeo Teatro e Carcere, vuole offrire un momento di approfondimento a più livelli. Il 20 dicembre alle 15.00 presso la Casa Circondariale Femminile Rebibbia sarà presentata la parte di progetto dedicata alle Arti e ai Mestieri dello Spettacolo come mezzo di reinserimento lavorativo di detenute ed ex detenute; interverrà anche l’Associazione Nazionale Costumisti e Scenografi, l’Associazione Aramus.

Saranno presentati percorsi di formazione ad hoc, dalla sartoria teatrale al trucco teatrale e cinematografico, come pratiche legate al lavoro artistico che possono essere efficaci per un reinserimento sociale e lavorativo in particolare delle donne recluse. Musica e teatro accompagneranno con moduli altrettanto specifici la formazione artistica e alla persona delle detenute coinvolte. Il 22 dicembre alle 20.30 nell’Auditorium di Santa Maria degli Angeli il progetto sarà presentato all’esterno con interventi istituzionali e di esperti; seguirà, alle 21.30, lo spettacolo di narrazione teatrale a cura del Cetec.

"Diario di bordo. Memorie di teatro e carcere: Sezione femminile", diretto da Donatella Massimilla con Gilberta Crispino, Francesca Romana Nascè. Parteciperà anche un attore ex-detenuto, Luigi Povelato e Juri Aparo, psicologo a San Vittore che interpreterà i testi delle canzoni di Fabrizio De Andrè, saranno proiettati video performer di Fabio Giorgetti. L’ingresso è libero, ma occorre prenotarsi, per informazioni: romaedgefestival@yahoo.it

Milano: il 20 i detenuti in Duomo pregano con il Vescovo

 

Redattore Sociale, 14 dicembre 2007

 

"Si tratta di un momento importante perché esprime l’affetto dei reclusi verso il Vescovo", spiega Luigi Pagano, provveditore regionale alle carceri. "Il cardinale vuole che diventi un appuntamento fisso"

Il cardinale Dionigi Tettamanzi il 20 dicembre pregherà in Duomo con un gruppo di detenuti. "Si tratta di un momento importante perché esprime l’affetto dei reclusi verso il Vescovo", spiega Luigi Pagano, provveditore regionale alle carceri. Di solito è l’Arcivescovo di Milano che va a trovare i detenuti nei diversi istituti penitenziari presenti nella diocesi (che comprende anche le province di Lecco e Varese e una parte di quelle di Como e Bergamo; ndr). E lo farà anche il giorno di Natale alla casa circondariale di Busto Arsizio.

Ma da quest’anno un gruppo di carcerati, che già sono ammessi al lavoro esterno o possono comunque godere di permessi per uscire, ricambierà idealmente la visita dell’Arcivescovo andando da lui in Duomo. "Provengono da diverse carceri lombarde - precisa Luigi Pagano -.

Non sappiamo ancora quanti sono, sto aspettando dai diversi istituti l’elenco di chi parteciperà all’iniziativa". L’incontro avverrà nella cappella feriale del Duomo alle ore 16.30. "Ci sarà un semplice momento di preghiera - spiega don Davide Milani, portavoce dell’arcivescovo -. Il Cardinale vuole che diventi un appuntamento fisso, come lo è diventata la messa di Natale in carcere".

Como: presto sul mercato il marchio "Azouz Marzouk"

 

Asca, 14 dicembre 2007

 

La strage di Erba raccontata in un libro firmato da Azouz Marzouk che firmerà anche un nuovo marchio per una nuova linea di occhiali e di abbigliamento. Gli accordi sono già presi, vi è pure il benestare scritto degli avvocati Roberto Tropenscovino e Ruggero Panzeri di Lecco che curano gli interessi del tunisino finito in carcere poco più di due settimane fa con l’accusa di essere coinvolto in un traffico di droga e ora detenuto nel carcere di Vigevano. Dietro a tutto questo il "manager televisivo", come egli stesso si definisce, Alessio Sundas che già ha scandalizzato l’opinione pubblica per aver deciso di lanciare la ‘Linea Rom’ sfruttando l’immagine di Marco Ahemtovic, il romeno condannato a sei anni di reclusione per aver travolto e ucciso quattro ragazzini.

Per questa operazione il 35enne manager rampante avrebbe messo sul piatto circa 55mila euro. "Come da accordi telefonici - si legge nella brevissima lettera su carta intestata che i due legali lecchesi hanno inviato a Sundas in data 10 dicembre scorso - può procedere nella predisposizione del contratto per il libro di Azouz Marzouk oltre che eventuali sponsorizzazioni. Cordiali Saluti". Segue la firma dell’Avvocato Tropenscovino.

"Sto cercando una multinazionale - ammette Sundas - disposta a lanciare il nuovo marchio Ahmetovic e non trovo nulla di scandaloso se metto sul mercato anche quello di Azouz Marzouk". Si dice amico di Lele Mora. Racconta di ricevere "centinaia di telefonate al giorno di gente disposta a tutto pur di farsi notare" di gente che lo chiamerebbe dicendogli: "Ho ammazzato mia moglie, posso diventare famoso?".

Stati Uniti: anche il New Jersey abolisce la pena di morte

 

La Repubblica, 14 dicembre 2007

 

Il New Jersey ha abolito la pena di morte (44 sì e solo 36 voti contrari) diventando il primo stato americano che ha soppresso la pena capitale per legge da quando venne ripristinata nel 1976 dalla Corte Suprema.

La maggioranza democratica dell’Assemblea locale ha votato a favore del provvedimento che è passato con 44 sì e solo 36 voti contrari. Perché il bando diventi effettivo manca ancora la ratifica del governatore democratico Jon Corzine, un abolizionista convinto che ha già detto che la firmerà. Lunedì la messa al bando del boia era stata approvata dal Senato.

Il voto di oggi è simbolico: il New Jersey non metteva a morte nessuno dal 1963. Lo stato diventa così il 14esimo negli Usa che non ha la pena capitale in un momento in cui anche in America è in atto un ripensamento sulla "morte di Stato".

Anche negli altri stati che la prevedono - 37 - da settembre vige un regime di moratoria di fatto delle esecuzioni, da quando la Corte Suprema ha certificato l’incostituzionalità del sistema dell’iniezione letale, l’unico ormai in vigore tranne che in Nebraska. L’effetto di quella che è una giornata storica per gli oppositori della pena di morte è quello di dare ancora più dinamismo al movimento che si batte negli Stati Uniti per ottenere l’eliminazione totale del boia.

La Corte Suprema ascolterà il mese prossimo le due parti nella vertenza legale che potrebbe portare ad una sentenza ancora più importante, dovendo decidere sulla legalità delle iniezioni letali. E la prossima settimana sarà l’Assemblea Generale dell’Onu a votare, il 18 dicembre, sulla proposta di moratoria sulla pena di morte promossa dall’Italia e giunta adesso al traguardo finale.

Tutti segnali che mostrano come il partito degli avversari della pena di morte stia diventando ormai maggioritario sia a livello internazionale sia in un paese come gli Stati Uniti dove solo 13 stati non avevano finora le pena di morte nei loro ordinamenti. La moratoria di fatto sulle esecuzioni negli Usa ha bloccato a 42 il numero delle vittime del boia quest’anno negli Stati Uniti. E in New Jersey, gli otto detenuti nel braccio della morte vedranno ora trasformata la loro pena in ergastolo.

Canada: aumento detenuti in regime di massima sicurezza

 

Corriere Canadese, 14 dicembre 2007

 

La popolazione carceraria canadese sta cambiando. Stando a uno studio elaborato dal Corretional Service of Canada e consegnato al ministro della Pubblica Sicurezza Stockwell Day, non in meglio.

Tra i dati emersi dal rapporto, alcuni punti meritano di essere analizzati con attenzione per capire in che modo stanno cambiando gli ospiti delle prigioni canadesi. In primo luogo, quasi il 60% dei detenuti odierni, pur avendo una sentenza inferiore ai tre anni, ha alle spalle un passato segnato dalla violenza, mentre uno su sei invece ha connessioni con le gang o con il crimine organizzato. Tra coloro che arrivano al cancello della prigione, inoltre, il numero dei galeotti che vengono inseriti all’interno del regime di massima sicurezza è raddoppiato.

In molti casi, inoltre, le persone che arrivano in cella hanno problemi legati all’abuso di sostanze stupefacenti (circa l’80%), oppure, il 12% degli uomini e il 26% delle donne, soffrono di gravi disturbi mentali. Tutto questo significa per il sistema penitenziario canadese doversi adattare per poter fronteggiare una popolazione carceraria. Nel rapporto si arriva alla conclusione che la situazione "richiede sia più interventi che tipi diversi di intervento, e questo deve avvenire in un lasso di tempo più breve che in passato".

In particolare il periodo di detenzione dovrebbe essere finalizzato alla riabilitazione: "È parere del comitato che la vita all’interno del penitenziario dovrebbe promuovere un’etica positiva del lavoro. Oggi un criminale che cerca di riabilitarsi con impegno non è trattato in modo diverso da un altro che cerca semplicemente di portare avanti il suo stile di vita".

Svizzera: continua esperimento "braccialetto elettronico"

 

Swiss Info, 14 dicembre 2007

 

Il Consiglio federale ha deciso che la sorveglianza dei detenuti mediante braccialetto elettronico, attuata sotto forma di esperimento in alcuni cantoni proseguirà fino al termine del 2009. Il metodo è utilizzato principalmente in sostituzione a incarcerazioni di breve durata; la revisione del codice penale in vigore da gennaio ha però rimpiazzato queste ultime con pene pecuniarie o lavori per la comunità. La prova dovrà verificare fino a che punto questa pratica è ancora appropriata. Decisivi saranno i rapporti dei cantoni che la applicano.

 

 

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