Rassegna stampa 26 aprile

 

Giustizia: il pm Pietro Grasso; la mafia ci priva della libertà

 

Affari Italiani, 26 aprile 2007

 

Nel foyer del Teatro Argentina ieri pomeriggio ha avuto luogo la presentazione del libro "Il codice Provenzano" di Salvo Palazzolo e Michele Prestipino (Laterza, pp. 332, € 15,00). Oltre all’attore Michele Placido che ha letto alcuni famosi pizzini del boss, era presente Piero Grasso, Procuratore nazionale antimafia che ha fatto il punto della situazione su chi era Bernardo Provenzano e sulla organizzazione interna di Cosa Nostra. Alcuni pizzini ci restituiscono un boss impegnato in una solerte opera di mediazione soprattutto nel periodo seguito alle stragi. "L’opera di mediazione - spiega Piero Grasso - è un’esigenza organizzativa e al contempo un direttiva strategica. Dopo le stragi, in virtù di una rivolta morale e sociale, Cosa Nostra ha subito parecchi colpi".

 

Quali per esempio?

"Gli arresti di capimafia e i tanti collaboratori di giustizia. Ci sono stati anche degli autogol: per esempio l’omicidio del piccolo Di Matteo ha tolto consensi all’organizzazione che doveva conservare il mito per il quale non si devono colpire donne e bambini. Ora la mediazione come essenza del comando è un ritorno all’antico, un tentativo di convivere con la società e di partecipare al potere e alla gestione degli affari".

 

Dalle parole espresse con i pizzini Provenzano sembra quasi un saggio…

"Appare come un saggio ma non lo è stato: anni prima era un mafioso assolutamente diverso. Ora interpreta la capacità di Cosa Nostra di adattamento, coniugando regole formali con l’ambiguità; era stato un killer operativo ed era chiamato ‘u tratturi perché anche se lentamente arrivava all’obiettivo. Ha gestito la guerra di mafia negli anni ‘80 con Riina e le stragi di Falcone e Borsellino".

 

E lo spiccato senso religioso?

"Nel suo rifugio sono stati trovati 71 santini raffiguranti Gesù o la Madonna, per non parlare di quadri, libri ecclesiastici e la Bibbia. C’è sempre stata una forte religiosità nell’organizzazione. Tempo fa interrogavo un collaboratore di giustizia che si professava autenticamente religioso e osservante nonostante le centinaia di omicidi commessi; mi disse: Dottore, le assicuro che io non ho commesso nessun omicidio per mio interesse personale e Dio lo sa!"

 

Com’è possibile?

"Si sentono come soldati che combattono per una guerra giusta: invocano Dio mentre vanno a commettere un omicidio perché hanno un concetto di giustizia al di fuori delle regole che abbiamo tutti. È un codice comportamentale, importante per comprendere anche le strategie e la struttura della attività che fanno di Cosa Nostra qualcosa di diverso e unico".

 

Quali strategie sono emerse nel "codice Provenzano"?

"Soprattutto il non commettere errori ma indurre gli avversari a farli: con questo sistema i Corleonesi sono riusciti a conquistare il potere ai palermitani attraverso delle provocazioni come alcuni rapimenti e sequestri di persona che non andavano fatti mettendo in difficoltà chi aveva il potere. Avevano pure deciso di uccidere Riina che alla fine scoprì il complotto ed ebbe il placet dell’organizzazione per essere riconosciuto come capo nonostante la presenza del ‘papà, cioè Michele Greco".

 

Come mai la gente continua a chiedere favori alla mafia?

"Apparentemente conviene farlo ma quando in cambio ti chiede qualcosa sei obbligato a farlo, entrando così in uno stato di sudditanza da cui è difficile uscire: è il sistema di relazioni di Provenzano, cementato da interessi e codici culturali, formato da boss e persone di apparente visibilità legale come professionisti, imprenditori, commercialisti, amministratori, politici. Era una sorta di club e chi non faceva parte era escluso dall’ottenere alcune cose".

 

Che cosa si chiede?

"Di tutto. In uno scambio di lettere con Giuffrè s’è trovata pure la traccia di una raccomandazione per un esame e c’era scritto mi fa piacere che il professore si è comportato bene con tuo figlioccio. Se non c’è un cambio della società è difficile sconfiggere la mafia e la sua repressione a volte diventa come svuotare l’acqua con un canestro: oggi bisogna scegliere da che parte stare".

 

E il legame con la politica?

"L’azione di repressione ha provocato una rarefazione nel sistema di relazioni e le occasioni diventano più rare per paura di rimanere coinvolti nelle indagini soprattutto da parte dei politici che per Genovese e Giuffrè erano inaffidabili perché mostrano "miserabilitudine" in quanto si ritraggono e non mantengono le promesse fatte. Oggi questo rapporto è meno sicuro per il pericolo che ci possano essere infiltrati o sbirri"

 

Che pensa della possibilità di non far candidare politici che hanno avuto condanne o procedimenti in corso?

"Già nel ‘91 avevamo proposto un Codice di autoregolamentazione e oggi la Commissione Antimafia ha riproposto la questione: si aspettano adesioni, ma forse non si è ancora maturi. Se non si è fatto a livello nazionale, figuriamoci se sarà fattibile a livello locale"

 

I giovani che idea hanno della mafia?

"I giovani devono essere informati, devono capire. Molti di loro possono non sapere chi fossero Falcone e Borsellino perché non c’erano e dalla loro morte sono passati già quindici anni"

 

All’ultimo Festival di Sanremo ha vinto una canzone che parla di mafia. La musica può servire a veicolare un messaggio contro la mafia?

"Tutto deve e può essere un veicolo per parlare di queste cose. La mafia non è solo un’organizzazione criminale: è la privazione della libertà, della democrazia, della giustizia ed è metafora per altre libertà che dobbiamo conquistare"

Giustizia: rispettare i trattati sul trasferimento dei detenuti

 

Italia Estera, 26 aprile 2007

 

Eletto nella circoscrizione Europa per l’Ulivo, il più votato, l’on. Franco Narducci è Componente della III Commissione Affari Esteri e Comunitari e consigliere del Cgie, dopo di aver ricoperto il ruolo di Segretario Generale per molti anni.

"Sono firmatario di una interrogazione sottoscritta da una quarantina di altri colleghi. In Europa, esiste un problema veramente increscioso. L’Italia, pur avendo aderito ad una Convenzione del Consiglio d’Europa che prevede la possibilità che una persona sottoposta alla detenzione in carcere in un paese possa scontare la pena nello Stato di provenienza facendone domanda, la disattende sistematicamente. C’è uno Stato che commina la pena a seguito di sentenza ed un altro Stato diverso dal primo, dove la si sconta. Le ragioni di una tale determinazione sono facili da capire: distanza con i familiari, affetti, ma soprattutto reinserimento nella società. Quest’ultimo è lo scopo principe della pena, il recupero degli ex detenuti ed il loro inserimento nella società".

 

Qual è l’oggetto dell’interpellanza?

"Quello di chiedere al governo di farsi carico dei diritti delle persone e, avendo sottoscritto una convenzione, di rispettarla. Tra l’altro, il caso Italia, ha suscitato le proteste di alcuni Stati, persino della Bulgaria oltre che della Svizzera. Qui stiamo parlando di poveri disgraziati dei quali nessun media si fa carico per indagare sui soprusi patiti, non si tratta di casi come per la Baraldini, che divenne mediatico a tutti i livelli".

 

Ma se non vengono applicate e rispettate le convenzioni internazionali e non si assicurano i diritti, siamo ancora in alto mare non crede?

"Soprattutto tenendo conto della situazione carceraria italiana. Si lasciano trascorrere due o tre anni prima di ottenere una risposta. Questo, anche sul piano umano, non è rispondente alle attese di qualsiasi cittadino. Anche un carcerato ha dei diritti. Una famiglia siciliana non può certo recarsi ad Amburgo per fere visita in carcere ad un suo caro".

Giustizia: ddl su reati ambientali; previsti fino a 10 anni di carcere

 

Apcom, 26 aprile 2007

 

Multe fino a 250 mila euro e carcere fino a un massimo di dieci anni, più le aggravanti: via libera al giro di vite contro i criminali dell’ambiente nel ddl approvato dal Consiglio dei Ministri su proposta dei ministeri dell’Ambiente e della Giustizia. In tutto 5 articoli. Alla base del provvedimento l’offensività del reato e la strutturazione dei reati a seconda del crescente grado di offesa al bene giuridico tutelato: dal pericolo concreto, al danno, fino al disastro ambientale. È lotta anche alle Ecomafie: introdotti i reati di associazione a delinquere finalizzata al crimine ambientale.

In particolare il ddl prevede l’introduzione nel Libro II del Codice Penale del Titolo VI-bis, rubricato "Dei delitti contro l’ambiente". Inquinamento ambientale; danno ambientale; disastro; alterazione del patrimonio naturale, della flora e della fauna; traffico illecito di rifiuti; traffico di materiale radioattivo o nucleare e l’abbandono di esso; delitti ambientali in forma organizzata, le cosiddette Ecomafie; frode in materia ambientale; delitti colposi contro l’ambiente; impedimento al controllo; bonifica e ripristino dello stato dei luoghi sono alcune delle nuove fattispecie criminose introdotte dal ddl. Il provvedimento prevede anche il "ravvedimento operoso" con pene diminuite dalla metà a due terzi per gli eco-collaboratori. Introdotta anche la "causa di non punibilità" per chi ripara al proprio danno prima dell’azione penale.

Tra le novità anche la sanzione per "danno economico" che prevede la reclusione da uno a quattro anni e multe da ventimila a cinquantamila euro per chi offende le risorse ambientali in modo tale da pregiudicarne l’utilizzo da parte della collettività, gli enti pubblici o imprese di rilevante interesse. La legge entra in vigore il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Entro 18 mesi dall’entrata in vigore della legge, il Governo adotta uno o più decreti legislativi. Queste alcune delle nuove fattispecie di reato ambientale previste dal Ddl:

Inquinamento ambientale: reclusione da uno a cinque anni e multa da 5.000 a 30.000 euro. Danno ambientale: reclusione da due a sei anni e multa da 20.000 a 60.000 euro. Se deriva il pericolo concreto per la vita o l’incolumità delle persone, la pena della reclusione va da due anni e sei mesi a sette anni.

Disastro ambientale: reclusione da tre a dieci anni e multa da 30.000 a 250 mila euro.

Alterazione patrimonio naturale, della flora e fauna: da uno a tre anni e con la multa da 2.000 a 20.000 euro.

Traffico illecito di rifiuti: da uno a cinque anni e multa da 10 mila a 30 mila euro. Per i rifiuti pericolosi reclusione da due a sei anni e multa da 20 mila a 50 mila euro. Per i radioattivi da due anni e sei mesi a otto anni e multa da 50 mila a 200 mila. Pene aumentate di un terzo se dal fatto deriva il pericolo concreto di una compromissione durevole o rilevante. Se dal fatto deriva il pericolo concreto per la vita o l’ incolumità delle persone, le pene previste nei tre casi sono aumentate fino alla metà e l’aumento non può essere comunque inferiore ad un terzo.

Traffico materiale radioattivo o nucleare e abbandono di esso: reclusione da due a sei anni e multa da 50.000 a 250.000. Pena aumentata di un terzo se dal fatto deriva il pericolo concreto di una compromissione durevole o rilevante. Se dal fatto deriva il pericolo concreto per la vita o l’incolumità delle persone, si applica la reclusione da tre a dieci anni e la multa da 15.000 a 100.000 euro.

Frode ambientale: reclusione da sei mesi a quattro anni e multa fino a 10 mila euro. Se la falsificazione concerne la natura o la classificazione di rifiuti, si applica la reclusione da uno a cinque anni e la multa da cinquemila a 20 mila euro.

Impedimento al controllo: reclusione da sei mesi a tre anni.

Bonifica: per chi non ottempera alla condanna del giudice reclusione da uno a quattro anni.

Ravvedimento operoso: le pene previste sono diminuite dalla metà a due terzi per chi aiuta le indagini.

Causa di non punibilità: è prevista per chi volontariamente elimina il danno da lui provocato prima che sia esercitata l’azione penale.

Danneggiamento risorse economiche ambientali: reclusione da uno a quattro anni e multa da 20 mila a 50 mila per chi offende le risorse ambientali pregiudicandone l’utilizzo da parte di collettività, enti pubblici o imprese di rilevante interesse.

Giustizia: Danilo, ex detenuto; e questa non è "pena di morte"?

 

Libero Reporter, 26 aprile 2007

 

In America la pena di morte stronca 60 - 70 persone l’anno. In ugual numero in Italia, si suicidano i detenuti e anche gli ex detenuti, incapaci di riaffrontare la vita una volta usciti dal carcere: pur avendo scontato la pena, metabolizzato e capito gli errori del passato, si ritrovano improvvisamente, come cani randagi, ad affrontare un mondo a cui non sono più abituati né attrezzati.

Abbiamo incontrato Danilo, un uomo che nella vita ha sbagliato, ha commesso gravi errori, ma oggi non è un uomo socialmente pericoloso. Condannato a 30 anni di carcere, una pena completamente scontata, il suo debito nei confronti della società è stato saldato, ora è ritornato a casa, nella casa di sua madre che ha lasciato questo mondo da qualche mese, e si trova senza un soldo, senza reputazione, senza amici, gli manca qualsiasi cosa necessaria per la sopravvivenza.

In casa gli sono stati tagliati anche la luce e il gas, per insolvenza. Ridotto come un straccio si è rivolto all’assistenza sociale del Comune di residenza, che nulla ha potuto fare per lui: ultrasessantenne, con i suoi precedenti penali, non troverà mai lavoro, né aiuti.

Sarebbe necessario costruire un apparato economico per dare la possibilità a persone come Danilo di ritrovare uno scopo di vita, la possibilità di guadagnarsi da vivere in modo onesto, dopo l’uscita dal carcere ma anche durante la permanenza negli istituti; risulta essenziale che il detenuto svolga un’attività lavorativa, che una parte di stipendio serva al suo mantenimento e una parte sia accantonata per la sua futura vita da persona libera.

In America la pena di morte stronca 60 - 70 persone all’anno e tutti si mobilitano perché giustamente non si applichi più, in Italia si suicidano altrettanti detenuti ed ex detenuti, che non riescono ad affrontare il ritorno nella società. Non si tratta forse di pena di morte allo stesso modo? Forse in Italia la morte è più cruenta, perché queste persone muoiono lentamente ogni giorno, senza vedere davanti a se una via d’uscita...

Indulto: Csm in disaccordo sull'accantonamento dei processi

 

Ansa, 26 aprile 2007

 

Ancora un voto non c’è stato. Ma al Csm si profila una spaccatura sulla circolare con cui il procuratore di Torino Marcello Maddalena ha invitato i suoi sostituti ad accantonare i processi destinati a finire nel nulla per effetto dell’indulto e a privilegiare la strada dell’archiviazione per i reati meno gravi a rischio prescrizione. Un provvedimento contro il quale l’Unione delle Camere penali ha presentato un esposto al Csm, lamentando la violazione del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale.

Il caso è stato affidato a due relatrici, le consigliere Luisa Napolitano (Unicost) e Ezia Maccora (Magistratura democratica), che per ora non sono giunte a conclusioni univoche; anzi hanno depositato due distinti documenti che trovano l’assenso dei loro gruppi: critico con la scelta del procuratore quello di Napolitano; "assolutorio" per Maddalena, sia pure correggendo i termini usati dal capo dei pm di Torino, quello di Maccora.

"Entrambe le scelte del Procuratore di Torino appaiono configgere con il principio dell’ obbligatorietà dell’azione penale, presidio dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e fondamentale ragione giustificatrice dell’ indipendenza del Pm",scrivono i consiglieri di Unicost sul sito della corrente dando conto del documento depositato da Napolitano. In particolare "l’accantonamento dei processi ritenuti inutili per la possibile applicazione di una pena che non potrà essere eseguita per la concessione dell’indulto, non può essere rimesso a una scelta discrezionale di ogni singolo Procuratore".

Nessuna violazione delle regole da parte di Maddalena, sostengono invece Maccora e Md. Al di là delle espressioni colorite usate, il procuratore - secondo i consiglieri di Md - si è limitato a dar seguito alla delibera con la quale nel novembre scorso il Csm, rispondendo a una richiesta del ministro Mastella, precisò di non poter indicare ai magistrati criteri di priorità nella trattazione dei processi toccati dall’indulto, come lo invitava a fare il Guardasigilli; ma disse che questa indicazione poteva essere data solo dai capi degli uffici giudiziari.

Insomma, con la circolare Maddalena non ha fatto altro che organizzare il lavoro della sua procura, dettando criteri generali per la trattazione dei processi, peraltro sottoposti al vaglio del Csm. Dei due documenti, la Commissione discuterà nella prima seduta utile, fissata per il 5 maggio prossimo.

Pedofilia: Roma; questa "strana storia" dell’asilo degli orrori

 

La Repubblica, 26 aprile 2007

 

Ora che non è più un segreto e se ne cominciano a individuare i contorni, questa nera storia dei bimbi si mostra per quel che è ed è stata sin da principio. Una storia di adulti che, al momento, non propone nessuna incontrovertibile certezza. Se non quella, sgradevole, di apparire comunque diversa (è impossibile dire oggi se terribilmente peggiore o altrettanto terribilmente difforme) da ciò che le spaventose 59 pagine di un’ordinanza di custodia cautelare dicono sia accaduto.

Gli adulti, dunque. Un pubblico ministero di Tivoli, Marco Mansi. La sua consulente psichiatra, dottoressa Marcella Battisti Fraschetti, classe 1934, studio in Santa Maria di Galeria (frazione di Roma). Gli ufficiali e i sottufficiali della compagnia carabinieri di Bracciano. I 100 padri e madri dell’Agerif, Associazione genitori Rignano Flaminio. Il sindaco di una lista civica che tiene insieme destra e sinistra, Ottavio Poletta, al suo secondo mandato. Una preside, Loredana Cascelli, madre di tre figli, con i suoi 21 docenti e i 5 collaboratori scolastici del "plesso scuola dell’infanzia".

Gli arrestati di martedì: Silvana Magalotti, coordinatrice scolastica, le maestre Marisa Pucci e Patrizia Del Meglio con il marito regista televisivo Gianfranco Scancarello, la bidella Cristina Lunerti, il giovane immigrato cingalese, Kelum De Silva, uomo di fatica della pompa di benzina all’ingresso del paese.

Per nove mesi, in un borgo di 8 mila anime, questi adulti hanno maneggiato una peste che è dilagata fino a mangiarsi tutto. Amicizie, rapporti di vicinato, la gioia di mettere a letto un figlio o di mandarlo a dormire a casa di un amichetto. Di accompagnarlo a scuola e godere delle sue recite natalizie.

Le prime denunce - 6 casi di dichiarato, ripetuto e orribile abuso - sono del luglio 2006. I genitori che le sporgono non ne parlano. Le custodiscono come un terribile segreto di cui vergognarsi. La Olga Rovere è una scuola dell’infanzia di eccellenza (nel ‘99, viene indicata come la migliore materna della regione Lazio). La sua coordinatrice scolastica, Silvana Magalotti, una maestra sui banchi da 30 anni, ormai nonna. Per ogni genitore, un’amica a cui rivolgersi. Per il paese, "la maestra con la casa piena di libri, più di quanti se ne possano trovare in tutta Rignano".

Luglio 2006 è un tempo lontano. Ma le accuse sono già terribili. Eppure, non sembra esserci fretta. In una nota dei carabinieri della compagnia di Bracciano al pubblico ministero di Tivoli dei primi di agosto dello scorso anno, si segnala l’inevitabile stasi investigativa in vista dell’estate". La scuola è chiusa e qualcuno deve pensare che la pedofilia se ne va in ferie. È un fatto che il primo settembre la Olga Rovere ha una nuova preside, Loredana Cascelli, che - come ripete ancora oggi - ignora quale spaventosa nuvola si vada addensando sulla sua scuola.

Nessuno la informa. Forse perché nessuno al Provveditorato sa. Forse perché ai genitori che sanno è stato detto dai carabinieri e dal magistrato di non parlare. Fino a quando, il 12 ottobre, alle 8 del mattino, l’asilo appare agli occhi dei genitori che accompagnano i propri figli come il set di una fiction televisiva. Nastri fosforescenti, carabinieri in tuta bianca (il Ris) che scavalcano cancelli e isolano alcune aule come scena del crimine.

Pedofilia. La parola apre le cronache dell’edizione del 13 ottobre del "Corriere di Viterbo" e una volta esaurito il giornale se ne volantinano le fotocopie. Perché tutta Rignano sappia. Con le fotocopie ci si scambiano i nomi delle maestre indagate (arrestate martedì), che nessuno pronuncia, ma su cui comincia un silenzioso processo. Nei bar e nelle case dei bambini che frequentano le loro classi. Il 14 ottobre, in un consiglio di Istituto straordinario della "Olga Rovere", la preside comunica che "all’ordine del giorno non c’è il blitz dei carabinieri e dunque i genitori che occupano la scuola per avere notizie sono pregati di allontanarsi".

"Quel giorno è cambiata la mia vita", racconta Roberta Lerici, 42 anni, attrice e autrice di testi teatrali, madre di tre bambini. I primi due alla Rovere negli anni in cui era un vanto frequentarla. L’ultima, fino al gennaio scorso, quando è stata ritirata. Parla nel tinello della sua casa nella campagna di Morlupo (pochi chilometri da Rignano), su un divano rosa dove è spesso costretta ad interrompersi perché i figli non sentano ("Mamma, posso fare anche io un’intervista?"). "Ero basita - dice - Nessuno sembrava voler prendere in mano la situazione, finché un giorno, al "Bar Gran Sasso", non incontrai il nonno di una bambina che fa il giornalista e venne l’idea di costituirsi in associazione per tutelare i diritti dei bambini ed esigere che le maestre sospettate venissero allontanate". Aderiscono circa 100 genitori, per altrettante famiglie (i bimbi che frequentano la materna sono in tutto 255). "Almeno quaranta di loro sono stati abusati", dice Roberta.

Ma come, non erano sei? "No, sono cresciuti nel tempo. Sappiamo che, dopo il blitz di ottobre, almeno 80 bambini sono stati accompagnati dai loro genitori a farsi refertare a Roma, all’ospedale Bambin Gesù". E con che esito? "Nessuno lo sa con certezza. So che i carabinieri dicono che ci sarebbero sei casi di bimbe deflorate. E sappiamo anche che alcuni di questi bambini sono oggi in terapia con gli psicologi messi a disposizione del comune di Roma". Come un’onda che monta, una parte di Rignano scopre che un’intera leva dei propri bimbi manifesta sintomi riconducibili a possibili violenze subite. Le denunce dei genitori si impilano sui tavoli dei carabinieri di Bracciano.

Ancora Roberta: "Della pedofilia non sapevo nulla. Mi sono messa a studiare. Ho scaricato da internet 2.500 file di interesse. E ne ho selezionati 600. Ho cominciato a trovare analogie con altri casi.

E dopo che la preside della scuola mi aveva detto che "A Rignano sarebbe finita come a Brescia, con tante assoluzioni", ho preso contatto con l’Associazione Prometeo. Ho studiato i processi di Brescia per i fatti degli asili Abba e Seretti. Ho capito quali errori non dovevamo ripetere. Ho scoperto cos’è "l’abuso rituale" e il ruolo delle donne. Cosa il "satanismo".

L’Agerif diventa il luogo in cui "parlare", trovare conforto alla paura, ma anche, forse, contagiarsene. Spedisce 120 mail in ogni stanza di governo e sottogoverno. Contatta lo studio legale di Vincenzo Siniscalchi per offrire assistenza legale ai genitori che non possono permettersela. Roberta Lerici prepara un dossier di una cinquantina di pagine. Il sindaco mette a disposizione per la loro prima assemblea il teatro comunale Paladino. I genitori lo riempiono in novembre e ancora il 13 dicembre 2006, quando la preside della "Rovere", per mano ai suoi bambini in lacrime che non si spiegano tanta aggressività verbale verso la madre, affronta una folla inferocita, il sindaco, un assistente sociale e due ispettori del Ministero della pubblica istruzione.

Rignano diventa una prigione. Come la Rovere. Una circolare interna fa divieto assoluto di ingresso ai genitori nei locali della scuola. E agli insegnanti, durante la giornata, di cambiare i pannolini a chi se la fa sotto. Perché nessun bimbo torni da scuola raccontando di essere stato anche soltanto sfiorato nelle sue parti intime. A Natale, la recita viene fatta in giardino. Ma senza i genitori, che si accalcano alle inferriate, come in uno stadio a porte chiuse. Il 19 dicembre 2006, il ministro Fioroni autorizza la sospensione cautelare dei docenti indagati, ma non conoscendone i nomi delega all’ufficio provinciale della scuola e al consiglio di Istituto.

Il 27 febbraio, un manifesto firmato da tutte le insegnanti della scuola d’infanzia viene affisso in ogni angolo di Rignano e della Rovere. Si chiede di "mettere fine a un linciaggio infame". Qualche settimana dopo, le maestre arrestate martedì vengono sospese.

A Tivoli, il pm Marco Mansi, lavora sui casi di luglio. Come? Il professor Franco Coppi, avvocato difensore di Gianfranco Scancarello, la racconta così: "Cinque dei sei referti medici sui bambini presunte vittime degli abusi sono negativi. Non è stata riscontrata alcuna traccia di violenze anche pregresse. E allora mi chiedo: se è vero che in queste spaventose sedute di violenza di gruppo venivano usati su bimbi di tre anni oggetti profondamente invadenti, come è possibile che non sia rimasta neppure una cicatrice? Che i loro genitori non abbiano notato subito lesioni che nessun bimbo può nascondere? Il sesto caso, poi, certifica una cicatrice interna che non si esclude possa essere congenita".

Nessun riscontro medico oggettivo, insomma. Ma, anche, nessuna voce diretta dei bambini. Non li ha sentiti il magistrato. Non li hanno sentiti i carabinieri. Li ha sentiti la dottoressa Marcella Battisti Fraschetti, consulente del pm. Ma - a quanto riferisce Coppi - non ha registrato nessuna delle sue sedute. "Abbiamo solo le sue relazioni scritte. E le parole dei genitori. Pensa che bastino, non dico per una condanna, ma per autorizzare un linciaggio pubblico?". "Certo - conviene il professore - qualcosa in quel paese e in quella scuola deve essere accaduto. Ma cosa è accaduto? E chi sono le vittime e chi i carnefici?".

Bergamo: detenuto semilibero è stato ucciso in un agguato

 

L’Eco di Bergamo, 26 aprile 2007

 

Successo ieri sera a Castelli Calepio. La vittima, 59 anni, era semilibero: stava tornando in carcere. Colpito all’addome da tre proiettili sparati da una moto in corsa. Soccorso da un amico

Il secondo agguato non gli ha lasciato scampo. Colpito all’addome da tre colpi di arma da fuoco sparati da due killer in sella a uno scooter, ieri sera proprio davanti a casa, a Castelli Calepio, è morto Leone Signorelli, di 59 anni. La vittima stava salendo su un’auto guidata da un amico per raggiungere il carcere di via Gleno a Bergamo: si trovava infatti in condizione di semilibertà e - hanno spiegato i familiari - ogni sera si faceva riaccompagnare in via Gleno, da quando, un mese fa, qualcuno aveva già attentato alla sua vita, senza riuscire nell’intento.

Ieri sera il tentativo è andato a segno: poco prima delle 22 i killer l’hanno ferito a morte. Leone Signorelli, che tutti chiamavano Nello, è giunto privo di vita all’ospedale dove l’amico lo ha trasportato dopo l’agguato. Dell’omicidio si stanno occupando i carabinieri della compagnia di Bergamo, che mantengono il più stretto riserbo sulla vicenda. Potrebbe trattarsi di un regolamento di conti.

Genova: Mastella annulla la visita; il Sappe la manifestazione

 

Comunicato stampa, 26 aprile 2007

 

Il Ministro della Giustizia Clemente Mastella annulla la visita in programma per sabato 28 aprile prossimo al carcere di Genova Marassi ed il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria Sappe sospende la concomitante manifestazione di protesta.

Si aprono però significativi appuntamenti istituzionali per il Sappe, che sarà ricevuto nei prossimi giorni dal Guardasigilli e dal Sottosegretario alla Giustizia con delega alle questioni penitenziarie, prof. Luigi Manconi, proprio per esaminare le rivendicazioni che erano alla base della manifestazione sindacale.

"Il fatto che il Ministro Mastella non sarà al carcere di Marassi sabato mattina ci ha necessariamente messo in condizione di sospendere la nostra manifestazione di protesta." annuncia Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe. "Abbiamo però apprezzato la volontà del Guardasigilli e del Sottosegretario Luigi Manconi di convocarci a Roma nei prossimi giorni proprio per trovare una soluzione ai problemi di Marassi, con particolare riferimento alla grave situazione della Polizia Penitenziaria di Marassi, costantemente sotto organico di più di 100 agenti rispetto a quanto prevede il Decreto ministeriale sulle dotazioni organiche del carcere della Valbisagno.

Confidiamo che, essendo prossima l’assunzione di 500 nuovi Agenti di Polizia Penitenziaria, almeno 50 siano assegnati in servizio a Genova, in modo da garantire ai colleghi da un lato le assegnazioni temporanee in altre sedi penitenziarie per gravissimi motivi di carattere familiare e per assistenza ai familiari disabili e dall’altro il rispetto dei diritti soggettivi di coloro che lavorano a Marassi nonché adeguate condizioni di sicurezza della struttura penitenziaria".

Venezia: il Gip; non abbiamo i soldi per registrare le sentenze

 

Il Gazzettino, 26 aprile 2007

 

Hanno subìto una condanna penale, ma gli uffici giudiziari veneziani non hanno personale per registrare le sentenze: in questo modo circa quindicimila persone continuano a risultare incensurate da anni.

La clamorosa circostanza è stata segnalata da Giandomenico Gallo, presidente della sezione Giudici per le indagini preliminari (Gip), al presidente del Tribunale di Venezia, Attilio Passannante: nella comunicazione il responsabile dei Gip chiede che gli vengano messe a disposizione risorse adeguate al fine di poter recuperare l’ingente ritardo accumulato e risolvere un problema che mette in seria difficoltà l’esercizio dell’attività giudiziaria. Ogni anno l’ufficio Gip di Venezia emette 3-4 mila sentenze tra patteggiamenti, riti abbreviati e decreti penali di condanna: ciò significa che vi sono condanne che aspettano di essere registrate anche da cinque anni. In gran parte riguardano persone che abitano nella provincia di Venezia, ma alcuni imputati risiedono in altre località del Veneto e di tutta Italia.

Il problema è principalmente legato alla carenza di personale amministrativo: la mancanza di cancellieri non consente di provvedere a compilare le schede che il ministero della Giustizia richiede a conclusione di ogni processo e che devono essere spedite al casellario giudiziale per l’aggiornamento della situazione personale di chi è stato sottoposto ad un’inchiesta penale. La situazione è ulteriormente peggiorata da quando si è passati dalla scheda cartacea a quella informatica: le modalità di compilazione si sono complicate e servono appositi corsi di formazione del personale. Inoltre, mentre in caso di errori o modifiche da apportare alle schede cartacee era questione di pochi minuti, se ci si accorge di qualcosa che non va quando una scheda informatica è già stata trasmessa a Roma, la procedura fa perdere un sacco di tempo in più.

"La situazione non è più gestibile con le risorse che abbiamo a disposizione - spiega il dottor Gallo - È necessario che vengano assunte delle decisioni al più presto". L’enorme ritardo nella registrazione delle sentenze del Gip di Venezia (il Tribunale non ha invece arretrato, anche perché emette ogni anno un numero nettamente inferiore di sentenze) ha conseguenze particolarmente gravi: persone già condannate, infatti, figurano come incensurate, cioè senza precedenti penali, e ciò influisce nel trattamento loro riservato (sconti di pena non dovuti, ad esempio) nel caso in cui subiscano un nuovo processo e una nuova condanna. Per limitare al massimo gli effetti negativi di questa situazione, il presidente del Gip ha dato disposizione affinché venga data la precedenza alla registrazione delle sentenze per reati gravi: droga, omicidi, rapine.

Tra le quindicimila sentenze che aspettano di essere registrate (il dato è approssimativo), molte riguardano pene pecuniarie inflitte attraverso decreti penali di condanna, una procedura più rapida rispetto alla normale citazione a giudizio davanti al Tribunale che viene adottata nel caso di reati contravvenzionali di minore gravità. Un numero consistente di decreti penali di condanna viene emesso, ad esempio, per guida in stato di ebbrezza: il pagamento della sanzione chiude l’inchiesta e la condanna viene cancellata se la persona non commette altri reati dello stesso tipo nei cinque anni successivi.

La mancata registrazione di queste sentenze ha un duplice effetto: oltre a consentire a persone condannate di figurare ancora incensurate, e magari tornare a delinquere senza pagarne le conseguenze, fa perdere allo Stato ingenti somme di denaro che dovrebbero entrare in cassa attraverso il pagamento delle sanzioni.

La carenza di cancellieri negli uffici di Tribunale e Procura a Venezia è un problema ormai cronico: manca circa un terzo del personale di cancelleria ed in particolare gran parte dei funzionari e dei quadri direttivi. Gli uffici veneziani sono ritenuti sede disagiata e, di conseguenza, nessuno vuole essere trasferito in laguna. Questione di costi eccessivi per trovare un alloggio, nonché di difficoltà di spostamento. E così la giustizia fatica a funzionare.

Vercelli: è una donna il nuovo comandante degli agenti

 

Ansa, 26 aprile 2007

 

Ha preso servizio nella casa circondariale di Vercelli la dottoressa Anna La Fauci, 35 anni, proveniente da Roma, nuovo comandante della Polizia Penitenziaria di Vercelli. È la prima volta che una donna ricopre questo incarico: la funzionaria collaborerà con il direttore Antonino Raineri. Laureata in giurisprudenza, dopo quattro anni in uno studio legale, ha vinto il concorso per comandanti della polizia penitenziaria, ha seguito con profitto il corso di formazione presso la Scuola nazionale e ha conseguito il grado di vicecommissario: Vercelli è il suo primo incarico. La casa circondariale di Vercelli ha può ospitare 200 detenuti maschi e 50 donne.

Ancona: "L’arte della commedia" debutta a Montacuto

 

Redattore Sociale, 26 aprile 2007

 

È il primo studio scenico sull’opera scritta da Eduardo De Filippo, realizzato dalla compagnia teatrale dell’istituto penitenziario, diretta da Vito Minoia e Teatro Aenigma nell’ambito di un progetto attivo dal 2002.

Debutta nella sala teatrale della casa circondariale di Ancona Montacuto lo spettacolo realizzato dalla compagnia teatrale dell’istituto penitenziario diretta da Vito Minoia e dal Teatro Aenigma. La performance andrà in scena domani alle 14 nell’ambito del progetto organico, attivo dal 2002 nelle Marche, coordinato da Minoia su invito del ministero della Giustizia - Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. "Nel carcere di Ancona, diretto da Santa Lebboroni, ci avviamo alla conclusione del terzo anno di attività riscoprendo la forza straordinariamente attuale di un’opera che lo stesso De Filippo non esitò a definire strana e formalmente diversa dalle altre. Eduardo - precisa Minoia, che insegna Teatro educativo e sociale all’università di Urbino - con "L’arte della commedia" non si rivolge solo alla gente di teatro, come potrebbe sembrare a prima vista, ma a tutti, poiché i temi trattati nella sua drammaturgia riguardano noi e i nostri figli".

La commedia, scritta nel 1964, ruota intorno al tema dello strettissimo legame tra teatro e vita e narra la storia di Oreste Campese, capocomico di un gruppo di attori, che riceve dal "nuovo prefetto di una qualsiasi città di provincia" il foglio di via per raggiungere insieme alla sua compagnia altri colleghi che lo potrebbero aiutare dopo che il suo teatro è andato distrutto dal fuoco. Ma al posto del documento, a causa di una distrazione del segretario di "sua eccellenza De Caro", viene in possesso di una lista di persone che devono essere ricevute in prefettura. Al momento dell’udienza il prefetto non riesce però a capire se le persone che gli sono davanti sono realmente quelle che dicono di essere o se sono gli attori travestiti di Campese.

Figlio illegittimo dell’attore e commediografo Eduardo Scarpetta e di Luisa De Filippo, Eduardo è cresciuto dentro l’ambiente teatrale napoletano insieme ai fratelli Titina e Peppino, rivelando fin da giovanissimo straordinarie doti comiche. I tre fratelli lavorarono insieme negli anni Venti sia nell’ambito del teatro dialettale che in quello più eterogeneo del varietà, della rivista e dell’avanspettacolo, raccogliendo ottime critiche e consensi. La verve comica dei tre fratelli risaliva alle forme farsesche dell’antica "commedia dell’arte", che Eduardo conosceva bene avendola studiata. Ma il teatro di Eduardo supera i confini del teatro dialettale per diventare teatro puro. Eduardo non abbandonò mai il suo impegno politico e sociale che lo vide in prima linea anche a ottant’anni, quando, nominato senatore a vita, si batté in Senato e sul palcoscenico per aiutare i minori rinchiusi negli istituti di pena.

In scena, in ordine di apparizione, Nicola di Rella nel ruolo del prefetto De Caro; Anto Gokic, il segretario; Mario Carbo, il piantone; Paolo Polverini, nel ruolo di Oreste Campese, Gilberto Popolo, il medico Quinto Bassetti. La regia è di Vito Minoia. Il laboratorio di teatro e carcere a cura del Teatro Aenigma nella Casa Circondariale di Ancona Montacuto è attivo dal 2004. Dopo una prima sperimentazione con il Teatro dell’Oppresso (modalità ideata dal regista brasiliano Augusto Boal) conclusasi con uno spettacolo di Teatro Forum nel gennaio del 2006, ha preso il via una ricerca biennale sul Teatro di Eduardo. "L’Arte della Commedia" è il primo studio scenico di questa nuova fase di lavoro. Grazie alle esperienze teatrali condotte negli istituti penitenziari marchigiani (anche a Pesaro dal 2002 e a Macerata Feltria dal 2005), il 30 Agosto 2006 a Vito Minoia e al Teatro Aenigma è stato assegnato a Sirolo il Premio Franco Enriquez per l’impegno artistico nel sociale.

Cinema: "Crescere in carcere", un film girato a Nisida

 

Toscana In, 26 aprile 2007

 

"Nisida. Grandir en prison" il 3 maggio, in anteprima all’Istituto degli Innocenti di Firenze, il documentario di Lara Rastelli per la conferenza "Childinclusion".

Giovedì 3 maggio 2007 alle ore 20.30, nell’ambito degli eventi organizzati per la conferenza internazionale sull’esclusione sociale dei minori indetta a Firenze dall’Istituto degli Innocenti (3 - 5 maggio 2007), per il progetto Childinclusion verrà proiettato presso il Cinema Ciak, a cura di Camera e del Festival dei Popoli, "Nisida. Grandir en prison" un documentario di Lara Rastelli. Il film racconta le storie di Enzo, Rosario e Samir, tre ragazzi detenuti nel carcere minorile di Nisida, a Napoli. L’istituto di pena ospita circa quaranta adolescenti di varie nazionalità e di età compresa tra i quattordici ai ventuno anni, detenuti per i reati più diversi: si tratta di un piccolo mondo fuori dal mondo, situato per l’appunto su un’isola unita alla terraferma soltanto da uno strettissimo istmo, un luogo vicinissimo al caos della città, ma allo stesso tempo isolato da esso.

Seguendo i ragazzi nella quotidianità delle loro giornate per un arco di tempo di circa due anni, la regista esamina uno degli aspetti più controversi della carcerazione, di quella minorile a maggior ragione, ovvero la rieducazione e il recupero del condannato per un positivo reinserimento nella società al termine della pena.

Con il volto sempre coperto da delle maschere che ne tutelano l’identità, i ragazzi raccontano il proprio passato, riflettono sulla loro condizione presente, soprattutto sul significato della loro detenzione, nonché sulle modalità concrete e sulla possibilità di un loro "recupero", provano a immaginare un futuro migliore sul quale, tuttavia, gravano i pesanti handicap dovuti a una condizione sociale svantaggiata comune a tutti loro.

La proiezione di "Nisida. Grandir en prison" è organizzata da Camera (Centro audiovisivo e mediatico sulla rappresentazione dell’infanzia e dell’adolescenza), un progetto del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza che studia la condizione dei minori attraverso le rappresentazioni audiovisive e dal Festival dei Popoli, la più importante realtà italiana sul documentario sociale che opera a Firenze da quasi cinquant’anni. L’evento fa parte di una serie di attività che Camera e Festival dei Popoli svilupperanno in comune nel prossimo futuro. Organizzata dall’Istituto degli Innocenti di Firenze dal 3 al 5 maggio, la conferenza "Un’agenda per i bambini. Programmi locali, regionali e nazionali di lotta all’esclusione sociale" è l’ultimo di tre incontri del progetto di scambio sull’esclusione sociale e le politiche per l’infanzia, Childinclusion, realizzato da sette partner di Paesi europei nell’ambito dei programmi UE.

Immigrazione: Amato; nei Cpt già da ora entrerà la stampa 

 

Ansa, 26 aprile 2007

 

Senza attendere l’approvazione della legge, due imminenti direttive del ministro dell’interno permetteranno l’entrata della stampa nei Cpt e la chiusura di alcuni di questi che sono "di troppo". Lo ha annunciato il ministro dell’interno, Giuliano Amato, sottolineando che le due direttive accolgono le proposte della Commissione De Mistura.

Il ministro ha confermato che "i Cpt rimangono ma esclusivamente per coloro che si sono sottratti all’identificazione e che sono in transito tra la fase dell’espulsione deliberata e non attuata". Amato ha anche sottolineato che rispetto all’identificazione, questa avverrà prima di mettere in moto i Cpt.

Visto che i 3/4 di coloro che entrano nei Cpt sono ex detenuti e quindi "l’identificazione deve avvenire in carcere. Già la Bossi-Fini prevede identificazione in carcere ma poi in concreto questa norma non è stata applicata". I centri di accoglienza ci saranno ma non avrà una caratteristica repressiva. Rispetto all’entrata dei giornalisti nei Cpt, il ministro ha detto sarà condizionata a richieste ai prefetti e dovrà essere organizzata. Per la chiusura dei Cpt "di troppo" è in programma una verifica.

Immigrazione: Acli; superata l'era della criminalizzazione

 

Redattore Sociale, 26 aprile 2007

 

Soddisfazione per l’approvazione del disegno di legge di modifica la Bossi-Fini che accoglie le principali richieste dell’associazione. Perplessità per l’istituzione all’estero delle liste di "collocamento".

"L’era della criminalizzazione degli immigrati sembra superata. Finalmente l"immigrazione viene considerata e affrontata come una risorsa e un’opportunità, non solo come un problema". È il commento del presidente nazionale delle Acli Andrea Olivero sull’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del disegno di legge che modifica la Bossi-Fini.

"Il testo della nuova legge - spiega - è il frutto di una lunga preparazione e mediazione fatta con le associazioni competenti attraverso incontri informali e commissioni istituzionali. Il segno di una capacità di ascolto della società civile cui il Paese non era certo abituato e che costituisce di fatto una buona pratica per l’azione dell’esecutivo anche in altri campi". Sono state accolte le principali istanze avanzate dalle Acli e dalle altre associazioni,: il diritto di voto alle elezioni amministrative, il reinserimento della figura dello sponsor per l’ingresso degli immigrati, con un ruolo ufficiale riconosciuto agli Istituti di Patronato; l’eliminazione del contratto di soggiorno, il superamento graduale degli attuali Cpt, i Centri di permanenza temporanea.

Anche le esigenze delle famiglie e delle imprese sono state prese in considerazione con il ripensamento del sistema dei flussi e l’individuazione di corsie d’ingresso preferenziali per infermieri, badanti, colf, tecnici specializzati. Sul piano dello snellimento burocratico delle procedure amministrative le Acli apprezzano i passi in avanti - la durata raddoppiata del rinnovo dei permessi di soggiorno - ma invitano a proseguire su questa strada.

"Perplessità invece per quanto riguarda l’istituzione all’estero delle liste di prenotazione per entrare in Italia, la cui gestione appare oggettivamente problematica. - sottolineano le Acli - Sulle politiche d’integrazione, infine, le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani ritengono indispensabile attuare al più presto interventi mirati utilizzando i 50 milioni di euro previsti dalla Finanziaria a questo scopo: istituire corsi e progetti di insegnamento della lingua italiana riconosciuti dallo Stato e dal datore di lavoro; incentivare l’associazionismo democratico tra gli immigrati; aiutare gli operatori del servizio pubblico ad interagire con la nuova utenza costituita dai cittadini stranieri".

Le Acli richiamando l’invito di Benedetto XVI in occasione della Giornata mondiale dei migranti a leggere la realtà dell’immigrazione "non soltanto come un problema, ma anche e soprattutto come una grande risorsa per il cammino dell’umanità", auspicano "una larga convergenza delle forze politiche in Parlamento su questo disegno di legge orientato all’integrazione e all’accoglienza della persona immigrata". Giudicano invece "ingiustificate e inopportune" le ipotesi ventilate di un referendum abrogativo della legge.

Immigrazione: FI all’attacco del ddl; pronti al referendum

 

Apcom, 26 aprile 2007

 

"Se questa legge non viene bloccata in Parlamento non escludiamo l’ipotesi referendum". Fabrizio Cicchitto, vice coordinatore azzurro, sintetizza così la posizione di Forza Italia sul Ddl immigrazione, sul quale l’opposizione degli azzurri sarà fermissima.

In una conferenza stampa convocata ad hoc, è Jole Santelli, già sottosegretario alla Giustizia, a spiegare per prima che, con questo testo, "il Governo sacrifica la sicurezza del Paese per la stabilità", visto che cittadinanza e immigrazione "sono temi appaltati alla sinistra radicale". Duro anche il capogruppo a Montecitorio, Elio Vito, per il quale il centrosinistra "periodicamente, ha il bisogno fisiologico di ricompattarsi adottando un provvedimento contro il Governo Berlusconi". Peraltro, aggiunge, "sono sicuro che ci siano posizioni diverse, ad esempio non si esprime il Guardasigilli, mentre Amato contraddice le sue posizioni passate". Non solo, ma dal punto di vista tecnico, accusa Vito, probabilmente "il Governo chiederà un voto di fiducia in bianco su una delega molto ampia".

Per Forza Italia insomma l’adozione del Ddl che modifica la Bossi-Fini va in controtendenza rispetto ai messaggi dialoganti lanciati dai congressi di Ds e Margherita. All’assise dei Dl, ricorda Cicchitto, "Rutelli parlò di mano tesa all’opposizione", ma dopo l’ok a questo Ddl "sembra più uno schiaffo". Perché, spiega Cicchitto, "vogliono fare i signori dialogando sulla legge elettorale e poi puntano a cambiare il corpo elettorale in cinque anni. Una cosa gravissima". Dunque, nessun confronto, mentre invece "il terreno adatto sarebbe proprio quello che riguarda la famiglia, la cittadinanza, l’immigrazione".

E poi, attacca Cicchitto, il Ddl, che ripristina la figura degli sponsor per gli immigrati, è "criminogeno, dà il via libera alle centrali della criminalità". Perché gli sponsor, dice la Santelli, "non sono solo le associazioni, possono essere anche privati". E non a caso, aggiunge, "quando Ferrero propose di ripristinarli Amato disse che erano rischiosi".

Usa: dipendenza è causata da un "errore" della memoria

 

Notiziario Aduc, 26 aprile 2007

 

La morfina agisce sul cervello togliendo il "freno a mano" che regola la produzione di dopamina, la sostanza che viene prodotta naturalmente quando si prova piacere. Uno studio dell’università americana di Brown, pubblicato sulla rivista Nature, suggerisce anche una nuova teoria sulle dipendenze come ‘errori’ della memoria.

Julie Kauer, che ha coordinato la ricerca, ha studiato come la morfina agisce sul processo chiamato "Long term potentiation" (LTP), che consiste nel progressivo rafforzarsi delle sinapsi quando sono sottoposte a stimoli ripetuti. Nelle cavie, una sola dose di droga è stata capace di bloccare la LTP per più di 24 ore. Il fenomeno è stato osservato nell’area del cervello chiamata "area ventrale segmentale", coinvolta nella produzione di dopamina.

"Le sinapsi affette in questa zona sono proprio quelle fra i neuroni inibitori e quelli che regolano la dopamina. In un cervello sano, i neuroni inibitori limitano il rilascio di questa sostanza, mentre le sostanze che danno assuefazione lo aumentano".

In pratica, secondo lo studio, l’effetto di morfina e altri oppioidi è di aumentare la ricompensa che il cervello offre per gli stimoli piacevoli. "Se si rimuove il freno e le cellule della dopamina cominciano a produrne in quantità - spiega ancora la ricercatrice - questa attività, combinata con gli altri effetti sul cervello, può aumentare la vulnerabilità alla dipendenza. Il cervello, in pratica, impara a desiderare moltissimo la droga".

I ricercatori hanno individuato anche qual è la molecola precisa che la morfina "disabilita": si tratta del guanilato ciclasi, un enzima che potrà essere obiettivo per farmaci che prevengono o curano le dipendenze.

Usa: Casa Bianca; attenzione a marijuana superpotente

 

Notiziario Aduc, 26 aprile 2007

 

 

La marijuana che sta circolando sul mercato statunitense è di una potenza senza precedenti e questo potrebbe spiegare il crescente numero delle emergenze mediche legate all’uso di stupefacenti. L’ipotesi è stata avanzata dall’Istituto nazionale sull’abuso di droghe, un osservatorio alle dipendenze della Casa Bianca, che ha esaminato i risultati delle analisi condotte dall’Università del Mississippi, nell’ambito del Progetto potenza delle marijuana, su campioni di marijuana e hashish in circolazione.

I dati hanno evidenziato un contenuto molto elevato di THC, tetra-idro-cannabinolo, vale a dire il principio attivo, passato dal 7 per cento nel 2003 all’8,3 per cento nel 2006. Dal 1988 la percentuale di THC ha avuto un incremento medio annuo del 3,5 per cento. La direttrice dell’Istituto nazionale, dottoressa Nora Volkow, teme che il problema non sia stato preso sul serio, perché molti adulti ricordano come innocua la marijuana di cui facevano uso in gioventù. "Ma non è proprio lo stesso tipo", ha assicurato l’esperta, "e questo potrebbe spiegare l’aumento delle emergenze mediche legate al suo consumo".

Il dipartimento di Farmacia dell’Università del Mississippi ha raccolto dati su 59.369 campioni di cannabis (marijuana), 1.225 di hashish e 443 di olio di hashish confiscati dal 1975. "La più alta concentrazione di THC è stata del 33,12 per cento ed è stata trovata in un campione di marijuana sequestrato dalla Polizia dell’Oregon". Quella percentuale prova che si è di fronte a un "upgrade" della cannabis diventata tutta un’altra cosa rispetto a quella che circolava negli anni Sessanta e Settanta. L’istituto diretto dalla Volkow ha studiato gli effetti della cannabis, i cui principi attivi sono molto simili a importanti sostanze chimiche prodotte dal cervello e chiamate cannabinoidi endogeni. Secondo la dottoressa Volkow la marijuana è una sostanza che dà dipendenza e se assunta da bambini o adolescenti può avere effetti sul cerebro ancora in fase di sviluppo.

Messico: italiano morto in carcere, in nove sotto inchiesta

 

Il Mattino, 26 aprile 2007

 

In cella il capo della polizia turistica messicana e due agenti penitenziari. Sono nove gli indagati, tra questi c’è anche un giudice "qualificatore", il corrispettivo messicano del nostro giudice per le indagini preliminari. Sono tutti accusati di omicidio colposo, di abuso d’autorità e gravi negligenze nell’espletamento delle proprie funzioni, per la morte di Simone Renda, turista napoletano morto in Messico due mesi fa, in circostanze sempre più gravi.

Arresti e indagati eccellenti, dunque, nove nomi tra poliziotti e agenti penitenziari, tutti inquadrati in uno scenario di pesanti responsabilità per la morte del trentaquattrenne morto nel carcere sudamericano. Da Cancun a Napoli, dal Messico all’Italia, la storia delle ultime ore di vita di Simone Renda si fa sempre più chiara.

Un caso che parte da una premessa obbligatoria: Simone non era tossicodipendente, come hanno dimostrato gli esami specialistici effettuati dopo la sua morte, e la sua permanenza in Messico non aveva nulla a che spartire con il traffico di droga. Simone era in vacanza dopo un anno di lavoro. E la storia di Simone - banchiere impiegato a Lecce, nipote del professore di Chirurgia generale Andrea Renda - è la storia di una vacanza che prende una piega assurda, con il relax che si trasforma in incubo: è la storia che può capitare a chiunque si trovi solo, a migliaia di chilometri di distanza lontano dal proprio Paese.

Derubato, picchiato, poche ore prima del volo di ritorno per Napoli, costretto a muoversi tra ospedali, centri di polizia, carcere. Ora la sua famiglia, difesa dal penalista Fabio Valenti, chiede giustizia. Simone è stato probabilmente inghiottito in un sistema di corruzione, violenza, omissioni a sfondo estorsivo. È accaduto a Playa del Carmen, buen retiro per tanti italiani a pochi chilometri da Cancun, in un crescendo di pressioni su cui sono aperte indagini a tutto spiano. Anche grazie alla mobilitazione di autorevoli personalità politiche, tra cui il ministro degli Esteri Massimo D’Alema, e i parlamentari Tessitore, Poli Bortone, Pellegrino. Una vicenda su cui ora gravano pesanti sospetti.

E che tiene in carcere Pedro Mai Balam, alto funzionario di polizia messicana. È lui il principale indiziato. Simone viene arrestato per disturbi alla quiete pubblica, forse perché aveva protestato con eccessiva veemenza dopo essere stato trattenuto in un pronto soccorso ospedaliero il giorno del suo ritorno in Italia. Viene tenuto in cella cinque ore in più delle 36 previste dalla legge.

Simone muore per arresto cardiocircolatorio forse anche per lo stato di forte tensione emotiva che deve averlo colpito dopo una notte inspiegabilmente trascorsa in cella. Spiegazioni che comunque lasciano il tempo che trovano. Dopo gli arresti, nessuno ha avvisato le autorità consolari italiane, probabilmente per mantenere sempre più isolato un turista italiano che poteva risultare un soggetto facile da ricattare da parte di poliziotti e carcerieri.

Iraq: a Baghdad arrestato il direttore del carcere Usa

 

Apcom, 26 aprile 2007

 

Il tenente colonnello William Steel, direttore del carcere Usa di Camp Cropper a Baghdad, è stato arrestato con l’accusa di aver fornito "aiuto al nemico, di aver trattenuto documenti classificati, di avere avuto legami con un’interprete e una donna irachene, di aver disobbedito a un suo superiore e di possesso di materiale pornografico": è quanto si apprende sul sito internet della tv americana Nbc.

L’arresto del tenente colonnello Josslyn Aberle è stato arrestato e ora si trova in Kuwait. È sotto custodia in attesa dell’udienza ai sensi dell’articolo 32. Altri dettagli saranno resi pubblici a breve, in particolare le accuse formulate contro lui. L’udienza ai sensi dell’articolo 32 è l’equivalente militare della procedura civile americana del gran giurì, chiamato a esaminare se le accuse sono sufficientemente fondate per avviare indagini e processo.

William Steele comandava la prigione di Camp Cropper, vicina all’aeroporto di Baghdad, dove è stato detenuto l’ex presidente iracheno Saddam Hussein. Le forze Usa detengono circa 18.000 persone nei suoi due carceri più grandi: Camp Bucca, nel sud del paese, e Camp Cropper.

 

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