Rassegna stampa 25 aprile

 

Napoli: detenuto muore suicida nel carcere di Poggioreale

 

Antigone Napoli, 25 aprile 2007

 

Un detenuto straniero si è suicidato il 7 aprile nell’istituto penitenziario di Poggioreale. L’uomo di cui non sono note le generalità, di origine sudamericana, era in attesa di giudizio e da pochi giorni aveva fatto il suo ingresso in carcere, con l’accusa di traffico di stupefacenti.

La notizia, diffusa dall’Associazione Antigone Napoli, è stata ricostruita attraverso più testimonianze. Non è stato però possibile risalire con certezza all’identità della vittima, la cui età è di circa 30-35 anni.

 

Associazione Antigone Napoli

Info: antigonenapoli@libero.it;

Perugia: esce dal carcere e muore nei bagni della stazione

 

www.quotidiano.net, 25 aprile 2007

 

La sua libertà è durata poche ore, quelle che hanno separato la sua uscita dal carcere dalla sua uscita dalla vita. Un trentatreenne originario di Benevento è stato infatti trovato morto nei bagni della stazione ferroviaria poco tempo dopo aver lasciato il carcere di Perugia. Secondo i primi accertamenti della polizia è probabile che alla causa della morte ci possa essere la droga. L’uomo era stato inquisito in passato per reati legati agli stupefacenti ed era noto agli investigatori come assuntore. Aveva lasciato il carcere verso le 17.30-18 con l’obbligo di presentarsi subito alla questura di Benevento, ma intorno alla mezzanotte il suo cadavere è stato ritrovato nei bagni della stazione. Sul luogo il personale della questura ha recuperato una siringa usata da poco. Gli accertamenti sono ancora in corso ma la polizia ritiene che la morte sia con ogni probabilità legata alla droga. Alla stazione sono intervenuti squadra volante, mobile e polizia scientifica.

Morire di carcere: dai lettori la notizia di altri due detenuti morti

Pubblichiamo queste brevi lettere che ci hanno fatto conoscere i "casi" di altri due detenuti morti nel mese di aprile: chiediamo ai lettori di aiutarci a raccogliere maggiori informazioni al riguardo. Grazie

 

Ristretti Orizzonti, 25 aprile 2007

 

"Nella casa circondariale S. Anna di Modena si è suicidato un detenuto originario del Marocco, di nome Driss Kermadi, di circa 40 anni. Lo hanno trovato il giorno 6 aprile scorso, poco dopo le 14, nella sua cella, riverso sul fornello del gas e con un sacchetto di plastica in testa".

 

Bologna, lettera firmata, 25 aprile 2007

 

"È il fratello del convivente di una signora che la Conferenza di San Vincenzo della mia Parrocchia aiuta… abbiamo saputo dalla vicina e dal marito della madre (anch’essa assistita). Quest’ultimo ci ha detto solo che è morto in carcere e che hanno fatto stanotte l’autopsia (il 16 aprile - n.d.r.), per stabilire di che cosa. Ma lui non ha avanzato ipotesi, nel senso che non ha avanzato l’ipotesti più ovvia (droga)..."

 

Cagliari, lettera firmata, 25 aprile 2007

Una funzione di controllo e aiuto nelle misure alternative

di Maria Rosaria Parruti (Magistrato di Sorveglianza - Pescara)

 

Ristretti Orizzonti, 25 aprile 2007

 

Ci si potrebbe porre questa domanda: l’assistente sociale che tratta il caso ad esempio, del singolo affidato, può esercitare contemporaneamente la funzione di controllo ed aiuto che il mandato istituzionale rimette alla sua competenza, ovvero l’assolvimento delle funzioni di solo aiuto gli impedisce una qualsiasi azione di controllo?

La distinzione delle due funzioni in realtà, riflette un modo astratto di considerare il problema: infatti, se si ha riguardo alla pratica operativa, risulta evidente che nei confronti di una persona che sia in difficoltà nell’esercitare un controllo efficiente sul proprio comportamento, (e che quindi va aiutata in primis nel rispetto delle prescrizioni, o meglio, a partire dal rispetto delle prescrizioni dettategli come condizione di libertà), l’aiuto offerto non può fare a meno di comprendere anche la verifica delle difficoltà che la persona ha in rapporto agli obblighi di comportamento assunti, e la valutazione dei problemi che vi sono connessi.

La prescrizione ed il suo controllo diventa occasione di approfondimento e di conoscenza del caso. Nel momento, cioè, in cui l’assistente sociale controlla qualcuno non può non farlo alla luce di quello che lui stesso è, e dunque analizzando le eventuali difficoltà a rispettare gli obblighi, fornendo dunque, in questo la sua professionalità specifica.

Ciò che conta dunque, è che tale controllo non si esaurisca nella contestazione dell’infrazione eventualmente commessa, ma rappresenti il punto di avvio o comunque una tappa di un percorso diretto a sostenere il condannato nel rispetto della realtà che lo riguarda e nella ricerca delle soluzioni più adatte.

Si comprende bene come in questa azione l’assistente sociale svolge un ruolo di grande significato, (controllo è anche quello di polizia ma dai contenuti tutti diversi) non solo per i contenuti tecnici che assicura nel corso del trattamento, ma anche per la possibilità che ha di comunicare una considerazione positiva nei confronti del condannato e delle sue capacità di "rilancio", sempre che questi affronti il programma trattamentale con autentica accettazione e rispetto.

A questo punto è bene tener presente la norma principe dell’esecuzione penale e cioè l’art. 27 della Cost. cui le singole misure vogliono dare attuazione, laddove chiarisce che le pene "tendono alla rieducazione del condannato". La pena nel comune sentire e spesso dagli stessi operatori penitenziari è vista come qualcosa di assolutamente e radicalmente negativo, nel quale non c’è nulla di positivo che vada salvato. La funzione della pena invece, nel nostro sistema non è pura retribuzione non si esaurisce nel puro contro bilanciamento di una colpa, ma deve tendere a mettere in moto la libertà del colpevole.

La norma usa il verbo "tendere", proprio perché la rieducazione non ha nulla di automatico, passa attraverso la libera decisione del colpevole ed è un percorso consapevole che il condannato se vuole, deve accettare ad al quale deve partecipare con tutta la sua libertà.

Si parla a proposito dei magistrati di sorveglianza di giudici che lavorano su una scommessa sul futuro… proprio perché c’è dentro, è in ballo tutto il rischio della libertà del condannato. (Capite che quando si parla di libertà è non soltanto di movimento, ma anche di scelta).

A questa funzione della pena occorre però, educare anche la società che spesso vede la sanzione come una giusta vendetta da applicare al colpevole, poiché non dobbiamo mai dimenticare come è stato autorevolmente detto (da Silvia Giacomoni) che il carcere e dunque la pena, è pena per certi gesti compiuti che non andavano compiuti, ma la persona non è mai tutta nei gesti che compie, buoni o cattivi che siano.

Occorre comprendere noi stessi e far comprendere poi alla società civile che questa attenzione al cambiamento ed all’emenda del colpevole non è solo nell’interesse del colpevole, ma è un’attenzione al bene comune, perché la società rieducando recupera un membro alla vita sociale, evitando così ulteriori devianze e costi futuri ed è bene anche per la persona offesa che nella solidarietà sociale e nel recupero del condannato può trovare solo ed adeguato risarcimento anche in termini di sicurezza sociale.

Fallace dunque, è in questo senso la contrapposizione tra rieducazione e prevenzione (la tutela del colpevole non è altra cosa rispetto alla tutela della vittima e della società intera): di solito pensiamo che il creditore dell’obbligo rieducativo sia il soggetto che ha commesso il reato, mentre il creditore principale dell’attività rieducativa è proprio la società, poiché dall’attività di rieducazione, seria effettiva ed adeguata, trarrà il beneficio della diminuzione del crimine.

Nel tempo si sono succedute disposizioni che hanno esteso la possibilità di accesso a misure extramurarie (proprio in attuazione di questa tendenza a negare l’afflittività della pena e ad uscire dal carcere): basti pensare alla legge Simeone che già dal 1998, che ha previsto che salvo il caso dei delitti più gravi e delle pene superiori a tre anni, la pena vada sospesa.

Disposizione in tal senso è stato il cosiddetto "indultino" previsto dalla legge 207 del 2003, così come la legge n. 49 del 2006 che ha previsto che il magistrato di sorveglianza possa concedere la sospensione della pena e l’affidamento in prova al servizio sociale in casi particolari a coloro che sono detenuti, prima e nelle more del giudizio innanzi al Tribunale di Sorveglianza, allargando peraltro, la possibilità di concessione della misura di cui all’art. 94 d.p.r. 309-90 anche a coloro che hanno un residuo pena di anni sei di reclusione per i reati cosiddetti non ostativi, a da ultimo nella stessa direzione è l’indulto concesso con legge n. 241 del 2006. Ma il problema non è tanto uscire a tutti costi dal carcere, ma è comprendere cosa è il carcere stesso e la sua funzione.

Dopo aver passato un po’ di ore in carcere o comunque a contatto con chi ha una pena da scontare, ci si rende conto che occorre in questo percorso innanzitutto, che il colpevole sia aiutato ad una presa di coscienza della colpa commessa, poiché è invece, normale sentire l’accaduto, il crimine commesso e la stessa espiazione come un’ingiustizia subita da altri (vittima del reato, giudice, operatori penitenziari, vita stessa).

Invece, solo la presa di coscienza della colpa può far rendere conto dell’errore commesso e della necessità di un cambiamento (lo si scorge in tutti coloro che si sono "rieducati"), e dunque disporre ad un’espiazione che sia percepita come tempo nel quale recuperare quanto con il crimine si è rotto o incrinato

Ed in secondo luogo, per dare vita e concretezza al nostro concetto di rieducazione, occorre accompagnare il condannato nel recupero dei suoi affetti e della sua capacità di impegnarsi attraverso il lavoro, peraltro così scarso e difficile da reperire, così da poter ritrovare il gusto di interagire con la realtà (tutte le attività di cosiddetto reinserimento sono volte a questo).

Non dimentichiamo infatti, che chi ha commesso un reato, sia contro il patrimonio che contro la persona, ha violato il rapporto corretto con il reale che dunque, deve essere aiutato a vivere, per un vero recupero e reinserimento nel tessuto sociale.

Dico queste cose, proprio perché è importante che coloro che entrano a contatto con il condannato ( operatori penitenziari o assistenti sociali o magistrati) concorrano nel favorire questa accettazione in primo luogo, della colpa commessa e dunque della giustizia dell’espiazione per una vera riappropriazione del reale e del suo senso. Rieducazione dunque, come presa di coscienza della assoluta necessità del cambiamento. Centrale dunque, è la necessità che il condannato incontri persone positive, impegnate nel loro ambito.

A questo fine, rispondendo alla domanda che ci siamo fatti, anzi appare a dir poco opportuno che le funzioni di controllo ed aiuto siano svolte in modo integrato da un unico operatore, poiché solo in un processo unitario del genere, il condannato può sperimentare come l’autorità che esercita il controllo non lo svolga in modo repressivo e formale, ma dimostrando nei fatti l’intenzione di fornire un aiuto di fronte alle difficoltà incontrate, a cominciare da quelle che sono determinate da una inadeguata capacità di autocontrollo rispetto alle prescrizioni da osservare.

L’attività di controllo dunque, non è mera rilevazione e contestazione dell’infrazione, ma costituisce anche un’occasione per vedersi in azione, e cercare possibili soluzioni, rispetto alle quali il condannato è chiamato ad assumere un atteggiamento costruttivo.

Polizia Penitenziaria: 9% degli agenti svolge attività improprie

 

Garante dei detenuti del Lazio, 25 aprile 2007

 

Impiegati amministrativi, autisti o, addirittura, baristi negli spacci interni. È questa la sorte (più o meno voluta) di circa 3.500 agenti di polizia penitenziaria, circa il 9% dei 41.500 agenti in servizio su tutto il territorio nazionale. Dovrebbero svolgere il loro lavoro a contatto con i detenuti e invece si trovano ad essere impiegati in mansioni che non sono quelle messe a base della loro assunzione, amministrativi o attività di ristorazione. La denuncia - più volte in passato sollevata anche dai sindacati di categoria - è stata rilanciata dal Garante dei Diritti dei Detenuti del Lazio, avvocato Angiolo Marroni.

Agenti di polizia penitenziaria sono distaccati al Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria e nei Provveditorati Regionali, al Ministero della Giustizia, alla Corte dei Conti, al Consiglio Superiore della Magistratura (Csm) e nei Tribunali di tutta Italia e non si riesce ad avere, tra l’altro, piante organiche chiare e carichi di lavoro del personale di polizia penitenziaria.

Oltre gli innumerevoli servizi istituzionali già affidati al corpo di polizia penitenziaria quelli che, da ultimo, il Dap vuole affidare agli operatori sono impieghi nei reparti Gom (Gruppi Operativi Mobili), Uspev (Ufficio Sicurezza Personale e Vigilanza), polizia investigativa ed esecuzione penale esterna. Nei prossimi giorni le organizzazioni sindacali del personale si incontreranno con l’amministrazione Penitenziaria per la discussione di tali intenti.

"A condizioni date, con riferimento agli organici esistenti, ci si domanda chi lavorerà negli istituti di pena", ha detto il Garante dei detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni.

Secondo gli ultimi dati, infatti, sul territorio nazionale il rapporto fra agenti e detenuti dovrebbe essere di 1 a 1. Ma, nella realtà dei fatti, le cose non stanno esattamente così. E fra malattie, ferie e turnazioni degli agenti a fare la differenza, come spesso sottolineato dai sindacati, è proprio il numero di agenti impiegato in attività che poco o nulla hanno a che fare con il mondo del carcere.

Il Garante dei detenuti Angiolo Marroni ha ricordato che questa situazione si riflette soprattutto sulla vita quotidiana del carcere. "Spesso ci siamo sentiti rispondere che non era possibile organizzare attività culturali e ricreative in carcere come corsi scolastici e di formazione professionale per mancanza di agenti - ha detto - Ma spesso ci sono difficoltà anche per far fare una telefonata ad un detenuto o per consentirgli di avere un colloquio. Una situazione, questa, che ovviamente danneggia pesantemente anche il resto degli agenti di polizia penitenziaria costretti spesso a turni di lavoro massacranti in un ambiente non facile come quello del carcere. E pensare che ci sono 3.500 agenti impegnati altrove. Mentre nel carcere di Cassino basterebbero solo 10 agenti in più per vivere una situazione di gran lunga migliore".

Benevento: intervista al direttore, dott. Liberato Guerriero

 

Il Quaderno, 25 aprile 2007

 

Entrare in una struttura penitenziaria ha, nell’immaginario collettivo, probabilmente, una sorta di indicibile attrazione. Recarvisi effettivamente, in quella beneventana, incute un po’ di timore che si accresce non appena l’agente di guardia chiede la consegna dei documenti per registrare l’entrata. Dopo i controlli di rito, il poliziotto fa strada.

Prima di giungere all’ufficio del direttore si attraversano giardini ben curati e la sensazione di disagio svanisce. Un’ampia stanza si apre a noi, richiamando l’attenzione con un pianoforte nel mezzo, assieme a un tavolo di vetro, con delle sedie in pelle. In fondo, una scrivania, dietro la quale ci aspetta un uomo di 45 anni, Liberato Guerriero, vestito in maniera informale, dall’aria gentile e riservata.

 

Quali sono le mansioni che svolge il direttore del carcere di Benevento?

Sono paragonabili a quelle d’un capo struttura. C’è l’area sicurezza, l’area educativa, quella sanitaria, l’area contabile e, infine, quella della segreteria. Io do le direttive a tutti i capo area, per il corretto funzionamento dei vari settori.

 

Quante persone vi lavorano?

Due psicologi, tre operatori dipendenti di ruolo e trecentoquaranta agenti.

 

Quanti detenuti può contenere la struttura?

Al massimo 460. Oggi ce ne sono 320. Benevento non è mai stato un carcere sovraffollato. Non abbiamo mai avuto più di due persone in una camera. Inoltre, c’è una sezione femminile, con 20 posti.

 

Qual è il criterio adottato per la suddivisione nelle camere?

Lo schema dell’istituto prevede una separazione in base al tipo di reato. La prima distinzione da fare è quella legata alla posizione giudiziaria, se una persona è stata giudicata o condannata: il soggetto in attesa di giudizio è un presunto innocente. C’è una separazione netta, disposta da circolari ministeriali, tra accusati e condannati per reati associativi, categoria di detenuti definiti di alta sicurezza che sono separati da tutti gli altri. Inoltre, c’è una separazione, sulla carta, tra imputati e condannati per i reati contro il patrimonio e quelli contro la persona.

 

Per quali reati la maggior parte di loro si trova nell’istituto penitenziario?

Maggiormente sono qui per rapina ed estorsione.

 

Come si svolge la giornata tipo di un detenuto?

Sveglia alle 7, con i primi controlli svolti dalla polizia penitenziaria. Alle 8 c’è la colazione e alle 9 si dà il via alle attività lavorative o ai corsi. Chi non ha impegni, dalle 9 alle 11, ha l’ora d’aria, il cosiddetto passeggio. In mattinata ci sono i colloqui con i familiari, operatori, psicologi e c’è chi va in udienza. Dalle 11:30 alle 12 pranzano. Alle 13 c’è nuovamente il passeggio, sino alle 15. La cena è alle 17,30. Dalle 18 alle 20 hanno l’attività in comune, dove possono stare insieme in una saletta. Dopo le 20 si ritorna in camera.

 

Quante visite di familiari possono ricevere?

C’è un calendario interno che regola il tutto. Ogni detenuto può avere dai 4 ai 6 colloqui mensili e una telefonata circa a settimana.

 

Ci sono delle strutture sportive?

C’è un campo di calcio dove ogni sezione si alterna, di giorno in giorno, per una partita di pallone. Abbiamo anche una sala per gli hobby dove i detenuti possono trascorrere del tempo.

 

Quali sono le attività di recupero che gli enti esterni, le istituzioni o associazioni, svolgono nel carcere?

In questo momento abbiamo appena finito la stagione 2005-2006 con i corsi di teatro e musica. Ora stanno per partire i corsi di formazione professionale, istituiti dallo specifico Settore della Regione Campania di Benevento. In più abbiamo due classi dove insegnano alcuni docenti dell’Istituto Alberghiero "Le Streghe".

 

Un buon rapporto con le istituzioni…

La Casa Circondariale di Capodimonte ha un’ottima intesa con gli enti, soprattutto con la Provincia di Benevento che si è fatta avanti. Ci ha finanziato nelle spese del settore sanitario, completando la strumentazione per la fisioterapia. Per l’attività psichiatrica ha finanziato dei corsi di formazione. Oltretutto, abbiamo firmato dei protocolli d’intesa per l’avviamento al lavoro dei detenuti, ma devo dire che finora, sotto questo aspetto, non abbiamo ancora ottenuto grandi risultati. Inoltre c’è una forma di compartecipazione con l’Asl. Una parte delle spese sanitarie è a carico dell’amministrazione penitenziaria mentre un’altra a carico dell’Asl. Questo è un fiore all’occhiello per il nostro istituto.

 

Nel penitenziario si sono verificati suicidi?

In tutti gli anni di attività c’è stato un solo suicidio nell’ottobre 2006, nonostante le meticolose attenzioni del personale. È un episodio che ci ha rattristato molto.

 

Durante la festa della polizia penitenziaria, ai microfoni del quaderno.it, ha valutato l’indulto come l’avvenimento più importante dell’anno. È ancora di questo parere?

Grazie all’indulto l’amministrazione penitenziaria sta vivendo un momento di tranquillità che gli permette di poter rivedere anche alcune punti critici della gestione. C’è una condizione di serenità che consente di guardare al futuro, con più possibilità di programmarlo, non inseguendo sempre le emergenze.

 

A breve lascerà il capoluogo sannita. Ci faccia un bilancio dell’esperienza vissuta, per sedici anni, qui a Benevento…

Dal punto di vista professionale posso dire che sono nato a Benevento. Quando sono arrivato ho trovato una struttura organizzata, dove tutti i ruoli degli operatori erano chiaramente definiti. C’era un corretto rapporto tra detenuti e agenti e questo è per un istituto penitenziario l’aspetto più importante.

 

Cosa intende per un corretto rapporto?

Un agente deve svolgere il suo lavoro nel rispetto delle regole, non imponendo la ragione della forza ma la forza della ragione. Si deve ottenere il rispetto delle regole non intimorendo i detenuti, ma facendo comprendere loro la giustezza di esse. Insomma, quella di Benevento è stata un’esperienza qualificante che ha consentito una crescita professionale positiva e serena.

 

Presto assumerà la direzione del Centro penitenziario di Napoli Secondigliano. Cosa l’attende?

Sinceramente non so cosa troverò. Parliamo di una struttura molto più grande rispetto a Benevento. Qui ci sono 370 dipendenti, a Secondigliano ce ne sono più di mille. Stesso discorso per i detenuti. Prima dell’indulto nell’istituto beneventano siamo arrivati ad un massimo di 470, a Napoli ce ne sono circa 1.500.

 

Il 19 aprile a dirigere della Casa Circondariale di contrada Capodimonte arriverà Maria Luisa Palma, ora dirigente dell’istituto di pena di Lauro e della sezione femminile di Pozzuoli. Vuol fare un augurio al suo successore?

La direttrice che sta per arrivare vanta una lunga esperienza. È una persona attenta e brava a stabilire le relazioni con il territorio. Per questo motivo credo che ci sarà una continuità importante con il mio operato. Mi auguro che conservi questo patrimonio di serenità, la serenità dell’ambiente lavorativo.

Ascoli: 22enne guidava ubriaco, investe e uccide 4 ragazzi

 

Corriere Adriatico, 25 aprile 2007

 

Marco Ahmetovic, 22 anni il giovane arrestato per avere falciato con il suo Fiat Ducato cinque ragazzi, di cui quattro sono morti, è indagato nell’inchiesta aperta dalla Procura di Ascoli per omicidio colposo plurimo con l’aggravante della guida in stato di ebbrezza. Inoltre dovrà rispondere di resistenza a pubblico ufficiale.

Lo slavo rischia fino a 20 anni di carcere sommando il massimo della pena per ciascun reato. Il ragazzo Rom, clandestino dal gennaio del 2006 è stato piantonato in una stanza del reparto di urologia dell’ospedale Mazzoni per tutta la notte tra lunedì e martedì. Poi, ieri alle 12.30 il 22enne di origini slave è stato consegnato agli agenti della Polizia Penitenziaria e trasferito nell’infermeria del carcere di Marino del Tronto.

Il giovane, il cui permesso di soggiorno è scaduto dal gennaio 2006, è sotto sedativi da 24 ore. Questa mattina andrà in cella, probabilmente nella " zona filtro" del Supercarcere, quindi non a contatto con altri detenuti. Poi potrà incontrare il suo legale per concordare una linea difensiva che appare molto difficile fin dalle prime battute dell’inchiesta a suo carico. Ma per Ahmetovic la giornata decisiva sarà quella di domani quando è prevista l’udienza di convalida dell’arresto davanti a giudice per le indagini preliminari Annalisa Gianfelice.

In quella sede i ragazzo Rom sarà interrogato dal Gip e dal pubblico ministero Carmine Pirozzoli, titolare dell’inchiesta sulla tragedia di Appignano del Tronto. È ancora presto per capire se il 22enne slavo resterà dietro le sbarre, ma è ipotizzabile che non verranno adottati provvedimenti alternativi sia per motivi di ordine sociale e sia perché Ahmetovic non potrà beneficiare degli arresti domiciliari visto che una casa non ce l’ha più. I componenti della sua comunità infatti si sono dati alla fuga nella notte, abbandonando stracci e stoviglie, per paura di pesanti ritorsioni. Si potrebbe optare per una destinazione "segreta" in attesa del processo, ma sembra scontato che, per ora, il giovane Rom resterà in carcere. Fondamentali saranno anche le risultanze dei rilievi effettuati dai carabinieri sulla dinamica del gravissimo incidente stradale. L’indagato dovrà rispondere anche di resistenza alle forze dell’ordine. Lo stesso slavo ha dato in escandescenze anche in ospedale subito dopo il ricovero. E proprio al Mazzoni che il giovane ha dovuto affrontare lo sguardo e l’ira di un dei parenti delle vittime. Poi, bloccato da due agenti, è stato sedato.

Intanto ieri il medico legale Claudio Cacaci, nominato dalla Procura di Ascoli, ha effettuato gli esami esterni sui corpi straziati delle giovani vittime. Su di loro i segni del terribile impatto, ma anche gravi ustioni. Queste ultime sarebbero dovute alle fiamme scaturite dai serbatoi dei motorini nell’impatto col furgone guidato dal giovane Rom. Tre ore di lavoro nell’obitorio dell’ospedale civile, poi cacaci ha riferito i risultati di quegli esami al magistrato al quale consegnerà un dettagliato rapporto nei prossimi giorni.

Usa: detenuti in rivolta in un penitenziario dell’Indiana

 

Ansa, 25 aprile 2007

 

Una rivolta generalizzata è esplosa nel penitenziario di New Castle, un centro di media sicurezza nello Stato dell’Indiana, dove i detenuti hanno appiccato incendi e tentato di abbattere una recinzione. Stando a quanto riferito da fonti ufficiali, almeno due guardie sono rimaste ferite. "Certo non è possibile che non vi siano feriti quando esplode una rivolta generalizzata", ha detto il sindaco Tom Nipp in un’intervista a Fox News. Tutti gli uomini di polizia disponibili sono stati inviati sul posto. Gli agenti hanno fatto ricorso a idranti e gas lacrimogeno per disperdere i più "facinorosi" ed è stato disposto un rigido cordone di sicurezza per prevenire evasioni. Il penitenziario, di proprietà pubblica ma gestito da privati, ospita attualmente mille detenuti dell’Indiana; altri 630 circa sono stati trasferiti dall’Arizona nell’ambito di un programma avviato il mese scorso. Alla rivolta partecipano i due gruppi di detenuti.

 

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