Rassegna stampa 23 agosto

 

Giustizia: carceri stanno tornando piene come prima dell’indulto

di Patrizio Gonnella (Presidente dell’Associazione Antigone)

 

Italia Oggi, 23 agosto 2007

 

Sono 43.957 i detenuti alla data del 30 giugno 2007. Poche centinaia di persone in più rispetto ai posti letto regolamentari, i quali sono 43.140. Compare nelle statistiche dell’amministrazione penitenziaria nuovamente il dato della capienza tollerabile, che sarebbe pari a 63.308 posti. Un dato da più parti legittimamente contestato in quanto non ancorato a parametri certi (numero di metri quadri a disposizione per ciascun detenuto) bensì a valutazioni discrezionali delle singole direzioni.

1.401 sono gli internati che stanno scontando una misura di sicurezza in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura e custodia. Il totale della popolazione detenuta raggiungeva la quota di 61.264 persone lo scorso 30 giugno 2006. Nel mezzo c’è stato l’indulto che ha scarcerato oltre 25 mila persone. A settembre 2006 si era giunti al numero minimo di 33.326.

In 10 mesi i detenuti sono cresciuti di 5.631 unità. Se il trend di crescita dovesse essere rispettato, tra due anni e mezzo ci ritroveremo più o meno alla situazione pre-indulto che così avrà avuto una efficacia deflativa per un periodo di tre anni e mezzo, ossia un lasso di tempo di poco inferiore a quello di una legislatura parlamentare.

Oggi sono 25.514 i detenuti in attesa di giudizio. Questo dato numerico ricomprende gli imputati, gli appellanti e i ricorrenti. Ciò significa che la percentuale totale di coloro che sono in attesa di sentenza definitiva è pari addirittura al 58,04%. Circa tre detenuti su cinque sono quindi presunti innocenti in stato di custodia cautelare.

Questo dato è sicuramente l’effetto dell’indulto che ha inciso scarsamente sui processi in corso. Le donne sono 1.922, pari al 4,3% del totale. La percentuale è rimasta più o meno invariata durante quest’anno. La regione con il più alto numero di detenuti è la Lombardia con 7.233 reclusi. Seguono la Campania con 5.803 e il Lazio con 4.418. Le regioni con meno detenuti sono la Valle d’Aosta con 141, il Trentino-Alto Adige con 229 e la Basilicata con 307. I detenuti stranieri sono 15.658. Sono aumentati di circa 2 mila unità dall’inizio del 2007. 6.410 sono gli europei, di cui 3.167 dell’area Ue, una percentuale pari a circa un quinto del totale dei detenuti non italiani.

7.531 sono gli africani, 759 gli asiatici, 929 gli americani. Il totale degli stranieri è pari al 35,62%. In alcune realtà penitenziarie queste percentuali sono ovviamente ben più alte. A Perugia e ad Alessandria sono intorno al 73-74%. A Trieste raggiungono il 69 e a Imperia il 68%. Al Marassi di Genova e a Busto Arsizio superano il 66%. A Firenze Sollicciano sfiorano il 65%.

Poi ci sono realtà carcerarie dove invece gli stranieri reclusi sono presenti in misura ridottissima, specialmente al Sud. A Sala Consilina in Campania su 26 detenuti e a Giarre in Sicilia su 13 non c’è neanche uno straniero. La regione che ha il maggior numero di stranieri detenuti è la Lombardia con 3.488. Poi vi sono il Lazio con 1.958 e il Piemonte con 1.735.

Il Molise è la regione con il minor numero di stranieri reclusi pari a soli 22. Le etnie più rappresentate nelle carceri italiane sono i marocchini con 3.326 unità, i rumeni con 2.267, gli albanesi con 1.929, i tunisini con 1.564. Rispetto al totale elevato delle presenze in Italia di immigrati regolari emerge come sia bassissimo il numero dei filippini, pari a soli 32 detenuti, di cui quattro donne. Da segnalare la presenza di 11 statunitensi, 71 iracheni e quattro afgani.

Giustizia: un progetto di reinserimento lavorativo per gli indultati

 

Italia Oggi, 23 agosto 2007

 

Lavoro per i detenuti che hanno beneficiato dell’indulto. Sono state otto le assunzioni e 134 i tirocini che sono stati avviati nell’arco di poco più di due mesi, a un anno dall’entrata in vigore della legge che ha previsto uno sconto di pena di tre anni per i reati commessi fino al 2 maggio 2006, per effetto del progetto promosso dai ministeri del lavoro e della giustizia, con l’assistenza tecnica dell’agenzia governativa Italia Lavoro.

Il progetto, nato per favorire il reinserimento nel mondo dell’occupazione di ex detenuti che hanno usufruito della norma, si chiama "Lavoro nell’inclusione sociale dei detenuti beneficiari dell’indulto" ed è partito, con i primi tirocini, a giugno. L’obiettivo è quello di raggiungere una platea di circa 2 mila beneficiari dell’indulto in 14 aree metropolitane: Torino, Milano, Genova, Venezia, Trieste, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli, Cagliari, Palermo, Catania, Messina.

Già nella prima fase, quella appunto partita nel mese di giugno, a fronte di 109 aziende che hanno espresso la propria disponibilità a impegnare un ex detenuto, le persone che hanno avanzato la propria autocandidatura a un posto, fra gli indultati, sono state 267. E per la fine di questo mese si prevede l’avvio di altri 24 tirocini, di cui attualmente si stanno definendo le pratiche.

Proprio in questi giorni sono usciti i bandi con cui le aziende interessate ad accogliere una o più persone indultate possono manifestare la propria disponibilità. I bandi, che resteranno aperti fino al 15 dicembre, sono reperibili sul portale di Italia Lavoro (www.italialavoro.it), nella sezione "Bandi e avvisi".

Il progetto, che punta a migliorare le competenze delle persone uscite dal carcere attraverso tirocini formativi di quattro o sei mesi, prevede misure di sostegno al reddito per i beneficiari, ma anche incentivi economici per le aziende coinvolte. I beneficiari, seguiti da un tutor durante tutto il percorso, ottengono, infatti, un sostegno al reddito di 2.700 euro (450 euro al mese per un massimo di 6 mesi o 675 euro al mese per un massimo di 4 mesi).

Ma anche le aziende che decidono di assumere i tirocinanti ricevono un contributo di 1.000 euro per le attività di formazione. Il progetto "Indulto" rappresenta anche un’occasione per favorire la qualificazione dei servizi pubblici e privati per l’inclusione sociale e lavorativa delle persone detenute ed ex detenute e per promuovere politiche di occupazione e di sostegno al reddito.

Giustizia: ecco perché la sentenza penale in Italia è svalutata

 

www.radiocarcere.com, 23 agosto 2007

 

L’arrivo della sera non è di particolare sollievo. Il ponentino è solo un lontano ricordo. Quella che una volta era una fresca brezza, ora s’infrange contro i milioni di metri cubi edificati a sud di Roma. Piazza Cavour arde. Il Palazzaccio, con le sue imponenti mura, assicura al suo interno una temperatura quasi accettabile. Scendo le scale che congiungono l’edificio alla piazza. Sento una voce alle mie spalle: "ancora frequenti questi ameni luoghi". Mi giro sorrido e inizio a chiacchierare.

Lui, un finanziere che ha avuto problemi con la giustizia. L’accusa bancarotta. Dopo una decina di anni di processo il giudice esausto lo ha prosciolto. Oggi, ha costruito un operazione di centinaia di milioni di euro finanziata da un istituto bancario francese. I dirigenti, venuti a conoscenza dei trascorsi giudiziari, hanno voluto incontrarlo per dei chiarimenti. Hanno chiesto di portare alcuni documenti.

Lui si è presentato con la sua bella sentenza di proscioglimento. I francesi hanno sorriso ed hanno chiesto altro. Stupito ha ripetuto che il tutto si era oramai concluso dopo un lungo processo con una sentenza di assoluzione. I francesi da par loro gli hanno gentilmente fatto presente che il nostro sistema produce sentenze di condanna e di assoluzione che non hanno un grosso valore.

Il racconto dapprima mi fa sorridere, poi amaramente cedo al fatto che la conclusione dei transalpini non si può del tutto biasimare e che soprattutto coincide con il sentire comune. Sentenze di condanna e di assoluzione lasciano il tempo che trovano. Giungono dopo decenni e attraverso percorsi accidentati che non gli attribuiscono una certificazione di qualità. Paradossalmente maggiore valore viene riservato all’articolo di stampa, alla campagna mass mediatica, generata dall’azione giudiziaria.

La giustizia viene guardata con distacco. Davanti a una realtà a dir poco caotica si è radicato un sentimento di smarrimento. La classe dirigente del Paese è quasi totalmente interessata da provvedimenti giudiziari. Pochi non hanno avuto il piacere di essere stati raggiunti da un avviso di garanzia o di essere stati iscritti nel registro degli indagati. I più fortunati sono stati condannati. Nessuno di questi varca però i portoni delle case custodiali per scontare una pena. Lo fa eventualmente in quella fase difficile da comprendere che viene denominata cautelare.

È lapalissiano il processo all’Avvocato dell’ex Presidente del consiglio. Passato attraverso ogni tipo di forca caudina, tanto da fra temere che mai arrivasse la termine, ha prodotto condanne per svariati anni di carcere, ai quali fanno da pendant pochi giorni effettivamente trascorsi in quei luoghi ameni. La dea della giustizia ha smesso i suoi panni ed ha indossato quelli della fortuna: completamente cieca.

Disparità di trattamento sono all’ordine del giorno. Non è raro che coimputati nello stesso processo abbiano trattamenti radicalmente diversi. Le norme penali e processuali sono, a dir poco, bistrattate, strumentalizzate per fini che non le sono proprie. Il centro del sistema è costituito da custodia cautelare ed intercettazioni. Intorno ad esse tutto ruota. L’associazione a delinquere è un reato che trova una applicazione dilagante.

Il motivo: utile a giustificare intercettazioni e custodia cautelare. Motivazioni di stile colmano l’assenza dei presupposti di questi provvedimenti. Strumenti di cui d’altronde il sistema non può fare a meno. L’abuso dei quali sembra essere oramai l’unico modo per giungere alla scoperta di un reato e non solo. L’indagine sul fatto reato è stata affiancata da quella sulla vita di un singolo o su di una azienda.

Il giudizio, poi, non è inerente solo alla illiceità penale, ma si estende illegittimamente anche alla correttezza morale. Il giudice censore. Facile comprendere la perdita di credibilità della giustizia. Difficile capire perché ne abbiano contezza i vicini transalpini e non gli operatori del settore. Presi dall’accapigliarsi sul se un avvocato possa fare parte di un consiglio giudiziario e se un giudice al momento di cambiare funzione debba cambiare distretto o regione. Questioni rilevanti sicuramente, ma che al momento dovrebbero passare in secondo piano.

Sicurezza: Barbagli; i media danno spesso immagine sbagliata

 

Il Mattino di Padova, 23 agosto 2007

 

C’è l’insicurezza reale, quella che appartiene all’esperienza quotidiana, e che il drammatico episodio di Treviso ripropone con forza. E c’è quella percepita, legata alla rappresentazione dei mass media, che fa sembrare il problema più grave di quanto non sia. Ma in realtà lo scarto tra le due è di gran lunga inferiore a quel che comunemente si pensi, e anche al quadro che risulta dalle statistiche ufficiali: a segnalarlo è uno dei massimi esperti italiani del settore, Marzio Barbagli, docente di Sociologia all’università di Bologna, responsabile scientifico del Rapporto 2007 sulla criminalità presentato pochi mesi fa dal ministero degli Interni.

Com’è possibile che ci siano dati così diversi? Intanto, spiega Barbagli, l’ultimo governo Berlusconi aveva di fatto bloccato la divulgazione dei dati sui reati, e ci si limitava a un rapportino di una trentina di pagine (quello 2007 ne ha 500...) alquanto sommario.

In secondo luogo, per valutare l’andamento della criminalità, c’è chi si limita al raffronto con l’ultimo paio d’anni, e chi invece esamina le tendenze di medio e lungo periodo. Barbagli appartiene a questa seconda scuola; ed è proprio analizzando un arco di tempo sufficientemente ampio che viene fuori un aspetto assolutamente preoccupante, legato ai furti e alle rapine: "Considerando il numero dei furti, si rileva uno dei livelli più alti raggiunti nella storia dell’ultimo mezzo secolo, anche se per motivi spiegabili a seconda dei diversi tipi di furto".

Ancor peggiore è il dato relativo alle rapine: "L’aspetto preoccupante, rispetto al quale non esiste una piena consapevolezza dell’andamento di questo fenomeno, è il loro continuo, straordinario e impressionante aumento. Abbiamo oggi circa 50mila rapine denunciate: il che significa, solo per questo reato e non per altri, che il numero delle rapine commesse all’interno del nostro Paese è stimabile in circa 90mila nel 2006". Anche solo limitandosi a quelle denunciate, va segnalato che nel 1980 erano state 9.400: significa un tasso di rapine cinque volte più alto di venticinque anni fa.

Diminuisce per contro sensibilmente l’andamento degli omicidi: "Oggi in Italia si rileva il tasso più basso mai registrato nel Paese negli ultimi secoli, livello raggiunto per un breve periodo di tempo solamente negli anni Sessanta. Questo avviene dopo che l’andamento del tasso di omicidi aveva toccato il picco nel 1991, come avvenuto anche in altri Paesi europei, non sempre per gli stessi motivi. Rispetto ad allora, oggi si rileva un terzo degli omicidi".

Rimane tuttavia la pesante realtà di furti e rapine che, osserva Barbagli, incide sul grado e sul senso di insicurezza. A proposito dei quali, annota lo studioso, occorre fare una distinzione tra la paura individuale di subire un reato e la preoccupazione sociale riguardante la diffusione della criminalità.

Dai dati rilevati, la prima risulta sostanzialmente costante, dopo aver conosciuto un aumento tra l’inizio anni Settanta e la fine del secolo. C’è piuttosto un diffuso senso di insicurezza: su cui, sottolinea Barbagli, assieme alla presenza di un alto numero di reati e in particolare appunto di rapine, influisce anche "il cosiddetto degrado, concernente l’insieme di comportamenti che viola le norme condivise riguardanti l’uso degli spazi pubblici, ovvero i segni di inciviltà sociali e fisici. I dati in nostro possesso mostrano l’aumento del degrado dei grandi centri urbani italiani".

Un altro aspetto interessante dell’intervento dell’esperto alla Camera riguarda il dibattito sulla consistenza delle forze dell’ordine. Davvero in Italia sono poche, come ha appena sottolineato a seguito dei fatti di Treviso la senatrice Rubinato, e come hanno ribadito mesi fa diversi sindaci trevigiani al sottosegretario agli Interni Rosato?

In realtà, spiega Barbagli, in Francia c’è "una sostanziale eguaglianza di dimensioni e di consistenza"; e in alcuni Stati europei come Inghilterra, Danimarca e Svizzera, il numero di poliziotti è minore che in Italia. Dove sta allora il problema? Nel diverso peso del personale civile per le attività amministrative e di supporto registrato in Italia, e anche nelle diverse funzioni svolte dalle forze di polizia: ad esempio, da noi, a differenza di altri Paesi, esse devono occuparsi anche dell’ordine negli stadi.

Ma soprattutto, non si tiene conto dei mutamenti avvenuti negli ultimi venti - trent’anni: "In questo periodo di tempo, a fronte di un fortissimo incremento di alcuni aspetti della criminalità, si è riscontrato un assai minore incremento del numero degli effettivi di Polizia e Carabinieri. Nello stesso tempo alcune funzioni, quali quelle puramente amministrative, vengono svolte dalle forze di polizia".

Da sottolineare, infine, la non omogenea dislocazione delle risorse sul territorio, dove esistono località in espansione che rimangono scoperte, e per contro piccoli centri ormai svuotati dove invece rimangono la stazione dei carabinieri o la presenza della polizia: "Ma nonostante la piena consapevolezza di questa non ottimale distribuzione, nessun mutamento è stato tentato, a causa delle resistenze della popolazione e dei sindacati delle forze di polizia". La criminalità ringrazia.

Calabria: il "carcere che lavora", la grande sfida di Quattrone

 

Gazzetta del Sud, 23 agosto 2007

 

La sfida di Paolo Quadrone. Da quando nel 2003 è divenuto Provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria ha avviato iniziative per migliorare gli undici istituti calabresi e puntare decisamente al recupero dei detenuti. L’Amministrazione Penitenziaria ha puntato ad essere "competitiva" alla la criminalità organizzata che attira soprattutto i giovani offrendo opportunità di guadagno e quando loro finiscono nei guai si preoccupa di aiutare le famiglie. Approfittando delle lacune delle Istituzioni, insomma, la ‘ndrangheta si propone come una sorta di Staio sociale alternativo.

Paolo Quadrone ha scelto progetti che avevano ella base l’orientamento verso percorsi di legalità. I risultati del lavoro fatto dal Provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria sono sotto gli occhi di tutti, e non è un caso che nei giorni scorsi il Prefetto Luigi De Sena, salutando gli operatori del carcere di Reggio, abbia avuto parole di elogio per Quattrone e il suo staff.

De Sena ha sottolineato le difficoltà incontrare nel portare avanti un’azione così importante ricordando come chi vuole rinnovare un sistema incontra boicottaggi e resistenze anche all’interno dell’amministrazione in cui opera. "Da Roma - ha assicurato il nuovo vicecapo vicario della Polizia - continuerò a seguire il lavoro di Quattrone e me ne farò garante con l’Amministrazione".

Nel cinque anni della sua gestione Paolo Quattrone ha rivoluzionato il mondo carcerario. Appena arrivato ha lanciato il progetto "Athena" e nelle carceri calabresi si è quintuplicato il numero dei detenuti che lavorano Con le sue iniziative il provveditore ho reso più vivibili gli istituti di pana, avviando attività scolastiche e di recupero. Ma anche attivato conti di formazione professionale e percorsi di inserimento lavorativo in tutti gli Istituti.

"Il fiore all’occhiello della gestione Quattrone, ricorda Mario Nasone, uno del più stretti collaboratori del Provveditore è la sperimentazione avviata (per la prima volta In Italia) a Laureana di Borrello con i giovani sottratti alle carceri ordinarie e che stanno facendo un percorso in una sorta di Comunità di recupero. La struttura del Centro della Piana di Gioia Tauro, secondo l’associazione Antigone; dopo Bollate, in provincia di Milano, è la migliore a livello nazionale".

E poi ci sono le convenzioni ratte con la Regione e i Comuni, per dare al detenuti la possibilità di lavorare. In particolare con la Regione è stato varato il progetto "Il carcere che lavora", con l’attivazione di attività in tutti gli undici istituti.

"Da ricordare - prosegue Nasone - il progetta "Aurora", per l’inserimento lavorativo di soggetti usciti con l’indulto. E ancora borse lavoro work-experience, con la finalità di offrire ai più giovani alternative ai percorsi criminali. In autunno, inoltre, partirà la seconda fase del progetto "Athena" che abbraccerà i prossimi cinque anni con obiettivi ambiziosi, per raggiungere la quasi totalità dell’occupazione della popolazione carceraria".

In tutti gli undici istituti penitenziari calabresi partiranno corsi di formazione professionale per dare una qualifica che favorisca l’inserimento lavorativo. Il presidente Loiero, infine, ha delegato un funzionario per avviare un Osservatorio regionale sulla condizione penitenziaria, come previsto dal protocollo d’intesa, una sorta di cabina di regia di tutto quanto verrà fatto nei prossimi anni.

Ad esaltare il lavoro svolto fin qui dal Provveditore Quattrone, anche il mondo della politica I senatori Iovene, Massimo Brutti, Casson, Di Lello, Fuda, Sinisi e Villecco Calipari, in un’interrogazione parlamentare, evidenziano i progressi fatti negli ultimi cinque anni dal sistema penitenziario calabrese "quasi completamente rinnovato, risanato e portato a elevati livelli di efficienza", chiedono al ministro della Giustizia, Clemente Mastella, come "intenda salvaguardare e continuare, rafforzandola, l’azione di rinnovamento e risanamento dal sistema penitenziario calabrese avviata negli ultimi anni" e "se non si ritenga di intervenire per porre fine a tutte quelle "azioni tese a impedire o boicottare il cambiamento, riportando indietro la situazione carceraria calabrese".

Così come deputati Iole Santelli, di Forza Italia, ex sottosegretario alla Giustizia, ai diessini Giuseppe Lumia e Marilina Intrieri che, denunciando resistenze e boicottaggi, chiedono anche loro al ministro Mastella di sostenere adeguatamente l’azione del Provveditore Paolo Quattrone.

Cremona: un bando del Comune per il sostegno ai detenuti

 

La provincia di Cremona, 23 agosto 2007

 

Nella concezione più diffusa il carcere viene visto come strumento di pena fine a se stessa.

Mentre lo scopo reale dovrebbe essere quello della riabilitazione. A questo proposito il Comune di Cremona ha approvato il bando per l’erogazione di contributi a sostegno di progetti di prevenzione, recupero e reinserimento delle persone in esecuzione penale (ai sensi della Legge Regionale 8/2005) per il biennio 2007/2008.

Il progetto in questione, denominato "Per una rete di accoglienza nel Distretto di Cremona", è stato elaborato specificatamente con riferimento al macro obiettivo n. 4, indicato dal bando, "Verso una rete di accoglienza", che prevede azioni di sostegno dello sviluppo di reti di accompagnamento abitativo e accompagnamento educativo dei detenuti stessi. In sostanza si tratta di reinserire i detenuti nella società civile, trovando loro un’attività lavorativa, e rieducandoli ad una convivenza sociale.

L’articolazione progettuale è volta a superare situazioni di emergenza e si pone come obiettivo generale la costruzione di una rete di interventi per affrontare diverse situazioni di reinserimento sociale dei detenuti cremonesi, con particolare attenzione al problema abitativo, attraverso la cooperazione tra istituzioni e privato sociale.

Tali interventi, rivolti a soggetti socialmente deboli, associano ad un percorso di accompagnamento educativo un sostengo per facilitare l’accesso al mercato degli alloggi per chi difficilmente è in grado di risolvere il problema abitativo in modo autonomo.

Destinatari degli interventi di reinserimento sociale sono, pertanto, persone in esecuzione penale esterna alla Casa Circondariale di Cremona o libere ma che possono accedere a misure alternative, detenuti nella Casa Circondariale di Cremona, ammessi o ammissibili al lavoro esterno o a misure alternative, detenuti in altre carceri residenti nei Comuni del distretto di Cremona, ammessi o ammissibili all’affidamento al servizio sociale, ex detenuti residenti nei Comuni del Distretto di Cremona.

I cittadini extracomunitari oltre ad avere i requisiti sopra elencati devono anche essere in possesso di regolare permesso di soggiorno e non essere soggetti ad espulsione a fine pena. L’articolazione progettuale ruota lungo tre direttrici di bisogno sociale: orientamento, accompagnamento, inserimento lavorativo; accoglienza abitativa temporanea; accompagnamento socio - educativo.

I costi preventivati del progetto, della durata massima di due anni, sono stimati in 147.360. Sono comprensivi della quota di cofinanziamento complessiva, indicata dal bando non inferiore al 30%, pari a 50.320 (34,1% del costo complessivo del progetto), stanziata dai diversi enti in partnership al progetto.

Caserta: ex detenuto denuncia sindaco per presunti favoritismi

 

Il Mattino, 23 agosto 2007

 

Nel suo curriculum criminale anche presunte origini "importanti": Giuseppe Uccello sostiene di essere figlio del bandito Salvatore Giuliano, che non lo avrebbe mai riconosciuto. Uccello è promotore oggi di una singolare iniziativa giudiziaria: ex detenuto, beneficiario della normativa sull’indulto, l’uomo ha denunciato il sindaco di Santa Maria Vico (Caserta), per essere stato retrocesso di cinque posizioni nella graduatoria del servizio civico.

Rimesso in libertà nell’agosto scorso, Uccello dovrebbe infatti scontare la pena collaborando con i servizi sociali del Comune. L’ex detenuto, che negli anni scorsi ha condiviso la cella di diversi penitenziari con noti boss non solo campani, contesta al Comune fra l’altro di non attivare adeguate politiche di reinserimento degli ex reclusi (bandi, borse di lavoro, sussidi etc.): misure generalmente attivate da altre amministrazioni, sostiene Uccello, in linea invece con quanto previsto dalla legge.

Aiutato attualmente dalla Caritas locale, l’ex carcerato contesta in particolare il ritardo dell’amministrazione comunale negli adempimenti burocratici relativi alla graduatoria: una circostanza che avrebbe portato alla scadenza dei termini per la presentazione della sua domanda. Dopo essere stato inserito in una nuova graduatoria dei servizi sociali, Uccello si è ritrovato declassato di cinque posizioni, in appena trenta giorni. Di qui, la denuncia presentata ai carabinieri. Il sindaco Adriano Telese e l’assessore al ramo, dal canto loro, si dicono tranquilli di aver agito nel rispetto della legge.

Messina: taglia gli ormeggi a yacht con Mastella, già condannato

 

Il Tempo, 23 agosto 2007

 

È stato condannato a due anni e mezzo dal giudice monocratico di Lipari e al pagamento delle spese processuali Alfonso Stramandino, accusato di aver tagliato le cime dello yacht di Diego Della Valle, mentre era ormeggiato nel porto di Sottomonastero a Lipari, domenica notte. Sull’imbarcazione si trovava anche il ministro della Giustizia Mastella.

Nonostante le cattive condizioni meteorologiche Stramandino, 38 anni, originario di Barcellona Pozzo di Gotto, è stato trasferito nel porto di Milazzo a bordo di una motovedetta. Ad attenderlo c’era una pattuglia dei carabinieri che l’ha scortato in carcere. L’uomo, pregiudicato, è stato condannato per danneggiamento, tentato naufragio, oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. Dopo aver tagliato i cavi di ormeggio dello yacht di 65 metri, ha dato una testata al carabiniere in servizio al porto.

Il militare trasportato in ospedale guarirà in 7 giorni. Benché liberato dall’ormeggio, lo yacht non è andato alla deriva perché anche l’ancora era stata calata dall’equipaggio, che ha comunque rapidamente provveduto ad assicurare nuovamente le cime. Alcune ore prima, Stramandino si sarebbe presentato all’Ufficio circondariale marittimo per lamentare presunti favoritismi nella sistemazione in porto del panfilo.

Livorno: nomade 22enne evade dopo il parto in un ospedale

 

Ansa, 23 agosto 2007

 

Una nomade di origine slava doveva restare in carcere nonostante fosse incinta per la terza volta perché a 22 anni di età aveva all’attivo ben 55 denunce per furto con condanne complessive a più di 9 anni: ma le è stato concesso di andare a partorire in ospedale ed una volta diventata mamma è fuggita di nuovo con il figlio neonato. È successo a Livorno, dove la donna era detenuta su disposizione della magistratura di Bolzano. In passato la giovane, con due gravidanze, era riuscita ad evitare gran parte della detenzione. Questa volta, alla terza gravidanza, pareva proprio che per lei non ci fosse scampo perché il Tribunale del riesame di Bolzano, presieduto da Edoardo Mori, a cui i legali della donna si erano rivolti perché ancora incinta, aveva respinto la richiesta di scarcerazione. La donna poteva essere solamente ricoverata in ospedale per partorire ma poi doveva rientrare in cella con il bimbo da allattare ma, dopo il parto è riuscita a dileguarsi con il neonato.

Immigrazione: Amato; il Mediterraneo è un mare di cadaveri

 

La Repubblica, 23 agosto 2007

 

I Mediterraneo è sempre più un mare di cadaveri, solo dei criminali possono organizzare viaggi del genere". Così il ministro dell’Interno, Giuliano Amato, dopo le ultime stragi di immigrati e la testimonianza di un immigrato salvato martedì pomeriggio nelle acque a sud di Lampedusa: l’uomo ha raccontato di aver viaggiato su un gommone, con altre 45 persone a bordo, che si è capovolto nel mare. Amato ha sottolineato: "Finiremo per assumere responsabilità gravi anche noi Governi se non adotteremo tutte le iniziative e le intese per forme più efficaci di controllo e di pattugliamento dei luoghi di partenza".

La nuova tragedia avvenuta in mare, raccontata dalle parole dell’extracomunitario sopravvissuto, è cominciata in Libia. Il naufragio ci sarebbe stato lunedì. "Eravamo 46. Tra noi c’era anche una donna, che è annegata. Siamo partiti dal porto di Al Zwara. Il gommone si è ribaltato e siamo caduti in acqua. Sono rimasto a galla per più di 12 ore aggrappato ad una tavola". Questa la drammatica storia dell’immigrato, soccorso dall’equipaggio di un peschereccio, l’Ofelia", a 60 miglia da Lampedusa.

I dispersi sarebbero 45, provenienti da Mauritania, Marocco, Ghana e Nigeria. Quando gli uomini del peschereccio hanno avvistato il naufrago era esausto e non è riuscito a salire la scaletta.

"Per ore - ha detto - altri due uomini sono stati accanto a me. Ma poi non ce l’hanno fatta e sono morti. Nel tratto di mare dove eravamo sono passate diverse barche. Nessuno si è fermato ad aiutarci". Non è stato ancora accertato se i corpi dei 5 clandestini ripescati martedì a largo di Lampedusa sono vittime dello stesso naufragio. Intanto nell’isola dopo gli ultimi sbarchi i due centri di primo soccorso e accoglienza sono arrivati al limite, ospitando circa 860 immigrati, con una situazione allarmante sia sul piano sociale che sanitario.

Droghe: a settembre un decreto per proibire "smart drugs"

 

Notiziario Aduc, 23 agosto 2007

 

Si annunciano tempi più duri per gli amanti dello sballo fatto in casa. È in arrivo, a settembre, un decreto del ministero della Salute che mette fuori legge due articoli piuttosto diffusi tra gli scaffali degli smart shop italiani - quei negozi dove, tra essenze, semi e piantine trovi anche prodotti naturali con effetti allucinogeni. Tempo fa era stata la volta della Salvia Divinorum (in gergo Maria Pastora): la pianta psicoattiva messa fuori legge nel 2005. Oggi, con un decreto del ministro della Salute, Livia Turco, ad entrare nelle tabelle delle sostanze stupefacenti, e quindi a diventare illegali, saranno due semi che contengono Lsa (Amide di acido lisergico, già presente nelle tabelle, a differenza dei semi che la contengono) stretto parente dell’Lsd: quelli dell’Argyreia nervosa e dell’Ipomoea violacea.

Già nel 2005 questi semi erano finiti sotto la lente del ministero della Salute: alcuni ragazzi erano finiti al pronto soccorso dopo averne masticati. Nel giugno dell’anno scorso, l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha inviato una segnalazione relativa "a sospette reazioni avverse", a seguito dell’ingestione di semi di Argyreia nervosa.

Sempre l’anno scorso, quando un ragazzo di Bari è precipitato dal balcone di casa dopo aver consumato semi di Ipomoea violacea (pianta della stessa specie e con proprietà analoghe all’Argyreia nervosa) regolarmente acquistati in uno smart shop, la Procura della repubblica di Bari ha richiesto di sottoporre quei prodotti alla legislazione in materia di stupefacenti. Al riguardo, il ministro Livia Turco ha chiesto, per un eventuale inserimento dei semi nelle tabelle degli stupefacenti, il parere del Consiglio superiore di sanità. Che, come spiega il farmacologo Silvio Grattini, presidente della V sezione (quella interessata alle sostanze psicotrope), ha dato parere positivo.

"Abbiamo chiesto il divieto, perché su quei due tipi di semi ci sono evidenze di tossicità", spiega. Quindi, "non potranno più essere vendute nei negozi che non hanno specifica autorizzazione": gli smart shop, appunto. E il divieto arriverà per decreto, dopo il parere della Solidarietà sociale: "Tutto sarà regolamentato a settembre", conferma il sottosegretario Antonio Gaglione. Nessuna novità in arrivo, invece, per le altre specialità in vendita negli smart shop: "Niente, finché non ci saranno analoghe evidenze tossicità"

Cosa sono. Ne bastano 4 semi per assaggiare i primi effetti allucinogeni: tranquillità, immagini psichedeliche, visioni dai colori accesi. Ma per un buon viaggio gli "esperti" su internet ne consigliano almeno 8. L’Argyreia nervosa - i cui semi sono liberamente in vendita negli smart shop come su internet, ma che un decreto del ministero della Salute sta per mettere al bando - è un pezzo importante della medicina e della cultura centramericana e indiana, ma oggi, spiega l’Istituto superiore di Sanità (nel suo studio sulle smart drugs, anche sul sito www.iss.it), "così come quelli di Ipomea violacea, vengono ricercati per la loro capacità di indurre effetti psicoattivi del tutto sovrapponibili a quelli dell’Lsd, sebbene di minore intensità".

Le due piante (Argyreia nervosa e Ipomea violacea) contengono Lsa (amide di acido lisergico o Ergina): alcaloide psicoattivo parente stretto dell’Lsd. Venivano prescritte per la cura della gonorrea, della stranguria e dell’ulcera cronica. Le radici sono ancora oggi utilizzate dagli Indù come tonico, antireumatico e nel trattamento delle malattie del sistema nervoso. Proprio i semi erano tradizionalmente utilizzati dai nativi americani nelle cerimonie religiose; erano, come spiegano i racconti dei conquistadores, importanti allucinogeni divinatori della religione azteca.

Gli effetti dell’Lsa hanno "una durata di circa 4-8 ore, sono associati ad una sensazione di tranquillità, disforia, effetti visivi psichedelici, visioni di colori accesi". Effetti che, ribadisce l’Istituto superiore di sanità, "sebbene di minore entità, sono simili a quelli dell’Lsd". Un seme di Argyreia contiene circa 0,25 mg di Lsa. Uno di Ipomea 0,01.

"Pochi dati scientifici sono consultabili al fine di stabilire il quantitativo necessario di semi per un "viaggio" - spiega l’Iss - ma sembra che circa quattro semi di Argyreia nervosa siano sufficienti per il manifestarsi degli effetti allucinogeni, mentre un buon "viaggio" si ottiene con 8 semi. Lo stesso effetto si ottiene ingerendo 100 semi di Ipomea violacea".

Negli smart shop, continua lo studio dell’Iss, i semi di Argyreia nervosa sono venduti come "semi da collezione", "sebbene il numero di semi di una confezione corrisponda a cinque, cioè al quantitativo necessario per un viaggio con effetti allucinogeni".

Argyreia nervosa e Ipomea violacea crescono in Messico, Guatemala, India e Madagascar. Oggi sono coltivate prevalentemente a scopo ornamentale. Per trovarne i semi basta recarsi in uno smart shop, o navigare su internet. Sono circa un centinaio, in Italia, gli smart shop, a quanto spiega il ministero della Salute (rispondendo ad una interrogazione parlamentare): "Vendono non solo prodotti di origine naturale e sintetica, ma anche prodotti destinati alla coltivazione di piante, nonché accessori per fumo quali filtri, cartine, pipe, vaporizzatori".

Solitamente "i composti sono venduti come profumatori ambientali o come semi da collezione, ma spesso vengono fumati o masticati, nonostante su molte confezioni sia apposta un’etichetta che sconsiglia un uso diverso da quello per il quale esse vengono ufficialmente commercializzate".

Esistono poi in commercio "cocktail o mix - continua il ministero - di diverse sostanze create dagli stessi gestori sulla base di conoscenze del tutto empiriche". La vendita diretta non è il solo canale: c’è anche internet. Su e-bay, per esempio: i consumatori, nei tanti siti che gravitano attorno alle smart drugs, si consigliano vari venditori, con tanto di giudizi di qualità e affidabilità.

Reazioni. "Molto spesso i prodotti naturali vengono propagandati come innocui. E le persone li ritengono, proprio perché naturali, anche sicuri. Ma ogni pianta non è che un micro laboratorio chimico in cui si sintetizzano sostanze chimiche, che possono avere effetti tossici. Plaudo, quindi, all’iniziativa del ministro"di regolare per legge la diffusione di due semi contenenti Lsa. È l’opinione di Luciano Caprino, professore di farmacologia alla Sapienza di Roma. "È una battaglia che conduco da anni. Ogni prodotto, anche quelli naturali (fatti salvi quelli diffusi da lunghissimo tempo, come la camomilla o la valeriana) prima di entrare in commercio dovrebbero essere sottoposti a test di tossicità, come i medicamenti". Quindi, "Turco fa molto bene".

"Tutti gli interventi di questo governo sono di stampo proibizionista". Donatella Poretti, radicale della Rosa nel pugno, commenta così la decisione di inserire nelle tabelle per gli stupefacenti anche due tipi di semi (quelli delle piante Impomoea violacea e Argyreia nervosa) con effetti allucinogeni, oggi in vendita liberamente su Intenet e negli smart shop.

"Non che di alcuni non ce ne sia bisogno: non entro nel merito di questa decisione. Garattini e il Consiglio superiore di sanità hanno sicuramente ragione". Ma, sottolinea, "colpisce questa univoca direzione di marcia. C’è l’opportunità di rivederle questa linea, a settembre, quando le commissioni Affari sociali e Giustizia della Camera affronterà la riforma del testo unico sulle droghe".

Droghe: Lombardia; sempre più i giovani con danni cerebrali

 

Corriere della Sera, 23 agosto 2007

 

Allarme del direttore generale della Sanità della Regione. Sono più che raddoppiati i giovani con il cervello bruciato dagli stupefacenti. I medici: mai una diffusione così preoccupante del fenomeno. Per le cure un costo di 4 mila euro a paziente.

Ottomila giovani con il cervello in tilt a 24/25 anni per colpa di hashish, cocaina ed ecstasy. Poco più che adolescenti e già malati cronici, vittime di disturbi psicotici, allucinazioni, con comportamenti aggressivi e danni cerebrali che si trascineranno per tutta la vita, fino ad arrivare alla schizofrenia. È un fenomeno in rapida crescita: gli under 30 di Milano (e del resto della Lombardia) con il sistema nervoso bruciato dalle sostante stupefacenti sono più che raddoppiati rispetto all’inizio degli anni Duemila. Nei fine settimana finiscono spesso nei Pronto soccorso della città, poi vengono presi in carico dai reparti di Salute mentale degli ospedali.

L’allarme lo hanno lanciato ieri a Rimini - numeri alla mano - i vertici dal Pirellone, preoccupati anche dell’impatto economico delle cure per psicosi da abuso di droghe (il costo annuo è di quattromila euro a paziente, destinati a crescere di anno in anno).

In un intervento sulla politica sanitaria del futuro al meeting di Comunione e Liberazione, il direttore generale dell’assessorato alla Sanità, Carlo Lucchina, inserisce il problema tra le nuove emergenze economico-sociali (insieme con le terapie anticancro da 30 mila euro l'anno per ciclo di chemioterapia). "Il legame tra consumo di spinelli, cocaina, ecstasy e malattie cerebrali croniche è ormai sotto i nostri occhi - sottolinea Lucchina -. È una novità, purtroppo, dalle dimensioni allarmanti".

Gli psichiatri rincarano la dose. Lo fanno nella Milano capitale dell’abuso di droghe dove il 32 per cento di adolescenti ammette di avere fumato marijuana nell’ultimo mese e uno su dieci e un consumatore occasionale di cocaina (dati Asl).

"Ci troviamo davanti a un aumento esponenziale di ragazzi che vivono in una realtà virtuale perché l’uso di droga ha annebbiato il loro cervello - dice Maria Teresa Feria, docente di Psicopatologia alla Bicocca e primario di Psichiatria all’ospedale di Garbagnate -. La disintossicazione non basta: ecstasy e allucinogeni rischiano di lasciare danni neurologici permanenti e di scatenare sindromi psicotiche. Mai si era assistito a una diffusione così preoccupante del fenomeno".

Dal 2002 l’ospedale di Niguarda ha un servizio specializzato nelle malattie psichiche giovanili al loro esordio: "Oggi seguiamo 110 pazienti tra i 17 e i 30 anni - spiega Arcadio Erlicher, primario della Salute mentale dell’ospedale -. Ma i dati sono solo la punta dell’iceberg di un problema che sta esplodendo. Per contenerne l’evoluzione è necessario incrementare la collaborazione tra i neuropsichiatri infantili e gli psichiatri. Del resto, adesso, gli studi scientifici internazionali dimostrano il legame incontrovertibile anche tra le droghe leggere e i disturbi cerebrali".

Già a giugno la Società italiana di Psichiatria (Sip), stanca di sentire ripetere che "la marijuana non fa poi così male" aveva messo in guardia: "I giovani consumatori sono dieci volte più esposti ad attacchi di panico, difficoltà di concentrazione e psicosi - conferma Mariano Bassi, presidente della Sip -. Oltre i 50 spinelli l’anno (uno alla settimana, ndr) i rischi crescono in modo esponenziale". I giovani che finiscono nel tunnel devono affrontare ricoveri, terapie ambulatoriali, cure farmacologiche e percorsi psicosociali a scuola e sul posto di lavoro.

Francia: arrestata la brigatista Petrella, latitante da 25 anni

 

La Repubblica, 23 agosto 2007

 

La brigatista latitante Marina Petrella, 53 anni, è stata fermata ieri a un controllo stradale ad Argenteuil, nel dipartimento della Val d’Oise, alla periferia settentrionale di Parigi. A renderlo noto sono fonti del ministero francese della Giustizia. La Petrella, oggetto di una richiesta di estradizione da parte delle autorità italiane, era stata condannata all’ergastolo al processo Moro Ter per le azioni compiute dalle Brigate Rosse tra il 1977 e il 1982 a Roma.

La brigatista è stata trattenuta, secondo quanto affermato delle autorità d’Oltralpe, in virtù di un mandato d’arresto provvisorio emesso dalle autorità italiane. La donna comparirà oggi stesso davanti al tribunale di Pontoise. Il tribunale le potrebbe notificare lo stato di fermo, come previsto dalla procedura d’estradizione, su richiesta delle autorità italiane.

Petrella "potrà accettare o rifiutare l’estradizione", ha precisato Guillaume Didier, portavoce del ministero della Giustizia francese. Nel primo caso "sarà estradata", mentre "nel caso in cui si opponga, il procuratore generale di Versailles le notificherà, entro 7 giorni, il mandato d’arresto e la documentazione relativa al suo dossier giudiziario".

La brigatista, se si opporrà all’estradizione verso l’Italia, "comparirà in tribunale entro 10 giorni", ha concluso il portavoce del ministero della Giustizia transalpino. Sarà la Chambre d’Istruction della corte d’Appello di Versailles a pronunciarsi sulla validità giuridica della documentazione trasmessa dalle autorità giudiziarie italiane.

"Grande soddisfazione per la brillante operazione", è stata espressa il presidente del Consiglio, Romano Prodi: "L’arresto - ha aggiunto il premier - dimostra l’importanza della cooperazione internazionale in tema di lotta alla criminalità e al terrorismo. Confidiamo che la richiesta di estradizione già avanzata negli anni scorsi possa essere presto soddisfatta.

Con questo arresto - ha concluso Prodi - siamo certi si potrà cercare di fare luce su uno dei periodi più bui, tragici e assurdi della nostra storia repubblicana". Biografia. Marina Petrella, sorella del brigatista Stefano Petrella, era confluita nel 1976 nella colonna romana delle Brigate Rosse. Prima era impiegata come segretaria presso l’istituto scolastico "Bruno Buozzi" a Roma. La brigatista ha subito una condanna all’ergastolo al termine del cosiddetto processo Moro Ter.

Il dibattimento, che riguardava le azioni delle Brigate Rosse a Roma compiute tra il 1977 e il 1982, si era concluso con 153 condanne. Di queste 26 erano ergastoli e 1.800 anni erano gli complessivi di detenzione. Solo 20 assoluzioni. All’epoca della condanna inflittale dalla corte d’Appello di Roma, la Petrella era contumace in quanto scarcerata per decorrenza dei termini e aveva trovato da anni rifugio a Parigi.

La sentenza venne poi confermata dalla Cassazione che annullò, con rinvio a un’altra sezione penale della Corte d’Appello di Roma, solo la sentenza nei riguardi di Eugenio Ghignoni, condannato in secondo grado a 15 anni di prigione. La "primula rossa", già sposata al brigatista Luigi Novelli, si era successivamente legata a un algerino dal quale ha avuto una figlia.

Iraq: crescono i detenuti, il sistema penitenziario va in crisi

 

Osservatorio Iraq, 23 agosto 2007

 

Le operazioni delle forze armate Usa collegate all’aumento delle truppe a Baghdad hanno fatto aumentare il numero dei detenuti che si trovano nelle strutture americane in Iraq a circa 23.000, più di 5.000 rispetto a quattro mesi fa, secondo il colonnello dell’esercito Mark Martins, il legale capo delle forze armate in Iraq. Questo numero rappresenta un record dall’inizio dell’occupazione Usa nel 2003.

Nel corso dell’operazione che ha visto l’aumento delle truppe, le forze di sicurezza irachene hanno arrestato 4.052 detenuti, portando il numero complessivo dei detenuti per ragioni di sicurezza che attualmente si trovano nelle carceri irachene a 60.000, dice il giudice Abdul Satar Bayrkdar, portavoce del Consiglio superiore della magistratura iracheno. Circa 1.100 di quelli arrestati da quando è iniziata la nuova strategia sono in seguito stati rilasciati per mancanza di prove, mentre i rimanenti sono stati trasferiti al sistema giudiziario penale, dice.

Martins, il procuratore capo militare del generale David H. Petraeus, il comandante supremo Usa in Iraq, dice che mentre l’Iraq trattiene i detenuti sulla base delle sue leggi interne, gli Stati Uniti li tengono in base alla "legge dei conflitti armati", standard stabiliti dalle Convenzioni di Ginevra. Questo significa che le forze armate Usa hanno accertato"che un detenuto rappresenta una minaccia categorica per la sicurezza e la stabilità dell’Iraq".

Martins ha detto in una conferenza stampa a Baghdad che lo status di un detenuto viene riesaminato ogni sei mesi, ma che i detenuti vengono trasferiti dalla custodia Usa al sistema giudiziario penale iracheno solo se sono disponibili prove sufficienti.

Le rivelazioni di una popolazione carceraria in forte aumento arrivano in mezzo a continue critiche sull’equità del sistema detentivo. Anthony H. Cordesman, uno specialista di questioni militari del Medio Oriente al Center for Strategic and International Studies che di recente è tornato da un viaggio di otto giorni in Iraq, la settimana scorsa ha scritto che anche se gli Stati Uniti hanno fatto miglioramenti considerevoli nella loro gestione dei detenuti, "il processo di riesame e rilascio è ancora inefficace". Cordesman dice che i comandanti delle forze armate Usa gli hanno riferito che il numero dei loro detenuti potrebbe salire a 30.000 entro la fine di quest’anno, e fino a 50.000 nel 2008.

Dice di aver scoperto che i detenuti sciiti "spesso vengono liberati, mentre i sunniti vengono tenuti a tempo indeterminato". Aggiunge che le due principali strutture carcerarie Usa, Camp Bucca e Camp Cropper, "sono ancora dei centri di addestramento di fatto per estremisti". Gli Stati Uniti, dice Cordesman, hanno solo di recente messo a punto "un metodo sistematico per segregare e formare i detenuti e mettere a punto un programma di rilascio coerente non confessionale che contribuisca a una equità percepita e reale".

Martins e Bayrkdar, che hanno parlato anch’essi alla conferenza stampa di Baghdad, hanno detto che alcuni dei detenuti che sono stati arrestati recentemente a Baghdad stanno venendo mandati in un nuovo complesso, superprotetto, nel distretto di Rusafa. In questo compound recintato, giudici e magistrati inquirenti, assieme ad alcuni familiari, sono ospitati assieme ai detenuti e ai testimoni.

Martins l’ha definito "un luogo sicuro nel cuore di Baghdad per tutti coloro che fanno parte del sistema della giustizia penale - poliziotti, inquirenti, testimoni, magistrati, personale dei tribunali, guardie carcerarie - in modo che possano lavorare senza attacchi o intimidazioni". Ha detto che all’interno del complesso ci sono attualmente 4.800 "spazi di detenzione" per coloro che sono sotto indagine o in attesa di processo, e che il numero presto aumenterà a 7.000. Inoltre, secondo l’ US Army Corps of Engineers (il genio militare dell’esercito Usa NdT), il complesso ospiterà anche "fino a 200 persone che testimoniano nei procedimenti".

Martins ha detto che nel complesso di Rusafa, aperto in aprile, lavorano 12 giudici che hanno già ricevuto oltre 2.000 casi. Da allora, ha aggiunto, hanno completato più di 700 istruttorie, che in base alla legge irachena vengono condotte da giudici, "e, cosa importante, dopo avere valutato le prove, hanno chiuso 325 casi". Altri 60 casi sono stati rinviati a giudizio. "Fatemi sottolineare che nessuno sta dicendo che lo stato di diritto abbia ancora vinto in tutto l’Iraq, e questo è solo un piccolo passo", ha detto Martins.

Giappone: pena di morte; 3 esecuzioni e 103 condannati in lista

 

Ansa, 23 agosto 2007

 

Tre esecuzioni sono state realizzate oggi in Giappone, carico di detenuti condannati per omicidi risalenti allo scorso decennio: lo hanno reso noto fonti del ministero della Giustizia. Immediate le proteste di organizzazioni umanitarie come Amnesty International, la quale ha denunciato il fatto che tutti i giustiziati erano in età avanzata, compresa fra i 60 e i 69 anni. Secondo l’agenzia di stampa "Kyoto" nei penitenziari nel Paese del Sol Levante, che insieme agli Stati Uniti è l’unica tra le Nazioni più industrializzate del mondo a continuare ad applicare la pena capitale, ben 103 reclusi rimangono segregati nel braccio della morte, in attesa di finire sul capestro: il metodo adottato è infatti quello dell’impiccagione.

 

 

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