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Indulto: Simspe; metà degli scarcerati ha gravi problemi di salute
Ansa, 6 ottobre 2006
Sono circa 23.000 i soggetti usciti dagli istituti penitenziari italiani per adulti dalla data di entrata in vigore della legge sull’indulto (1 agosto 2006) al 20 settembre 2006. Di questi, 6.400 sono tossicodipendenti, 2.500 affetti da patologie psichiatriche, 2.700 da malattie infettive e circa 1000 cardiopatici. I dati, ancora non definitivi, sono stati gentilmente forniti dal Direttore generale dei detenuti e del Trattamento, dottor Sebastiano Ardita. "Il costo dell’indulto per gli interventi in favore dei detenuti che ne hanno beneficiato - afferma il dottor Giulio Starnini, responsabile del reparto di Malattie Infettive in Ambito Penitenziario, Ospedale Belcolle di Viterbo - è elevato, ma trova una responsabilità nell’assenza di interventi preventivi a livello scolastico, politico, di immigrazione e assistenza alla tossicodipendenza". Sono molti i soggetti che una volta riacquistata la libertà scompaiono al controllo sanitario. Per affrontare l’attuale scenario socio-sanitario la SIMSPe onlus, Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria di cui il dottor Starnini è presidente, ha promosso un congresso nazionale dal tema: "Carcere e territorio: quale continuità assistenziale?" che si terrà in Roma dal 5 al 7 ottobre p.v. presso l’Istituto Superiore di Studi Penitenziari. L’evento scientifico avrà una dimensione nazionale grazie alla partecipazione di illustri relatori italiani di fama nazionale e internazionale e metterà sotto la lente d’ingrandimento le pari opportunità terapeutiche in carcere, il trattamento psichiatrico, il care infermieristico in comunità multietnica ristretta, le emergenze mediche e chirurgiche in carcere e la continuità assistenziale. Inserita nelle giornate di studio, la I edizione del premio "Gianni Grosso", indetto dalla SIMSPe onlus e rivolto a detenuti ed ex detenuti che si siano particolarmente distinti negli studi o nella collaborazione con l’area sanitaria dell’istituto di appartenenza. La casa circondariale "Mammagialla" di Viterbo ha proposto un suo candidato e nella giornata di giovedì si dovrebbero avere maggiori informazioni. Sempre per quanto riguarda Viterbo, ci preme sottolineare che dal 16 gennaio 2006 è istituita presso l’Ospedale Belcolle di Viterbo l’U.O. di Malattie Infettive in Ambito Penitenziario, nata dalla convenzione tra l’Azienda Ospedaliera locale ed il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Regione Lazio. La struttura, ha 8 stanze di degenza suddivise in 2 sezioni, 12 posti letto, 1 stanza per le cure sub-intensive. Dal 16 gennaio al 31 luglio sono stati ricoverati 86 pazienti (81 M e 5 F). Il reparto è il terzo in Italia e il secondo nel Lazio (insieme all’ospedale "S. Pertini" ASL RomaB). La salute in carcere rappresenta un problema ampio e complesso: la forte presenza di tossicodipendenti, la diffusione di malattie infettive come Hiv, Aids, epatiti, tbc, disagio psichico, rendono la questione sanitaria una priorità. "Il ricovero dei detenuti nelle strutture ospedaliere è operazione complicata - afferma il dottor Alfredo De Risio, della Simspe onlus formazione onlus e referente presso il Prap Lazio per l’attività didattica - a volte impossibile per la mancanza di locali idonei, per la riluttanza da parte degli ospedali, ai ricoveri che comportano disagi a causa delle esigenze di sicurezza, per l’impegno del personale di polizia penitenziaria. La realizzazione di due reparti di medicina protetta dedicati ai detenuti del centro-sud segna una tappa importante nel lungo cammino volto a consolidare la tutela del diritto alla salute della persona in regime di privazione della libertà nel Lazio". In linea con le dichiarazioni il dottor De Risio ha lavorato al progetto di formazione "C.I.C.O." Curare Insieme carcere Ospedale, a favore del personale in servizio presso i reparti di medicina penitenziaria che si terrà a Viterbo a partire dal 10 ottobre, e si pone come possibile strumento per raccordare i principali nodi concettuali relativi al rapporto tra regime di reclusione e salute. Giustizia: il valore delle esperienze di teatro-carcere di Sebastiano Ardita, direttore generale ufficio detenuti e del trattamento del Dap
www.giustizia.it, 6 ottobre 2006
Il teatro come luogo di rappresentazione della vita e come occasione di conoscenza critica della realtà. Come luogo di denuncia, ma anche di riscatto per chi, separato dalla società, vuole farvi ritorno attraverso un percorso trattamentale che può passare - anche - per la strada della drammaturgia. Dal direttore generale dei detenuti e del trattamento del Dap, Sebastiano Ardita, una riflessione sul teatro e il carcere. Nell’esperienza penitenziaria conosciamo il teatro come luogo privilegiato di rappresentazione della vita e delle sue contraddizioni, ma anche come occasione di denuncia di disuguaglianze sociali che spesso costituiscono, senza per nulla giustificarlo, il percorso individuale che conduce al delitto. Teatro come ipostasi della vita dunque, ma anche come occasione di conoscenza critica della realtà e dell’esistenza; come rinuncia alla soluzione dei conflitti secondo l’istinto di natura e come accettazione di una dimensione culturale delle relazioni umane che promuove la persona e riconosce diritti anche e soprattutto nella diversità, nella disabilità, nel disagio. È questo il teatro dell’era contemporanea del carcere, della fase post-manicomiale, dell’epoca della detenzione sociale. Il teatro che rispecchia un mondo mescolato di uomini che hanno effettuato scelte di criminalità estrema ed altri che hanno subito l’ultima delle possibili retrocessioni sociali. Esistenze che recano con sé storie di immigrazione, che portano i segni della diffidenza ritratti sulla pelle, insieme alle tracce dell’eroina e dell’inchiostro dermocompatibile. Ogni carcere esprime il suo vissuto, la sua idealità, il suo teatro. Il nostro teatro fotografa un carcere ridondante, attribuito non sempre in funzione della grandezza del male che è nell’uomo, ma a volte in relazione alla debolezza di chi sta fuori dalle regole. E per ciò è più ricco di esistenze da raccontare, di contraddizioni da appianare, di giustizia che non sempre tiene dietro alle leggi degli uomini; di contenuti che vanno ben al di là della dimensione del crimine e dalla dannazione, che hanno dato materia a tanta letteratura. Intendiamoci. Non è teatro tutto ciò che tale viene comunemente definito. Vogliamo sforzarci di distinguere il messaggio critico, la rappresentazione di sé, la denuncia, come luogo di meditazione e di comunicazione privilegiato dalle piccole comunità - così come nella tradizione ellenistica - dall’intrattenimento, dalla necessità di occupare lo spazio diacronico, nel tentativo di superarne gli effetti devastanti sull’uomo privato della libertà. Anche questo ha una sua funzione, ma non rende l’uomo detenuto protagonista di ciò che accade. Non pone a frutto l’occasione di quella sofferenza per un riscatto, per compiere un balzo al di là del muro, per raggiungere e superare quanti, senza particolari meriti morali, alimentano il pregiudizio verso chi ha sbagliato. È per questo che nell’ordine degli obiettivi da raggiungere, il primo è l’emersione di una creatività teatrale, di una raccolta di testi, di storie da sceneggiare da parte degli stessi protagonisti della vita autori della creazione letteraria, nel modo più aderente al vissuto che vi corrisponde. Siamo consapevoli che gran parte della drammaturgia abbia conosciuto il carcere, nella esperienza degli autori o dei protagonisti, e per ciò stesso intendiamo far sì che questo patrimonio non venga disperso. Questo teatro del riscatto è il più coerente tra i contenitori di trattamento penitenziario, non necessita di essere introdotto o spiegato, semplicemente si presenta da sé. Offre allo spettatore spaccati esistenziali mai conosciuti prima sotto la medesima luce, e lo pone nella condizione di accogliere la diversità ricusando il pregiudizio. Per la rappresentazione passa l’oblio dei vivi senza nome e la sconfitta di quella dannazione. Giustizia: il problema delle mamme e dei bambini "prigionieri"
Il Cittadino, 6 ottobre 2006
Due articoli a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro (Corriere della Sera del 22 - di Candido Cannavò - e 23 marzo 2006 - di Rossella Verga) annunciavano il progetto della realizzazione di un Carcere a custodia attenuata per detenute madri ispirato dall’Amministrazione Penitenziaria Regionale e a cui hanno aderito il Ministero della Giustizia, quello dell’Istruzione, la Regione Lombardia, la Provincia e il Comune di Milano firmatari, tutti, di un atto d’intesa di pari data, in un tentativo per rimediare allo scandalo dei bimbi. Una distratta lettura della notizia, nonostante l’accurato resoconto fatto dai giornalisti, rischia, però, di non fare intendere la portata dell’iniziativa che, senza enfasi, tenta di porre rimedio, parziale, ad un vero e proprio scandalo: bambini, e si badi bene bambini di età sino a tre anni, in carcere insieme alle loro madri. Una ferita profonda inferta al corpo sociale, un "vulnus" incolmabile, un insulto alla civiltà sapere e tollerare che bambini neonati o appena svezzati devono rimanere chiusi in celle di pochi metri quadri dove le finestre sono ornate di massicce sbarre di ferro e chiuse da portoni blindati, la sorveglianza armata sul muro di cinta. Tutto registrato da occhi ingenui appena aperti al mondo, fissati dalla mente in un data-base raccapricciante, un "imprinting" che caratterizzerà, negativamente e per sempre, ogni comportamento futuro.Allora sì che ci si dovrebbe interrogare sul perché di tanta attenzione e sensibilità verso il mondo animale in cattività, negli zoo e nei circhi e circa la insensibilità non solo e non tanto del consorzio civile ma anche degli "addetti ai lavori" su questo fenomeno molto scarsamente osservato e studiato, per quanto consta all’autore. Non ci si può commuovere per i cuccioli degli animali chiusi in gabbie dall’uomo per il proprio divertimento o per pseudo-interessi di studio, gridare - giustamente - allo scandalo per la vivisezione degli animali per effettivi interessi di studio e di ricerca, trascurandosi metodi non crudeli per tale scopo e poi non scandalizzarsi per i bambini dietro le sbarre, dei quali non ci si è occupati, non ci preoccupa a sufficienza. Qualcosa bisognava fare ed ancora una volta la sperimentazione ha avuto inizio dalla Lombardia. "A San Vittore una sezione per le madri con bimbi fino a 3 anni" Affermava il Provveditore regionale di Milano, Luigi Pagano: "È un carcere ribaltato nei suoi concetti, il trattamento prima che la custodia, per salvaguardare lo sviluppo psicofisico del bambino. Perché un carcere? Perché se anche tutte le detenute madri, con sentenza passata in giudicato, fossero scarcerate, ma già questo per svariati motivi non succede, rimarrebbe sempre il problema delle persone imputate. Perciò abbiamo pensato ad una sezione della Casa circondariale di San Vittore ove tutte le detenute, qualunque sia la loro posizione giuridica, che hanno con sé bambini sino a tre anni saranno lì alloggiate". Ineccepibile, non c’è dubbio.
La disciplina legislativa a tutela delle madri detenute
Sono diverse le norme di legge, del codice penale, del codice penale di rito, di legge ordinaria, che riguardano la materia, la cui "ratio" tende a tentare un arduo compromesso tra le esigenze cautelari e/o di istanze punitive e la tutela del bambino.Per comodità espositiva e di lettura si riepiloga la legislazione vigente, a tutela delle madri detenute, con le massime giurisprudenziali le più significative, sia per fare in modo che il carcere sia misura residuale quando inevitabile, sia per conferire un contenuto meno afflittivo nei casi in cui l’incarcerazione sia inevitabile perché precauzionale od in esecuzione di condanne per delitti di grave allarme sociale. La prima norma è una norma di rito, l’art. 275 codice procedura penale, contente i criteri di scelta delle misure cautelari in carcere, il quale dispone che nei confronti di donna imputata incinta o madre di prole, di età non superiore a tre anni e con lei convivente, non può essere disposta la custodia cautelare in carcere.Il divieto viene mitigato da "esigenze cautelari di eccezionale rilevanza" ed è esteso al padre nei casi in cui, "qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, ovvero persona che ha superato l’età di settanta anni". L’art. 146 del codice penale contiene norme di diritto sostanziale relative al rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena, la quale è differita in due casi, e cioè se deve aver luogo nei confronti di donna incinta e di madre di infante di età inferiore ad un anno.Il differimento non opera o, se concesso, è revocato se la gravidanza si interrompe, se la madre è dichiarata decaduta dalla potestà sul figlio ai sensi dell’articolo 330 del codice civile, il figlio muore, viene abbandonato ovvero affidato ad altri, sempre che l’interruzione di gravidanza o il parto siano avvenuti da oltre due mesi. L’art. 147 del codice penale riguarda il rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena, che qui interessa solo per l’ipotesi di madre di prole inferiore a tre anni. Il provvedimento è revocato qualora la madre sia dichiarata decaduta dalla potestà sul figlio o se il figlio muore, se è abbandonato od affidato a persona diversa dalla madre. È, infine, impedita l’adozione del provvedimento nei casi in cui esista pericolo concreto di commissione di altri reati.
L’ordinamento penitenziario: i servizi speciali di assistenza
Il vigente ordinamento penitenziario consente detenute-madri di tenere con sé i figli minori dei tre anni e prevede l’organizzazione di asili-nido per gli stessi, stabilendo per le detenute gestanti e le puerpere il funzionamento di "servizi speciali" per la necessaria assistenza sanitaria. Consente, inoltre, l’assistenza all’esterno dei figli minori, mediante la previsione che le condannate e le internate possono essere ammesse alla cura e all’assistenza all’esterno dei figli di età non superiore agli anni dieci, alle condizioni previste per il lavoro all’esterno. La misura dell’assistenza all’esterno può essere concessa, alle stesse condizioni, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre. Condizioni residuali di favore sono previste dalla disciplina della detenzione domiciliare speciale. Ma prima di elencarli occorre dire che è prevista anche la possibilità di espiare la pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, alle detenute donne incinte o madri di prole, con loro conviventi, di età non superiore a dieci anni.
La detenzione domiciliare: le condizioni per l’accesso
Quando non ricorrono questi casi, sono disciplinati i casi di detenzione domiciliare speciale, a patto che vi ricorrano due particolari condizioni: 1) l’assenza di un concreto pericolo di commissione di altri reati; 2) la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli. La detenzione domiciliare può essere espiata presso la propria abitazione o in un altro luogo di privata dimora ovvero in un luogo di cura, assistenza ed accoglienza.ei casi di detenzione domiciliare speciale le condizioni oggettive per l’ammissione sono l’espiazione di almeno un terzo della pena ovvero, in caso di condanna all’ergastolo, di almeno quindici anni di pena. La detenzione domiciliare speciale può essere concessa, alle stesse condizioni previste per la madre, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre. Al compimento del decimo anno di età del figlio, su domanda del soggetto già ammesso alla detenzione domiciliare speciale, il tribunale di sorveglianza può: a) disporre la proroga del beneficio, se ricorrono i requisiti per l’applicazione della semilibertà; b) disporre l’ammissione all’assistenza all’esterno dei figli minori, tenuto conto del comportamento dell’interessato nel corso della misura, desunto dalle relazioni redatte dal servizio sociale, nonché della durata della misura e dell’entità della pena residua.
Nelle sezioni femminili si vive un clima psicologico disomogeneo
Si è già visto che le legge penitenziaria, prevede per la cura e l’assistenza dei bambini, che siano organizzati appositi asili nido. All’argomento la norma di attuazione - Dpr 30 giugno 2000 n. 230 - destina l’art. 19 (Assistenza particole alle gestanti ed alle madri con bambini. Asili nido). Da quanto fin qui esposto emerge un quadro di massima attenzione del legislatore, anche delegato, nei riguardi delle detenute gestanti o con figli di età fino a tre anni. E però, compiuto il terzo anno di età il bambino non può restare oltre assieme alla madre detenuta. Nella norma delegata vi sono due indicazioni che non consentono di affermare che il legislatore delegato ha fatto il massimo prevedibile, in quanto le iniziative conseguenti sono di competenza dell’Amministrazione penitenziaria, anche in regime di "auto organizzazione". Esse sono le seguenti: 1) le "altre ragioni" che obbligano a separare il bambino dalla madre anche prima del compimento dei tre anni di età; 2) l’obbligo di lasciare aperte le porte delle celle per consentire ai bambini di muoversi liberamente all’interno della sezione, con la sola limitazione di non turbarne l’ordinato svolgimento della vita del reparto o della sezione. Ne consegue una "promiscuità" in cui vivono detenute madri con figli e le altre detenute. Può sembrare un dettaglio di poco rilievo, ma non lo è, anzi, è importantissimo, in quanto, per causa di questa "promiscuità", il clima psicologico della sezione o reparto non è omogeneo.Il trattarsi poi di sezioni o reparti inseriti in una più complessa realtà penitenziaria si ritiene possa essere considerata la cagione del limite dei tre anni, oltre il quale il bambino deve essere separato dalla madre.
Gli asili nido in Lombardia solo nelle carceri di Como e San Vittore
In Lombardia le sezioni femminili sono presenti presso le case circondarla di Milano San Vittore, Milano Opera, Como, Vigevano, Monza, ma gli asili nido esistono solo a San Vittore e Como. Naturalmente, parlare di decisione obbligata da parte del legislatore non significa che è la migliore per lo sviluppo psicofisico del bambino o per le stesse relazioni genitoriali. Tralasciando di argomentare circa la "qualità" delle strutture utilizzate destinate ad asilo nido, che sono in ogni caso celle riadattate alla bisogna, le risorse impiegate, l’impegno di operatori e di volontari, i bambini sono costretti, per mancanza di scelta, a rimanere con le loro mamme dietro le sbarre. Avrebbero bisogno di giochi all’aperto, di stimoli quanto più vari possibili e invece devono adattarsi alle logiche del divieto proprie dell’istituzione totale, ai ritmi carcerari: il rischio è che una simile condizione segni negativamente la futura esistenza del bambino.
Nei penitenziari della Lombardia nasce così la custodia attenuata
La realizzazione di una struttura a Custodia attenuata per madri detenute, che hanno con sé bambini sino a tre anni, esterna al carcere di San Vittore e ad esso collegata: è questa la soluzione. Si tratta sempre di un carcere (in carico all’Amministrazione Penitenziaria) con sistemi di sicurezza adeguati ma non appariscenti e con personale di Polizia Penitenziaria femminile (seppure in borghese), nel quale saranno prevalenti le attività trattamentali per il bambino (con l’ausilio di enti pubblici e del volontariato). Il ministro della Giustizia della precedente legislatura già nell’ambito dell’Accordo Quadro sottoscritto con il presidente della regione Lombardia nel marzo 2003 stabiliva con la regione, nell’ambito degli interventi di edilizia penitenziaria, "la predisposizione di un programma per la realizzazione di una casa mamma - bambino sita sul territorio del Comune di Milano". Successivamente, la Provincia offriva un proprio stabile in Milano in via Piceno. Si iniziava con il carcere di San Vittore, ma l’intento è quello di creare un Polo Regionale.Al Progetto Pilota partecipavano, oltre il ministero della Giustizia, l’ Amministrazione Penitenziaria e la Provincia di Milano, l’assessorato all’integrazione sociale, anche il ministero dell’Istruzione, la regione e il comune di Milano.
Un progetto sperimentale: i bisogni di madri e bambini
Le detenute madri appartenenti a diverse culture e chiuse in un ambiente ristretto come quello della sezione possono incontrare difficoltà ad equilibrare le modalità educative e comunicazionali fondamentalmente diverse tra loro. Il progetto individua i loro bisogni e dei loro bambini come segue: a. I bisogni delle madri detenute. Sono molteplici e quelli sotto elencati sono solo alcuni punti d’attenzione: 1) problemi di salute; 2) problemi della maternità - rapporto madre figlio/a - educazione; 3) problemi anagrafici; 4) problemi di scolarizzazione; 5) problemi d’informazione; 6) problemi di comunicazione con le famiglie e i figli all’esterno; 7) difficoltà di culto per le straniere e di mantenere rapporti con le famiglie nel paese d’origine; 8) difficoltà di accedere ai benefici di legge. b. I bisogni dei bambini. I bambini in carcere soffrono di disturbi legati al sovraffollamento, alla mancanza di spazio emotivamente utile che incide non solo sulla loro crescita complessiva, tanto da limitarne lo sviluppo attinente alla sfera emotiva (relazioni interpersonali, affettività) e cognitiva (stimoli efficaci, ambiente ricco), ma provoca anche irrequietezza, facilità al pianto, difficoltà di sonno, inappetenza, apatia (vedasi in questo senso ricerca di Biondi). Il carcere anche nelle situazioni migliori dove sono state realizzate delle sezioni nido è comunque di per sé, per le finalità che deve raggiungere e per le modalità ed organizzazione che ne derivano, un luogo incompatibile con le esigenze di socializzazione e di sviluppo psico-fisico del bambino. Il sovraffollamento, il contatto forzato tra etnie e culture diverse, le regole del carcere creano situazioni di stress e tensioni che si ripercuotono, inevitabilmente, nel rapporto madre - figlio. La condizione della detenzione corre poi il rischio di delegittimare il ruolo di madre e la sua identità sociale, cui è connesso un più che probabile disorientamento del bambino proprio nei suoi primissimi anni di vita rischiando di comprometterne sia il suo rapporto con la madre che il suo sviluppo complessivo. È importante evitare una degenerazione della delega/abbandono della madre la quale può sentirsi rassicurata da un contesto e dalla presenza di operatori che non recepiti pericolosi per il bambino.
La struttura esterna non sembrerà un carcere
È del tipo a "custodia attenuata" già sperimentato per la cura ed il trattamento nelle tossicodipendenze. La stessa non apparirà, per quanto possibile, un carcere. Con la realizzazione di tale struttura s’intende inoltre creare percorsi di auto-promozione e reinserimento sociale in modo che la mamma e il bambino e più in generale il nucleo familiare possa successivamente trovare una propria stabilità e solidità. La condizione di gestante deve essere equiparata a quella di madre. Gli obbiettivi: 1) frequenza agli asili nido e preparazione all’ingresso nelle scuole materne in modo tale da permettere alle donne di poter lavorare o frequentare corsi di formazione all’interno della struttura e ai bambini di condurre una normale vita di relazione; 2) favorire percorsi di cambiamento nelle donne condannate attraverso la progettazione e realizzazione di un programma di osservazione e trattamento individualizzato che partendo dall’analisi dei bisogni e della domanda dell’interessata miri a modificarne in positivo i comportamenti devianti, attraverso l’offerta di sostegno psico-sociale e l’individuazione di risorse strategiche di cambiamento nel suo contesto di vita. Gli interventi devono riguardare da una parte l’aiuto alle madri al fine di consentire loro una relazione più consapevole con i propri figli, dall’altra il lavoro con i bambini che, attraverso il contatto continuo e l’offerta di esperienze sempre diverse, consenta di ridurre i danni della carcerazione e immetta nel loro processo di crescita tutti gli elementi di stimolo e di sollecitazione che a questo processo sono indispensabili, in un intervento pedagogico forte e a tutela del rapporto madre-figlio. L’articolazione dell’intervento pedagogico nella struttura costituisce il nucleo centrale del progetto.Si attende di una sua completa articolazione, ma la sua filosofia si può riassumere come segue. La condizione di imputata o l’esecuzione della pena possono creare nella madre stati d’ansia, paura di perdere il figlio e sottoporre il bambino a situazioni di stress; occorre, pertanto, favorire, nella struttura di accoglienza un clima di serenità e di tutela del rapporto madre-figlio. L’insicurezza che caratterizza la relazione madre-figlio deve essere "tutelata" con un’azione in grado di restituire efficacia alla figura materna, la quale deve essere aiutata ad esprimere, in modo cosciente e consapevole, i suoi compiti per rilegittimare il nucleo famigliare riavvicinando ad esso, là dove è presente e riconosciuta, la figura paterna, verso una "casa" regionale destinata a madri e gestanti. L’ambizione non è soltanto la semplice proposizione di un’esperienza, peraltro già in corso, dalla quale ci si attende una risposta significativamente positiva, quanto il cercare di tradurre da subito l’oggetto della progettazione del Prap di Milano in una proposta di più ampio respiro, mirante a riconsiderare tutto il settore delle detenute gestanti o madri con figli di età fino a tre anni su scala nazionale. La riflessione che si offre concerne: 1) l’inserimento, nella classificazione degli istituti penitenziari, di una struttura di tipo particolare, a custodia attenuata, destinata a questa particolare categoria di detenute, gestanti e madri con figli fino a tre - cinque anni; l’individuazione di una casa circondariale regionale femminile, con sezione di casa di reclusione, destinata esclusivamente alle gestanti ed alle madri con bambini fino ad una certa età; 2) la scelta di natura legislativa ordinaria, di innalzare l’età dei bambini da tre a cinque anni, inserendo nella modifica legislativa anche una possibilità di trattenere quei bambini, che per i famosi "altri motivi" devono essere separati dalle madri prima del compimento del terzo anno di età, per motivi connessi allo "status quo" delle sezioni femminili; in alternativa una interpretazione della legislazione vigente intesa a consentire la permanenza dei figli di età superiore a tre anni, mediante la frequenza delle scuole materne statali ed anche la scuola dell’obbligo. La frequentazione di tali strutture potrebbe essere considerata come un elemento di rottura, sia formale che sostanziale, della presenza di minori che hanno superato i tre anni di età, formalmente proibita dalle leggi vigenti, tale da produrre l’effetto di consentire ai figli che hanno suonato i tre anni di età di continuare a beneficiare del contatto con la madre per la stragrande maggioranza della giornata, compresa la notte.
Luigi Morsello, ispettore generale dell’Amministrazione penitenziaria, in pensione Trento: l’assessore provinciale; più assistenza sanitaria ai detenuti
L’Adige, 6 ottobre 2006
Visita in carcere, ieri, per l’assessore provinciale alle politiche per la salute: alla casa circondariale di Trento Remo Andreolli si è recato per discutere i problemi del servizio sanitario carcerario con il direttore Gaetano Sarrubbo. Al centro dell’attenzione le novità introdotte con una recente norma di attuazione che stabilisce che l’assistenza sanitaria e il reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti e degli internati presenti nel territorio delle province autonome di Trento e Bolzano sono assicurati attraverso l’azione integrata di Province e Stato. Ciò significa che la Provincia potrebbe rafforzare il suo intervento in materia di diritto alla salute all’interno della casa circondariale di via Pilati, sperimentando nuove prassi che in seguito potranno essere applicate anche all’interno del nuovo carcere. Attualmente Provincia si fa carico di tutte le prestazioni sanitarie in favore dei detenuti realizzate al di fuori delle mura del carcere, e copre una parte delle spese sostenute per l’acquisto di farmaci. Rimangono a carico del ministero alcune prestazioni assicurate dalla casa circondariale in regime di convenzione (odontoiatria, oculistica, cardiologia) e le spese per il personale medico interno, le cinque guardie mediche, gli infermieri, e per una parte dei farmaci. Attualmente non vi sono situazioni particolari di emergenza all’interno delle mura carcerarie, anche perché in seguito al recente indulto molte celle si sono svuotate e attualmente sono ospiti della struttura circa 75 detenuti . "Siamo interessati a far sì che la popolazione carceraria abbia la possibilità di fruire di prestazioni sanitarie di buon livello - ha detto l’assessore Andreolli - e siamo disponibili sia ad approfondire il nostro attuale intervento ma anche, eventualmente, ad avocare alla Provincia autonoma le competenze ancora a carico dello Stato. Milano: nasce la cittadella della giustizia, San Vittore addio
Affari Italiani, 6 ottobre 2006
L’operazione nuovo Polo della Giustizia, risponde a problemi inderogabili di sovraffollamento del carcere e di obsolescenza delle strutture di Palazzo di Giustizia. Le condizioni di detenzione, ma anche della Polizia penitenziaria, saranno più adeguate. Le possibilità di sviluppare pienamente iniziative, strutture e laboratori per la formazione e il reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti saranno ampliate (anche se un potenziamento da subito di queste iniziative è già stato concordato oggi tra Formigoni e Mastella). L’amministrazione della giustizia sarà resa più funzionale ed efficiente, il che - lo hanno sottolineato diversi partecipanti all’incontro di oggi - corrisponde a un fattore importante di competitività e attrattività di un territorio. Tra l’altro anche il Tar e la Corte dei Conti lombarda potranno trovarvi sede. Dovrà trattarsi anche di un’opera di grande pregio artistico, nella linea del nuovo rinascimento architettonico della Lombardia che ha nel restaurato Pirelli, nella "altra sede" della Regione Lombardia, nel recupero dell’area Garibaldi - Repubblica e in altri progetti le chiavi di volta. Naturalmente dovrà essere localizzata in modo da essere ben accessibile e in una zona dotata (o dotabile) di adeguata infrastrutturazione. Ma anche il recupero degli edifici esistenti - in una nuova destinazione d’uso che le valorizzi salvaguardandone il pregio storico-artistico - sarà l’occasione per aumentare la qualità di intere aree di Milano. L’annuncio del percorso iniziato oggi era stato dato congiuntamente dal presidente Formigoni e dal presidente della Corte d’Appello, Giuseppe Grechi, dopo un colloquio al Palazzo Pirelli lo scorso 14 settembre.
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