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Roma: detenuto di 39 anni si impicca a Rebibbia
Ansa, 20 ottobre 2006
Si è impiccato alle sbarre della sua cella, con la cintura di un accappatoio. È stato trovato così Mauro Bronchi, 39 anni, in carcere a Roma con l’accusa di aver ucciso il 2 luglio di quest’anno Alice, la bimba di 5 anni figlia della sua ex convivente. Lo rende noto il suo avvocato. L’uomo era indagato per omicidio volontario. Secondo i magistrati avrebbe picchiato e immobilizzato la piccola che morì per asfissia. Alcuni giorni fa la procura della Capitale aveva chiesto il giudizio immediato. Secondo il pm Caterina Caputo e il procuratore aggiunto Italo Ormanni, l’imputato l’avrebbe prima picchiata e poi immobilizzata. Il delitto avvenne nell’abitazione di Bronchi a Prima Porta, dove l’uomo viveva con Viviana Di Laura, la madre della piccola vittima. "Mi hanno detto che era tranquillo e che ieri si era addirittura informato delle possibilità di lavorare all’interno dell’istituto - ha commentato l’avvocato Fabio Federico, che si era recato in carcere a Rebibbia per un colloquio con il suo assistito. "È molto strano - continua l’avvocato - che il giorno dopo abbia cambiato così stato d’animo. Anche io lo avevo visto circa una settimana fa e lo avevo trovato molto sereno e fiducioso nella giustizia". Secondo alcune indiscrezioni, una ventina di giorni fa Bronchi aveva denunciato in carcere di essere stato picchiato da alcuni agenti di polizia penitenziaria. Il processo sarebbe dovuto iniziare il prossimo 23 gennaio davanti alla terza corte d’assise nell’aula bunker di Rebibbia.
Il Garante Regionale Angiolo Marroni
"Il detenuto aveva gravi disturbi mentali da tempo noti. Ora mi chiedo come poteva essere meglio seguito e trattato quest’uomo, autore di un crimine particolarmente odioso e violento che lo aveva di fatto isolato all’interno e all’esterno del carcere". Sono le parole usate dal Garante dei Diritti dei detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni per commentare la morte, in carcere, di Mauro Bronchi, 39 anni, accusato di aver ucciso lo scorso due luglio a botte Alice, 5 anni, figlia della convivente. A quanto risulta al Garante l’uomo si è tolto la vita impiccandosi all’interno della sua cella, al primo piano del braccio G9 di Rebibbia. Quando ha compiuto il gesto l’uomo era solo dal momento che gli altri suoi due compagni di cella erano impegnati o in colloqui o nell’ora d’aria. Bronchi era arrivato a Rebibbia circa un mese fa, proveniente dal carcere di Regina Coeli, dove era stato rinchiuso fin dal giorno del suo arresto. Sempre a quanto risulta al Garante il disagio psichico dell’uomo era noto fin da prima del grave atto e violento di questa estate. Bronchi, infatti, aveva avuto la semi infermità psichica dopo aver compiuto un furto in un supermercato. Giustizia: vent’anni dopo la Gozzini, senza alibi di Franco Corleone e Patrizio Gonnella
Il Manifesto, 20 ottobre 2006
Sono passati vent’anni da quell’ottobre del 1986 quando, grazie all’impegno di Mario Gozzini, veniva approvata la riforma dell’ordinamento penitenziario. Una riforma all’insegna della universalizzazione dei diritti dei detenuti e dei benefici penitenziari. In questi vent’anni sono successe molte cose. Alla riforma è seguita una contro-riforma che ha reso ambigua e contraddittoria la legge. La popolazione detenuta è progressivamente cambiata. Un tempo c’erano in carcere giovani interpreti delle lotte sociali e politiche. Oggi vi sono in prevalenza giovani tossicodipendenti e immigrati. L’amministrazione penitenziaria, salvo brevi parentesi, è stata sempre invece uguale a se stessa: auto-referenziale e burocratica. La magistratura di sorveglianza non è più quella di Igino Cappelli, Sandro Margara, Giancarlo Zappa. Una progressiva involuzione culturale l’ha investita. L’approvazione dell’indulto è stato un modo non retorico di onorare i venti anni di vita assai travagliata della legge Gozzini, che è stata soggetta a ingenerosi attacchi e a forti restringimenti, così da renderla più un miraggio che una realtà effettiva. In questa deriva molte sono le responsabilità che l’indulto ha svelato. L’uscita dal carcere di 23.580 detenuti ha costituito prima di tutto una dichiarazione di resa della magistratura di sorveglianza. Infatti le persone uscite dal carcere erano nella condizione, relativamente ai tempi, di godere dei cosiddetti benefici penitenziari, che di solito scattano proprio sotto i tre anni di pena, quelli che l’indulto ha condonato. Che cosa ha impedito la concessione dei benefici da parte dei giudici di sorveglianza? Che cosa ha impedito l’esercizio del controllo di legalità interna? Certamente una interpretazione restrittiva e timorosa della legge, rapporti di polizia fatti sui pre-stampati, operatori penitenziari demotivati, mancanza di sostegno all’esterno. Oggi i magistrati di sorveglianza si riuniscono a convegno richiamando parole d’ordine confortevoli risalenti ad altri tempi. Speriamo che la loro riflessione si distingua per la verità se non per l’autocritica. Le notizie che riceviamo da molte realtà sono infatti preoccupanti; pare che il riflesso predominante dell’indulto sia un ulteriore blocco dei benefici, con motivazioni francamente stravaganti. Viene addirittura esplicitato nei provvedimenti di rigetto che già troppi detenuti sono usciti. Noi invece pensiamo che dagli attuali 38.000 detenuti si potrebbe passare facilmente a 30.000 rendendo il carcere un luogo diverso da quello segnato dall’emergenza degli ultimi anni. Un carcere "extrema ratio" su cui giocare la carta del reinserimento. Per i magistrati l’alibi del troppo lavoro è caduto. Oggi va in scena la responsabilità di tutti e di ciascuno. Gli effetti dell’indulto non vanno vanificati. Il parlamento deve abrogare le leggi che hanno prodotto il sovraffollamento (immigrazione, droghe, recidiva); il governo deve scegliere un vertice dell’Amministrazione Penitenziaria che segni una profonda discontinuità con il passato. Speriamo che i magistrati di sorveglianza riuniti a convegno aiutino a rompere la costruzione mediatica forcaiola che ha imperversato in questi mesi, riappropriandosi di un ruolo legato alle ragioni storiche della riforma, nel nome della giustizia e dell’umanità. Speriamo che aprano una riflessione sul perché si è sentito il bisogno di importare in Italia un’istituzione, quella del Garante dei diritti delle persone private della libertà, che andrà ad affiancarli in uno dei compiti fondamentali che il nostro ordinamento assegnava loro. Speriamo che si interroghino su come interpretare il ruolo che a loro resterà quando, speriamo presto, a supervisionare sulla tutela dei diritti dei detenuti sarà anche qualcun altro.
Franco Corleone, garante dei detenuti di Firenze Patrizio Gonnella, presidente di Antigone Giustizia: Mancino; misure alternative direttamente al processo
Ansa, 20 ottobre 2006
Potenziare le misure alternative al carcere che andrebbero applicate direttamente dal giudice di merito. Lo chiede Nicola Mancino. Il vicepresidente del Csm si dice convinto della necessità di un serio ripensamento del sistema delle pene per deflazionare le competenze della magistratura di sorveglianza. Propone poi la figura dei mediatori culturali, che spieghino ai detenuti, soprattutto extracomunitari di religione islamica, i valori sociali e culturali della nostra civiltà. Giustizia: Manconi, dopo l’indulto possibile revisione sanzioni
Agi, 20 ottobre 2006
Il provvedimento di indulto "ha creato la condizione migliore" affinchè si realizzi la revisione del sistema delle sanzioni penali. Ad affermarlo è il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi, nel corso del suo intervento al convegno "Difendere Abele e recuperare Caino". Il sottosegretario ha detto di aver tratto "un grande conforto" dai messaggi inviati stamani al coordinamento nazionale dei magistrati di sorveglianza dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e dal vicepresidente del Csm, Nicola Mancino. "Per chi per 30 anni ha cercato di valorizzare il sistema sanzionato diverso dal carcere - ha rilevato Manconi - le loro parole sono una vera consolazione". Per il sottosegretario, inoltre, "giusta è l’indicazione di Mancino secondo la quale, le misure alternative potrebbero essere disposte già in sede di sentenza. Mi auguro - ha concluso Manconi - che il lavoro della commissione presieduta da Giuliano Pisapia arrivi a queste conclusioni". Giustizia: Napolitano; rieducazione condannato e tutela offesi
Adnkronos, 20 ottobre 2006
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato a Giovanni Tamburino, coordinatore nazionale dei magistrati di Sorveglianza, un messaggio di buon lavoro per il convegno: "Difendere Abele e recuperare Caino: una strada comune? Istituzioni e cittadini a confronto", che "costituisce un’importante occasione per riflettere approfonditamente sul tema della revisione delle sanzioni penali e della loro gestione, oltre che sulla necessità di instaurare un sistema che consenta di bilanciare il percorso di rieducazione e risocializzazione del condannato con la valorizzazione della tutela delle persone offese dal reato e, più in generale, della sicurezza". Giustizia: Verdi; lo sciopero dei sanitari richiede risposte
Ansa, 20 ottobre 2006
Paola Balducci e Marco Boato, dei Verdi, interpellano il governo sullo sciopero degli operatori sanitari penitenziari, "da ricondursi, secondo quanto sostenuto dall’Amapi, alla esiguità di risorse a fronte di un lavoro molto delicato con responsabilità sempre maggiori per i medici ed infermieri penitenziari". Dopo aver sottolineato che "il contratto dei medici di guardia è scaduto il 31 dicembre 2004 mentre quello dei medici incaricati, degli infermieri e dei tecnici è scaduto il 31 dicembre 2005", Marco Boato e Paola Balducci ricordano che gli operatori lamentano che da parte dei dirigenti del Dipartimento amministrazione penitenziaria, non sarebbe venuto "alcun tentativo di risoluzione, adducendo come motivazione la mancanza di risorse finanziarie sufficienti". Al Ministro della giustizia, Clemente Mastella, i parlamentari verdi chiedono quindi "quali iniziative il governo intenda assumere" e se "non ritenga che affrontare tale questione sia necessario non solo per risolvere i problemi dei medici e degli infermieri penitenziari, ma più in generale anche per migliorare la complessiva condizione penitenziaria". Paliano: polemiche sul passaggio di ruolo della direzione
Il Tempo, 20 ottobre 2006
Il posto di direttore dell’Istituto di pena di Paliano, diventa dirigenziale e così le due ultime direttrici non si passano le consegne e scoppia una polemica che fa parlare tutto il paese. Intanto monta la protesta tra i detenuti in semilibertà, che hanno necessità di ritirare la propria documentazione e non possono, perché le due direttrici si scaricano la colpa a vicenda. Il problema è uscito da radio fante, quelle voci che escono dal carcere in modo misterioso, ma che da qualche giorno però sta facendo il giro della città, perché l’argomento della lite tra le due direttrici è sulla bocca di tutti, con grave pregiudizio dello stesso istituto, dove all’interno vi sono rinchiuse tutte le "gole profonde" delle varie mafie italiane. Il carcere di Paliano, era tornato agli onori delle cronache, proprio qualche giorno fa, grazie alla visita della Presidente della Commissione Regionale difesa Laurelli, che aveva sollecitato fondi per la costruzione del nuovo carcere e quindi consegnare questo vecchio maniero agli studi ed alla cultura. Infatti, questa struttura del 1517 è ormai obsoleta per una struttura carceraria moderna. Ci sono più agenti che detenuti. Forse è l’unico caso in Italia, anche dopo l’indulto, che da Paliano ha visto uscire due persone che hanno usufruito di questo beneficio. Insomma, torna nell’occhio del ciclone il carcere di Paliano, questa volta non per motivi politici, ma per una "bega" tra funzionari del Ministero della Difesa, che non si sarebbero passate le consegne al momento del cambio di direzione, e quella che è arrivata da poco, si rifiuta di consegnare gli effetti personali, ai detenuti in uscita, perché manca l’inventario con la precedente. Una situazione davvero assurda e grottesca, che mette però alla berlina la stessa ed importante istituzione, che a Paliano è vista come una risorsa, in considerazione del fatto che numerosi sono gli Agenti di Polizia Penitenziaria, che vi lavorano, anche perché la città di questo "mestiere" ne ha fatto quasi un vanto. Ma, la situazione che si è creata all’interno adesso potrebbe diventare veramente esplosiva se le due contendenti non trovano un accordo che metta fine a questa diatriba interna. Droghe: Fini; se cancellano la mia legge scendiamo in piazza
La Repubblica, 20 ottobre 2006
"Se viene cancellata la legge contro la droga che porta il mio nome daremo vita ad una grande manifestazione di piazza insieme a molte mamme e a molti papà". Lo annuncia Gianfranco Fini, intervistato da Repubblica Tv. "Non esiste - spiega - una distinzione tra droghe leggere e pesanti, lo dicono le nazioni unite". E sull’inchiesta delle iene sul consumo di droga da parte dei parlamentari, Fini dice: "coloro che hanno fatto ricorso al garante hanno sbagliato perché hanno confermato l’idea dell’ipocrisia". Usa: detenuto 29enne si suicida poco prima dell’esecuzione
Ansa, 20 ottobre 2006
Pur di sottrarsi al boia, un giovane di 29 anni condannato a morte si è suicidato nella sua cella di un carcere texano poco prima dell’ora fissata per l’esecuzione. Michael Johnson, 29 anni, avrebbe dovuto essere ucciso con un’iniezione letale alle 5 di questa mattina. Alle 2.45 i secondini lo hanno trovato esanime nella sua cella; si era tagliato la vena giugulare e l’arteria del braccio destro con un’arma rudimentale. Il giovane è stato dichiarato morto un’ora dopo. La portavoce delle carceri texane, Michelle Lyons, ha annunciato che sarà aperta un’inchiesta sul suicidio. Bisognerà chiarire come Johnson sia riuscito a procurarsi il coltello con cui si è tolto la vita. Proprio per impedire ai condannati a morte di suicidarsi, a partire da sei giorni prima della data dell’esecuzione i detenuti sono controllati ogni mezz’ora e nelle ultime 36 ore ogni 15 minuti. Sul muro della cella ha lasciato un messaggio scritto con il sangue delle ferite che si era inferto: "Non sono stato io". Johnson era stato condannato a morte per l’uccisione di un ventisettenne nel 1995, durante una rapina, ma aveva sempre dato la colpa al suo complice, che si era dichiarato colpevole di rapina aggravata e aveva testimoniato contro di lui, cavandosela con otto anni: ora è in libertà. Il portavoce del carcere di Livingston ha detto che in Texas (lo stato americano cui spetta il primato delle esecuzioni capitali, 376 dal 1982, anno in cui le esecuzioni sono riprese) vi sono stati "un paio di suicidi" nel braccio della morte, ma nessuno tanto a ridosso dell’esecuzione. Johnson sarebbe stata la 22esima persona giustiziata in Texas quest’anno. La sua esecuzione tuttavia non era certissima, perché erano ancora pendenti due ricorsi presentati dal suo avvocato alla Corte suprema. Attualmente nelle celle della morte americane si trovano 390 persone. Belgio: uccise il suo aguzzino, il pm chiede l'assoluzione
Corriere della Sera, 20 ottobre 2006
Ad anni di distanza, ha fatto pagare la sua infanzia violata all’uomo che ha abusato di lui. È ancora una brutta storia belga di pedofilia quella all’esame in questi giorni della Corte d’assise di Bruxelles, ma questa volta con un esito a sorpresa: la pubblica accusa, dopo aver puntato il dito contro la magistratura e la famiglia, ha chiesto l’assoluzione della vittima, trasformatasi in assassino del suo aguzzino. La vicenda va fatta risalire al dicembre 2004. A Heikruis, località fiamminga poco distante da Bruxelles, il giovane David Bouchat, che ora ha 26 anni, ed un suo amico, Sebastien Leonard, 29 anni, vengono fermati dopo il ritrovamento dei corpi carbonizzati di Christian Malot, 59 anni, e di sua moglie Andree Vandend Bossche, 61 anni, uccisi a coltellate prima che la loro casa fosse data alle fiamme. Malot è una vecchia conoscenza degli inquirenti: l’uomo è stato oggetto di numerose denunce per pedofilia presentate dal ragazzo a cui aveva fatto da padrino, David Bouchat. Da piccolo, David, era stato ripetutamente violentato dal padrino, anche sotto gli occhi della moglie. Più tardi, il ragazzo aveva trovato il coraggio, anche spinto dall’emozione creata dagli omicidi e dalla violenze del pedofilo Marc Dutroux, di denunciare quello che aveva subito. Ma la magistratura non aveva preso in considerazione quelle denunce. "Quest’omicidio - ha tuonato in Corte d’assise il pm Luc De Vidts davanti ai giurati - non ci sarebbe stato, se Bouchat non avesse subito, quando era un bambino, le violenze sessuali inflittegli da Malot. Il violentatore è l’accusato che non si trova davanti a voi che, invece, dovete giudicare la sua vittima". Dalla pubblica accusa parole di fuoco anche contro la magistratura belga, messa sul banco degli imputati per "aver mancato ai suoi doveri". Secondo De Vidts, i colpi mortali non sono stati inflitti da Bouchat in "modo volontario" perché, al momento dell’omicidio, "era sotto l’effetto di una forza irresistibile, assolutrice del crimine: Malot non voleva riconoscere i suoi misfatti e trattava il suo figlioccio come un bugiardo". Anche per l’amico di David, il pm ha chiesto l’assoluzione, mentre ha domandato che sia invece giudicato per l’assassinio della moglie del pedofilo.
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