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Giustizia: Mastella: sì all’amnistia, ma decida il Parlamento
Il Gazzettino, 14 novembre 2006
"Non mi farò trovare impreparato da solo: se altri vorranno affrontare questa impostazione ne sarò partecipe, ma non ne sarò il promotore": il ministro della Giustizia ribadisce di non essere contrario ad una amnistia, ma di non voler impegnarsi da "protagonista". L’atteggiamento di Mastella, come lui stesso ha fatto sapere, si spiega con le polemiche scaricatesi sul ministero della Giustizia, dopo l’indulto: un provvedimento approvato con l’80 per cento dei consensi in Parlamento, ha ricordato il Guardasigilli, e che poi in troppi hanno contestato. Così, Mastella (Udeur), spiega di esser d’accordo con le tesi del Csm, in materia di amnistia, ma di voler limitare "a prendere atto della volontà del Parlamento". Proprio ieri, il vicepresidente del Csm, Mancino, ha ripetuto che "si poteva fare contemporaneamente una amnistia mirata e un indulto non con un abbuono di tre anni", ma di portata inferiore. Mancino, che sull’ipotesi di una amnistia tout court si è detto "contrario", ha spiegato che è stato un errore aver fatto l’indulto solo per "decongestionare" le carceri, "senza aver liberato la magistratura da incombenze" e ha sottolineato che sul punto "c’è stata una eccessiva fretta" da parte del Parlamento. Il vicepresidente dell’organo di autogoverno della magistratura ha inoltre colto l’occasione per precisare che il Csm non ha chiesto l’amnistia, perché il Csm non è una "terza Camera. Non abbiamo detto al Parlamento "avete fatto l’indulto, ora fate l’amnistia", ma abbiamo storicizzato che nella storia repubblicana indulto e amnistia hanno sempre viaggiato su binari paralleli". Nella maggioranza, a favore di una amnistia continuano ad essere Verdi, Pdci e Prc, mentre l’Idv di Di Pietro resta contraria. "L’amnistia non risolve gli innumerevoli problemi da cui è afflitta la giustizia penale del nostro Paese", ribadisce Massimo Donadi, capogruppo Idv alla Camera, annunciando che il suo partito "sta preparando un pacchetto di provvedimenti di natura ordinamentale, che consenta di raggiungere due obiettivi: fare in modo che il 20 per cento dei processi, che già non è stato vanificato dall’indulto, possa essere trattato con carattere di priorità da parte degli uffici giudiziari, e poi realizzare una serie di riforme a "costo zero" del procedimento penale in tutte le sue fasi, che rendano i giudizi più celeri e più efficaci le pronunce dei giudici". In tal modo, assicura Donadi, non ci sarà bisogno di ricorrere all’amnistia. Per il Pdci, da Sgobio arriva all’amnistia un sì condizionato al fatto che questa sia limitata "ai reati minori, quelli che è possibile condonare" e non invece "allargata, estendendo eccessivamente le maglie, così come già successo per l’indulto". Il rifondatore Russo Spena osserva che "è ovvio che l’indulto, per non essere vanificato in pochi mesi, deve essere seguito da una serie di provvedimenti come un’amnistia, selettiva e tale di prevedere il risarcimento per le parti lese". Anche per il verde Bulgarelli, "per non vanificare i risultati fin qui ottenuti, servirebbe il varo di un’amnistia, come del resto è sempre accaduto in occasione dell’indulto". Giustizia: Antigone; dentro le carceri troppi pestaggi e morti
Il Messaggero, 14 novembre 2006
Pestaggi, vessazioni psicologiche, violenze e umiliazioni reiterate all’interno di carceri sovraffollate, con detenuti costretti a vivere in condizioni igieniche critiche, in prigioni dove il diritto alla difesa non è sempre garantito e le cure mediche sono insufficienti. Così viene descritto il sistema penitenziario italiano nel rapporto annuale "Dentro ogni carcere", realizzato dall’Osservatorio dell’associazione Antigone tra 208 istituti di pena in Italia. Solo nel 2005 - denuncia Patrizio Gonnella, presidente di Antigone e autore insieme a Igea Lanza di Scalea di un capitolo dedicato ai maltrattamenti - sarebbero 300 i casi di detenuti morti nelle carceri italiane, e nonostante "l’amministrazione penitenziaria non abbia fornito dati a riguardo, di questi 60 sono i suicidi, 57 uomini e 3 donne". Diversi i risvolti processuali e le inchieste aperte in seguito a denunce di detenuti. Ad Ascoli Piceno la stessa Antigone si è costituita parte civile nel processo ad alcuni operatori penitenziari rinviati a giudizio in seguito alla morte di un detenuto. Casi simili anche negli istituti di Biella, Caltanissetta, ma anche Firenze, Forlì, Roma e Napoli. Per Patrizio Gonnella, però, gli abusi iniziano ancora prima dell’ingresso in carcere, al momento dell’arresto, con insulti e maltrattamenti, soprattutto nei confronti degli stranieri, in questure e comandi dei carabinieri. Nel volume oltre ad un’analisi dei dati sulla popolazione carceraria e sulle condizioni di vita all’interno degli istituti di pena, si affrontano anche possibili strategie politiche per fronteggiare ad una "situazione critica". Antigone sottolinea la necessità di "risposte sociali a difficoltà che nascono nella società, una vera azione preventiva delle condotte criminali, e una svolta rispetto all’approccio meramente proibizionista adottato sin d’ora, per esempio, riguardo l’uso di sostanze stupefacenti". Ma soprattutto "alternative al sistema della detenzione". Giustizia: una fotografia dell’inferno in terra, di Paola Bonatelli
Il Manifesto, 14 novembre 2006
Le sofferenze dei ministri Clemente Mastella e Giuliano Amato, provate nel proporre ed accettare il provvedimento di indulto, potrebbero trovare una cura, o almeno un lenitivo, dalla consultazione del quarto rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione nelle carceri italiane, in libreria in questi giorni per Carocci. Il volume, frutto del lavoro dell’osservatorio dell’associazione, una cinquantina di volontari che per tutto il 2005 hanno visitato le galere nazionali, è un’istantanea dell’inferno prima, appunto, del famigerato indulto. Detenuti a strati in celle piccolissime, magari coi materassi a terra, qualcuno costretto a dormire in magazzino, strutture a pezzi o inutilizzate perché il personale non bastava mai, istituti - come Cagliari-Buoncammino, tanto per fare un esempio - in cui l’80% dei detenuti era ammalato, diritti individuali e collettivi, di reclusi e operatori, allo sbando, qualsiasi iniziativa positiva vanificata dall’"emergenza" del sovraffollamento cronico. Molte delle schede contenute nel rapporto sono un pugno nello stomaco: narrano di giovanissimi rom che si sono impiccati a pochi giorni di distanza l’uno dall’altra - per la precisione nel carcere di Bergamo nel 2005, lui 23, lei 22 anni; di celle ricavate nel fossato di prigioni duecentesche, come nell’isola di Favignana, dove, nonostante le condizioni di invivibilità e l’alta percentuale di detenuti con gravi problemi psichiatrici, si riusciva anche a produrre oggetti artigianali in legno, poi venduti in una mostra-mercato; di "loculi" (la definizione è degli operatori del carcere) da 9 m² con 6 letti a castello su strutture arrugginite (Casa circondariale di Forlì); di carceri da 250 persone, con un solo educatore a disposizione, come a Venezia, che con le sue tre carceri (di cui una a custodia attenuata) e un’efficiente rete territoriale è comunque considerata un esempio di "buona prassi". E così via. Il quadro impressionante che se ne ricava, non solo dalla lettura delle schede relative ai 208 istituti di pena presenti sul territorio nazionale ma anche dai dati contenuti nelle analisi dei dati statistici e dai capitoli relativi ai maltrattamenti e alle condizioni di lavoro degli operatori penitenziari, un aspetto positivo ce l’ha. Quello di non essere più affidabile - come osserva Mauro Palma nella prefazione al volume - dato che nel frattempo è stato appunto approvato il provvedimento di indulto, che non ha solo dato la libertà a circa 24.000 condannati, ma ha restituito la dignità alle strutture e alle persone: ai detenuti - che da 61.246 (al 30 giugno 2006) diventano 38.847 (al 31 agosto 2006) - e agli operatori, nessuno escluso. Gli educatori, pochi e talmente sovraccaricati di lavoro da costringere istituzioni non specifiche, in questo caso la Regione Piemonte, ad adottare misure che hanno suscitato anche qualche perplessità - l’ente locale infatti ha formato e assunto a tempo determinato 22 educatori penitenziari, che si sono aggiunti ai 29 dipendenti dall’amministrazione. Gli agenti, costretti a turni massacranti e talvolta decimati dalle malattie professionali e dall’assenteismo, sempre sospesi tra la mera funzione di custodia e quella prevista dall’ordinamento, la partecipazione attiva all’équipe trattamentale. Il personale sanitario, costretto a far fronte ad emergenze continue, dall’alto numero di tossicodipendenti alle malattie infettive, dai casi di autolesionismo alla sempre più numerosa presenza di detenuti con disagi psichici (un problema su cui ha intenzione di lavorare il prossimo osservatorio di Antigone). Un tale memorandum potrebbe servire anche al ministro Antonio Di Pietro, che ieri a Napoli ha parlato di indulto come di "un atto di resa dello Stato", dicendosi convinto del "diretto rapporto tra l’indulto e la recrudescenza della criminalità". Affermazioni che, pur non avendo alcun riscontro nei dati reali - al 25 ottobre erano 1.336 i rientrati in carcere dopo aver beneficiato dell’indulto, neanche 800 i nuovi reati commessi - rischiano di condizionare le future politiche della giustizia, in primis l’eventuale approvazione di un provvedimento di amnistia, necessario secondo lo stesso Csm, e più in generale ogni proposta di riforma del sistema penale e penitenziario. Una questione che non riguarda solo la politica e questo governo, che dovrebbe avere il coraggio di abolire o modificare le leggi liberticide, applicare quelle esistenti (per esempio sulle detenute-madri e i loro bambini costretti alla carcerazione ma anche sul passaggio della medicina penitenziaria alla sanità pubblica), e farne di nuove, basti pensare all’istituzione della figura del garante, su cui lo Stato è in palese ritardo non solo rispetto agli altri Paesi europei ma persino rispetto agli enti locali (i garanti esistenti per ora sono tutti comunali, provinciali e regionali). Riguarda molto anche gli organi di comunicazione, che gridano "al lupo al lupo" ma non dicono, ad esempio, che il rientro in carcere di tanti stranieri è dovuto alla legge sull’immigrazione, che li ha resi, appena fuori dalla soglia della galera, di nuovo clandestini. Giustizia: grazie all’indulto ora nelle carceri si respira meglio
Liberazione, 14 novembre 2006
Iniziammo quasi 10 anni fa a girare vorticosamente per le carceri italiane per informare correttamente l’opinione pubblica su quello che accade dentro le mura. In questi anni abbiamo visto alternarsi tre governi, siamo stati dichiarati anarco-insurrezionalisti vigente il dicastero Castelli, abbiamo contato tre capi dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e quasi 61 mila detenuti. Da circa 10 anni si parlava di un provvedimento di clemenza. Girando per le galere lo abbiamo sentito evocare, sperare. Editorialisti illustri, uomini di chiesa, politici di destra e di sinistra, ex presidenti della Repubblica, sindacalisti, e finanche magistrati lo hanno richiesto a gran voce. Noi dicevamo che le carceri scoppiavano di poveri, matti, immigrati, tossicodipendenti. Loro dicevano che sarebbe stato opportuno un gesto di umanità. C’è chi a Natale ha marciato nel nome dell’amnistia. E poi, inaspettatamente in piena estate, l’indulto è arrivato. Sono 24.256 i detenuti fino a oggi usciti dal carcere e il loro numero è ancora in crescita. E allora gli editorialisti hanno iniziato a dire che la sicurezza era a rischio, molti politici hanno messo la testa sotto la sabbia, gli uomini di chiesa hanno parlato solo di cellule staminali e di coppie di fatto, i sindacalisti sono tornati sensibili alla voce (dura) delle masse popolari, i magistrati hanno detto che l’indulto faceva schifo. Ora la magistratura consorziata chiede l’amnistia per evitare di celebrare processi inutili. Noi siamo d’accordo. Lo eravamo anche prima. Il clima culturale è però deteriorato, forse irrimediabilmente. Speriamo non pregiudichi la possibilità di fare le necessarie riforme penali e penitenziarie. Eppure l’amnistia sarebbe un provvedimento necessario per riportare la giustizia alla sua funzione ordinaria. Molti, quasi tutti, si sono dimenticati chi affollava le carceri, quanto fosse di classe il sistema della giustizia penale. Questo quarto Rapporto è l’ultimo delle carceri pre-indulto e il primo di quelle post-indulto. È una sorta di guida Michelin delle carceri italiane, manca solo il numero di manganelli al posto delle classiche forchette. Carcere per carcere, il quadro che emerge è quello di un sistema degradato nei suoi aspetti materiali e nella sua organizzazione interna, gli uni e l’altra abbandonati da una gestione centrale e integrata sempre più inconsistente. Se muoviamo un passo indietro sì può avere una linea d’orizzonte ancora più ampia, ci accorgiamo facilmente di come alla base del degrado quotidiano vissuto dal mondo penitenziario stia un degrado caratterizzabile come sostanzialmente culturale, che ha manifestazione e origine nella ricezione delle varie espressioni del carcere. Sempre di più, quello carcerario è un ambito sul quale non si ritiene vantaggioso o interessante investire le risorse, oltre che dell’amministrazione e della politica, della stessa formazione teorica, in un circolo vizioso secondo il quale, tanto a causa quanto a effetto di ciò, ogni cosa ruoti attorno al carcere è sentita dall’immaginario comune come dotata di un basso profilo culturale. Accade così, per fare un esempio, che il lavoro di operatore penitenziario sia spesso vissuto come un’opzione dequalificante e di ripiego nella vita delle persone che pure finiscono per praticarla. La condizione carceraria è molto diversa da regione a regione, da città a città, in una sorta di geografia a macchia di leopardo, dove la ruota della sfortuna ti può portare alla casa circondariale di Padova, mentre ti sarebbe andata molto meglio se fossi stato recluso a trecento metri a sinistra, ossia al Due Palazzi. Dove può capitare, sempre se sei sfortunato o se sei ritenuto di fastidio, che ti sbattano nelle carceri sarde, definite dagli stessi operatori "di sfollamento", in quanto vengono usate per ridurre la popolazione degli istituti del Nord e della Campania (la Bbc dedicò un servizio all’altissimo numero di suicidi che avvenivano nell’isola); ma ti potrebbe capitare, se sei fortunato, di andare a Gorgona, al Gozzini di Firenze o a Pisa, dove sei trattato ben meglio. Ora siamo in una fase delicata del governo dell’Unione. Il capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria nominato dal leghista Castelli è andato via. Si attende la nomina del successore. Noi vorremmo che nella sua patente ci fosse scritto: credo nella Costituzione. Giustizia: Don Benzi; serve certezza del recupero, non della pena
Redattore Sociale, 14 novembre 2006
Certezza della pena o certezza del recupero? Di fronte al ritorno di oltre 1500 detenuti in carcere e la prospettiva quasi obbligatoria dell’applicazione dell’amnistia, il ministro dell’Interno parla di certezza della pena come soluzione definitiva del problema carcere e della giustizia Italiana. Ma Don Oreste Benzi, della Comunità "Papa Giovanni XXIII" ribatte: "Che senso ha avere la certezza che una persona ha scontato otto anni anziché cinque se poi quando esce si trova senza risorse e dunque indotta a delinquere ancora? In questi anni ho girato tantissimo nelle carceri italiane e come Comunità "Papa Giovanni XXIII" abbiamo accolto quasi 300 detenuti. Conoscendoli e condividendo la vita con loro, si può affermare con sicurezza che il problema non è la certezza della pena , ma quella del recupero". Don Benzi ricorda a questo proposito le parole di un detenuto, Fabio, con alle spalle 15 anni di carcere: "Opportunità è solo questione di opportunità! Incontrare persone giuste e disponibili a camminare con te, farsi carico di quelle sofferenze che determinano comportamenti delinquenziali. Se non le avessi incontrate, all’uscita del carcere, dopo che tutti ti hanno abbandonato, con la rabbia e la rassegnazione hai solo la strada della recidività." E per ribadire quanto il recupero integrale della persona sia possibile, Don Oreste Benzi sottolinea anche le positive esperienze vissute dalla Comunità in provincia di Rimini dove, in quasi due anni, sono stati accolti oltre 50 detenuti comuni: "Il nostro progetto educativo "Oltre le sbarre" non sono parole di sognatori con la testa fra le nuvole o che dà i numeri...anzi sonO proprio i numeri che ci fanno dire che la strada da imboccare è la certezza del recupero e non quella della pena". Sostengono la convinzione di Don Benzi, le parole del sottosegretario Luigi Manconi che dichiara: "In Italia è senso comune - anche della sinistra - vedere la pena solo in termini afflittivi, sostanzialmente vendicativi. Così il carcere, o meglio la cella chiusa, diventa la sola forma di sanzione non solo applicabile ma addirittura immaginabile. Non si riesce a capire che quel ragazzo in comunità è comunque in una struttura chiusa, nelle condizioni di non nuocere, in attesa di processo. Se riconosciuto colpevole dovrà scontare la sua pena. Ed è fondamentale che la sanzione sia scontata, ma anche che abbia una finalità rieducativa, come previsto dall’articolo 27 della Costituzione. Non solo per il bene del ragazzo, perché la sua rieducazione è utile per l’intera società. Questa è la grande questione: senza rieducazione si attenta alla sicurezza collettiva." "Come Comunità Papa Giovanni XXIII - conclude Don Benzi - vorremmo non solo stare a vedere , ma anche essere più coinvolti verso un cambiamento radicale di intendere la pena. Il precedente governo ci ha illuso o meglio deluso per una politica severa ma incapace di sperimentare vie nuove che tengono conto delle risorse del territorio ed anche di comunità di recupero del privato sociale". Napoli: l'ex Pm Cordova; prendersela con l’indulto è sbagliato
Il Mattino, 14 novembre 2006
È sbagliato attribuire all’indulto effetti che non ha, come l’escalation di violenza a Napoli, sostiene Agostino Cordova, già capo della Procura partenopea, dalle colonne della Stampa. Mentre Antigone, l’associazione che si occupa dello stato delle carceri italiane e che ieri ha presentato il suo quarto Rapporto, dice che lo stesso indulto "è un pannicello caldo" e la vera questione sono "le nostre carceri" che "fanno schifo". A tal proposito il ministro della Giustizia ha annunciato un piano per il loro potenziamento. Tutto questo quando il Venerdì di Repubblica della scorsa settimana prova a smontare il mito di un’Italia insicura, pubblicando alcuni studi che dimostrano come il nostro Paese in realtà sia statisticamente fra i più tranquilli del continente. Mentre continua lo scontro politico sull’opportunità del provvedimento di clemenza e prosegue il "tiro al piccione" sul Guardasigilli Mastella, l’ex procuratore della città vesuviana Cordova mette in fila fatti, cause e conseguenze ed emette la sua sentenza: "L’indulto non cambia nulla". Intervistato dal quotidiano torinese, il magistrato spiega che "ormai la camorra non si preoccupa del rumore provocato dei suoi misfatti e non si preoccupa perché sa bene che non esiste la certezza della pena". Dunque, non è lo sconto di pena ma "l’incertezza delle pene dello Stato, al contrario di quelle di mafia" a creare il clima di paura. "Il collegamento fra i fatti recenti di Napoli e il provvedimento" fa notare Cordova "non appare condivisibile in quanto, avendo la camorra deciso di commettere tali delitti, certo non avrebbe aspettato l’indulto per farli commettere da soggetti scarcerati". Ma Cordova, nelle ore in cui si discute di ipotesi di amnistia, ricorda che sarebbe proprio questa misura a "vanificare i procedimenti penali", poiché "estinguendo il reato, risulterebbe del tutto inutile l’enorme numero di procedimenti instaurati per gli illeciti rientranti nel beneficio, e le relative attività d’indagine dei pm e della polizia giudiziaria, oltre quelle dei giudici nelle varie fasi". Più che con un’amnistia, osserva Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, sarebbe necessario intervenire su alcune leggi del governo Berlusconi, cioè quelle "sulla droga, sull’immigrazione, sulla Cirielli". Soprattutto ora che, dopo l’indulto, negli istituti di pena ci sono più posti che detenuti (a novembre sono state censite 38.385 presenze a fronte di una capienza massima regolamentare di 42.500 posti). "Servono subito le riforme" afferma Gonnella "bisogna cambiare al più presto quelle leggi". Altrimenti "potrebbe bastare poco tempo per ritrovarsi con le carceri piene". Quanto alle condizioni dei penitenziari, si legge nel dossier di Antigone, sono rimaste pressoché le stesse di prima, sebbene ci siano tra carcere e carcere delle differenze qualitative. Comunque, già prima della pubblicazione del Rapporto, Mastella ha annunciato interventi strutturali per ampliare gli istituti di pena. La prima iniziativa coinvolge sei penitenziari e prevede 1400 nuovi posti. Ma la gravità dell’allarme criminalità spesso è questione di percezione. Lo dimostrano le statistiche pubblicate sul magazine di Repubblica. I dati recenti, nazionali ed internazionali, relativi agli omicidi, convergono su un punto: l’Italia si colloca tra i Paesi Ue più tranquilli in assoluto. Siamo dietro ad esempio ai Paesi scandinavi, al Regno Unito, al Belgio, alla Spagna e al Portogallo. E anche alla Francia. Inoltre, quanto a poliziotti il Belpaese ne ha il doppio della Germania e della Gran Bretagna e molti di più della Francia. Se si considerano le capitali, poi, Roma è fanalino di coda rispetto ad altre grandi città come Londra, Berlino, Parigi, Madrid. Insomma, conclude Anna Alvazzi Del Frate dell’Unicri (l’Istituto di ricerca sul crimine dell’Onu): "L’Italia ha tassi di omicidi, borseggi, aggressioni, rapine più bassi della media Ue. Ha un tasso di furti in appartamento simile a quello medio e ha tassi più alti solo per quel che riguarda i furti di auto e moto". Treviso: vescovo paga gli imbianchini per ripulire il carcere
Il Gazzettino, 14 novembre 2006
Carcere al verde, il Vescovo paga la ritinteggiatura: tremila euro per imbiancare le pareti delle celle rimaste vuote dopo le scarcerazioni dell’indulto. Nonostante le novità, quindi, i problemi restano quelli di sempre, ovvero della carenza di fondi per i quali la Finanziaria non promette niente di buono. A tracciare un quadro del sistema penitenziario e carcerario territoriale è stato, ieri mattina, il direttore del Santa Bona, Francesco Massimo, in occasione dell’annuale festa del Corpo di polizia penitenziaria. Un quadro soprattutto di ombre, anche rispetto all’applicazione della legge 241 che a Treviso ha liberato 155 detenuti su una presenza media di 260. Dei beneficiari ne sono rientrati tre, di cui uno già rimesso in libertà. "La vivibilità e l’efficienza di un sistema penitenziario però -ha sottolineato il direttore - non dipendono soltanto dalla comodità e dalla spaziosità delle strutture nelle quali le persone sono ristrette, ma anche e soprattutto dalla erte di interventi qualificati che introno alle persone vengono messi in atto. Ora, quindi - ha concluso il direttore - si necessita di misure di riorganizzazione e di riforme strutturali, incrementando le misure alternative alla detenzione, così da rendere più facile il reinserimento sociale e di conseguenza anche la crescita dei livelli di sicurezza per i cittadini". Piemonte: intesa per assistenza ai detenuti tossicodipendenti
Redattore Sociale, 14 novembre 2006
L’ha sottoscritta la Regione: percorsi operativi standard per la diagnosi e il trattamento dei pazienti, screening Hiv, continuità assistenziale, formazione per operatori, informazione e prevenzione in carcere Interventi più omogenei, tempestivi ed efficaci in tutte le carceri piemontesi per la migliorare la qualità dell’assistenza ai detenuti tossicodipendenti. Questo l’obiettivo del protocollo di intesa siglato dall’assessorato regionale alla Tutela della salute e Sanità con il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria per il Piemonte e la Valle d’Aosta. Ne dà notizia l’assessore Valpreda che spiega come si è giunti alla predisposizione del documento: "In ottemperanza ad una legge nazionale, nel 2003 le funzioni fino a quel momento svolte dall’amministrazione penitenziaria nei settori della prevenzione e della cura dei detenuti tossicodipendenti sono state trasferite al Servizio sanitario regionale. In seguito a questo passaggio, è stato istituito un tavolo tecnico congiunto, incaricato di definire obiettivi comuni e modalità di collaborazione tra le strutture carcerarie e i Ser.T. di riferimento, in modo da assicurare a tutti i carcerati livelli uniformi e più completi di presa in carico da parte dei servizi. Si è così arrivati alla predisposizione di un documento che individua percorsi operativi standard per la diagnosi e per il trattamento dei pazienti". L’assessore ha poi sinteticamente illustrato quanto stabilito dal protocollo: "Al momento dell’ingresso del detenuto in una struttura carceraria, il sanitario dell’istituto è tenuto ad effettuare immediatamente una prima valutazione sull’eventuale stato di dipendenza da alcool o droga, sulla base delle dichiarazioni fornite dall’interessato oppure attraverso esami diagnostici volontari. Al detenuto, inoltre, è offerta la possibilità di eseguire una serie di screening, dall’Hiv alla tubercolosi. Gli esiti degli accertamenti sono poi comunicati al Ser.T. di competenza, perché possa svolgere ulteriori esami e quindi proporre un programma terapeutico-riabilitativo. Ed ancora, per le persone già in cura con terapia sostitutiva al momento della carcerazione, è prevista la garanzia della continuità assistenziale, così come assicurata è la pronta assistenza ai soggetti che presentino sintomatologie astinenziali in atto. Infine, il sistema sanitario e quello penitenziario si impegneranno per promuovere all’interno delle carceri attività di informazione e prevenzione sulle dipendenze patologiche, nonché a organizzare programmi di formazione congiunta che vedano la partecipazione interprofessionale di tutti gli operatori coinvolti nella gestione dei detenuti tossicodipendenti". Tocca ora alle direzioni dei singoli Istituti concordare con le Asl di riferimento gli articolati operativi che devono rendere esecutivo il protocollo. Il modello a cui guardare è, secondo l’assessore Valpreda, quello già funzionante da anni all’interno delle Vallette di Torino, "dove la collaborazione tra gli operatori del Ser.T. e la comunità a custodia attenuata Arcobaleno sta dando ottimi risultati in termini non solo di cura, ma anche di reinserimento sociale dei detenuti tossicodipendenti". Lombardia: Pagano; con l’indulto la situazione è migliorata
Redattore Sociale, 14 novembre 2006
"La situazione delle carceri lombarde è migliorata dopo l’indulto. Ora bisogna lavorare alla creazione di un circuito regionale per operare in sinergia sul fronte del reinserimento sociale dei detenuti". Questo il bilancio del provveditore alle carceri Luigi Pagano, interpellato alla Festa della polizia penitenziaria. Pagano aggiunge: "Gli 8.900 detenuti che avevamo a giugno erano onestamente troppi. Ora con l’indulto ne abbiamo scarcerati oltre 6mila e di questi ne sono tornati in carcere circa 200. Dobbiamo evitare il riaffollamento e lavorare in sinergia tutti gli enti evitando ripercussioni sul sociale". Secondo il provveditore, "il nostro patrimonio carcerario, al di là delle carceri di San Vittore e Brescia, è piuttosto nuovo: Opera, Vigevano e Bollate hanno solo 20 anni". Da ex direttore del carcere di San Vittore, Pagano ricorda la ristrutturazione di due reparti e "l’intesa tra il ministero e la Regione per creare una struttura alternativa", la cittadella giudiziaria che dovrebbe ospitare in periferia anche sia il carcere, sia il tribunale. Il provveditore, comunque, tiene a sottolineare che "il problema è quello di lavorare bene in prospettiva per il reinserimento dei detenuti, attraverso le attività di formazione e le attività scolastiche". E afferma che "la Regione ha già fatto molto con il varo della legge elettorale". Pensando in prospettiva, per Pagano "non bisogna lavorare sull’onda dell’emergenza, ma farlo sistematicamente perché le persone che escono dal carcere non tornino a delinquere". Il bilancio sull’indulto è positivo anche a livello nazionale. "Anche in termini di dati nazionali - sono le parole di Pagano - l’opera svolta dopo l’indulto è positiva". Uno strumento in più, conclude, sarebbe quello di "prevedere più pene alternative al carcere". Toscana: con l’indulto fuori 1.499 persone, "solo" 121 i rientri
Ansa, 14 novembre 2006
L’indulto non ha risolto i problemi di sovraffollamento delle carceri e soprattutto in quelle dei capoluoghi, in primis Firenze ma anche Livorno e Pisa, la situazione, dopo le scarcerazioni per il provvedimento di clemenza effettuate nei mesi scorsi, sono gradualmente tornate critiche. È quanto emerge a margine della presentazione, in Palazzo Vecchio, del rapporto sulle carceri italiane stilato dall’Associazione Antigone. Secondo i dati forniti da Alessandro Margara, presidente della Fondazione Michelucci, e da Franco Corleone, garante per i diritti dei detenuti di Firenze, sono usciti dal carcere in Toscana 1499 persone (i dati sono aggiornati alla fine di ottobre), di cui 680 stranieri e 819 italiani, su un totale italiano di oltre 24 mila beneficiari. Le persone rientrate in carcere dopo aver usufruito dell’indulto sono oltre 1300 a livello nazionale, mentre in Toscana sono state 121, di cui 113 uomini (80 stranieri) e 8 donne (due straniere). Di questi, circa 100 sono stati riarrestati in flagranza di reato. "Al momento - ha spiegato Margara - è a Sollicciano che si registra la situazione più critica: l’istituto ha una capienza massima di 500 persone, ne ospitava circa il doppio prima dell’indulto e dopo la scarcerazione della metà adesso i detenuti sono già risaliti a 650. E i problemi derivano anche dal fatto che le tipologie dei detenuti sono le più varie: dalle donne ai transessuali ai malati psichici, senza dimenticare le precarie condizioni igieniche e di salubrità". "Sull’indulto stiamo assistendo a polemiche senza senso - ha affermato Corleone - visto che non si può abrogare né tornare indietro. Il problema è che questo provvedimento ha messo in evidenza il malfunzionamento delle misure alternative al carcere, cosa che del resto si presenta ogni volta che un detenuto esce e non solo in caso di indulto". Reggio Calabria: studenti a confronto su diritto, carceri e indulto
Quotidiano di Calabria, 14 novembre 2006
Si è svolta ieri mattina, presso la Sala Giuditta Levato del palazzo del Consiglio Regionale della Calabria, la conferenza stampa di presentazione del meeting dal titolo "I diritti costituzionali dei detenuti e i provvedimenti di clemenza". L’iniziativa, organizzata con il patrocinio della facoltà di Giurisprudenza, della Regione Calabria, del Comune e della Provincia di Reggio Calabria, è nata dalla proposta della Federazione delle Associazioni di Giurisprudenza, che raccoglie enti studenteschi come Ius Rheginum Onlus, Incipit, Zaleuco, La Proposta, Vivere la Facoltà, Comitato Scienze Economiche. Presenti alla conferenza stampa i rappresentanti delle associazioni promotrici dell’evento, tutti soddisfatti per la realizzazione di una due giorni di dibattito su un tema scottante e di stretta attualità. A prendere subito la parola è Antonino Castorina, rappresentante degli studenti all’interno del corso di laurea di Scienze Giuridiche. A lui il compito di indicare le linee guida del meeting: "è questa una importante occasione che raccoglie per la prima volta tutte le associazioni della facoltà di Giurisprudenza. L’iniziativa ha già riscosso un notevole successo vista la grande richiesta di partecipazione da parte degli studenti, superiore ad ogni previsione. Il meeting avrà luogo il 15 e 16 novembre, presso il Villaggio del Pino a Melia di Scilla. Sarà questa una preziosa opportunità di confronto tra i ragazzi e relatori di grande spessore". Tanti saranno infatti gli interventi previsti nel corso dei due giorni, a cominciare da quello di Francesco Tripodi, magistrato e collaboratore della cattedra di Diritto Costituzionale, Candeloro Imbalzano, assessore alle Politiche del Lavoro del Comune di Reggio Calabria, Salvatore Mafrici, responsabile Associazione "Libera". Ed ancora: Angelo Ferraro, dottorando di ricerca in Diritto Civile e cultore di Diritto dell’Unione Europea, Antonino Caminiti, responsabile "Amnesty International", don Valerio Chiovaro, docente della Mediterranea, presidente dell’Associazione "Attendiamoci Onlus" e vicedirettore de "L’Avvenire di Calabria", Francesco Vilasi, assessore alle Politiche Sociali della Provincia di Reggio Calabria, Giuseppe Raffa, assessore alle Politiche Comunitarie del Comune di Reggio Calabria, Renato Meduri, giornalista e già senatore della Repubblica. Non mancheranno inoltre relazioni di esperti come Armando Veneto, avvocato penalista ed eurodeputato, Carmela Salazar, docente di Diritto Costituzionale, Pierpaolo Emanuele, assegnista di ricerca di Diritto Penale, e Demetrio Costantino, presidente Cids (Comitato interprovinciale per il diritto alla sicurezza). Numerosi gli argomenti oggetto del dibattito: ampia sarà la riflessione sui diritti costituzionali dei detenuti, ma si parlerà anche di indulto, di amnistia, di eticità e non eticità dei provvedimenti di clemenza, con un confronto tra il pensiero cattolico e laico, concludendo con un’analisi della condizione in cui versano le carceri in Italia. A chiudere la conferenza stampa un breve giro di considerazioni di Antonino Monteleone, dell’Associazione Zaleuco, Vittorio Siclari, di Ius Rheginum, Giuseppe Arfuso, dell’Associazione La Proposta, Carmelo Zinnarello, dell’Associazione Vivere la Facoltà, Giovanni Crea, presidente di Ius Rheginum, e Rodolfo Politi, presidente dell’Associazione Incipit. Indulto: 3 milioni di euro per aiuto a tossicodipendenti scarcerati
Asca, 14 novembre 2006
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il bando del Ministero della Solidarietà Sociale a favore dei detenuti tossicodipendenti che hanno beneficiato dell’indulto. L’intento del bando, sottolinea una nota dello stesso dicastero della Solidarietà sociale, è quello di sostenere una politica di reinserimento sociale degli ex detenuti cercando d’intervenire positivamente sui fattori che determinano la recidiva. Il bando si sviluppa, quindi, per favorire adeguate condizioni di alloggio abitativo, di prima accoglienza, d’inserimento in case alloggio, comunità, e gruppi di appartamento. Sono state previste, inoltre, azioni riguardanti il ricongiungimento familiare, soprattutto rivolte ai detenuti con minori a carico, e di mediazione familiare nonché percorsi di gratuito patrocinio. Il nuovo bando si lega a quelli pubblicati nei mesi scorsi dal Ministero di Grazia e Giustizia e dal Ministero del Lavoro e che sono volti a favorire il reinserimento lavorativo e prevede percorsi di accompagnamento e presa in carico della persona da parte della rete dei servizi territoriali. Possono presentare richiesta di finanziamento le province, i comuni con più di 500 mila abitanti, e le regioni con meno di un milione di abitanti. Infine il bando, che scade il ventesimo giorno della data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, avrà una dotazione di 3 milioni di euro. Indulto: Di Pietro (Idv); abbiamo fatto un favore al centrodestra
Agi, 14 novembre 2006
"L’Unione, per rilanciarsi, ha bisogno di applicare la stessa ricetta" che ha permesso la nuova vittoria elettorale del governatore della California, Arnold Schwarzenegger, ovvero di "sviluppare il programma per cui è stata votata in modo rigoroso". Lo dice il ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, che aggiunge: "Non mi stancherò di ripetere che la legge sull’indulto è stata, oltre che una formidabile sciocchezza e un grosso favore al centrodestra, un tradimento degli elettori e del programma. Un errore che non va ripetuto, noi siamo stati eletti per mantenere le promesse fatte ai cittadini, solo per questo. L’unica alternativa possibile è il ritorno alle urne". Droghe: Turco; non si può andare in carcere per uno spinello
Redattore Sociale, 14 novembre 2006
Raddoppia da 500 milligrammi a 1 grammo la quantità massima di cannabis, espressa in principio attivo, che potrà essere detenuta ad uso esclusivamente personale. Lo stabilisce un decreto ministeriale che la responsabile della Salute Livia Turco ha emanato oggi, "di concerto con il Ministro della Giustizia e sentito il Ministro della Solidarietà Sociale". Viene così concretizzato un impegno che la stessa Turco aveva preso nel giugno scorso, ma che fino ad ora era rimasto inattuato a causa della mancata firma del collega della Giustizia Clemente Mastella. Ora quella firma è stata messa e dall’entrata in vigore del decreto i cittadini che saranno trovati in possesso di quantitativi al di sotto del limite indicato "potranno essere oggetto solo di sanzioni amministrative senza incorrere nella presunzione di spaccio e nei provvedimenti punitivi che, in base alla legge Fini-Giovanardi, potevano arrivare fino all’arresto e al carcere anche per quantitativi realisticamente ascrivibili ad un uso personale". "Il nuovo valore soglia di 1.000 milligrammi di principio attivo della cannabis - spiega un comunicato del ministero della Salute - deriva dalla moltiplicazione per 40, anziché per 20 come previsto dalla vecchia tabella varata dal precedente Governo, della dose media singola che è pari a 25 milligrammi. Secondo l’attuale legge sulla droga per dose media singola si intende la quantità di principio attivo per singola assunzione idonea a produrre in un soggetto tollerante e dipendente un effetto stupefacente e psicotropo. Si tratta di "una prima correzione amministrativa delle tabelle", ha precisato Livia Turco, riferendosi alla legge approvata a fine legislatura dal governo Berlusconi, che raggruppava in un unico elenco tutte le droghe più conosciute - dalla cannabis all’eroina, dall’ecstasy alla cocaina - indicando i quantitativi massimi per uso personale e sottoponendole tutte al medesimo regime penale. "In attesa del provvedimento di riforma della legge Fini-Giovanardi, che resta nostro obiettivo modificare profondamente come previsto dal programma di Governo - ha proseguito la Turco - ho infatti ritenuto di intervenire per far sì che migliaia di giovani non debbano varcare le soglie del carcere o essere vittime di un procedimento penale per aver fumato uno spinello, come sta purtroppo avvenendo ora, a seguito della legge del centro destra". Ma non è intenzione del governo "liberalizzare l’uso della cannabis - ha precisato il ministro - ma, molto più responsabilmente, far rientrare tali comportamenti nocivi per la salute tra gli atti da prevenire e non da reprimere con pene che possono arrivare fino al carcere. Il problema della droga, è bene sottolinearlo ancora una volta, sta nell’illegalità diffusa attorno al traffico e al commercio e non nel consumo individuale, contro il quale non servono né il carcere né i ricoveri coatti". La cosiddetta "tolleranza zero" verso i consumatori - ha infine sottolineato la Turco - "non è infatti riuscita a scardinare il business della droga in nessuna parte del mondo, mentre la via giusta è quella dell’accoglienza sociale per le persone e le famiglie che vivono il dramma della droga, decriminalizzando le condotte legate al consumo e concentrando il lavoro delle Forze dell’ordine e della Magistratura verso i veri criminali che sono i trafficanti e gli spacciatori". Droghe: Bartoletti (Ds): Cdl fa demagogia sul decreto Turco
Apcom, 14 novembre 2006
"Sul decreto della ministra Turco si è creato un falso problema, segno che il centrodestra intende proseguire con la strategia del terrorismo psicologico, creando paure infondate nei cittadini". È quanto afferma Ivana Bartoletti, responsabile Diritti civili dei Ds, che sottolinea: "Dalla politica ci si aspetta responsabilità e realismo, non la demagogia". "Quelli del centrodestra - aggiunge l’esponente Ds - parlano di messaggio negativo, quando dall’approvazione della Fini-Giovanardi il vero messaggio devastante è stato quello di prendere un giovane che fuma uno spinello e trattarlo come uno spacciatore da sbattere in galera. Con la Fini-Giovanardi - continua Bartoletti - sono aumentati solo gli arresti e certamente non è diminuito il consumo, e tutti sappiamo qual è la situazione nelle carceri italiane, certamente non un luogo di redenzione per i giovani". "La strategia repressiva fine a se stessa - sostiene ancora Bartoletti - non ha alcun senso: noi siamo per combattere tutte le dipendenze, per una politica seria fatta di lotta a spacciatori e tolleranza zero verso i trafficanti, come stiamo dimostrando con questa Finanziaria e come avevamo chiaramente indicato nel programma dell’Unione". "Quanto al consumo delle droghe leggere, consideriamo decisiva una linea di condotta che privilegi l’educazione dei comportamenti e al tempo stesso - conclude - attui una linea di fermezza nella repressione dell’effettiva criminalità che prospera su questo mercato".
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