Rassegna stampa 7 marzo

 

Matera: nuova protesta degli agenti penitenziari

 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 7 marzo 2006

 

Il tempo è scaduto e il sindacato, nel rispetto degli impegni assunti, è passato alla seconda fase della protesta per segnalare ai responsabili del servizio quanto si stia facendo difficile se non proprio intollerabile la situazione del personale addetto alla vigilanza nelle carceri giudiziarie materane. Alla fine della scorsa settimana gli agenti della polizia penitenziaria aderenti alle varie sigle sindacali che si riconoscono nel Sappe, avevano scelto di rifiutare il vitto dell’amministrazione. Da ieri hanno rincarato la dose decidendo di autoconsegnarsi nell’istituto di pena al termine dell’orario di lavoro. Il carcere materano, in via Cererie, in cui starebbero per completarsi lavori di ammodernamento e ristrutturazione, comincia a riempirsi di detenuti. Ed il numero dei reclusi di settimana in settimana è destinato ad aumentare. Ad oggi sono oltre 110. La stessa forza, in pratica, che fa registrare il Corpo della polizia penitenziaria che da mesi parla di impossibilità di rispondere ad una perfetta esecuzione del servizio in presenza di numeri del tutto sottodimensionati alle reali necessità imposte dall’espletamento delle varie attività d’istituto. Intanto, i responsabili dello Snapp fanno sapere che le stesse forme di proteste messe in atto dagli agenti materani del Corpo della polizia penitenziaria saranno messe in atto dai colleghi di Lecce, Altamura, Bari, Trani e Taranto. Ed annunciano a breve, perdurando l’indifferenza dell’Amministrazione penitenziaria, una manifestazione di protesta oltre le mura carcerarie cui prenderebbe parte personale della polizia penitenziaria di Basilicata, Puglia, Calabria, Abruzzo e Molise. La protesta, dunque, si allarga e trova solidarietà negli operatori di altre srutture penitenziarie delle regioni limitrofe.

 

Tonino: progetto per aiutare i bambini figli dei detenuti

 

Il Mattino, 7 marzo 2006

 

Frammenti di vita prigioniera. A sentire i racconti dei volontari nell’istituto penitenziario di Secondigliano viene in mente il bel reportage di Daniela Robert sull’universo carcerario italiano (Sembrano proprio come noi, da poco pubblicato da Bollati Boringhieri), dove la quotidianità di un sistema di regole che postula la cancellazione dell’individualità e l’infantilizzazione dei detenuti, segnati da profonde alterazioni spazio-temporali, affiora con delicatezza e rispetto. E soprattutto se si è bambini è difficile, molto difficile non restare turbati da quel mondo a parte del quale, fuori, si sa poco o nulla. "Una sequela di porte che ti si chiudono alle spalle, le perquisizioni di rito, inevitabili anche sui più piccoli, e poi l’attesa per poter accedere al parlatorio sono i passaggi obbligati per i figli dei detenuti che aspirano a un colloquio con il padre", sintetizza Giuseppe Vanzanella, 29 anni, coordinatore del Progetto Tonino: nato sei anni fa per iniziativa della Caritas diocesana di Napoli e ora veicolato in collaborazione con l’assessorato alle politiche sociali del Comune anche dal Centro La Tenda, dal consorzio di cooperative sociali Co.Re e dall’associazione Regina Pacis di Giugliano, guidata dal cappellano dell’istituto penitenziario di Secondigliano don Raffaele Grimaldi. Ogni mese, da sei anni, il Progetto Tonino (una decina di operatori, con la supervisione di Annunziata Apollonia della Caritas e la consulenza di Carmine Esposito de La Tenda) accoglie circa 450 bambini dai quattro agli undici anni per i quali è stata creata una piccola area protetta all’interno del penitenziario: una sorta di spazio ludico ricreativo su misura per loro, che - giocando - sono aiutati a comprendere e vengono guidati senza tensioni superflue a un incontro affettivo, spezzato dalla detenzione del genitore o del parente stretto. Un "servizio" umanitario che si affianca, a Secondigliano, a uno sportello informativo per le famiglie attivo dal lunedì al venerdì (ore 9.30-12.30, info: 333.7512031) e gestito da due operatori, tra cui una psicologa per un primo orientamento. "Ho iniziato come volontario, quando al secondo anno di università facevo servizio civile alla Caritas, e sono rimasto", ricorda Vanzanella, già militante del Movimento eucaristico giovanile, ripercorrendo un percorso di umanizzazione intessuto di piccole conquiste. Come il permesso accordato ai bambini di fare dei lavoretti manuali da dare al padre: "Pian piano, abbiamo guadagnato la fiducia delle famiglie. E attraverso i figli si arriva così anche al cuore dei detenuti".

 

Venezia: a volte ci sono 4 agenti per 270 detenuti…

 

Il Gazzettino, 7 marzo 2006

 

In carcere, nemmeno chi sta dall’altra parte della barricata se la spassa bene. Da anni ormai il Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria) va dicendo che l’impegno delle scorte ai detenuti durante i trasporti è troppo oneroso per il personale in organico. Lo scorso mese gli agenti in servizio a Santa Maria Maggiore hanno raccolto firme tra la popolazione della provincia, che saranno presentate al Ministero della giustizia per chiedere l’adeguamento del personale.

"La situazione è tale - spiegano Michele Di Noia e Filomeno Porcelluzzi, rispettivamente segretario e vicesegretario provinciale del Sappe - che molte volte dalle 20 in poi per 270 detenuti restano in servizio solo quattro agenti. Qualcuno deve comunque spiegarci come garantire la sicurezza del carcere se quotidianamente gran parte del personale viene assorbita per scortare e trasportare gli arrestati per interrogatori e processi spesso in luoghi diversi e alla stessa ora".

L’organico della polizia penitenziaria a Venezia è di 166 unità, delle quali 100 sono in servizio in carcere mentre altre sono distaccate ad altre sedi (17), addette al servizio traduzioni (11) e al servizio navale (31). "Per trasportare tutti i giorni i detenuti in Tribunale - continuano - è necessario distogliere dal carcere decine di persone per rimpolpare le scorte, lasciando l’istituto in gravi difficoltà".

Il Sappe chiederà un incremento di 50 unità all’attuale organico veneziano, delle quali una ventina sarebbe immediatamente destinata al servizio traduzioni (il trasporto dei detenuti). La particolarità di Venezia e delle molteplici sedi degli uffici giudiziari impongono tragitti più complicati e trasporti più onerosi, che poi si riverserebbero sulla qualità del servizio reso in un carcere sempre più affollato. Va ricordato che la protesta della polizia penitenziaria per avere più uomini a disposizione va avanti da molti anni.

"In passato - concludono - i carabinieri su scala nazionale destinavano a questo servizio 10mila uomini, mentre la polizia penitenziaria ne adopera solo 3mila.Per questo motivo contiamo che il ministero voglia risolvere questa partita sia decongestionando gli istituti di pena sia aumentando l’organico della polizia penitenziaria. Ricordiamo a questo proposito che allo Stato un detenuto adulto costa circa 700 euro ogni giorno di permanenza in carcere, mentre un minore arriva anche a mille".

 

Venezia: un carcere indegno di un Paese civile…

 

Il Gazzettino, 7 marzo 2006

 

Ce ne starebbero 160, ma attualmente il carcere di Venezia ospita dai 250 ai 270 detenuti, molti dei quali sistemati in locali in origine destinati alla ricreazione e al lavoro, parte integrante dell’aspetto rieducativo della detenzione.

Con una serie di iniziative e l’affissione di manifesti tutti neri con la scritta "duecentocinquanta" ad evidenziare la mancanza di spazi che partirà giovedì, la Camera penale veneziana ha presentato la sua campagna per un "carcere degno di un Paese civile" con la trasmissione di un esposto alla Procura della Repubblica, all’Ulss 12, al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e al presidente del Tribunale di sorveglianza. L’iniziativa è stata tenuta ieri a battesimo dal presidente della Camera penale Antonio Franchini, dal vicepresidente Luigi Ravagnan e dal coordinatore Renato Alberini.

"Sia chiaro - spiega Ravagnan - non abbiamo nulla da recriminare alla gestione del carcere, la nostra è una richiesta di chiarezza. Situazioni al limite come quelle che si vedono in carcere non sono degne di un Paese civile ed è ora che qualcuno si prenda le proprie responsabilità. In ogni caso, non ci fermeremo qui, perché tramite la collega Carmela Parziale stiamo organizzando altre forme di questa lotta civile per una carcere più umana".

Il sovraffollamento delle celle è una storia ormai vecchia, iniziata con l’arrivo in massa di immigrati clandestini, i quali anche oggi rappresentano almeno i tre quarti della popolazione carceraria. I lavori di ristrutturazione in corso hanno inoltre portato alla chiusura di un’ala e alla concentrazione dei detenuti in uno spazio molto più ristretto. Ad aggiungere problema su problema ci hanno poi pensato recenti innovazioni legislative, come la Bossi-Fini e gli inasprimenti di pena sui soggetti recidivi, cioè che si macchiano più volte dello stesso reato. L’esposto parla di "anche 20 letti per ciascuna sala", di "servizi igienici inadeguati sia sotto il profilo igienico-sanitario sia rispetto all’esigenza di garantire minime condizioni di riservatezza". "I locali destinati al pernottamento - si legge nell’esposto - devono essere diversi dai locali destinati al lavoro e gli imputati dovrebbero avere un trattamento diverso, se possibile con camere a un letto, rispetto ai condannati definitivi".

 

 

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