Rassegna stampa 3 maggio

 

Napoli: 72 anni, muore nel Centro Clinico di Secondigliano

 

Apcom, 3 maggio 2006

 

Domenico Libri, 72 anni, è deceduto nel centro clinico del carcere di Secondigliano (Napoli), dov’era detenuto da marzo. Libri era ammalato da tempo e stava scontando una condanna definitiva all’ ergastolo. Si trovava in carcere dallo scorso primo marzo perché mentre si trovava agli arresti domiciliari a Prato per via della malattia terminale che lo aveva colpito, era rimasto coinvolto nell’indagine della Guardia di Finanza di Reggio Calabria denominata "Rifiuti Spa", una storia relativa ad appalti in odore di mafia di alcune discariche esistenti a Reggio Calabria. Per questo il Gip di Reggio aveva emesso nei suoi confronti un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. La cosca Libri, assieme a quelle Di Stefano - Tegano, fu protagonista della lunga guerra di mafia condotta contro i rivali Inerti-Condello che insanguinò Reggio Calabria negli anni ‘80.

Mico Libri di questa guerra fu protagonista. Un suo figlio, Pasquale Rocco, di 26 anni, fu assassinato, nel luglio del 1988, durante l’ora d’aria, nel cortile delle carceri di Reggio Calabria da un killer che lo centrò da 300 metri di distanza. Il boss stesso fuggì da Reggio non cadere vittima della cosca rivale e non essere arrestato dalle forze dell’ordine, dato che ormai era ricercato per omicidio. Nel 1992 fu stato catturato in Francia, da dove manteneva i contatti operativi tra quel territorio e il proprio gruppo criminale.

Nel 2001 la condanna all’ergastolo, emessa dalla Corte d’assise di Reggio Calabria con la sentenza nel processo "Olimpia 1", Insieme a Libri vennero condannati 176 dei 282 imputati, di cui 62 all’ergastolo. Tra i condannati all’ergastolo anche Pasquale Condello, Orazio De Stefano, Antonino Inerti e il fratello di Mico, Antonino Libri. Prima di tornare in carcere era ai domiciliari da alcuni anni, perché il Tribunale di sorveglianza di Firenze gli aveva concesso la libertà perché "in gravi condizioni di infermità fisica".

 

Morto in carcere Mico Libri

 

Giornale di Calabria, 3 maggio 2006

 

È morto in carcere in seguito a malattia il boss della ‘ndrangheta don Mico Libri. Libri, secondo quanto si è appreso a Reggio, è morto nel centro clinico del carcere di Secondigliano. Agli inizi di marzo, il boss era stato coinvolto in un’inchiesta sullo smaltimento di rifiuti e la gestione di discariche. Un ruolo centrale nell’organizzazione, da quanto emerso dalle indagini, era coperto proprio da Libri, 72 anni, una condanna definitiva all’ergastolo, boss di primissimo piano della ‘ndrangheta reggina, che dalla sua abitazione di Prato, dove era agli arresti domiciliari perché gravemente malato, continuava a dare ordini e consigli ai propri uomini a Reggio. Libri era stato portato nel carcere napoletano di Secondigliano. Era considerato uno degli ultimi patriarchi della ‘ndrangheta il boss Domenico Libri, 72 anni, deceduto nel centro clinico del carcere di Secondigliano. In particolare Libri era indicato dagli inquirenti come capo dell’omonima cosca che, nella geografia criminale di Reggio Calabria, sarebbe alleata con la potente famiglia dei De Stefano. Libri, che stava scontando una condanna definitiva alla pena dell’ergastolo, nonostante la sua età avrebbe continuato, secondo quanto emerge dalle inchieste delle forze di polizia, a gestire gli ‘affarì della cosca tanto che nel marzo scorso è stato coinvolto in una inchiesta sullo smaltimento illecito di rifiuti. Nel febbraio del 1998 Libri ottenne, a causa delle sue condizioni di salute, di potersi sottoporre a terapie, lasciando quindi il carcere. A concedergli una sospensione della pena (venti anni di reclusione complessivi, per due condanne a dieci anni per associazione per delinquere di tipo mafioso) è stato il Tribunale di sorveglianza di Firenze, competente perché il boss era stato assegnato al carcere di Pisa. Per diversi anni, secondo quanto emerge dalle indagini, Domenico Libri ha gestito direttamente le attività illecite della cosca che avevano interessi anche in altre zone diverse dalla Calabria ed anche all’estero.

Per gli investigatori, Libri aveva un notevole spessore criminale, testimoniato non solo dalle sue vicende personali, ma anche da quelle della sua famiglia, direttamente impegnata nella "guerra di mafia" reggina e colpita direttamente. Uno dei figli, Pasquale Rocco, di 28 anni, ritenuto il suo "delfino", fu assassinato nel settembre del 1988 mentre, durante l’ora d’aria, stava passeggiando nel cortile del carcere di Reggio Calabria: un "cecchino" lo colpì, da 200 metri, con una sola pallottola dalla micidiale capacità espansiva. Fu probabilmente lo stesso killer a tentare di uccidere Domenico Libri l’anno successivo, mentre il boss, sorreggendosi con delle stampelle e scortato dai carabinieri, stava entrando nel Palazzo di giustizia di Reggio Calabria per un processo. Il proiettile sfiorò lui e uno degli uomini che lo scortavano, prima di finire la sua corsa contro la fiancata del cellulare. Da sempre, dicono i suoi avvocati, è di salute cagionevole. Nel 1989 fu ricoverato nell’ospedale di Busto Arsizio per accertamenti. Approfittando dell’assenza di controlli, riuscì a fuggire. La sua latitanza finì nel settembre del 1992, quando fu arrestato in Francia, a Marsiglia, appena sceso da un aereo proveniente da Parigi. Una delle case di Libri, quella nel quartiere Cannavò di Reggio Calabria che è stata confiscata, ha una storia particolare. Si tratta di un edificio di quattro piani che comprende cinque appartamenti ed altrettante autorimesse. A sua protezione, un giardino recintato. Nel settembre del ‘91 fu necessario l’intervento in forze della Polizia per sgombrare la sua casa-bunker.

Giustizia: il vaso di Pandora, l’Osservatorio di Antigone

 

Associazione Antigone, 3 maggio 2006

 

G.M. ha vissuto per anni in una cella sporca e maleodorante del carcere romano di Rebibbia. Buttato sul letto, incapace quasi di ogni gesto, i rifiuti si ammassavano sul pavimento senza che nessuno avesse il compito di fare pulizia. Oggi G.M. è ufficialmente dichiarato invalido psichico al 100%, ma già da oltre 15 anni vive in un mondo vago che poco ha a che fare con il nostro. A chi si avvicinava alle sbarre della cella, faceva strani discorsi su Gesù, oppure restava in silenzio, gli occhi negli occhi, fino a quando l’operatore o il visitatore occasionale non decideva di andarsene. Non riconosceva le persone che aveva attorno. I medici gli davano grosse dosi di tranquillanti, che lui beveva avidamente. Ogni tanto prendeva qualche calcio dagli agenti, irritati da quel suo modo di fare assente. Magari finiva in ospedale per uno o due giorni.

Dopo qualche mese veniva rimesso sulla via Tiburtina, in mano un sacchetto nero della spazzatura con i pochi stracci con cui era entrato, camminava con il busto sporto in avanti in chissà quale direzione, dormiva dove capitava, qualche volta ritrovava la strada di casa, citofonava alla madre, saliva e si faceva fare una doccia, poi tornava per strada. In nottate di freddo, capitava che aprisse un’automobile qualsiasi e si mettesse a dormire nell’abitacolo. Gli davano qualche mese per furto d’auto. La macchina giudiziaria, rapida e implacabile dove è necessario, lo rimandava in poche ore nella cella zozza di Rebibbia. Passava qualche altro mese e il giro di giostra si ripeteva analogo. Talvolta a G.M. veniva affiancato un "piantone", un altro detenuto con il compito esplicito di stare vicino a chi non è autosufficiente. Non è previsto che sia l’istituzione a farlo.

Il piantone gli rubava quelle poche sigarette che qualche volontario di tanto in tanto gli andava portando, ma lo aiutava a lavarsi e ad andare in bagno. Qualche settimana fa, la madre e la sorella di G.M. si sono rivolte a noi in uno stato di disperazione. Il loro congiunto non era più a Rebibbia e non sapevano come fare a ottenere notizie. Ci siamo informati, e abbiamo saputo che a G.M. è stata applicata una misura di sicurezza di due anni. Ma quale società si sente insicura se G.M. cammina per strada? È stato trasferito in una colonia agricola in Sardegna.

Nessun famigliare sarà mai in grado di andarlo a trovare così lontano da casa. Invalido totale di mente, G.M. ha avuto la misura di sicurezza che si applica ai delinquenti abituali, professionali e per tendenza. Di tre mesi in tre mesi, ha effettivamente trascorso quasi un’intera vita nel carcere romano di Rebibbia. Nella più realistica delle ipotesi, nessuno psichiatra lo prenderà mai in cura se non per riempirlo di tranquillanti, uscirà dal ricordo dei pochi operatori che ve lo hanno mai fatto entrare, e vivrà gli anni che gli restano gettato come una cosa sulla branda di una cella. Come Vito De Rosa, che ha trascorso 51 anni sottoposto a una misura di sicurezza in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario prima che per puro caso un Consigliere Regionale e Antigone si accorgessero di lui e mettessero in moto il meccanismo per fargli avere la grazia. E prima che, graziato, trascorresse due miseri anni e mezzo in una comunità, ridotto ormai a corpo e niente più, e lì questo corpo morisse di una normale malattia, esattamente un mese fa.

Imperia: il Sappe denuncia gravi carenze di organico

 

Comunicato Stampa, 3 maggio 2006

 

Carcere di Imperia: è emergenza per la carenza di Polizia Penitenziaria e il sovraffollamento della struttura. La denuncia è della Segreteria generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, il più rappresentativo della categoria con oltre 12 mila iscritti, che ha inviato questa mattina una lettera al Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tinebra e al Direttore generale del Personale di Polizia Gaspare Sparacia.

In particolare, il Segretario Generale Donato Capece ha chiesto al Provveditore penitenziario ligure Giovanni Salamone "di porre in essere ogni utile provvedimento di competenza per l’incremento straordinario del Personale di Polizia Penitenziaria di Imperia - almeno 10/15 unità - significando che la mancata adozione di provvedimenti in tal senso comporterebbe una grave disattenzione istituzionale con possibili ripercussioni sull’andamento organizzativo e gestionale dell’istituto nonché per la fruizione dei diritti del Personale di Polizia Penitenziaria".

Il SAPPE, nella sua nota, ha evidenziato che da diverse settimane la Casa Circondariale di Imperia è stata interessata da un ampliamento della sezione detentiva che ha portato ad un aumento esponenziale della popolazione ristretta, oggi mediamente attestata sulle 100 unità circa rispetto alla media dei mesi scorsi quantificabile in circa 50/60 detenuti.

"L’aumento dei detenuti presenti ha comportato inevitabili disagi per i servizi operativi svolti dal Personale di Polizia Penitenziaria, che è nettamente sotto organico rispetto alla pianta organica prevista" denuncia ancora la Segreteria generale del Sappe. "Personale di Polizia Penitenziaria che è costretto sistematicamente a prestazioni di lavoro straordinario e che oggi immagina con preoccupazione anche i possibili effetti negativi che tale situazione potrà avere sulle prossime ferie estive. Oggi vi sono in servizio nel penitenziario imperiese, sulla carta, circa 60 appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria (divisi nei vari ruoli) mentre l’organico previsto dal pertinente Decreto del Ministero della Giustizia del 2001 quantifica in 78 le unità di Polizia Penitenziaria necessarie per permettere la funzionalità della Casa Circondariale. Ed è palese che se ad un aumento di detenuti non si provvede con urgenza ad un incremento immediato e straordinario del Personale di Polizia Penitenziaria di Imperia - quantificabile in non meno di 10/15 unità - la situazione potrebbe determinare ripercussioni preoccupanti sulla sicurezza della struttura Non si può sottacere che il sovraffollamento delle sezioni detentive e la carenza di Personale di Polizia Penitenziaria sono elementi di pericolo costante, un rischio quotidiano che incombe principalmente sui contingenti del Corpo, esigui e sempre più gravati dalle serie incombenze istituzionali e che oggi addirittura rischiano di non vedersi garantite le ferie estive!".

Lodi: si insedia la nuova direttrice, sindacati soddisfatti

 

Il Cittadino, 3 maggio 2006

 

La nuova direttrice pro tempore del carcere si è insediata a Lodi. Carla Santandrea ieri ha ricevuto le consegne da parte di Caterina Ciampoli, l’ex reggente che è stata trasferita al provveditorato regionale. La dottoressa Santandrea attualmente è vice direttrice al carcere di San Vittore, uno dei più grandi d’Italia. Il cambio di direzione, annunciato dal provveditore regionale Luigi Pagano nei giorni scorsi, era nell’aria già da tempo. Le tensioni all’interno del carcere di Lodi erano salite alle stelle. Le battaglie dei volontari e dei parenti dei detenuti che si sentivano ostacolati nei rapporti quotidiani con la realtà di via Cagnola, esplose nella manifestazione della vigilia di Natale, si erano allargate agli stessi detenuti e alla polizia penitenziaria. La scorsa settimana i detenuti avevano aperto uno stato di agitazione: urla dalla cella ed esplosioni sonore di oggetti contro le sbarre.

Con l’arrivo della nuova direttrice le proteste si sono interrotte. La Cgil, invece, che aveva aperto una fase di lotta, in difesa dei diritti delle guardie penitenziarie, è soddisfatta. "Avremmo preferito trovare il modo per interloquire con la dottoressa Ciampoli - ammette il segretario della Funzione pubblica Eugenio Vicini -, ma non è stato possibile. Perciò siamo contenti di questo cambio, anzi sarebbe stato meglio se fosse arrivato prima, per evitare tensioni all’interno del penitenziari. Adesso comunque si volta pagina. Sappiamo che la sua permanenza a Lodi è temporanea e che entro l’anno sarà assegnata una direzione definitiva. Con la dottoressa Santandrea però, incominceremo ad affrontare le questioni più urgenti.

È importante che il rapporto con il personale sia basato sulla reciproca fiducia e collaborazione. Una persona come lei che è vice direttrice a San Vittore è sicuramente all’altezza di reggere anche una struttura come quella di Lodi e discutere le posizioni sindacali, nonostante ognuno abbia il suo ruolo e le sue responsabilità. Prima non era neanche consentito il livello minimo di relazioni e la situazione era diventata complessivamente caotica. Il cambio ha comportato un rasserenamento generale del personale. Sicuramente il carcere andrà meglio. Andare peggio non è possibile". Soddisfatti anche i volontari. "L’unica cosa che ci interessa adesso - commenta il coordinatore Andrea Ferrari - è di riprendere le attività che erano state interrotte".

Libro: premio Antonio Zinzula a giovani autori carcerati

 

Agi, 3 maggio 2006

 

Il mondo dei ragazzi reclusi esplorato dagli interessati attraverso le loro parole. È tra questi autori che verrà scelto il vincitore della quarta edizione del Premio Zinzula. Il riconoscimento letterario sarà presentato alla Fiera del Libro di Torino sabato 6 maggio presso lo spazio Piazza Italia, dall’associazione Pisa Book Festival in collaborazione con l’associazione Grazia Deledda e le Edizioni ETS, ed è rivolto ai giovani con meno di 26 anni sottoposti a provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria Minorile. Obiettivo del premio: far conoscere un mondo emarginato e sconosciuto, "restituendo la parola ai ragazzi reclusi - dicono i promotori dell’iniziativa - che sempre più spesso scelgono come forma espressiva privilegiata per comunicare sentimenti e sogni, la poesia". Le opere selezionate dalla giuria verranno pubblicate in un volume a cura delle edizioni ETS.

Il Premio è intitolato alla memoria di Antonio Zinzula, giovane sardo morto nella Comunità "La Collina di Serdiana" dopo aver ottenuto la liberazione condizionale dal carcere minorile di Quartucciu. A esaminare i lavori sarà una giuria composta quest’anno da Alberto Casadei, Luca Curti, Sandra Di Majo, Titina Maccioni e Giuliana Petrucci. Un premio speciale giovani andrà agli studenti di una classe delle scuole superiori di Pisa. Il Premio si avvale della collaborazione del Ministero di Giustizia, dipartimento Giustizia Minorile, grazie al prezioso sostegno di Serenella Pesarin, direttrice generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari. Il volume con gli scritti che hanno partecipato all’edizione 2005 sarà presentato alla Fiera del Libro di Torino sempre sabato 6 maggio da Sandra Di Majo, Titina Maccioni, Giuliana Petrucci e Elena Lombardi Vallari, direttrice dell’Istituto Penale Minorile di Torino.

Latina: per le donne detenute corsi di yoga, relax e cucito

 

La Provincia di Treviso, 3 maggio 2006

 

È stato firmato ieri mattina un protocollo d’Intesa fra la Provincia di Latina e il Carcere del capoluogo pontino per avviare tutta una serie di attività per migliorare le condizioni di vita dei detenuti. Un protocollo che assume un valore ancora più importante in considerazione del fatto che, solo ieri, l’Unione europea ha tracciato un quadro estremamente critico delle situazioni che si vivono negli istituti penitenziari italiani, arrivando a parlare di crudeltà per il sovraffollate, le cattive condizioni igieniche, gli insulti e i maltrattamenti, specie verso gli stranieri. Alcune di queste problematiche sono attualissime anche a Latina, come il sovraffollamento, che crea disagio ai detenuti e, di riflesso, anche alla polizia penitenziaria. Il protocollo sancisce l’accordo raggiunto dai due enti per alleviare almeno in parte, i disagi di chi vive recluso.

"Tra la Provincia di Latina - recita il documento - rappresentata dall’Assessore alle Politiche Sociali Fabio Bianchi e dal Dirigente del Settore Politiche Sociali Maria Antonietta Bochicchio; e la Casa Circondariale di Custodia Preventiva di Latina, in persona del Dirigente dell’istituto Claudio Piccari; vista la "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato d’interventi e servizi sociali"; la Legge sulle "Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà", recanti norme in materia di Ordinamento Penitenziario; il "Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà"; Considerato la funzione rieducativa della pena, che deve essere finalizzata al reinserimento sociale ed il ruolo ricoperto dall’Amministrazione Penitenziaria di favorire il reinserimento dei detenuti; il ruolo primario del reinserimento sociale nell’attuazione del trattamento penitenziario finalizzato alla risocializzazione dei condannati; la rilevanza ricoperta dall’istruzione, la formazione professionale e il lavoro come strumenti principali del trattamento riabilitativo sia per il valore intrinseco di diritto dovere in essi contenuto, sia come mezzo di espressione e realizzazione delle singole capacità e potenzialità.

Premesso che: La Provincia, di concerto con altri enti ed associazioni, è da tempo impegnata sulla problematica complessiva dell’integrazione sociale; Il Settore Politiche Sociali, in virtù delle proprie specifiche competenze, è impegnato, tra l’altro, nell’attività di ricerca, studio e coordinamento nel campo dei servizi sociali e per il recupero sociale e lavorativo di soggetti svantaggiati; il Settore Politiche Sociale è impegnato inoltre nella realizzazione di programmi di recupero sociale e impegno lavorativo di soggetti deboli (compresi coloro che sono sottoposti a sanzioni penali). Considerato che: Obiettivo prioritario è consentire all’individuo la piena realizzazione e reinserimento nel mondo socio lavorativo a conclusione della pena detentiva, al fine di realizzare il miglioramento della qualità della vita; la Casa Circondariale di Latina può ospitare n. 95 detenuti, presenta una sezione maschile ed una femminile. Per le attività risocializzanti sono presenti: una sala polivalente, una biblioteca, una palestra, un locale adibito a sala informatica, due locali per le attività scolastiche. Nella sezione femminile vi è un locale adibito a laboratorio di taglio e cucito; La Casa Circondariale diventa il contesto prioritario in cui agire, attraverso la collaborazione attiva e costante di tutti gli attori che partecipano al percorso evolutivo e riabilitativo del soggetto, ponendosi sempre in una prospettiva progettuale e di collaborazione; la Provincia vuole offrire opportunità concrete che possano sostenere le esigenza della Casa Circondariale, in ambito educativo, sociale e formativo/lavorativo; che nel bilancio 2005 della Provincia di Latina è stato istituito un apposito capitolo di spesa.

Nei programmi della Provincia è prevista la realizzazione di un progetto per il recupero sociale e l’impegno lavorativo di soggetti sottoposti a sanzioni penali; la Provincia di Latina ha instaurato un rapporto di collaborazione con la Casa Circondariale di Latina, al fine di favorire lo svolgimento, all’interno della struttura penitenziaria, di attività sportive, ricreative e lavorative; Si conviene quanto segue: Le parti, con il presente protocollo, s’impegnano, di comune intesa ed in stretta connessione a promuovere la più ampia collaborazione, al fine di favorire il detenuto ad esprimere al meglio le sue abilità e potenzialità al fine di una piena riabilitazione sociale e lavorativa. Lo sviluppo di sinergie a livello provinciale dovrà prevedere un’accurata progettazione di percorsi di integrazione, finalizzati a facilitare la crescita personale e professionale dei soggetti coinvolti. Le parti contraenti predispongono e realizzano progetti di ricerca e studio finalizzati al perseguimento degli obiettivi di cui alla presente convenzione. Ognuna di esse per quanto di propria competenza, provvederà secondo le sotto indicate specificità. La Provincia: a) svolge un’azione di promozione e di coordinamento territoriale, attraverso te proprie strutture e i propri servizi; b) rende disponibili strutture e risorse umane per la progettazione e l’attuazione di percorsi riabilitativi; c) finanzia progetti di recupero sociale e impegno lavorativo di soggetti sottoposti a sanzioni penali. La Direzione della Casa Circondariale di Latina: a) promuove gli interventi atti alla riabilitazione sociale dei detenuti; b) attiva, in collaborazione con it referente della Provincia di Latina, rapporti di interscambio fra enti per l’analisi delle necessità dei soggetti e del personale in servizio; c) si impegna a fornire una lettura rispondente alle esigenze dei detenuti, che di volta in volta emergeranno e che dovranno essere vagliate dalla Provincia di Latina al fine di eventuali ulteriori finanziamenti; d) contribuisce alla progettazione dei percorsi formativi all’esterno della struttura". Il presente protocollo ha validità di un anno dalla stipula ed è rinnovabile alla scadenza, i soggetti firmatari del presente accordo si impegnano a collaborare fattivamente per l’intera realizzazione dell’iniziativa. Resta il fatto che in una cella di 14metri quadri dove dovrebbero stare tre detenuti oggi ce ne sono sei, come racconta il Direttore Piccari, la speranza è che le nuove attività aiutino ad alleviare il peso dei disagi anche con la collaborazione di Bianchi. "Questo - ha detto l’assessore - è solo l’inizio di un percorso che speriamo sia di lunga e fattiva collaborazione con il Direttore Piccari per migliorare la qualità della vita dei detenuti".

Giustizia: legge Pecorella; 14 Br a "rischio di proscioglimento"

 

Corriere della Sera, 3 maggio 2006

 

Nuovo dibattito causato dalle conseguenze dell’applicazione della legge sull’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento di primo grado da parte del pm. Un’eccezione di legittimità costituzionale della cosiddetta "legge Pecorella", che ritiene inammissibile l’appello proposto dal pubblico ministero alle sentenze di proscioglimento, è stata infatti sollevata oggi, nell’aula bunker del carcere di Rebibbia a Roma, dal procuratore generale Antonio Marini durante la prima udienza del processo di secondo grado ai 14 brigatisti rossi, alcuni dei quali accusati, tra l’altro, dell’omicidio del professor Massimo D’Antona.

Il Pg Marini ha chiesto al presidente della I corte d’assise di appello, nel caso la corte accolga l’eccezione di legittimità costituzionale, di sospendere l’intero procedimento nei confronti dei brigatisti rossi, o in subordine di stralciare le posizioni di quegli imputati assolti in primo grado dall’accusa di omicidio, e cioè in particolare Federica Saraceni e Paolo Broccatelli, e anche di stralciare le posizioni degli imputati assolti dall’accusa di banda armata, ossia Alessandro Costa e Roberto Badel.

Nel lungo intervento il Pg Marini, motivando l’istanza di eccezione di legittimità costituzionale, ha parlato tra l’altro del diritto violato, secondo la nuova normativa della parte civile. "Con le nuove norme - ha detto il procuratore Marini - non si è giunti affatto ad un accorciamento della lunghezza del giudizio, anzi, i tempi si sono notevolmente allungati". Marini ha citato più volte i rilievi che furono formulati, prima della modifica attuata dal Parlamento, dal presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, sull’originario impianto normativo della cosiddetta legge Pecorella. Infine, ha parlato di palese incostituzionalità della norma, in particolare della parte in cui non si pone alcun termine nella produzione di nuove prove decisive. Anche la parte civile, rappresentata dagli avvocati Luca Petrucci per la vedova D’Antona, e Cristina Michetelli per la figlia del giuslavorista, si sono associati in subordine presentando una memoria, alle richieste del Pg nel caso di inammissibilità dell’ appello in sede civilistica della stessa parte civile.

Mostre: a Nisida si apre "La Pecora nera e altri sogni"

 

Vita, 3 maggio 2006

 

È il titolo della mostra di Andrea Valente e dei ragazzi dell’Ipm di Nisida. A Napoli da Venerdì 5 maggio ore 11.30 Unione Industriali Provincia di Napoli, piazza dei Martiri, 58. Prima nazionale a Napoli per la mostra "La pecora nera e altri sogni" di Andrea Valente, illustratore e scrittore per ragazzi, beniamino del pubblico giovane per il tratto ironico e inconfondibile del suo popolare personaggio, la Pecora Nera.

La mostra, nella sua tappa inaugurale napoletana, prima di diventare itinerante per l’Italia, sarà ospitata al Centro Studi Europeo sulla criminalità minorile di Nisida dal 6 al 25 maggio 2006, dove sarà affiancata dai lavori dei ragazzi dell’Istituto penale minorile di Nisida, sul tema del sogno e della possibilità di cambiare se stessi e il mondo.

Alla conferenza stampa, che presenterà trailer e promo di alcune fasi dell’evento interverranno, con l’autore della mostra Andrea Valente e il curatore Ivan Giovannucci, il direttore del Centro Giustizia Minorile di Napoli Sandro Forlani, il direttore dell’Ipm di Nisida Gianluca Guida, i coordinatori dei laboratori e dell’equipe psicopedagogica con alcuni ragazzi dell’Istituto; il regista Pino Sondelli e Stella Leonetti della Hip Film; il commissario straordinario della Fondazione Banco di Napoli per l’Assistenza all’Infanzia (Fbnai) Pierluigi Lo Presti, la responsabile del settore assistenza della Fbnai Rosalba Cerqua, l’ingegner Vincenzo Greco, delegato alla formazione dell’Unindustria, esponenti delle istituzioni e rappresentanti dell’associazione culturale Kolibrì che ha organizzato l’evento. Coordinerà Donatella Trotta, ideatrice del progetto.

La pecora nera e altri sogni è una galleria di trenta ritratti inediti di donne e uomini (scienziati, artisti, viaggiatori, sportivi, poeti, scrittori, rivoluzionari) che nel Novecento hanno saputo perseguire sogni, passioni e utopie concretizzandoli con la loro esistenza: da Martin Luther King a Madre Teresa di Calcutta, da Jesse Owens a Marie Curie. La mostra, con immagini e parole e in una logica sociale inclusiva, vuole rappresentare il diritto di esprimersi di tutti i ragazzi, anche di quelli "invisibili".

È il risultato di un percorso educativo collettivo e condiviso con l’équipe psicopedagogica dell’Ipm di Nisida (coordinamento di Maria Franco, laboratorio pittorico-scenografico di Matteo Casamassima, laboratorio musicale-teatrale di Gabriella Marino per l’Associazione Artèteca) e con Kolibrì per la seconda edizione del progetto Girogirotondo, cambia il mondo dedicato a I diritti dei bambini e delle bambine, di cui l’evento di Nisida è la tappa finale.

Il vernissage della mostra si terrà a Nisida sabato 6 maggio alle ore 17.00, mentre venerdì 19 maggio alle ore 19 i ragazzi dell’Ipm porteranno in scena un musical tratto dal testo La scelta (Sinnos editrice) di Luisa Mattia, che sarà presente all’anteprima. Dallo spettacolo sarà tratto un cortometraggio prodotto dalla Hip film di Stella Leonetti per la regia di Pino Sondelli. Sono previsti laboratori didattici su prenotazione. L’evento ha il sostegno della Fondazione Banco Napoli per l’Assistenza all’Infanzia e dell’Unione Industriali ed è autorizzato da Ministero della Giustizia, Dipartimento Giustizia Minorile, CGM Campania e Molise.

Giustizia: Amnesty International contro la schiavitù sessuale

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 3 maggio 2006

 

La campagna di sensibilizzazione delle tifoserie per i prossimi Mondiali di calcio annunciata durante l’assemblea generale della sezione italiana in corso a Monopoli (Bari). Sensibilizzare le tifoserie delle squadre europee che parteciperanno al prossimo Campionato mondiale di calcio perché non si rendano complici dello sfruttamento sessuale di migliaia di donne che finiscono nella rete di chi gestisce la tratta di esseri umani.

È questa la prossima campagna che Amnesty International lancerà ufficialmente il 9 maggio ma che è stata annunciata già oggi nell’ambito della 21/a assemblea generale della sezione italiana dell’organizzazione in corso a Monopoli.

"Dove ci sono grandi assembramenti di persone come avverrà in occasione dei Mondiali, ci sono situazioni a maggiore rischio - ha avvertito il presidente dell’organizzazione, Paolo Pobbiati - e noi vogliamo per questo giocare in attacco sensibilizzando le autorità e il pubblico sul tema della tratta di esseri umani". "Questo - ha aggiunto - è un tema grave visto che si calcola che ci sia in Europa mezzo milione di donne trafficate". "Oggi ci sono più strumenti legislativi - ha detto ancora - visto che lo scorso anno il Consiglio d’Europa ha approvato una convenzione sulla tratta che ci auguriamo possa essere firmata e ratificata al più presto da tutti i Paesi europei e che contiene una innovazione importante in quanto considera le donne vittime e non criminali".

La campagna si rivolge al governo tedesco (in quanto la Germania oltre che ospitare i Mondiali è il Paese attraverso cui passa gran parte della tratta di donne dall’Est), agli Stati membri del Consiglio Europeo e alle federazioni calcistiche dei Paesi che partecipano al campionato. Questa iniziativa rientra in quella più ampia intitolata "Mai più violenza sulle donne" condotta da Amnesty e che - è stato ricordato nell’assemblea - ha ottenuto in Italia un importante risultato con l’approvazione della legge contro le mutilazioni genitali. Questo impegno si affianca ad un’altra iniziativa di Amnesty contro il traffico incontrollato di armi che culminerà il 31 maggio prossimo con la consegna al governo italiano di una petizione che questa volta non è fatta solo di firme ma anche delle foto degli aderenti "perché - dice Pobbiati - abbiamo chiesto alle persone di metterci la faccia".

Al governo Amnesty chiede di impegnarsi per sollecitare un trattato internazionale che stabilisca regole ferree sul commercio di armi. All’assemblea ha partecipato anche il presidente della Regione, Nichi Vendola, che nel suo saluto si è soffermato in particolare sul tema che ha rappresentato in questo anno l’impegno principale di Amnesty sulla difesa dei diritti umani dei migranti e dei rifugiati. Vendola ha ancora una volta parlato della "negazione dei diritti umani" che avviene all’ interno dei Cpt sia per i tempi lunghissimi impiegati per le procedure di identificazione sia per le condizioni di degrado in cui i migranti vengono tenuti. Vendola riconosce "la necessità di strutture che consentano la identificazione dei migranti, ma nei nostri Cpt non hanno fatto questo, sono stati luoghi poco conoscibili, dove organizzazioni come Amnesty International non sono mai state messe in grado di operare". "Ci sono tempi esageratamente lunghi per le identificazioni, e sono luoghi nei quali viene proposto il tema della violazione dei diritti umani nel nostro territorio e questo non è accettabile".

Su questo tema, Amnesty ha presentato anche un lavoro di ricerca intitolato "Invisibili", dedicato alla particolare condizione dei migranti minorenni nei centri di detenzione. È una condizione completamente sconosciuta, affermano i responsabili dell’organizzazione, e negata persino dal governo che smentisce la presenza di minorenni all’interno dei centri. Eppure, secondo quanto accertato da Amnesty, al di là delle condizioni per cui la presenza dei minori è inevitabile (ad esempio nei casi di detenzione dei genitori), sono almeno 900 i minori transitati tra il 2002 e il 2005 in Italia nei centri in stato di detenzione violando il diritto internazionale.

Catania: il calcio favorisce il recupero dei giovani detenuti

 

La Sicilia, 3 maggio 2006

 

Si è disputata sabato, sul campo sportivo del carcere minorile di "Bicocca" a Catania l’ultima partita del campionato provinciale PGS (Polisportiva Giovanile Salesiana) di calcio a 5, categoria libera, della squadra composta esclusivamente da minori in regime di restrizione nell’Istituto Penitenziario. Si è trattato della prima volta in Sicilia che una formazione di ragazzi reclusi ha partecipato ad un torneo sportivo "esterno". La "Futur@", questo il nome della squadra, che in campo non ha mai ricevuto nessun provvedimento disciplinare, ha incontrato la "Splendor" di Adrano. Con questa partita, la formazione di Bicocca, formata da 15 ragazzi, sul campo sportivo della struttura penitenziaria, dove per la particolare situazione dei componenti la squadra ha disputato tutte le partite, ha incontrato le 9 squadre partecipanti al torneo.

L’idea dell’iscrizione al campionato è stata della Cooperativa Sociale "Futur@ Animazione… e non solo", realtà salesiana, nata tre anni fa ed operante a Catania in Corso delle Province 263. La Cooperativa, dalla quale deriva il nome la squadra, porta avanti da mesi, nell’istituto penitenziario catanese, grazie al sostegno dell’assessorato ai Servizi Sociali del Comune, un progetto di attività sportive rivolto proprio ai minori in restrizione. L’iniziativa, avviata lo scorso giugno, sta dando ai giovani detenuti l’opportunità di svolgere quattro volte la settimana regolare attività fisica. Fortemente voluto dagli operatori carcerari, il progetto ha come obiettivo quello di coinvolgere i minori, in un particolare periodo della loro vita, in iniziative sportivo-ricreative dalla forte valenza educativa e relazionale. Seguiti da Enzo Treccarichi ed Enzo Buttò, istruttori di attività fisiche, i ragazzi si cimentano in diverse discipline sportive, come il gioco del calcio, ma anche l’attrezzistica, ed il fitness. "L’idea del campionato di calcio 5 ha rafforzato maggiormente un rapporto già avviato tra noi ed i ragazzi - ha affermato Marcello D’Onofrio, Presidente della Cooperativa "Futur@". Si è trattato di un ulteriore passo verso il reinserimento di questi ragazzi nel sociale. È riconosciuto infatti da più parti - ha aggiunto - la rilevante funzione dello sport come elemento di coesione e di relazione tra i giovani. Siamo soddisfatti - ha sottolineato D’Onofrio - dei riscontri che il progetto ed il torneo stanno registrando".

Palermo: al Pagliarelli un’oasi per i figli dei detenuti

 

La Sicilia, 3 maggio 2006

 

Imboccato il viale di accesso al Pagliarelli, l’attenzione è subito catturata da quelle tinte forti e gioiose che si stagliano nel mare nero e ocra del complesso di edifici e della cancellata che lo separa dal resto del mondo. Due altalene, tre scivoli e una casetta dai colori vivaci, incastonati tra palmette, gerani e alberelli, sorgono all’ingresso di un luogo nato per consentire l’espiazione della pena, sinonimo di dolore, di privazione della libertà, ma che, per definizione, deve tendere alla riabilitazione, al recupero. Una piccola oasi di serenità posta lì come a voler sottolineare un collegamento ideale tra la vita di dentro e quella di fuori, tra i detenuti e i loro bambini, tra gli errori del passato e la speranza del futuro. Per non lasciare negli occhi sensibili dei piccoli, costretti a lunghe ore di attesa prima di poter parlare con i loro genitori, l’impressione di un luogo tetro e senza ritorno e per dare ai padri un segnale di attenzione da parte della società nei confronti dei loro figli. Inaugurato giovedì, il parco giochi è un dono del Club Soroptimist, un’associazione internazionale di donne nata negli Stati Uniti nel 1921 per promuovere l’affermazione femminile in tutti i campi, lo spirito di solidarietà e i diritti umani, che a Palermo conta 63 socie ed è guidata dalla giornalista Bianca Cordaro.

"È un gesto concreto - ha detto la presidente Cordaro - che si ricollega idealmente alla biblioteca regalata due anni fa al Malaspina. Sono le azioni concrete - ha aggiunto - che il nostro club vorrebbe promuovere. Non sempre è possibile per carenza di risorse. Cerchiamo allora di porci come forza propositiva, dando voce alle istanze con il coraggio della denuncia. A questi principi si sono ispirate le iniziative di quest’anno, che hanno sottolineato la centralità del ruolo della donna, la questione della tutela dell’ambiente, l’inquietudine sociale". Originariamente l’obiettivo del Club palermitano era fare qualcosa per le detenute. "Ci siamo rivolte - ha ricordato Bianca Cordaro - alla direttrice del carcere Laura Brancato, che ci ha spiegato che praticamente non ci sono donne nella struttura. Oscillano tra 6 e 2, sono un numero fluttuante. Così ci ha suggerito di pensare ai bambini". Attualmente sono 1300 gli "ospiti" del Pagliarelli. "È una vera comunità - ha affermato la direttrice Brancato - i detenuti si preoccupano per le loro famiglie. Sono stati loro stessi, durante un colloquio avuto due anni fa, poco dopo il mio arrivo in carcere, a farmi capire che desideravano si facesse qualcosa per i loro figli. Ho fatto sistemare allora all’ingresso una tettoia per permettere ai familiari in attesa di una visita di ripararsi dalla pioggia e dal sole. Il parco giochi rappresenta un’azione di grande sensibilità, che, non a caso, viene da un gruppo di donne, che ha sentito il problema dei bambini disagiati". Ha parlato di valenza sociale del gesto il Provveditore per la Sicilia, Orazio Faramo, che ha evidenziato come non rientri nelle funzioni specifiche dell’amministrazione penitenziaria occuparsi degli utenti esterni, considerato che per legge "c’è l’onere di interessarsi dei bambini fino a 3 anni che stanno in carcere con le loro mamme - ha detto - per i quali sono stati predisposti dei nidi attrezzati, come nella struttura di Messina, dove vengono trasferite le detenute con bimbi piccoli che devono scontare una pena".

Giustizia: Papillon Rebibbia; appello per i detenuti lavoratori

 

Vita, 3 maggio 2006

 

Dopo l’odierna importante giornata di mobilitazione di milioni di lavoratori, pensionati e giovani precari e disoccupati, ci permettiamo di spendere due parole per ricordare a tutti che in Italia esistono circa dodicimila lavoratori (e decine di migliaia di ex lavoratori) che reclamano un minimo di Giustizia per la loro situazione salariale. Costoro sono quei Cittadini detenuti che hanno la fortuna di svolgere, magari soltanto per poche ore al giorno, una qualche attività lavorativa al servizio dell’amministrazione penitenziaria. Ne vogliamo parlare perché forse soltanto pochi Cittadini liberi sono a conoscenza del fatto che questi lavoratori sono normalmente retribuiti con paghe orarie che corrispondono a circa un terzo di quelle stabilite dai contratti collettivi di settore a livello nazionale. E certamente ancor meno sono quei liberi Cittadini informati del fatto che le già scarse retribuzioni di questi lavoratori detenuti sono ferme dall’ottobre del 1993, con evidente (ir)responsabilità di tutte le forze politiche che hanno guidato il Ministero di Giustizia.

Già dal 1998 la nostra Associazione ha denunciato questa assurda situazione e nel 2000 decise di iniziare una piccola ma significativa battaglia sindacale per ripristinare il Diritto violato, facendo i primi passi con una vertenza- pilota di due nostri iscritti detenuti che lavoravano nel carcere di Rebibbia nuovo complesso.Dopo cinque anni e tanti tentativi di insabbiamento, nel luglio del 1994 la Corte di Cassazione ha dato pienamente ragione alla nostra denuncia.

In sostanza, la Corte ha stabilito che, pur non potendosi "prescindere dai deliberati della commissione, occorre adeguarli all’evoluzione della contrattazione collettiva nel tempo. Il Magistrato di Sorveglianza, partendo dall’ultima decisione della commissione e adeguandosi ai criteri dalla stessa esposti - si legge nelle motivazioni - dovrà aggiornarli cronologicamente, facendo riferimento appunto allo sviluppo avuto negli anni dai corrispondenti contratti di lavoro, al fine di determinare l’equa mercede spettante". Con questa sentenza, accettata obbligatoriamente anche dalla Magistratura di Sorveglianza di Roma nel febbraio del 2005, per la prima volta si dichiara esplicitamente che i lavoratori detenuti hanno diritto a una remunerazione corrispondente alla quantità e qualità dell’attività prestata e che, quindi, va aggiornata.

Nel maggio del 1995 la Papillon ha aperto, insieme alla Confederazione Cobas, la prima vertenza nazionale riguardante i Diritti dei detenuti ed ex detenuti lavoranti, ed ha chiesto a vari Parlamentari, Assessorati, Garanti, ecc., di sostenere questa piccola, importante battaglia, ma sino ad oggi ben pochi sono stati però i passi avanti, anche perché la serietà e la coerenza non sempre vanno d’accordo con le campagne elettorali e le piccole meschinità di certi pseudo professionisti del Diritto. A questo punto noi della Papillon riteniamo sia più che mai necessario un nuovo impulso politico che sostenga la nostra vertenza sindacale, e poniamo quindi una semplice domanda ai futuri Ministri della Giustizia e del Lavoro ed a tutti Parlamentari del centro sinistra:

Cosa impedisce di provvedere immediatamente al riadeguamento delle mercedi dei detenuti lavoranti e alla restituzione della differenza a tutti quegli ex detenuti che ne facciano richiesta?

Per noi questa vertenza è soltanto una piccola parte della nostra battaglia di civiltà per l’indulto e le riforme, ma essendo palese l’illegalità di una situazione che procede da oltre tredici anni, ci aspettiamo un esplicito pronunciamento già nelle prossime settimane.

Padova: cibo scadente; denuncia degli agenti della Cgil

 

Il Gazzettino, 3 maggio 2006

 

Cibo scadente al Due Palazzi. Sia la qualità degli alimenti che il confezionamento dei pasti alla casa di reclusione e alla casa circondariale lasciano alquanto a desiderare. La denuncia proviene dal coordinamento guardie penitenziarie dell’Fp-Cgil. Il responsabile regionale Gianpietro Pegoraro ha inoltrato una richiesta di incontro urgente al Provveditore regionale delle carceri e ai direttori delle due strutture padovane. L’improvviso peggioramento del vitto risale all’inizio del mese di aprile. Un’inversione di tendenza che si spiegherebbe con il cambio di appalto. Il servizio di ristorazione alla casa di reclusione e alla circondariale è stato infatti assegnato alla "Food & Service Group", società con sede a Paderno Dugnano, nel milanese, che ha preso il posto di Onama, ditta leader nel settore che confeziona tra l’altro i pasti negli ospedali dell’Ulss 17.

Con tutta probabilità la "Food & Service Group", che gestisce altri appalti in Veneto, con una sessantina di dipendenti complessivi, è riuscita ad aggiudicarsi la gara con un’offerta al ribasso. Il primo provvedimento è consistito infatti nella riduzione d’orario delle sette cuoche ed inservienti in organico. Ad una delle dipendenti è stato addirittura proposto un trasferimento. Le sei colleghe si sono viste praticare un taglio di oltre il 30%. Alle dipendenze di Onama cuoche ed inservienti lavoravano per 244 ore la settimana. Ora "Food & Service Group" ha ridotto l’attività a 165 ore settimanali. Con inevitabili ripercussioni sulla qualità del servizio di refezione.

Le lavoratrici si sono affidate alla Filcams-Cgil. "Non accettano una simile situazione - spiega Valerio Beccegato - per questo ci siamo rivolti all’assessore provinciale al Lavoro. Mi auguro che si possa convocare la ditta appaltatrice attorno ad un tavolo per verificare se esista la volontà di migliorare il confezionamento dei pasti. Ci sono stati ripetutamente segnalati vari disservizi da parte delle guardie carcerarie che lamentano anch’esse la scarsa qualità del cibo. Crediamo che questo scadimento del servizio non sia imputabile alle lavoratrici. Dopo aver dovuto accettare la riduzione d’orario in qualche caso sono state costrette ad effettuare prestazioni straordinarie".

Libro: Faranda; storie di incontri e di sedici anni da reclusa

 

Corriere della Sera, 3 maggio 2006

 

Non poteva che essere autobiografico il primo romanzo di Adriana Faranda, brigatista storica della colonna romana, compagna di Valerio Morucci, assieme al quale votò contro l’uccisione di Aldo Moro, poi imprigionata (per sedici anni) e dissociata in seguito all’assassinio, da parte delle Br, del fratello del pentito Patrizio Peci. Con un passato simile, deve essere praticamente una necessità tentare di raccontare, di spiegare, a se stessi in primo luogo. D’altra parte, il lettore si aspettava proprio questo da Adriana Faranda: una storia autobiografica che aiutasse a capire le ragioni della sua scelta estrema: prima di tutto quella di abbandonare una pur amatissima figlia di cinque anni per seguire un tragico, mortifero progetto di terrorismo. Ogni altro genere di romanzo firmato da lei sarebbe sembrato finto e fuori luogo: il primo doveva necessariamente parlare della sua vita; quelli che seguiranno saranno, nel caso, di pura invenzione. Anche se, a lettura conclusa, sembra più probabile che l’autrice possa tornare, per lo meno una volta ancora, a narrare di sé.

Il volo della farfalla (Rizzoli, pagine 310, € 17) ripercorre, in realtà, soltanto gli anni del carcere, anche se i riferimenti al passato di guerra sono, inevitabilmente, presenti di continuo. Ma è facile immaginare che una strada in salita, fuori da un tunnel, sia meno dura, meno dolorosa da raccontare di una in discesa, che ha condotto nel buio profondo. Anche perché i giorni della prigione non sono stati aridi e solitari come, verosimilmente, lo sono stati quelli della clandestinità: attorno alla protagonista del racconto, alter ego dell’autrice, nel corso dei sedici anni dietro le sbarre, compaiono, infatti, decine e decine di personaggi - la popolazione delle carceri femminili di tutta Italia - che ne hanno, in parte o a lungo, condiviso il destino.

Il percorso di dissociazione di Adriana Faranda, via via più marcato, è ben leggibile nelle pagine; lo segnalano, con forza e cadenza crescente, le sue riflessioni, soprattutto in rapporto con il gruppo delle irriducibili diventate, nel tempo, da compagne di lotta quali erano, estranee distantissime e incomprensibili. Non ci si aspetti, tuttavia, un desiderio forte di espiazione, una disponibilità a subire il carcere - e, va detto, i suoi orrori, fatti di ingiustizia, di violenza e prepotenza - come giusta punizione per il male compiuto.

Del resto, l’uomo è fatto così: seppure dissociato, seppure dispiaciuto dei suoi delitti, mai vorrà per sé il medesimo destino di morte che ha inflitto ad altri né sarà pronto ad accettare umiliazioni e vessazioni (la prigione, in questo ambito, è, ovviamente, una specie di scuola di perfezionamento), in nome di un riscatto personale o di un perdono da parte della società. Un comportamento così lo si può pretendere da uomo religioso, forse da un santo.

Non essendo né l’uno né l’altro, la protagonista del romanzo non cessa un momento di combattere, di resistere, di far valere le proprie ragioni, di opporsi a soprusi e iniquità da parte del "sistema" carcerario, fatto di giudici, di direttori, di carabinieri, di agenti di custodia, di guardiane, a volte anche di suore. Solo che la sua battaglia - come quella di molte sue compagne di sventura - non è mai individuale, tale da escludere o ignorare i bisogni altrui: ed è, probabilmente, questa generosità che, con l’andare delle pagine, trasforma Zoraima - così si chiama Adriana nella finzione letteraria - da nemica spietata e indecifrabile in una donna "normale" che si può stimare, ammirare, compiangere e, per la quale, perfino fare il tifo.

Tutte le detenute che la protagonista incontra nel corso dei sedici anni di carcere, alle quali in qualche modo si lega o, più di rado, si oppone, ricevono il nome di un fiore, di fiori comuni come Viola, Margherita o Tulipano, ma spesso - e più volentieri - di fiori rari, strani ed esotici, come Solandra, Torenia, Monbrethia o Mancinella.

Una trovata da romanzo rosa? Sulle prime si potrebbe crederlo. Tuttavia, una volta avviati nel racconto, si ha piuttosto l’impressione che questi nomi, così leggiadri e affascinanti, servano - all’autrice in primo luogo ma, subito dopo, anche al lettore - a consolarsi in qualche modo degli innumerevoli, inenarrabili orrori che, per certo, la prigione riserva ai suoi inquilini. E, forse, anche, a sfumare, un poco, la pesantezza dei ricordi precedenti al carcere: esattamente come il profumo di un fiore può coprire odori troppo forti, troppo aspri, che si vorrebbero ignorare. Una funzione non troppo diversa potrebbe avere la scrittura dell’autrice, fastosa, sontuosa, suggestiva, ricca di immagini prese dalla natura: che sia anch’essa una specie di anestetico che, sparso sulle ferite profondissime - inferte e ricevute - attutisce il dolore e confonde il pensiero, concedendo di continuare a vivere, con nuova speranza addirittura? Il libro di Adriana Faranda "Il volo della farfalla" (Rizzoli) viene presentato domani alla Fiera del libro di Torino, insieme con "Luoghi comuni" di Pino Corrias (Rizzoli), (Caffè Letterario, ore 19.30). Interviene Marino Sinibaldi.

Ascoli: don Oreste Benzi spinge i giovani ad aiutare i detenuti

 

Corriere Adriatico, 3 maggio 2006

 

"Noi possiamo costruire terre e cieli nuovi". Con questo imperativo, Don Oreste Benzi, una delle figure contemporanee più amate dai giovani e da sempre accanto a coloro che vivono uno stato di disagio, è giunto ieri nel capoluogo piceno e si è rivolto ai ragazzi delle scuole medie superiori della città che erano ad attenderlo alla Multisala Piceno. Il religioso, impegnato nell’offrire il suo aiuto a chi non riesce a liberarsi della sofferenza, ha partecipato all’appuntamento voluto dal Comune in collaborazione con la Comunità Papa Giovanni XXIII, incentrato sul tema "Il coraggio dell’utopia ottimistica per sconfiggere le inquietudini del nostro tempo".

Colui che può essere definito il paladino della tolleranza fra gli esseri contemporanei, nell’occasione ha portato con se due rappresentanti delle case famiglia da lui fondate a Ravenna poi dislocate in tutto il territorio nazionale, allo scopo di portare ai presenti la vera testimonianza dell’umanità. Daniele, che vive a Forlì, e Claudia, che frequenta una comunità a Ripatransone, hanno raccontato ai presenti le loro storie, caratterizzate dall’accoglienza nei propri nuclei di bimbi sfortunati e della possibilità di vivere tutti in armonia accettando in casa persone in cerca di amore. Claudia, in particolare, ha voluto raccontare la sue esperienza tra i detenuti, collegandosi con l’iniziativa messa in atto dei ragazzi ascolani presso la Casa Circondariale di Marino Del Tronto. "Sono 2 anni che con altri volontari passo intere giornate tra i carcerati ed è una esperienza stupenda che mi apre il cuore" ha detto la mamma sambenedettese, rivolgendosi ai ragazzi dell’Isda, che con altri studenti hanno fatto questa esperienza e che presto si accingeranno a decorare i muri del cortile del Supercarcere.

"Io credo che il male di vivere sia la conseguenza dalle difficoltà riscontrate nel conquistare la libertà" ha asserito Don Benzi, certo che la libertà significhi rimanere se stessi, vedere nessuno soffrire da solo, essere rispettati. "Ogni essere umano vorrebbe essere trasparente alle verità ed essere amato sempre"ha auspicato, dopo aver raccontato vari aneddoti relativi ai numerosi incontri drammatici che egli ha avuto recentemente, con bambini malati di aids, clienti di prostitute, ergastolani. "Prendete posto nella storia, scoprite se stessi, apportate cambiamenti dentro e fuori di voi" ha concluso rivolgendosi ai presenti, citando Martin Luther King quando ha detto che il vero pericolo, più che nella cattiveria dei malvagi, è nel silenzio degli onesti. Una lezioni di vita che ha preso spunto da racconti su fatti reali quella di Don Oreste Benzi che ha colpito i giovani presenti ieri mattina al cinema Piceno per assistere al convegno.

Teatro: Brescia; "La vita è sogno" rappresentata dai detenuti

 

Giornale di Brescia, 3 maggio 2006

 

"Non solo le mura del carcere sono robuste, il tempo lo è ancora di più". È un eloquente estratto delle riflessioni di un detenuto di Canton Mombello che parteciperà con altri compagni alla terza edizione del laboratorio teatrale realizzato con la supervisione artistica di Sara Poli e Paola Carmignani. Il nuovo progetto, dedicato alla messa in scena dell’opera di Calderón de la Barca "La vita è sogno", è sostenuto dalla presidenza del Consiglio comunale e del Consiglio provinciale, in collaborazione con l’associazione Carcere e territorio. L’iniziativa è finanziata dalla fondazione Italia Vodafone.

Visti i brillanti e inaspettati risultati delle edizioni precedenti, le istituzioni vogliono proseguire un esperimento nato e cresciuto a Brescia per rimarcare la vicinanza delle istituzioni a un mondo difficile, ma che rientra a pieno diritto nella comunità. "La tenace convinzione con la quale appoggiamo l’iniziativa fin dai suoi esordi - precisano Paola Vilardi e Laura Castelletti - risiede nella volontà di dimostrare ai carcerati che non sono abbandonati dalle istituzioni locali". Con un impegno bipartisan, le due presidenti sottolineano che il progetto rappresenta anche "una personale battaglia istituzionale contro l’indifferenza nei confronti di tale realtà".

Il progetto appena iniziato con 23 persone a Canton Mombello e 20 a Verziano porterà alla realizzazione di uno spettacolo teatrale rappresentato in una location cittadina ancora da definire. La pubblicazione di un dvd con un volume raccoglierà le riflessioni, le testimonianze e le tappe del lavoro svolto. Sara Poli, regista della pièce in allestimento, spiega che per ora ha iniziato ad assemblare alcune bozze sulle riflessioni dei protagonisti in relazione al sogno, tema dominante del testo di Calderón de la Barca. "Un testo difficile - ammette Sara Poli -, perché per la prima volta costringe le persone a raccontarsi senza un filtro".

A ottobre il sipario si alzerà non su una mera trasposizione dell’opera seicentesca, perché il brano sarà frutto di una rielaborazione eseguita dalla regista sullo sfondo dei contributi emersi durante il lavoro con i detenuti. La realizzazione del dvd è l’espediente pensato per coinvolgere nel progetto anche i volti e le testimonianze di quelle persone che non parteciperanno direttamente allo spettacolo. Dove il cielo sbuca tra una sbarra e l’altra niente è facile, e anche portare in un teatro esterno agli istituti di pena circa quaranta persone pone diversi problemi logistici. Motivo per cui il libro e il supporto informatico rappresenteranno una via di "fuga" per chi vorrà raccontare i propri sogni. "L’obiettivo non è scontato - rivela Carlo Alberto Romano, presidente di Carcere e territorio -, quando un detenuto è abituato a percepirsi come recluso e non come persona". Allora un "luogo altro" come la terra di mezzo tra realtà e fantasia può essere l’occasione per mettere a nudo la propria anima. Nel nuovo progetto il contributo di Vodafone si affiancherà alla consueta collaborazione delle associazioni femminili Moica, Aidda e Soroptimist International Club.

Ravenna: un laboratorio di lettura di favole per i detenuti

 

Redattore Sociale, 3 maggio 2006

 

"Fare biblioterapia con persone in difficoltà? È come navigare su una barca a vela". Parola di Angela Barlotti, biblioterapeuta della Provincia di Ravenna, che ha organizzato il laboratorio di lettura di favole per i detenuti della Casa circondariale di Ravenna. Un’iniziativa che sta ottenendo un successo inatteso, tanto che i partecipanti hanno chiesto di aumentare il numero di incontri e di libri da leggere. "Non mi sarei mai aspettata un coinvolgimento così forte - continua Angela Barlotti - , i ragazzi mi hanno addirittura chiesto di scrivere delle versioni personali delle favole che stiamo leggendo. Questo, in realtà, era il mio obiettivo fin dall’inizio, ma non pensavo che l’idea sarebbe partita da loro così presto". I partecipanti all’iniziativa sono soprattutto detenuti stranieri, provenienti dal Maghreb. Le favole scelte, quindi, vengono lette sia in italiano che in arabo e questo favorisce discussioni sulla diversità delle lingue e delle grafie. In questo modo la biblioterapia diventa anche un’occasione di scambio culturale. "Durante gli incontri - osserva Angela Barlotti - tutti danno un contributo attivo, anche chi inizialmente era timido e restìo a intervenire. Ognuno fornisce la sua personale comprensione del brano e la condivide con gli altri. Inoltre, le favole scelte hanno fatto riaffiorare nei partecipanti i ricordi delle loro tradizioni, arricchendo la profondità del dibattito".

Ma in che cosa consiste esattamente la biblioterapia? "È una tecnica terapeutica nata nei paesi anglosassoni per curare malattie sia fisiche che psichiche - spiega Angela Barlotti - . In Italia, invece, la biblioterapia ha un valore diverso, è un modo per alleviare i disagi di chi affronta particolari situazioni di vita. Io ho iniziato a praticarla tanti anni fa nelle case di riposo, con gli anziani, poi anche nelle carceri. Nel caso delle persone anziane la biblioterapia è utile come momento di conforto, mentre per i detenuti diventa un momento di evasione". Dunque, "fare biblioterapia con persone in difficoltà è come navigare su una barca a vela: ogni incontro è un viaggio, una scoperta, una sorpresa. Non si può mai sapere cosa succederà". Per ciascun target si scelgono dei libri mirati, adatti a favorire una lettura profonda e personale, che serva da chiave di lettura della propria situazione. In quest’ottica, ad esempio, è stato presentato nella Casa circondariale di Forlì il libro "Il Minotauro" di Friedrich Durrenmatt: questa rivisitazione psicologica del mito vede nel Minotauro il "diverso", il "recluso" che vive il dramma dell’incontro con la propria coscienza. Grazie alla vicinanza dei temi, i partecipanti all’incontro (detenute e detenuti per la maggior parte italiani) hanno discusso attivamente, ponendo domande e riflettendo insieme. Di nuovo, l’entusiasmo è stato tale che si pensa già di organizzare altri incontri simili. "Questi successi sono davvero gratificanti, terapeutici anche per me. La lettura deve essere proprio questo - conclude Angela Barlotti - una rappresentazione della vita, una chiave per spiegare la propria esistenza".

Rovereto: un gruppo detenuti ha deciso di scrivere…

 

L’Adige, 3 maggio 2006

 

Un gruppo di detenuti roveretani ha deciso di scrivere una lettera di sfogo dalla casa circondariale di via Prati per il possesso di 12 chili di coca pura al 94%. A Rovereto per un tentato furto 2 anni, a Venezia 4 mesi. Non capiamo questa disparità: il tossico viene punito più dello spacciatore professionista. Per non vedere chi si macchia di reati sessuali: pedofilia, stupro di minore e violenza carnale di gruppo: i responsabili sono già fuori o agli arresti domiciliari. Non per fare del vittimismo, ma questi dati devono farci riflettere e informare di più la collettività di come si vive nel carcere perché tutti possiamo finir ci. A nostro avviso se uno non vede con i propri occhi e lo prova sulla propria pelle non può nemmeno immaginare cosa deve passare.

Gli unici che qui dentro lavorano con scrupolo, oltre al loro devono sobbarcarsi anche il lavoro che dovrebbe essere di altri e che capiscono la realtà e I detenuti della casa circondariale di via Prati hanno deciso di prendere carta e penna e tentare un contatto con l’esterno, denunciando le proprie inquietudini e gridando la propria rabbia attraverso il giornale.

"Siamo un gruppo di ragazzi trentini, ristretti tutti per piccoli reati o perché consumatori di droga, nel carcere di Rovereto. Ci siamo decisi a scrivere perché si possa così rendere pubblica la vita da queste parti. Anche perché in questi giorni abbiamo vissuto un tragico evento, purtroppo uno di noi non ha più retto alla sopraffazione, solitudine e la crudeltà del carcere ed ha preferito andarsene non con le sue gambe però e crediamo sia in Paradiso se è vero che due anni e terminano prima la pena. Per poi non fare il confronto con le condanne che vengono inflitte dal tribunale: chi arriva da fuori spesso ci deride per le certe condanne pesanti. È un vero abisso: qui con 2 o 3 grammi di droga qualcuno ha preso 5 o 6 anni di galera, a Padova, a Milano e Brescia con 100 grammi di eroina o coca 10 mesi, massimo 1 anno e 3 mesi. Abbiamo visto dei casi di spacciatori professionisti che sono finiti in prigione per 10 chili di eroina rimediando una condanna a 5 anni. Questi sono usciti dopo due anni. Un altro si è preso 5 anni 6 mesi dal tribunale di Bolzano. La maggior parte di noi è molto fragile psicologicamente e fuori non ci si rende conto di come si viene puniti per piccoli reati e spesso e volentieri abbandonati a se stessi. Purtroppo nella città della pace, Rovereto, nessuno si immagina che viva una parte di sventurati che, per colpa del destino o della fatica di vivere o ancora della strada sbagliata che le droghe portano, sono costretti qui a convivere poi assieme ad altri reclusi che arrivano dalle province venete e lombarde. Tra questi c’è gente di tante razze e colore, tra questi vi so no veri delinquenti di professione e per un ragazzo della nostra zona è dura dover confrontarsi e anche pericoloso. Se uno di noi ha una famiglia ricca e può pagare le care parcelle dei migliori avvocati riesce più facilmente ad uscire o ad essere inserito in comunità, altri con l’avvocato d’ufficio aspettano anche mesi. Quello che più colpisce e ci fa riflettere è che la maggior parte dei detenuti sono poveri e molti malati psicologicamente; detenuti che hanno soldi o conoscenze giuste sono rari o trova no subito la strada per uscire seppure si siano macchiati di reati gravi. Questi giorni ci ha fatto molto male e anche rabbrividire tutti la notizia che uomini che ci hanno anche arrestato sono stati trovati con la droga. Se molti di noi se potessero parlare, senza avere poi brutte conseguenze, verrebbe fuori uno scandalo ma è una cosa troppo grande e non si vuole porre rimedio: c’è troppo interesse e chi ha il potere o i mezzi per porre fine a questa disparità e menzogna non vuole e fa vedere ciò che vuole e molte volte la realtà viene distorta o va bene così. L’opinione della collettività viene così male interpretata".

Droghe: Piemonte; uno studio valuta l’efficacia dei trattamenti

 

Redattore Sociale, 3 maggio 2006

 

I risultati dello studio "Vedette", promosso dal Ministero della Salute per valutare l’efficacia dei trattamenti per la tossicodipendenza da eroina in Piemonte, sono al centro del convegno regionale di giovedì 4 maggio, presso il Centro Incontri della Regione Piemonte. La ricerca ha coinvolto cinque aziende sanitarie piemontesi che, coordinate dall’Asl 1, hanno reclutato e seguito dal 1998 al 2004 oltre 3000 pazienti del Sert. Tra le ragioni che hanno spinto il Ministero della Salute a promuovere lo studio, le ancora poche iniziative attuate per valutare l’impatto degli interventi sulla salute dei tossicodipendenti: e questo - rende noto il governo piemontese - nonostante gli sforzi fatti per il miglioramento delle cure erogate, e nonostante il ruolo sempre più importante nel trattamento della patologia svolto dal sistema dei servizi pubblici e il privato sociale.

Accanto a queste valutazioni inoltre, restano i dati a giustificare le ragioni dello studio. In Piemonte si calcola che siano circa 22.000 i soggetti dipendenti da eroina. L’età di chi è coinvolto abbraccia una forbice piuttosto ampia, compresa tra i 15 e i 44 anni: dall’adolescenza alla piena maturità, dunque, il problema interessa nella regione una parte rilevante della popolazione giovane ed adulta, confermando i dati nazionali. Dei 22.000 casi riscontrati inoltre, una percentuale considerevole - stimabile tra il 52 e il 60 per cento - risulta in carico ogni anno ai Servizi per le tossicodipendenze della Regione.

Viterbo: convenzione per l’inserimento lavorativo dei detenuti

 

Tuscia Web, 3 maggio 2006

 

Firmata ieri mattina la convenzione per lo svolgimento di stage aziendali da Provincia di Viterbo, ministero della Giustizia, dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, casa circondariale di Viterbo, Centro per l’impiego e cooperativa sociale "Zaffa". La convenzione, che rientra in un protocollo d’intesa siglato dagli stessi partner nel 2002, è volta alla definizione di una sinergia d’azione finalizzata all’inserimento lavorativo e sociale di detenuti. Hanno partecipato all’incontro e firmato la convenzione l’assessore alle Politiche sociali Mauro Mazzola, il dirigente del settore Francesco Stefani, il responsabile del centro per l’impiego di Viterbo Giacomina Alessandri, il coordinatore dell’ufficio politiche sociali Pierangela Turchetti, il direttore della casa circondariale di Viterbo Pierpaolo D’Andria, il direttore dell’ufficio esecuzione penale esterna del ministero della Giustizia Caterina Caldarola, il responsabile dell’area del trattamento della casa circondariale Fabio Vanni e il presidente della cooperativa sociale "Zaffa" Leandro Salotti.

"Quello firmato oggi - afferma l’assessore Mauro Mazzola - è un accordo e soprattutto un modo di lavorare insieme che ci soddisfa. È anche un segnale di come questa Provincia intenda migliorare tutti i servizi in essere. Questo rapporto tra vari enti è proficuo e continueremo a lavorare insieme. Abbiamo già fatto tanto, basti pensare al musical portato a Mammagialla che ha riscosso molto successo anche all’esterno. Tutto ciò vuole sottolineare che la Provincia di Viterbo c’è e garantisce la piena collaborazione". La convezione prevede l’inserimento di detenuti o ex detenuti presso la cooperativa sociale Zaffa, che svolgeranno tirocini formativi seguiti da tutor coordinati dall’assessorato alle Politiche sociali.

"La convenzione - spiega Luca Piras, sociologo della Provincia - è uno strumento operativo fondamentale che ci consente di mettere in rete istituzioni pubbliche e private che si occupano dell’inserimento nel sociale di soggetti svantaggiati". Con la firma di stamattina si dà il via, oltre alla convenzione, anche ad un progetto operativo. I soggetti che parteciperanno, segnalati dal ministero della Giustizia, infatti, dovranno svolgere mansioni che fanno capo ad un progetto precedentemente sottoscritto. "Il bacino d’utenza - dice il direttore del carcere di Mammagialla - è veramente limitato. Noi cerchiamo di avviare detenuti che hanno avuto un percorso trattamentale positivo. Purtroppo possiamo lavorare solo sui detenuti di media sicurezza".

Gli inserimenti lavorativi vengono finanziati dalla Provincia di Viterbo, che provvede a pagare i rimborsi spesa alla cooperativa ospitante. Durante lo svolgimento del tirocinio formativo i detenuti sono tenuti a svolgere attività previste dal progetto, rispettare le norme di sicurezza e a mantenere la necessaria riservatezza in merito ai dati acquisiti durante lo svolgimento dello stage. I tirocinanti, che intraprenderanno il percorso lavorativo presso la cooperativa sociale Zaffa, si occuperanno di agricoltura e in particolare dell’allevamento dei conigli. "Questo rapporto d’intesa - sottolinea Fabio Vanni - dà buoni frutti. Dopo il musical di quest’anno anche nella casa circondariale è stato allestito un laboratorio teatrale che presenterà il primo spettacolo l’8 maggio. Inoltre l’8 giugno si svolgerà una giornata di solidarietà dove il laboratorio teatrale si esibirà per la prima volta all’esterno per raccogliere fondi destinati all’associazione Eta Beta".

Firenze: 13 maggio 2006; concerto davanti a Sollicciano

 

Gruppo Dentro e Fuori le Mura, 3 maggio 2006

 

Sono ormai oltre sessantamila le persone detenute ogni giorno nelle carceri italiane, il doppio rispetto a soli quindici anni fa. È il risultato della ristrutturazione del mercato del lavoro e dello smantellamento del welfare; è il risultato di leggi repressive come la Bossi-Fini sull’immigrazione, continuazione della Turco-Napolitano; situazione che peggiorerà con la Fini-Giovanardi sulle droghe, basata sulla Jervolino-Vassalli-Craxi, con la Cirielli sulla recidiva, con l’ulteriore inasprimento della legislazione contro i "reati politici" con l’ennesimo potenziamento delll’art.270 e non solo, della legge Pisanu per reprimere ogni dissenso politico e sociale, di immigrati o "indigeni", dentro e fuori il carcere stesso. In altri paesi le leggi hanno nomi diversi ma producono lo stesso effetto: quello di un processo di carcerizzazione di massa.

In carcere, dove spesso attendono per mesi una sentenza definitiva, i detenuti sono costretti a vivere in condizioni intollerabili. Come a Sollicciano, costruito per 460 e popolato da 1000 detenuti, privati della loro libertà fisica e mentale, letteralmente accatastati per ventuno ore al giorno a tre a tre in celle di dieci metri quadri. Minacciati dallo spettro della negazione delle misure alternative, dei trasferimenti punitivi e dell’isolamento, di quel regime di vera e propria tortura psicofisica che è il 41bis.

Chi va in carcere oggi? Sono immigrati, tossicodipendenti, persone con problemi di salute mentale, prostitute, transessuali, giovani delle periferie delle grandi città. Persone a cui sono stati negati i diritti sociali prima e ancora di più dopo l’entrata in carcere. Oggi più che mai la "questione carcere" è un problema di tutti. Si rinchiudono decine di migliaia di persone nelle carceri per controllare le vite e i comportamenti di interi gruppi sociali, interi spezzoni di classe. È tempo di rilanciare nella società un ampio dibattito sulla funzione dell’istituzione penitenziaria al fine del suo superamento. Noi lavoriamo per l’abolizione del carcere, che è e non può che essere lo strumento violento di una sistematica e radicale selezione su base di classe, continuando comunque a sostenere ogni rivendicazione specifica che, partendo dai detenuti stessi, tenda a migliorare le condizioni di detenzione: il diritto all’assistenza sanitaria, alla difesa e all’affettività, contro l’uso sistematico degli psicofarmaci, contro gli arbitri costanti degli agenti di custodia quando non veri e propri pestaggi delle squadrette (come nel mese di novembre 2005).

Giustizia: carceri d’Italia, Messico, Burundi, Romania e Kosovo

 

Redattore Sociale, 3 maggio 2006

 

"Mondi in gabbia": un viaggio a 360° tra le carceri d’Italia, Messico, Burundi, Romania e Kosovo. Perché "dietro le sbarre il mondo non è tutto uguale: il Sud è ancora più Sud, il Nord è un po’ meno Nord. Aumenta a dismisura la popolazione carceraria ma la criminalità non accenna a diminuire. E di prigione si muore. Solo in Italia, dal 1998 al 2005, 1.191 i decessi noti. Intanto, c’è chi nell’istituzione penitenziaria trova un ottimo business". Il tema viene esplorato da Gianluca Iazzolino nel numero di maggio del mensile "Volontari per lo sviluppo", che presenta anche il nuovo modello di welfare promosso dalla Moldova: uno stato piccolo, il più povero d’Europa, che ha deciso di mettere in rete il Ministero, le amministrazioni e le oltre 400 ong locali e straniere che lavorano nel paese. Strategia "per gestire bene la transizione dal modello statalista sovietico a un privato sociale", afferma Maurizio Dematteis, autore del servizio da Chisinau. "Sanatoria mascherata, "quote da superare" è il titolo dell’articolo firmato da don Giancarlo Perego e Oliviero Forti sull’ultimo numero del mensile "Italia Caritas". "L’ingresso di lavoratori stranieri in Italia non può essere affrontato con le norme attuali - affermano -. La chiusura non premia: le politiche del lavoro e per l’integrazione non vanno separate". Invece Paolo Pezzana delinea alcuni punti cruciali per l’agenda del nuovo Governo: "Inclusione e coesione sociale non possono essere trascurate dall’agenda politica. Lotta alla povertà, Mezzogiorno, livelli essenziali dei servizi, non autosufficienza: ecco le priorità che interpellano il nuovo parlamento e governo", denuncia, ricordando che è "povera una famiglia su 5, e il Fondo politiche sociali è stato dimezzato".

Gran Bretagna: tutti i detenuti extracomunitari saranno espulsi

 

Asca, 3 maggio 2006

 

Al vaglio del governo britannico piani di espulsione di tutti i detenuti extracomunitari. "Il principio guida sarà che i colpevoli di reati, di nazionalità straniera, devono aspettarsi l’espulsione", ha detto il ministro degli Interni Charles Clarke ai comuni per placare la vicenda degli oltre 1.000 extracomunitari rilasciati per sbaglio. Clarke ha poi sottolineato che nelle carceri britanniche gli stranieri sono saliti a circa 10mila nell’ultimo anno, dai 5.587 del 1987. Malgrado le pressioni, il ministro ha rifiutato le dimissioni e si è impegnato a risolvere un problema che - ha fatto notare - risale ai precedenti governi. Dei 1.023 extracomunitari liberati per errore di valutazione, per 574 - ha detto il ministro - è in corso l’espulsione (già completata in 554 casi), per gli altri 446 lo sarà presto. Ma l’opposizione ha replicato che finora appena 32 dei 79 più gravi trasgressori siano stati individuati.

 

 

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