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Civitavecchia: detenuto di 25 anni s’impicca in cella di isolamento
Ristretti Orizzonti, 17 maggio 2006
Un detenuto nordafricano di 25 anni, di nome Heyas Habetab, si è ucciso la scorsa domenica impiccandosi in una cella di isolamento della Casa Circondariale di Civitavecchia. Il giovane si trovava nel carcere di contrada Aurelia da circa due mesi, rinchiuso nella sezione di Alta Sicurezza. A seguito violento litigio con due compagni (che sono tuttora ricoverati in ospedale) era stato isolato in una cella appositamente predisposta, ma dopo soli venti minuti l’agente in servizio l’ha trovato impiccato. La notizia della morte di Heyas Habetab non è comparsa su nessun giornale e noi l’abbiamo raccolta solo grazie alla rete del volontariato. Quando muore un detenuto importa a pochi; se questo detenuto è anche straniero non importa proprio a nessuno.
Francesco Morelli curatore del dossier "Morire di carcere" Giustizia: Sappe; subito in agenda priorità polizia penitenziaria
Comunicato stampa, 17 maggio 2006
"Auguriamo buon lavoro al Governo di Romano Prodi e al neo Ministro della Giustizia Clemente Mastella. Come Sindacato più rappresentativo della Polizia Penitenziaria riteniamo che debbano essere immediatamente posti all’ordine del giorno dell’agenda di Governo, del Ministro Guardasigilli e del Parlamento le priorità del Corpo di Polizia Penitenziaria e del sistema carcere." A scriverlo in un telegramma inviato oggi al Premier Prodi ed al Ministro della Giustizia Mastella è la Segreteria Generale del Sappe, il Sindacato più rappresentativo della Polizia Penitenziaria con oltre 11mila iscritti, che ha indicato alcune delle priorità del sistema carcere. "È necessaria una chiara e netta inversione di tendenza sulle problematiche penitenziarie. Le carceri del nostro Paese sono sovraffollate anche a causa di una miope politica della sicurezza fatta dal precedente governo che si è solo preoccupato di "sbattere" in carcere più persone possibili, senza chiedersi se il carcere era in condizione di recepirle e di avviare un percorso di recupero sociale che sia adeguato ai tempi. È quindi necessario individuare una soluzione legislativa utile al mantenimento in servizio dei circa 530 agenti di polizia penitenziaria ausiliari; l’integrazione dei fondi di bilancio per risolvere il problema determinato dall’utilizzo di risorse economiche per il pagamento delle indennità al personale addetto alla sorveglianza dei detenuti 41 bis; l’adeguamento dello stanziamento economico utile al pagamento delle missioni e l’aumento delle risorse destinate ai vari capitoli di spesa che riguardano il Corpo; l’urgente calendarizzazione della proposte di legge sul riordino delle carriere del Personale delle Forze di Polizia, già approvato dalla Camera dei Deputati nel febbraio del 2006, e sulla Delega al Governo per la riforma del Corpo (proposta On. Pecorella), che prevede anche l’istituzione della Direzione Generale della Polizia Penitenziaria; l’adeguamento degli organici del Corpo di Polizia Penitenziaria (con la revisione delle attuali piante organiche) anche alla luce della recente approvazione della legge "ex Cirielli", approvata senza considerare l’attualità del sistema penitenziario italiano. E per poter realizzare tutto questo confidiamo anche nell’apporto costruttivo e nel senso di responsabilità istituzionale dell’opposizione politica, che dall’esito delle urne esprime la metà Paese. " Giustizia: Eufemi (Udc); uscire subito da questo immobilismo
Ansa, 17 maggio 2006
"Di fronte allo stato di agitazione promosso dall’Osapp, che ha indetto per venerdì 19 una giornata di mobilitazione a Torino davanti le sedi del provveditorato regionale e del centro giustizia minorile, occorre valutare attentamente le questioni poste dai rappresentanti della polizia penitenziaria, uscendo da un pericoloso e dannoso immobilismo". È quanto sottolinea in una nota il senatore Maurizio Eufemi (Udc). "I rappresentanti sindacali - è precisato - hanno posto questioni serie che riguardano la casa di reclusione di San Michele di Alessandria e l’istituto penitenziario per minorenni Ferrante Aporti di Torino, nonché i restanti istituti piemontesi. Non si possono minimizzare né la pesante situazione né le questioni sottostanti, accertando anche eventuali responsabilità, anche in ordine a comportamenti di inaudita gravità, come la raccolta firme presso la Casa di reclusione di Alessandria diretta a celare fatti non irrilevanti. Facciamo appello - è aggiunto - al presidente Giovanni Tinebra, al presidente Rosario Priore, dirigenti dei dipartimenti ministeriali competenti, relativi agli adulti ed ai minori, perché affrontino in prima persona questa gravissima situazione che pone in sofferenza il personale della polizia penitenziaria, determinando preoccupanti riflessi per la sicurezza". Roma: i sanitari di Rebibbia; Diana Blefari è in pericolo di vita
Il Tempo, 17 maggio 2006
Diana Blefari Melazzi, condannata all’ergastolo dalla Corte d’assise di Bologna per concorso nell’omicidio del professor Marco Biagi, è in pericolo di vita.A sostenerlo sono i sanitari del carcere romano di Rebibbia, nel quale Blefari Melazzi è sottoposta al regime di "carcere duro". La presunta brigatista rossa, condannata anche a nove anni e mezzo di reclusione dalla corte d’Assise Roma per banda armata e rapina (in relazione al processo che si è occupato tra l’altro dell’omicidio del professor Massimo D’Antona), rifiuta il cibo da 25 giorni e qualsiasi contatto sia con i familiari sia con i suoi difensori. I sanitari della struttura penitenziaria romana hanno fatto pervenire alla Corte d’Assise d’appello, davanti alla quale si sta celebrando il processo di secondo grado a Roma per l’omicidio D’Antona, una lettera l’11 maggio scorso - a firma del coordinatore sanitario De Nichetti - nella quale si ritiene indispensabile il ricovero di Blefari Melazzi in una struttura sanitaria idonea in tempi che definiscono immediati. Il 4 maggio scorso la Prima Corte d’Assise d’appello di Roma, nell’ambito del processo stralcio alla Blefari Melazzi, conferì al professor Maurizio Marasco di effettuare una perizia psichiatrica per verificare le condizioni della donna, dando 40 giorni di tempo per terminare gli accertamenti. Padova: detenuti più consapevoli dei danni da alcoldipendenza
Redattore Sociale, 17 maggio 2006
Un progetto di documentazione si trasforma in uno strumento di conoscenza e prevenzione: presentati a Padova i risultati di "Alcol e documentazione, dal carcere al territorio". Monitoraggio, selezione e archiviazione degli articoli di stampa, lavoro di gruppo guidato da operatori per esaminarli e discuterne insieme, predisposizione della rassegna stampa da spedire mensilmente a una mailing list di enti e associazioni che operano nell’ambito della prevenzione. È quanto fanno alcune persone detenute della Casa di reclusione e della Casa circondariale di Padova. L’iniziativa, strettamente collegata all’attività del Centro di Documentazione Due Palazzi (che da anni ha tra le sue attività anche la predisposizione di rassegne stampa da fornire all’esterno), è coordinata dall’associazione di volontariato penitenziario "Il granello di senape" (editore della rivista "Ristretti Orizzonti") in collaborazione con l’Agenzia Alcologica di Padova, l’Acat di Padova e la cooperativa Cosep, ed è stata possibile grazie a un finanziamento della Regione Veneto. In questo primo anno, l’attività ha coinvolto una trentina di detenuti; alcuni di loro hanno anche costruito un sito in cui raccontarsi e raccontare il progetto, che presto sarà ospitato all’interno di www.alcolismi.it insieme alla rassegna stampa. "Volevamo da dentro offrire al territorio fuori un servizio di documentazione sulle tematiche. Volevamo veicolare l’idea del carcere come luogo positivo, in cui si può operare in modo consapevole per offrire al mondo esterno strumenti in ambito sociale" ha spiegato Rossella Favero dell’associazione illustrando il progetto. Ma ben oltre questo primo obiettivo, a una anno dal suo avvio, il progetto si è rivelato uno strumento importante per far conoscere ai detenuti coinvolti e non solo, i danni da alcol dipendenza prima sconosciuti a molti di loro. "Il problema dell’alcol in carcere è molto più diffuso di quanto risulta perché è più difficile da rilevare rispetto alle dipendenze da droghe" ha commentato Cristina Scarano, della cooperativa Cosep che interviene anche nelle scuole del carcere per sensibilizzare alle tematiche. "E le diverse provenienze e culture si traducono anche in questo caso in differenti approcci al problema. Per questo è stato utile mettere insieme i vari punti di vista, analizzare le normative dei diversi paesi... Ed è stato poi interessante analizzare nello specifico come è trattato dalla stampa il binomio alcol/immigrazione". I risultati? Un’informazione piuttosto negativa e omologata, tinta di pregiudizio, qualche volta spostata sul pietismo, raramente attenta all’aspetto della prevenzione. "Io vivo indirettamente il problema dell’alcol con uno dei miei familiari più cari - ha raccontato Fatih, tunisino, 29 anni -. In Tunisia non si conoscono i danni da alcol, che è commercializzato facilmente anche se per la nostra cultura costituisce un peccato". A parlare è stato anche Naia Faleth, un venezuelano di 29 anni: "È stato importante per me conoscere le statistiche sugli incidenti e le violenze provocati dall’alcol. Questo progetto ci ha insegnato molte cose". E se si parte dalla considerazione che l’alcol resta una delle problematiche principali per molti detenuti fuori dal carcere, in permesso o per fine pena, è evidente quanto una maggiore consapevolezza circa il problema diventi fondamentale strumento di prevenzione. "In tal senso si è potuto già constatare piccoli risultati nei detenuti in uscita – ha detto Rossella Favero - : alcuni di loro, oggi più consapevoli dei rischi, hanno cambiato i propri comportamenti rispetto all’alcol". Anche per questo l’auspicio è che il progetto possa continuare ad esistere.
L’alcol in carcere, un rapporto della Regione
Il Gazzettino
Alcool e carcere, argomento spinoso se si pensa che ogni detenuto ha quotidianamente diritto a mezzo litro di alcolici, consegnati insieme ai pasti. Alcolici che spesso e volentieri diventano, all’interno delle mura carcerarie, merce di scambio. Al delicato rapporto tra alcool, carcere e territorio la Regione Veneto ha dedicato e finanziato un progetto, coordinato dall’associazione di volontariato penitenziario "Il granello di senape" in collaborazione con l’Agenzia alcologica di Padova, la Cooperativa Cosep e il Ctp Parini di Camposampiero. Obiettivo del progetto, offrire da "dentro" un servizio di documentazione sulle tematiche relative all’uso dell’alcool, materiale utilizzabile "fuori" dalle mura carcerarie. I detenuti italiani e stranieri, suddivisi in gruppi di lavoro, hanno raccolto, indicizzato, archiviato numeroso materiale, tra pubblicazioni e articoli di giornale, inerente l’alcoldipendenza sia all’interno delle case di pena che nella società in generale allo scopo di creare un archivio di documentazione. "Si è venuto così a creare - hanno osservato Rossella Favero e Cristina Scarano, presentando ieri il progetto nella casa circondariale - un rapporto costruttivo e di integrazione tra carcere e territorio, anche attraverso l’elaborazione e l’invio di rassegne stampa a enti e associazioni che si occupano dell’argomento. Il nostro obiettivo - hanno sottolineato le relatrici - è veicolare un’idea di carcere come luogo positivo in cui si può operare in modo consapevole per offrire al mondo esterno strumenti di intervento in ambito sociale, non ultimo formare i detenuti fornendo loro le abilità necessarie a produrre, organizzare e strutturare il materiale raccolto, dall’alfabetizzazione informatica alla catalogazione, dall’indicizzazione all’archiviazione dei dati fino all’elaborazione di pagine web". Lo studio ha preso in esame il rapporto tra l’abitudine a bere e i diversi Paesi del mondo, valutando la differenza tra usanze, sanzioni e religioni. Leggendo gli articoli di giornale è spesso emerso un tono discriminante nei confronti degli habituè del bere, soprattutto se stranieri o detenuti. Lettere: da Sollicciano; questo è il "menù" dei detenuti…
www.informacarcere.it, 17 maggio 2006
Partendo dalla colazione questo è il menù: frutta (non sempre di buona qualità, a volte è marcia), pane duro (circa 350 gr.) o 4 panini a testa ma solo per chi non ha i denti e devono bastare per tutta la giornata, latte con acqua, caffè orzato…lascia tutta la fondata, raramente ci danno uno yogurt al posto della frutta. A pranzo ci danno un riso annacquato o in bianco o a volte con la verdura, sennò pasta…sempre bianca o al limite al pesto che sembra una minestra verde; la scorsa settimana ci hanno dato gli gnocchi che all’apparenza era una minestra di pesto. Una volta a settimana c’è una minestra di passato di verdura che sembra acqua sporca. Poi la carne di manzo che è sempre dura con un po’ di insalata o in alternativa affettato di tacchino con uovo sodo, quando ci danno il pollo con le patate arrosto allora è un po’ meglio, anche se la porzione è veramente piccola (un cucchiaio). Solo la domenica ci danno una fetta di crostata, altrimenti questo è tutto. Per cena al posto della carne c’è la mozzarella o un formaggio o ricotta ed un po’ di insalata (una volta l’abbiamo trovata anche con i vermi); la domenica la cena non viene servita, in altri carceri c’è, qui niente. L’acqua è quella del rubinetto, il vino se lo vuoi lo devi comprare in cartone da 250 cl.Se il mangiare a volte è un po’ più passabile il lavorante deve fare delle porzioni giuste perché sennò non c’è per tutti, visto che solitamente un 10% (quei pochi che hanno i soldi) si fanno da mangiare da soli con il fornellino da campeggio, solo la sera però.
W., detenuto a Sollicciano Brescia: il Garante; salute e lavoro condizioni per riportare dignità
Giornale di Brescia, 17 maggio 2006
Il garante dei detenuti, figura istituita dal Comune con la delibera del giugno scorso, è operativo a tutti gli effetti. L’ufficio in via fratelli Lombardi sarà la sede dove Mario Fappani, - la nomina è stata ratificata dal consiglio comunale il 10 gennaio -, rappresenterà e sorveglierà i diritti delle persone private della libertà personale. Il garante, una sorta di arbitro super partes, senza alcuna commistione di competenza con la magistratura, avrà la possibilità di interloquire con istituzioni, carcere e associazioni per promuovere azioni di tutela nei confronti della popolazione carceraria. Fappani ha le idee chiare sulle priorità del suo mandato. "Salute e lavoro - sostiene - sono le condizioni indispensabili per riportare dignità alle persone private della libertà". Uomini e donne che continuano a far parte della comunità, seppur costretti in una condizione di separatezza. Brescia guarda a questo mondo in linea con la tradizione liberale e non dimentica la funzione rieducativa della pena, impensabile senza azioni concrete a favore dei detenuti. Il garante non dispone di poteri specifici, ma potrà siglare protocolli d’intesa, visitare i detenuti, fare sopralluoghi negli istituti di pena, raccogliere le istanze dei famigliari o monitorare eventuali condizioni di disagio. Sempre tenendo conto della situazione di restrizione alla quale sono sottoposti i detenuti, diventa compito del garante promuovere progetti di formazione, momenti di cultura e di aggregazione sportiva. Ma l’obiettivo più difficile, ha ammesso da Fappani, è radicare nella comunità un’autentica cultura dell’accoglienza. I deludenti risultati di una convenzione del 2001 mirata a collocare nel mondo del lavoro i carcerati o gli ex detenuti non deve indurre alla resa. Il questa prospettiva le potenzialità espresse dal terzo settore bresciano sono immense e il garante si candida ad assumere il ruolo di trait d’union tra queste realtà. Il garante, attore neutrale nel mosaico composto da istituzioni e organi dell’ordinamento penitenziario, ha l’autorevolezza e gli strumenti per garantire l’effettività dei diritti in un "mondo a parte". Consapevole dei labili confini normativi di una figura che a Brescia rappresenta un’esperienza quasi pilota - solo altre quattro città in Italia hanno istituito il garante - Fappani confida anche nella predisposizione di una legge nazionale che vada a precisare poteri e strumenti di questo speciale "mediatore". Senza invasioni di campo con la magistratura, Fappani garantisce piena collaborazione alla direttrice Maria Grazia Bregoli, al sindaco e al consiglio comunale al quale dovrà riferire periodicamente. La tessitura dei rapporti è gia partita e alcune iniziative sono sul tavolo grazie alla collaborazione dell’associazione "Carcere e territorio" e degli Assessorati alla partecipazione e ai servizi sociali.
Sono stranieri la metà dei detenuti
I dati divulgati dal Comune di Brescia sulla popolazione carceraria di Canton Mombello consentono di sfatare la vulgata secondo la quale gli extracomunitari eludono l’applicazione delle pene per i reati commessi. Alla data del primo aprile 2006 gli italiani detenuti nella casa circondariale cittadina sono 214 su un totale di 463 persone. Quindi circa la metà rispetto al resto delle 44 etnie presenti dietro le sbarre. In testa i magrebini: marocchini, tunisini, algerini, quindi albanesi e rumeni, mentre raggiungono le poche unità cinesi e senegalesi. Difficile una lettura dei numeri scarni senza l’aiuto di parametri di riferimento con i quali confrontare le cifre bresciane. È di questo avviso anche Maria Grazia Bregoli, direttrice delle strutture di Canton Mombello e Verziano che non si sbilancia in assenza di tabelle relative alla situazione di altri penitenziari. Anche un raffronto con l’effettiva (compresi i clandestini) consistenza delle differenti nazionalità ospiti sul territorio sarebbe necessario per formulare una veritiera classifica di chi delinque di più. Ma l’esperienza delle direttrice consente di affermare che l’impennata della presenza extracomunitaria nei luoghi di pena avviene a partire dagli anni novanta. Se dalla mera tabella risulta azzardato evincere una maggiore predisposizione al reato dei marocchini rispetto ai colombiani, il fatto che comunità molto numerose a Brescia come la pakistana e la senegalese siano poco presenti dietro le sbarre desta parecchio stupore. E deve essere ragione di riflessione. Il "melting pot carcerario" pone subito in risalto il maggiore problema per una convivenza forzata tra etnie, nel rispetto delle regole imposte dalla direzione: la lingua. "Gli extracomunitari che entrano qui - precisa la direttrice - molto spesso non conoscono neanche una parola di italiano e comunicare le regole base diventa davvero difficile". Fortunatamente la capacità di adattamento supera ogni barriera e grazie anche all’aiuto di volontari e tramite l’organizzazione di corsi, in pochi mesi, i detenuti stranieri sono in grado di capire e dialogare tra loro e con la polizia penitenziaria. La differenti culture spingono anche l’amministrazione a trovare dei compromessi per favorire una coabitazione all’insegna della tolleranza reciproca. Venerdì per le celebrazioni dei musulmani e domenica per i cattolici è un modo per incontrare le esigenze di uomini e donne che comunque conservano una dignità e diritti anche in cella. A prescindere dai dati, Maria Grazia Bregoli avverte che le condizioni degli stranieri che varcano il portone di Canton Mombello sono davvero drammatiche. Non vuole essere una scusante figlia di inutile buonismo, ma un’ulteriore chiave di lettura per capire come e perché spesso si finisce dentro. Senza cedere a sterili allarmismi la direttrice condivide la preoccupazione sull’aumento della delinquenza in età giovanile. Ben 78 detenuti non superano i venticinque anni d’età. Se sommati ai 175 di quelli tra 26 e 35 anni, risulta che più della metà dei reclusi ha commesso un reato troppo presto. Una sorta di sconfitta dell’educazione, visto che cosa ben diversa è la natura della rieducazione affidata all’ordinamento penitenziario. "È una situazione sulla quale si dovrebbe riflettere - ammette la direttrice - perché significa che la prevenzione di competenza delle agenzie formative non funziona". Lodi: il neo direttore; in via Cagnola tornato un clima sereno
Il Cittadino, 17 maggio 2006
Nel carcere è tornato il sereno. La direttrice Carla Santandrea è stata accolta bene, dice il provveditore regionale Luigi Pagano. Segnali positivi arrivano anche dai volontari che nei mesi passati hanno avuto vita difficile per gli scontri con l’ex direttrice Caterina Ciampoli. Grazia Grena, che si occupa di genitori e carcere, è soddisfatta: "Dopo la festa di giugno realizzata con il contributo degli agenti e delle associazioni - dice - l’attività era andata scemando. Adesso invece mi sono arrivati dei segnali positivi e altrettanti ne sono arrivati dalle carceri nei quali la dottoressa Santandrea ha lavorato. Abbiamo chiesto un incontro con tutto il volontariato, vogliamo coinvolgere anche le figure educative che operano in carcere". Dopo una settimana dal suo arrivo, conferma Michela Sfondrini "i detenuti dicevano che si respirava un’aria diversa". Anche l’assessore alla pace del comune di Lodi Andrea Ferrari è soddisfatto. "L’impressione - annota - è che il clima si sia rasserenato. A breve l’amministrazione chiederà un incontro con la direzione". La Santandrea, che è stata ed è vice direttrice a San Vittore e che all’inizio della sua carriera è stata vice e direttrice del carcere di Busto, con reggenze a Como e Sondrio, è ancora in un periodo di osservazione. È stata la vice della Ciampoli a Busto Arsizio e adesso sta lavorando con intensità per prendere possesso delle problematiche. "Se verrò confermata a Lodi - annota - allora potremo affrontare tutti i temi sul tappeto". I volontari sperano che riesca a partecipare, almeno in parte, all’iniziativa sul carcere. L’assessore ai servizi sociali Silvana Cesani è entusiasta di quest’ultima iniziativa. "Ringrazio i volontari - dice -perché in un anno di lavoro ho colto da loro lo spunto per approcciarmi al tema del carcere che prima non veniva seguito, come se il carcere fosse una cosa a parte. Con la provincia stiamo affrontando il progetto lavoro". Le istituzioni, aggiunge Ferrari "possono avere un ruolo forte per rompere i luoghi comuni sul carcere . Abbiamo intenzione di collegare la biblioteca del carcere al sistema biblitotecario lodigiano, di metterci in gioco e favorire il lavoro all’esterno del carcere". D’accordo con lui anche l’assessore provinciale alla cultura Mauro Soldati. "Vogliamo fare da argine contro i luoghi comuni - spiega -. La pena è riabilitativa, bisogna creare le condizioni perché il detenuto in uscita sia nelle condizioni psicofisiche migliori, per inserirsi e non essere più un pericolo. Spesso, invece, la gente è convinta che in carcere bisogna patire tutte le sofferenze possibili immaginabili, non pensano che poi le persone devono uscire".
I volontari: vogliamo un carcere senza più tabù
Il carcere non deve più essere considerato come un luogo separato dal resto della città e i reclusi come dei mostri appestati che più soffrono meglio è. Tutti i venticinque volontari della casa circondariale di Lodi, in collaborazione con il comune e con il patrocinio della provincia, hanno organizzato una serie di iniziative che riconsiderano il tema del carcere come una sorta di linfa vitale che innerva il tessuto culturale cittadino. E lo fanno in un momento in cui il carcere, con la neonominata direttrice Carla Santandrea, è tornato a pulsare di vita nuova. Si tratta di quattro giorni, dal 24 al 28 maggio. "Questi ultimi mesi difficili per le persone che ruotano intorno al carcere - ha detto la volontaria Michela Sfondrini - sono stati vissuti anche dal resto della città, perciò abbiamo pensato di approfondire a livello pubblico i temi che noi affrontiamo in carcere. Il comune e la provincia ci hanno molto sostenuto in questo: significa che c’è molta attenzione intorno all’evento, vogliono creare un ponte tra il carcere e il mondo esterno. Per quanto mi riguarda ho curato l’appuntamento di giovedì 25 maggio, visto che mi occupo della lettura ad alta voce in via Cagnola". Alle ore 20, presso il cortile dell’archivio storico comunale di via Fissiraga 17, ci sarà una cena a buffet organizzata dalla "Cooperativa abc. La sapienza in tavola", composta da detenuti in permesso di lavoro. Seguirà la presentazione del libro di Daniela De Robert, autrice di "Sembrano proprio come noi", titolo che ha dato il nome a tutta la rassegna. L’autrice è giornalista Rai e volontaria da vent’anni presso il carcere di Rebibbia a Roma e il suo testo, spiega Sfondrini, "è l’unico libro sul carcere che è piaciuto ai nostri carcerati perché la De Robert, come osservatrice esterna, mette in evidenza la paradossalità della vita in carcere". Grazia Grena, invece, volontaria in via Cagnola, ma non solo, ha pensato alla prima serata del 24 maggio sul tema della genitorialità in carcere. Il 24 maggio, alle 18.30, presso la sala ex chiesetta San Cristoforo, in via Fanfulla 14, ci sarà un incontro con Lella Ravasi Belloccio, psicanalista, e Lia Sacerdote di "Bambinisenzasbarre" che interverrà sul tema "Donne - bambini - carcere". Sabato 27 maggio, alle 21, nel cortile dell’Archivio, si svolgerà la performance teatrale "Lasciatemi uscire almeno con le parole", con letture sceniche di Mira Andriolo e Renato Rinaldi e con voci registrate dei detenuti di San Vittore, a cura del gruppo carcere Mario Cuminetti. Seguirà il confronto tra Valerio Onida, ex presidente della Corte costituzionale, volontario nel carcere di Bollate e Lucia Castellano, direttrice dello stesso carcere. Domenica 28 maggio, alle 21, presso il teatrino dell’Informagiovani, in via Gorini 19, sarà proiettato il film "Riccardo III. Noi siamo uomini solo uomini come voi" con Bebo Storti che interverrà insieme al regista Bruno Bigoni. La serata, coordinata da Sergio Segio del gruppo Abele, metterà in evidenza anche le parti meno nobili della vita dietro le sbarre. Como: Castelli; Bassone non si amplia, sarà sempre sovraffollato
La Provincia di Como, 17 maggio 2006
Il carcere di Como è "condannato" a rimanere sovraffollato ancora per anni. È il quadro delineato dall’ex ministro della giustizia Roberto Castelli, ieri in visita a Como in amministrazione provinciale dove ha incontrato il presidente Leonardo Carioni, prima di recarsi con lo stesso Carioni in visita a Orsenigo da padre Eligio, fondatore dell’associazione "Mondo X". Va meglio invece per la giustizia comasca: dalle ispezioni disposte dal ministero, e arrivate anche al tribunale di Como, non è emersa nessuna anomalia. Gli ispettori non hanno registrato nessuna situazione di particolare rilievo. In ben altre acque naviga il Bassone. "Il carcere di Como - ha detto Castelli - ha sofferto un momento di difficoltà, quando è stata chiusa la struttura di Lecco. Ma ora quel penitenziario ha riaperto ormai da più di un anno. Non ho i dati ultimi di Como, ma è certo che la condizione è di generale sovraffollamento". Una situazione che durerà nel tempo, visto che non c’è in previsione nessun intervento di ampliamento. "Sono stati previsti - ha aggiunto Castelli - interventi di ordinaria amministrazione perché c’era qualche problema, ma non lavori di potenziamento della struttura". Carcere sovraffollato, dunque. E tale rimarrà nel tempo, perché anche quella che poteva rappresentare una valvola di sfogo, la nuova struttura che il ministero della Giustizia aveva previsto a Varese, è stata di fatto bloccata. "Abbiamo dato vita - ha spiegato Castelli - a un piano di 23 nuovi penitenziari in tutta Italia, come quello che avevamo in previsione di costruire Varese, ma abbiamo trovato una serie di difficoltà incredibili. La procedura è bloccata perché l’Anci (Associazione nazionale costruttori edili, ndr) ha presentato ricorso in tutte le sedi, anche se li ha persi tutti. Attualmente è in fieri un altro ricorso in sede europea che ha di fatto bloccato l’iter. Quindi i lavori non possono partire, con una struttura che avrebbe potuto aprire in fretta e risolvere anche i problemi di Como". Il tempo per Castelli è però scaduto. Ieri è stata l’ultima visita in città da ministro - a meno di incarichi in un futuro governo con la Lega in maggioranza - ed è stata anche l’occasione per un breve bilancio degli interventi in campo penitenziario. "Sono riuscito - ha detto - ad aumentare di circa 5mila posti la ricettività totale delle carceri italiani durante questa legislatura. Uno sforzo che però non è sufficiente per far fronte all’aumento continuo dei detenuti. che si aggira attorno a circa 2mila all’anno. Quindi adesso la situazione è veramente difficile. Noi l’abbiano gestita, ora sembra che il nuovo governo voglia risolvere il problema con un’amnistia, alla quale sono fortemente contrario". Di diverso tenore le dichiarazioni sulla macchina della giustizia comasca. Le ispezioni "straordinarie" disposte dal ministero per il caso Barindelli (la donna assassinata a Bellagio nell’aprile 2002) e quelle "ordinarie" per verificare l’efficienza degli uffici giudiziari hanno infatti delineato un quadro positivo. "Da Como - ha concluso Castelli - non abbiamo avuto riscontri di situazioni anomale o particolarmente negative". Emilia Romagna: Masella (Prc); interrogazione su detenuti pestati
Apcom, 17 maggio 2006
Il caso, riportato da fonti di stampa, di quattro detenuti, attualmente collaboratori di giustizia, che dopo aver riferito di essere stati malmenati da alcuni agenti di polizia penitenziaria hanno sporto denuncia, è al centro di un’interrogazione presentata da Leonardo Masella (Prc). Nei confronti dei detenuti in questione, precisa l’esponente di rifondazione, sarebbero continuati pestaggi, vessazioni e torture psicologiche in vari carceri fra cui quello di Ferrara. Tali fatti sono di una gravità inaudita, afferma il consigliere, rilevando che uno dei quattro detenuti avrebbe riferito di essere stato legato al letto e pestato e successivamente di avere ricevuto assicurazione da parte del comandante di poter uscire dal carcere se non avesse denunciato l’accaduto. Masella, quindi, vuole sapere dalla Giunta se era a conoscenza dei fatti da lui denunciati e in particolare dei pestaggi avvenuti, come pare, nel carcere di Ferrara. Il consigliere, inoltre, sollecita la Giunta ad intervenire per aumentare controlli e collaborazioni con gli istituti di pena presenti in Emilia-Romagna.
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