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Amnistia: lettera aperta al Presidente della Camera Bertinotti Patrizio Gonnella, presidente di Antigone Franco Corleone, garante dei detenuti del Comune di Firenze
Signor Presidente, proprio a ridosso delle dichiarazioni del ministro Mastella in Parlamento sulle linee d’azione del Governo nel delicato settore della giustizia siamo spinti a scriverLe perché sentiamo una forte preoccupazione. Quello che il ministro non ha detto è che la nostra è una giustizia di classe. La clemenza oggi è la risposta in via di urgenza a un sistema che sta implodendo nella sua iniquità e violenza. Siamo di fronte all’ennesimo paradosso per quanto riguarda il provvedimento di amnistia e indulto. Pare che non siano sufficienti il Suo impegno a calendarizzare il provvedimento, la determinazione del ministro, le adesioni autorevoli agli appelli della società civile. In galera l’estate è torrida. I 20 mila detenuti in surplus rispetto alla capienza regolamentare fanno vivere tutti in condizioni insopportabili. Agosto è il mese più duro in carcere. Le chiediamo che il prossimo agosto la Sua Camera si occupi di giustizia, quella dei poveri, degli esclusi, degli emarginati. Sarebbe un segnale forte, autorevole, di qualità. Pensiamo che una sessione estiva di lavoro sul carcere possa far bene a tutti, dentro e fuori le aule parlamentari e le carceri. L’amnistia e l’indulto sono necessari per poi costruire un nuovo sistema penale e penitenziario. La metà dei detenuti è il prodotto di due leggi, quella sulle droghe e quella sull’immigrazione. In attesa della loro indifferibile abrogazione le norme criminogene dovranno essere previste nell’amnistia, in particolare i reati previsti dall’articolo 73, 5° comma, del DPR 309/90 e la violazione delle norme sull’espulsione da parte degli immigrati senza permesso. Non osiamo pensare alle conseguenze incontrollabili nelle carceri dell’ennesimo fallimento della proposta di amnistia e indulto. La delusione sarebbe più che giustificata. Le obiezioni della destra possono essere superate sperimentando un terreno di dialogo che veda nell’amnistia del ‘90 la base di partenza. Le obiezioni di Di Pietro e di pezzi dei Ds possono essere superate non disperdendo il lavoro di riforma del codice penale fatto da Grosso due legislature fa. La commissione Pisapia lavori sulla seconda parte del codice penale, quella dei reati e delle pene, e depositi subito al ministro e al Parlamento la prima parte, in modo che si dia un segnale di attenzione a chi pensa che la clemenza debba essere preceduta da riforme strutturali. Nel frattempo nelle galere si muore di caldo, di malattia, di disperazione. Per questi motivi Le proponiamo di mettere in cantiere una sessione estiva speciale della Camera sui problemi del carcere che in ogni caso rappresenterebbe un segno di attenzione e di partecipazione. Vi sono alcuni provvedimenti che possono apparire minori, ma sono di grande valore simbolico, di impatto pratico e di affermazione dei diritti. Ci riferiamo all’istituzione del Garante (o difensore) dei diritti dei detenuti, alla previsione dell’affettività in carcere, al diritto di voto dei detenuti, alla giurisdizionalizzazione dei reclami dei detenuti, all’ordinamento penitenziario minorile, al diritto di visita degli istituti penitenziari da parte dei sindaci, alla previsione del reato di tortura. Riteniamo che su questo pacchetto si potrebbe anche verificare un accordo vasto e non solo di uno schieramento. Signor Presidente, Lei aveva proposto una razionalizzazione dei lavori dell’aula, noi suggeriamo che per questo anno, ad inizio di legislatura, si possa prevedere una pausa dei lavori parlamentari assai contenuta e che proprio in agosto, il mese più terribile in carcere per assenza di attività, il Parlamento risponda alle attese che rischiano di trasformarsi ancora una volta in tragiche illusioni. Lavorare ad agosto per i carcerati sarebbe un gesto di responsabilità, consapevolezza e dialogo con gli ultimi. Amnistia: appello per il ripristino della legalità nelle carceri
Vita, 8 luglio 2006
Primi firmatari: don Antonio Mazzi, Marco Pannella, Francesco Cossiga, Comunità di Sant’Egidio, Giuliano Vassalli, don Andrea Gallo ed Emanuele Macaluso
Noi sottoscritti, appartenenti a diversi orientamenti culturali, politici ed etici; laici, credenti e non credenti, siamo però uniti nel ritenere necessaria, urgente e non più procrastinabile la calendarizzazione parlamentare di un provvedimento di amnistia, per interrompere la flagranza di reati contro la costituzione e il diritto internazionale di cui milioni di cittadini italiani sono vittime a causa della crisi strutturale della giustizia e del sistema penitenziario. Oggi come non mai, di fronte alla insostenibilità delle condizioni di detenzione e ai ritardi della giustizia, un gesto di clemenza equivarrebbe ad un’azione di giustizia e di ragionevolezza, rendendo possibile al legislatore l’attuazione di riforme di ampio respiro, che certo risentirebbero negativamente del permanere dell’attuale situazione di grave emergenza. Facciamo dunque nostri gli obiettivi e le proposte del grande satyagraha per la legalità, perché riteniamo che soltanto attraverso la concessione di un’amnistia ampia e generalizzata, che riduca ad almeno 5 milioni i 10 milioni di processi pendenti, si possa ripristinare quel minimo di legalità costituzionale senza la quale è del tutto velleitario e inconsistente qualsiasi tentativo di riforma strutturale. L’Italia è il quinto Stato per il numero di ricorsi dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo ed è il primo in termini di condanne, la quasi totalità per violazione del diritto fondamentale, costituzionalmente garantito, ad una ragionevole durata del processo. Il 30 novembre scorso il Consiglio d’Europa ha denunciato che "i ritardi della giustizia in Italia sono causa di numerose violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sin dal 1980", ritardi che "costituiscono un pericolo effettivo per il rispetto dello stato di diritto in Italia". Sono 10 milioni i processi in attesa di giudizio la cui durata media (8 anni per i processi civili, 5 per quelli penali) aumenta di anno in anno. Secondo le stime del rapporto del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Alvaro Gil-Robles, il 30% della popolazione italiana è coinvolta in un procedimento giudiziario. Dal 2000 al 2005 più di 1 milione di processi sono stati annullati per prescrizione a causa della loro eccessiva durata. Una vera e propria amnistia strisciante, destinata ad ampliarsi grazie all’approvazione della legge ex Cirielli. Ma se molti sono i reati che vengono prescritti, assai di più sono quelli neppure perseguiti: nel 2005 i delitti denunciati sono stati 2.855.372, tra cui circa un milione e mezzo di furti, la quasi totalità dei quali resta impunita per essere rimasti ignoti gli autori. Da questi dati emerge che il sistema attuale di contrasto alla criminalità nel nostro paese, bene che vada, riguarda oggi solo il 10 o 20 per cento dei reati. La crisi della giustizia delineata da questi numeri rappresenta la più grave questione sociale del nostro Paese, perché colpisce direttamente decine di milioni di persone vittime della lentezza dei processi e di reati che restano impuniti, e perché mina alle fondamenta il principio stesso di legalità e certezza del diritto. In questo contesto, il carcere diviene sempre più uno strumento di perpetuazione dell’ingiustizia, specchio della condizione di emarginazione di interi ceti sociali, piuttosto che della certezza del diritto nel suo aspetto punitivo. Vi vengono reclusi soprattutto gli individui meno in grado di utilizzare la paralisi del sistema giudiziario a proprio vantaggio, attraverso ad esempio l’istituto della prescrizione, o gli autori di reati legati a grandi fenomeni sociali che lo Stato aggrava con leggi inadeguate a risolverli. Nelle carceri italiane sono reclusi 60 mila detenuti, contro una capienza regolamentare di 43 mila. In queste condizioni, diventano impossibili le attività tese al recupero del detenuto e viene meno anche il dettato costituzionale secondo il quale "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Non a caso, il tasso di recidiva per gli imputati che scontano la pena in carcere è molte volte più alto di quello di chi usufruisce di pene alternative. In queste condizioni il carcere produce crimine invece che colpirlo. È ora di cominciare a dare risposta alla straordinarietà di questa crisi sociale e istituzionale del nostro paese con un provvedimento straordinario di clemenza e di buon governo, già invocato con forza dallo stesso Pontefice Giovanni Paolo II e recentemente ribadito dal Cardinale Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Occorre varare la più straordinaria, forte, ampia, decisa e rapida delle amnistie che la Repubblica italiana abbia avuto dalla sua nascita per poter immediatamente ridurre di almeno un terzo il carico processuale della Amministrazione della Giustizia perché essa possa, liberata da processi meno gravi, proficuamente impegnarsi a concludere quelli più gravi. È necessario un indulto che possa sgravare di un terzo il carico umano che soffre in tutte le sue componenti - i detenuti, il personale amministrativo e di custodia - la condizione disastrosa delle prigioni. Nessuna giustizia e nessuna certezza della pena possono essere assicurate se uno Stato per primo non rispetta la propria legalità ed è impossibilitato a garantire la certezza del diritto. Giustizia: un anno fa nel carcere di Brescia di Riccardo Arena (Avvocato)
www.radiocarcere.com, 8 luglio 2006
Ore 8 del mattino entro nel carcere di Brescia. È fatto di due raggi. Sono fatiscenti, con le mura scrostate. Prima di vedere le celle, chiedo di vistare l’infermeria. L’infermeria è al piano terra. Lì incontro un paio di medici, domando: "Tra i detenuti quanti sono tossicodipendenti?"; la questione crea disagio: "Beh su 430 detenuti, 180 sono tossicodipendenti" - "E tra questi quanti vengono curati con il metadone?" - "Eh! Dunque vediamo su 180 tossicodipendenti ne abbiamo in cura con il metadone solo 13". Insisto: "E gli altri come li curate?" risposta: "Gli facciamo il trattamento di 4 giorni con i sedativi". Mentre saluto chiedo: "Atti di autolesionismo ce ne sono qui a Brescia?" il medico si avvicina e mi sussurra "Tanti!". Lascio l’infermeria e inizio la mia visita nelle celle. Percorro il grande corridoio del raggio nord: c’è silenzio, le celle sono chiuse e nessuno si vede, se non un topo che scappa via. In questo raggio ci dovrebbero essere circa 240 persone detenute eppure non vola una mosca e sembra che non ci sia nessuno. Entro nella prima cella, la numero 7. Davanti a me solo letti a castello accatastati alle pareti e corpi ammucchiati uno su l’altro. C’è cattivo odore e lo spazio per muoversi è minimo. Dentro trovo 5 persone detenute. Dormono, cosa strana perché sono le 9 e mezza di mattina. Alcuni di loro lentamente si alzano per stringermi la mano ma i loro occhi sono spenti, i loro movimenti lenti, come se fossero sedati. La mia attenzione si sofferma sul bagno, se così si può chiamare. Piccolissimo angolo con un cesso, un lavandino e un fornello da campo per cucinare. Domando a quelle persone detenute come passano la giornata, risposta: "Rimaniamo qui, chiusi per 22 ore al giorno." Esco dalla cella n. 7 e visito tutte le celle di tutto il carcere, anche quelle del raggio sud. La scena della cella n. 7 si ripete con disarmante precisione per tutte le altre celle. Trovo anche celle un po’ più grandi ma lì il degrado è forse ancora peggiore. Scopro infatti celle di 13 metri quadri ma con dentro 12 persone. I letti a castello qui sono a tre piani e la persona che dorme al terzo piano la riconosci perché ha un livido sulla fronte, tanto è poco lo spazio che lo divide dal soffitto." È passato un anno e non dimentico. È passato un anno e nulla è stato fatto. È passato un anno e mi chiedo oggi cosa sarà diventato quel carcere?
Riccardo Arena Amnistia: sostegno allo sciopero della fame di Marco Pannella
www.radiocarcere.com, 8 luglio 2006
Marco Pannella per 23 giorni è stato in sciopero della fame per chiedere la calendarizzazione della discussione su amnistia e indulto. Radio Carcere ha rilanciato la lotta non violenta intrapresa da Marco Pannella, chiedendo un’adesione nelle carceri all’iniziativa pacifica. Dalle carceri italiane hanno partecipato allo sciopero della fame migliaia di detenuti. Dopo 23 giorni di lotta non violenta, il Presidente della Camera ha disposto per il 24 luglio la calendarizzazione della discussione su amnistia e indulto. Grazie al Presidente Bertinotti e grazie alle migliaia di detenuti che da celle sovraffollate e degradate, dalla povertà e dall’abbandono, hanno intrapreso una lotta pacifica per la legalità.
Radio Carcere
Nicola, Gaetano e ben 274 detenuti del carcere di Foggia "Caro amico di Radio carcere, anche se con ritardo aderiamo allo sciopero della fame promosso da Marco Pannella per chiedere a questo parlamento una discussione seria su un atto di clemenza. In accordo con la direzione del carcere, abbiamo promosso anche noi detenuti di Foggia uno sciopero della fame e il vitto che non consumiamo lo devolveremo alla Caritas. Vi facciamo presente che la situazione nel carcere di Foggia è critica. Gli educatori sono così pochi che non riescono a fare il loro lavoro, così importante per attivare la magistratura di sorveglianza. Il diritto alla salute non ci viene garantito, non per colpa dei medici ma dei pochi strumenti che hanno a disposizione. Per pudore e solo per pudore, non vi diciamo come siamo costretti a vivere nelle nostre celle."
Gilberto e i suoi 270 compagni detenuti del carcere di Tolmezzo "Carissimo Riccardo, siamo i detenuti della sezione di massima sicurezza del carcere di Tolmezzo e ti scriviamo per dirti che aderiamo alla lotta non violenta finalizzata alla calendarizzazione del disegno di legge di amnistia e di indulto. Manifesteremo pacificamente a sostegno della legalità. Siamo Tutti con Voi"
Paolo e 86 detenuti della sezione di alta sicurezza del carcere di Ancona "Carissima radio carcere siamo i detenuti delle due sezioni di A.S. del carcere di Ancona. Ti comunichiamo la nostra adesione al satyagra promossa da Marco Pannella. Noi da qui facciamo questo per chiedere al parlamento di calendarizzare al più presto l’amnistia e l’indulto. Ti facciamo presente che anche noi della sezione ai A.S. del carcere di Ancona viviamo in grandi difficoltà. Pensa che in una celletta fatta per una sola persona siamo in due detenuti e molto spesso anche in tre. In questi casi, non essendoci lo spazio per la terza branda, mettono un materasso per terra. Temiamo che ci aspetti un’estate calda e amara. A voi un grazie e un saluto di stima"
72 detenuti della 3 sezione del carcere di Lecce "Carissimo Arena, siamo i detenuti del reparto R1 della 3 sezione del carcere di Lecce. E vi diciamo che aderiamo alla lotta pacifica. Così noi detenuti del carcere di Lecce rifiuteremo il vitto affinchè il parlamento metta in calendario la discussione sull’amnistia. Attraverso radio carcere vorremo far sapere ai cittadini liberi che su 1000 detenuti che escono solo 10 ricommettono un altro reato, e i giornali parlano solo di loro. Mentre non parlano degli altri 990 che una volta usciti di galera cercano e ci riescono di rifarsi una vita. Questa cattiva informazione fa male a noi detenuti e ai cittadini liberi. Siamo certi che la voce libera di radio carcere saprà raccogliere anche queste nostre parole."
Bruno e altri 50 detenuti del II reparto sezione b del carcere Opera di Milano "Mio caro e vecchio amico Riccardo, anche noi nel carcere di Opera siamo solidali con la lotta non violenta. Noi rinchiusi in celle sovraffollate e ammucchiati uno su l’altro facciamo lo sciopero della fame per l’amnistia e la legalità. Noi che dividiamo la nostra cella con persone malate e non curate. Noi che viviamo con gente anziana o addirittura cieca e che ciò nonostante sono in carcere. Noi che non riceviamo giustizia dalla magistratura di sorveglianza e che arriviamo da processi il cui esito è l’incertezza aderiamo alla lotta per il ripristino della legalità dei tribunali e nelle carceri"
30 detenuti dal carcere di Civitavecchia, 3 sezione, settore B "Vi facciamo presente che dal 14 giugno abbiamo iniziato uno sciopero della fame ad oltranza, per unirci ai compagni detenuti nelle carceri Italiane, dopo l’iniziativa promossa da Marco Pannella. Per quanto riguarda noi detenuti di Civitavecchia. Beh possiamo solo dire che siamo abbandonati da tutti e Radio Carcere lo sa bene. Inoltre viviamo tra notevoli problemi strutturali. Manca l’acqua, le mura del carcere sono piene di muffa, manca il personale e così via… che il Parlamento si sbrighi! Nell’attesa di leggere su Radio carcere la nostra voce Vi abbracciamo e vi diciamo grazie."
Rosaria, Fabiola, Anna Maria e altra 35 donne detenute dal carcere Don Bosco di Pisa "caro Riccardo anche noi donne detenute nel carcere Don Bosco di Pisa aderiamo allo sciopero della fame per la calendarizzazione dell’amnistia e dell’indulto. Siamo 35 donne che sosteniamo la legalità nei tribunali, nelle carceri e anche nel Senato. Siamo 35 e avremo voluto essere di più ma molte di noi sono malate e non potevamo chiedergli un sacrificio così importante. Ti informiamo pure che viviamo nel degrado, restando sempre chiuse in celle sovraffollate. Manca il rispetto minimo di quelle regole per mantenere l’igiene del corpo, così importante quando si è detenute. Anche perché in carcere, ed anche a Pisa, ammalarsi diventa un problema. Ti mandiamo un grande abbraccio"
Massimo e i suoi 15 compagni di detenzione dalla cella 2 del carcere San Cataldo in provincia di Catania "Caro Riccardo siamo 16 detenuti che occupano la stessa cella e precisamente la cella n. 2 del carcere di San Cataldo. Ti dico subito che aderiamo alla lotta non violenta per l’amnistia. La nostra situazione è assai difficile a causa del sovraffollamento in cui viviamo. Anche se questo è un piccolo carcere basta poco per perderci la dignità. Basta essere in 16 dentro una cella. Tuttavia lottiamo pacificamente per la legalità e per l’amnistia".
Marco dalla cella di isolamento del carcere di Viterbo "Caro Riccardo, ti scrivo da una cella di isolamento del carcere di Viterbo. La mia cella è vuota non ha nulla se non una radiolina. Dovrò stare qui per 6 mesi e spero di farcela. Grazie alla radiolina che ho ti ho ascoltato e anche se sono solo ti comunico la mia partecipazione alla lotta non violenta per l’amnistia. Non posso fare altro dalla mia cella di isolamento. Sono già 3 mesi che vivo in questa cella senza mai vedere nessuno. Vi assicuro che non è facile. Ciò nonostante io sono con Voi e dal mio isolamento digiuno per combattere per un mondo migliore. Ai miei compagni nelle carceri vorrei dire che anche io ho subito umiliazioni, sono stato picchiato, lasciato nudo in cella. Ma mi sono rialzato, mi sono ripreso la dignità che cercavano di togliermi. Voi non consentite mai che queste sbarre imprigionino i nostri sogni e ci levino la dignità. Per questo digiuno e digiunerò."
Giovanna dal carcere di Latina "Caro Arena, sono detenuta nella sezione di A.S. del carcere di Latina. Devo scontare un reato che risale al 1990. Pensa che ero stata condannata a solo due anni ma per un errore risultavano 3 anni. Ho dovuto faticare non poco per far correggere l’errore… ti rendi conto? Ora uscirò a settembre del 2006. Ti informo che anche noi siamo in sciopero della fame per l’amnistia"
Le detenute della I e II sezione del carcere di Monza "Caro Riccardo siamo le detenute della I e II sezione del carcere di Monza e ti informiamo che abbiamo iniziato lo sciopero della fame. Alla politica italiana vorremo dire che, viste le condizioni in cui versano le carceri, l’atto di clemenza è atto di giustizia. Per quanto riguarda la nostra vita nel carcere di Monza, devi sapere che le nostre celle sono buie a causa delle bocche di lupo che impediscono alla luce di entrare, e come se non bastasse l’ora d’aria la facciamo in un cortile che è a tutti gli effetti una gabbia. Alcune celle della sezione femminile di Monza sono così sovraffollate che molte detenute sono costrette a dormire con il materasso per terra. Inoltre stiamo sempre chiuse in cella e per noi non ci sono attività. Queste solo alcune fotografie di un carcere fuori legge. Tuttavia aderiamo alla lotta non violenta."
Pino e i suoi 79 compagni detenuti nel carcere di Belluno "cara Radio carcere noi detenuti del carcere di Belluno aderiamo allo sciopero della fame per l’amnistia. Ti informiamo che faremo anche al battitura delle sbarre perché ci sentano anche da qui. Stiamo anche discutendo altre forme di lotta pacifica e ti faremo sapere."
50 persone detenute nel carcere Pagliarelli di Palermo "Caro Riccardo siamo 50 detenuti del reparto Ionio del carcere Pagliarelli di Palermo. Noi aderiamo allo sciopero della fame con Marco Pannella e per l’amnistia. Viviamo in piccole celle, cubicoli, ammassati uno su l’altro. Sempre chiusi, senza poter far nulla. Ora la nostra situazione, già difficile, si fa drammatica con il caldo estivo. Le nostre celle sovraffollate diventano forni, dove manca l’aria. Con poca acqua siamo al limite della sopportazione. Ciò nonostante ci impegniamo in questa nuova stagione di lotta pacifica. Non è facile questa scelta ma ne siamo orgogliosi. Ora qui dal Pagliarelli siamo 50 ma vedrete che nei prossimi giorni altri si uniranno a noi. Grazie!"
Lella e 16 donne detenute nel carcere di Messina "Caro Riccardo siamo solo 16 donne detenute nel carcere di Messina e ti scriviamo per dirti che aderiamo alla lotta non violenta per l’amnistia e l’indulto. Siamo solo 16 donne, che però vivono in un degrado disumano. Le nostre celle sono sporche e degradate. La nostra pena è stare 23 ore chiuse in queste celle. Qui per noi tutto è diventato indegno. Dal mangiare del carcere, che è immangiabile, al diritto alla salute, che non c’è, ai costi proibitivi del sopravvitto, fino al momento del colloquio con i familiari che si trasforma sempre in un incubo per come ce lo fanno fare. Non chiediamo la libertà ma dignità, dignità."
Leonardo,Giovanni, Ginetto, Diego, Giuseppe e Pietro dal carcere Ucciardone di Palermo "caro amico di Radio carcere siamo dei detenuti rinchiusi nella 7 sezione del carcere l’Ucciardone di Palermo ed anche noi aderiamo allo sciopero della fame per l’amnistia. Ti facciamo presente che l’Ucciardone è un carcere antico e rovinato. Per noi non c’è nulla se non una cella stracolma di gente disperata. È un girone infernale. Anche essere curati è un lusso. I medici del carcere non hanno medicine da darci e se ti senti male di notte, prima muori e poi arriva l’infermiere..questo e altro avviene qui all’Ucciardone."
Roberto e i suoi compagni di detenzione dal carcere Rebibbia di Roma "caro Riccardo anche qui nel carcere di Rebibbia la situazione è al limite. Viviamo in 6 dentro una cella e ogni giorno doppiamo inventarci un modo per resistere. Inoltre anche l’assistenza sanitaria qui è al collasso. Io stesso ho una grave infezione alla gamba che non riesco a farmi guarire. Mi danno gli antibiotici che ormai non mi fanno più effetto. Ma qui nel carcere di Rebibbia c’è gente che sta molto peggio di me. Anche noi aderiamo alla lotta pacifica per l’amnistia. Un abbraccio a tutti voi da 6 detenuti in una cella di Rebibbia". Roma: ordine del giorno su carceri del consiglio regionale
Roma One, 8 luglio 2006
Il Consiglio regionale del Lazio, presieduto da Massimo Pineschi, riunito ieri alla Pisana in seduta straordinaria dedicata alla situazione carceraria, ha approvato a maggioranza, una risoluzione, di cui è prima firmataria Luisa Laurelli (Ds) e sottoscritta da Donato Robilotta (socialista riformista), Giuseppe Mariani (Ambiente e Lavoro), Giuseppe Parroncini (Ds), Maria Antonietta Grosso (Pdci), Enrico Fontana (Verdi), Anna Maria Massimi (Ds), Ivano Peduzzi (Prc), Mario Perilli (Ds), Umberto Ponzo (Ds), Enzo Foschi (Ds), Paola Brianti (DL), Mario Di Carlo (DL), Wanda Ciaraldi (Udeur), Alessio D’Amato (Ambiente e Lavoro), Antonietta Brancati (gruppo Misto), Giovanni Carapella (Ds), Anna Evelina Pizzo (Prc), Carlo Lucherini (Ds), Giuseppe Celli (Sdi). La risoluzione impegna il presidente della Giunta e gli assessori competenti a:
La risoluzione dà mandato altresì "alla commissione Sicurezza, Integrazione sociale e lotta alla criminalità, al termine delle visite nelle carceri presenti nel territorio del Lazio, di presentare al Consiglio l’esito dell’indagine effettuata al fine della garanzia dei diritti fondamentali e della salute per le persone detenute". Nella sua relazione Luisa Laurelli ha auspicato che venga approvata in tempi brevissimi una legge quadro sui diritti dei detenuti "tenendo conto della necessità di migliorare i servizi sanitari, degli interventi a favore dell’inserimento al lavoro e alla formazione professionale dei detenuti, argomenti che - ha precisato Laurelli - affronteremo il prossimo 20 luglio con il sottosegretario Luigi Manconi nell’ambito di una discussione più ampia, sulla giusta applicazione della ‘riforma Bindì del 1999". Riguardo il Garante dei detenuti, figura di riferimento importante per la tutela dei diritti dei reclusi nelle carceri del Lazio, Laurelli si è augurata che "continui l’ottimo lavoro svolto e intensivi l’azione per incrementare i progetti di inserimento sociale e di formazione per tutti coloro che sono ristretti in carcere". Un analogo testo presentato dalla minoranza, primi firmatari Antonio Cicchetti, capogruppo di An, e Fabrizio Cirilli (An) è stata respinto. Il Garante dei detenuti Angiolo Marroni ha illustrato le iniziative assunte dal suo ufficio, alcune delle quali direttamente nelle carceri, consultabili sul sito internet www.garantedirittidetenutilazio.it dove compaiono anche i protocolli d’intesa sottoscritti con diverse Istituzioni per fornire servizi ai detenuti. Al dibattito in aula sono intervenuti il Garante dei detenuti Angiolo Marroni, l’assessore agli Affari istituzionali Regino Brachetti (Udeur), l’assessore alla Sanità Augusto Battaglia (Ds), quello alla Scuola e formazione Silvia Costa (DL) e quello alle Politiche sociali Alessandra Mandarelli (Sdi), l’assessore al Bilancio Luigi Nieri (Prc), ed i consiglieri Giuseppe Mariani (Ambiente e Lavoro), Donato Robilotta (socialista riformista), Maria Antonietta Grosso (Pdci), Raffaele D’Ambrosio (FI), Wanda Ciaraldi (Udeur), Anna Evelina Pizzo (Prc), Antonietta Brancati (Gruppo Misto), Fabrizio Cirilli (An), Paola Brianti (DL), Antonio Cicchetti (An). Il Consiglio ha approvato, all’unanimità, anche un ordine del giorno presentato da maggioranza e opposizione, primi firmatari Donato Robilotta, socialista riformista, e Luisa Laurelli (Ds), con il quale "si impegna il Presidente della regione e l’assessore competente ad intraprendere ogni possibile iniziativa presso il Parlamento, i Governo e l’Amministrazione penitenziaria al fine di ridurre i termini della carcerazione preventiva e di velocizzare per quanto possibile, la durata dei processi, nel rispetto dei principi costituzionali della presunzione d’innocenza e della libertà e della dignità della persona". Lazio: Parroncini (Ds); servono misure urgenti per le carceri
Senza Filtro, 8 luglio 2006
La situazione nelle carceri laziali presenta preoccupanti criticità, tali da minacciare i diritti fondamentali dei cittadini detenuti. Rimane aperta la questione del sovraffollamento, con circa 1200 detenuti in più rispetto alla capienza legale degli istituti penitenziari della Regione, i problemi legati alla fatiscenza di molte strutture e alle condizioni di precarietà dal punto di vista dell’assistenza sanitaria e sociale. Occorrono delle misure urgenti di alleggerimento della situazione, a partire dall’amnistia, che sempre più si configura come provvedimento necessario per tamponare l’emergenza. Occorrono poi interventi più strutturali, che non abbiano solo effetto di contingenza ed eccezionalità, ma che agiscano sul lungo periodo, realizzando un livello più avanzato di salvaguardia e di garanzia per la popolazione ristretta. Primo fra tutti, il potenziamento dei servizi sanitari, con il recepimento e l’attuazione degli indirizzi previsti dalla legge Bindi. Affinché poi gli obiettivi di rieducazione e recupero non rimangano lettera morta, è necessario investire ed accelerare su 3 assi strategici: formazione, promozione e diffusione del lavoro, potenziamento ed implementazione dei servizi di rieducazione ed assistenza sociale. Una strategia complessiva di reinserimento sociale che affranchi il carcere da una funzione puramente punitiva, per attivare le necessarie opportunità di affermazione e sviluppo della personalità. A questo scopo la Regione eserciterà le proprie competenze per promuovere la diffusione dei corsi di formazione professionale, la definizione di specifici protocolli d’intesa con le realtà produttive e le associazioni di categoria per incentivare gli inserimenti lavorativi, il sostegno alla commercializzazione dei prodotti realizzati all’interno delle carceri. Senza dimenticare l’urgenza rappresentata dalle carenze di organico del personale penitenziario e le condizioni in cui si trova ad operare. Un altro fronte prioritario e strategico, che merita la massima attenzione e prontezza di intervento. Per noi il tema delle condizioni di vita dei detenuti all’interno della carceri costituisce un nodo di grande rilevanza e significato: la regione Lazio metterà in campo gli strumenti e le risorse necessarie per realizzare un avanzamento sostanziale sul piano delle garanzie, dei diritti e delle opportunità di reinserimento.
Giuseppe Parroncini capogruppo Ds alla Pisana Gorgona: i detenuti costruiscono 300 nidi artificiali
Greenport, 8 luglio 2006
Trecento nidi artificiali per sognare la libertà, ma anche per contribuire a far crescere la biodiversità toscana. È il progetto "Birds sulle ali della libertà", promosso dalla Provincia di Livorno insieme alle Oasi Wwf della provincia livornese, l’amministrazione penitenziaria e la colonia penale dell’isola di Gorgona, la più vicina alla città di Livorno delle isole dell’arcipelago toscano, dove i detenuti hanno materialmente realizzato i nidi che saranno poi distribuiti nelle aree protette e nei parchi della provincia livornese. "Lo scopo di questa iniziativa - dice l’assessore provinciale ai parchi e alle aree protette, Anna Maria Marrocco - è duplice: ambientale e sociale. Da una parte cerchiamo di favorire l’insediamento e la riproduzione di numerose specie di uccelli che prediligono cavità naturali e artificiali, tra cui cinciallegra, cinciarella, torcicollo, upupa e pigliamosche, ma anche rondini e balestrucci. Dall’altra si vuole favorire il reinserimento di detenuti". Tra l’altro, i nidi artificiali sono stati realizzati interamente con materiali di recupero, nella falegnameria del carcere di Gorgona. "Abbiamo subito condiviso il progetto - ha spiegato il direttore del carcere, Salvatore Iodice - perché, anche se si tratta di un’attività completamente volontaria da parte dei detenuti, ne accresce gli interessi e la sensibilità per un recupero completo". Cremona: un appello della Caritas; aiutate i detenuti
Cremona web, 8 luglio 2006
Nuovo appello della Caritas Cremonese in favore dei detenuti del carcere di Cremona più poveri e privi di mezzi. Servirebbero urgentemente scarpe da ginnastica e salviettoni. Le scarpe da ginnastica devono essere nuove e i numeri richiesti vanno dal 39 al 45. Le salviette possono essere anche usate, purché in ottimo stato e pulite. Il Progetto fratello lupo non va in ferie e continuerà il suo lavoro a sostegno dei detenuti anche nei mesi estivi, la Caritas Cremonese desidera però augurare buone vacanze a tutti coloro che hanno sostenuto a vario titolo gli interventi in favore della popolazione reclusa. Il materiale può essere consegnato direttamente presso gli uffici Caritas di Via Stenico 2/b a Cremona.
Per informazioni: 0372.35063 Ancona: morto per le ustioni in carcere, aperta un'inchiesta
Il Messaggero, 8 luglio 2006
La procura apre un fascicolo sulla morte di Andrea Monina, il 32enne autore della tentata rapina avvenuta il 12 maggio scorso ai danni della tabaccheria di corso Stamira. Una procedura che mirerà a chiarire la dinamica dell’incidente costato la vita al giovane e relativo all’esplosione di un fornello a gas mentre era nella cella del carcere di Montacuto. Un atto d’ufficio partito dopo il decesso e per il quale non è stata ancora ipotizzata nessuna responsabilità. Da verificare saranno le modalità con cui il detenuto è rimasto vittima dell’esplosione, lo scorso 27 giugno, mentre tentava di prepararsi il caffè. Una risposta attesa anche dalla famiglia che ha incaricato l’avvocato di fiducia Marco Pacchiarotti di presentare un’istanza all’amministrazione del carcere per avere altrettante informazioni. La lettera, preparata dalla difesa prima della morte di Monina, è già stata spedita alla casa circondariale. Le condizioni del 32enne erano apparse subito gravi. L’esplosione, probabilmente causata da una scintilla o da una perdita di gas, avevano causato ustioni di secondo grado sulla maggior parte del corpo di Monina che in gravi condizioni era stato ricoverato all’ospedale "Bufalini" di Cesena nel reparto gravi ustionati. Dopo sette giorni di agonia la morte che ha gettato nello sconforto l’intera famiglia. La mamma Daniela, il padre Luciano e il fratello Alessandro si sono chiusi nel silenzio. Prima il dolore dell’arresto, dopo la tentata rapina al tabaccaio Alberto Felicetti ferito a colpi di bottiglia, poi l’incidente in cella e la morte arrivata proprio quando per Monina, un passato legato ai problemi di droga, le cose sembravano mettersi a posto. A breve infatti sarebbe arrivata l’autorizzazione per il suo inserimento in una comunità di recupero, come lui stesso aveva chiesto. "Non voglio gravare sulla mia famiglia - aveva detto nel corso dell’udienza di convalida del fermo, di fronte al gip Alberto Pallucchini - ho già causato loro troppi problemi". Lavoretti saltuari, una presenza sporadica nei bar del centro e qualche amicizia di vecchia data. Questa la sua vita. Oggi pomeriggio alle 16, al Sacramento, i funerali. La salma arriverà da Cesena alle 15. Giustizia: ergastolano autorizzato per "figlio in provetta"
Tg Com, 8 luglio 2006
Il boss Salvino Madonia, all’ergastolo per aver ucciso Libero Grassi, potrà sottoporsi alle procedure per fecondare artificialmente la moglie senza uscire dal carcere di massima sicurezza dell’Aquila. L’autorizzazione è stata concessa dal gup di Palermo, Fabio Licata. Madonia diventerà padre per la seconda volta: nel 2000, da detenuto, ebbe un figlio dalla moglie, anche se non si è mai saputo come ha fatto a concepirlo. La richiesta di Salvino Madonia è stata avanzata due anni fa; la fecondazione sarà eseguita a spese del sistema sanitario nazionale nell’Asl dell’Aquila. Il giudice ha imposto che il prelievo del liquido seminale avvenga in carcere, secondo le procedure previste dal regime del 41 bis cui il sicario di Grassi è sottoposto. Il boss, 50 anni, si era sposato in carcere con Mariangela Di Trapani, figlia di un altro capomafia, Francesco, morto durante la latitanza. Il matrimonio fu celebrato il 23 maggio 1992, lo stesso giorno della strage di Capaci in cui morì il giudice Giovanni Falcone, tanto che qualcuno ipotizzò che l’attentato fosse un "regalo" di nozze. Madonia appartiene a una "famiglia" del gotha mafioso, i cui componenti sono tutti detenuti: dal padre di Salvino, l’anziano Don Ciccio, ai fratelli Nino e Giuseppe. La vicenda ricorda da vicino quanto avvenne nel 1997, quando i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, capimafia di Brancaccio, riuscirono a diventare papà mentre erano detenuti, grazie all’inseminazione artificiale che non era stata però autorizzata da nessuno. L’inchiesta avviata dalla procura non accertò mai le responsabilità. I sospetti si concentrano sul difensore dei Graviano, l’avvocato Memi Salvo, che venne in seguito condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, ma in relazione ad altre vicende. Gli inquirenti ipotizzarono che i capimafia, nonostante le rigide misure di sicurezza previste dal 41 bis, sarebbero riusciti a superare i controlli facendo pervenire all’esterno dell’istituto di pena le provette con il liquido seminale. Il difensore di Salvino Madonia ha avanzato la richiesta del suo assistito anche in base anche ad un altro precedente che risale al 2002 e che riguarda il boss agrigentino, Giovanni Avarello, condannato per avere ucciso il giudice Rosario Livatino. Anche in quel caso il killer ottenne l’autorizzazione dal giudice per l’inseminazione artificiale della moglie. Ferrara: progetto educazione alla cittadinanza dei detenuti
Redattore Sociale, 8 luglio 2006
Lo sviluppo sostenibile arriva in carcere come percorso di rieducazione alla cittadinanza per i detenuti. È il progetto "Casa Circondariale Sostenibile" organizzato a Ferrara dal Centro studi e documentazione ambientale (Csda), struttura legata al servizio Politiche della Sostenibilità e Cooperazione Internazionale della Provincia di Ferrara. Il progetto, non ancora ultimato, finora ha arricchito la biblioteca del carcere con riviste ambientali e naturalistiche, ha lanciato il concorso "Innocenti evasioni", rivolto a tutti i detenuti che dovranno scrivere un elaborato (umoristico, letterario, artistico) sui principali temi della sostenibilità, come rifiuti, acqua, clima, energia, biodiversità. A tutti i partecipanti è stato regalato un libro di immagini del Delta del Po di Mirko Marchetti, un abbonamento a una rivista ambientale e l’abbonamento a "Ristretti", periodico di informazione e cultura dal Carcere di Padova. Tutte le opere saranno quindi inserite in una pubblicazione che verrà distribuita ad ogni detenuto della Casa Circondariale e pubblicata sul sito della Provincia. Non solo: è stato selezionato un gruppo di "studenti", scelto nelle classi che frequentano la scuola media del carcere, inserendo il modulo "educazione ambientale" nel programma di scienze; a questo nucleo iniziale si è poi aggiunto un altro consistente numero di "lavoratori" per un totale di circa 70-80 detenuti. Ancora, corsi educativi dedicati ai detenuti "comuni", ai "protetti" e ai "collaboratori di giustizia" su diversi argomenti: cambiamenti climatici, effetto serra, rifiuti, acqua, inquinanti e salute dell’uomo. Sono inoltre stati proiettati spezzoni dei film "The Day After tomorrow" e "Erin Brockovich". Poi le buone pratiche: è partita la sperimentazione della raccolta differenziata, in collaborazione con Hera, con il progetto di un’isola ecologica all’interno del carcere e la raccolta differenziata "cella a cella". Grande spazio è stato dato anche alla fase del progetto che prevede di eliminare la raccolta pile "usa e getta", rifiuto altamente utilizzato dai detenuti, mediante la distribuzione gratuita ad ognuno di loro di due pile "ricaricabili" e la fornitura al carcere di alcune decine di ricaricatori veloci. Questo ha permesso un beneficio ambientale (abbassamento drastico del rifiuto pile, quantificabile ora in diversi quintali annui) e beneficio economico per il detenuto che deve acquistarle (la pila ricaricabile può essere riutilizzata per circa 50 volte). "Questa iniziativa - spiega Alida Nepa, referente del progetto per la Provincia di Ferrara - è nata da un’idea dell’assessore all’Ambiente Sergio Golinelli, considerando il carcere come parte della società. Per due anni consecutivi, infatti, la Provincia aveva fatto un esperimento simile nei condomini, e che cosa è il carcere se un condominio molto più grande? L’obiettivo è quindi quello di modificare i comportamenti dei detenuti e della struttura intera, sensibilizzandoli ai temi ambientali. E i risultati finora sono stati ottimi: tutti i detenuti che hanno seguito i corsi e gli incontri si sono dimostrati interessatissimi tanto che i formatori dei Cea (i Centri di educazione all’ambiente), che hanno tenuto una serie di incontri nei mesi scorsi, continuano addirittura a tornare come volontari all’interno del carcere per approfondire nuovi argomenti". Avezzano: il ministero assicura i soldi per il carcere
Il Messaggero, 8 luglio 2006
Il ministro della Giustizia ha risposto all’interrogazione del senatore Giovanni Legnini, sulla chiusura della casa circondariale di Avezzano. Il sottosegretario alla Giustizia Daniela Melchiorre, ha assicurato uno stanziamento di un milione e mezzo di euro per la ristrutturazione che dovrà avvenire in un lasso di tempo pari a 15-18 mesi. La chiusura provvisoria della struttura, avvenuta in seguito ad un decreto ministeriale del febbraio 2006, a causa di condizioni igieniche e strutturali carenti, per il senatore Legnini, suscita delle problematiche rilevanti. "Occorre ripristinare al più presto la struttura penitenziaria - sostiene il senatore - per ristabilire, sia un servizio minimo di prima accoglienza alle persone arrestate, sia per soddisfare le aspettative del personale dell’Amministrazione penitenziaria, impegnato all’interno della struttura". Legnini prende atto delle assicurazioni della Melchiorre e si augura che "il Ministero voglia approfondire tale questione ed in ogni modo accelerare al massimo i tempi dei lavori da eseguire". Inoltre Legnini auspica "un tavolo congiunto tra l’Amministrazione comunale di Avezzano ed il Ministero, per individuare una soluzione logistica alternativa per preservare, nel frattempo, un servizio di prima accoglienza degli arrestati". Catanzaro: parlamentari Dl visitano carceri calabresi
Giornale di Calabria, 8 luglio 2006
I parlamentari calabresi Franco Laratta e Franco Bruno, della Margherita, visiteranno alcune carceri della Calabria. Lunedì il deputato e il senatore saranno impegnati nella casa circondariale di Cosenza. In seguito sarà la volta di altri istituti di pena in provincia di Cosenza ed in altre località della regione. La visita nei penitenziari, è detto in una nota, è stata decisa in vista della discussione alla Camera sull’amnistia e l’indulto, fissata a Roma per il prossimo 24 luglio. "Sappiamo - hanno detto Bruno e Laratta - che la situazione nelle carceri calabresi è estremamente difficile, ma vogliamo renderci conto da vicino della sostenibilità delle strutture carcerarie, non solo per quanto riguarda l’universo dei detenuti, ma anche della polizia penitenziaria e degli operatori che quotidianamente vivono nel disagio e nella precarietà delle strutture". I due parlamentari della Margherita esprimono fiducia che si possa giungere "ad una soluzione positiva e condivisa per sfoltire gli istituti di pena, anche per dare corpo allo straordinario incipit di papa Giovanni Paolo II che facendo visita al Parlamento qualche anno fa, fece un forte appello in favore dell’amnistia. Sono 17 anni che non si vara un simile provvedimento di clemenza e oggi i tempi sono maturi per affrontare questo tipo di impegno con senso di responsabilità politica e istituzionale. E il fatto che l’argomento sia stato calendarizzato per il prossimo 24 luglio - concludono Bruno e Laratta - è molto indicativo della volontà di avviare una discussione seria e costruttiva in tal senso. Una volontà che rispecchia pienamente le indicazioni programmatiche dell’Unione". Siracusa: emergenza acqua in carcere, serve un nuovo pozzo
La Sicilia, 8 luglio 2006
Un nuovo pozzo per risolvere definitivamente il grave problema relativo alla carenza idrica che penalizza la casa di reclusione di Augusta. Alla lettera aperta che i detenuti hanno inviato al sindaco e alla nota inoltrata dal direttore del carcere, il primo cittadino risponde dicendo che l’apertura del cantiere per l’escavazione del pozzo è prevista entro la prossima settimana. Sono questi i tempi che porteranno all’avvio della soluzione della crisi idrica a Brucoli e al carcere di Piano Ippolito. Pozzo che sorgerà in contrada Bongiovanni nelle immediate vicinanze del penitenziario e che potrebbe essere attivato entro la fine del mese. Ma intanto, per far fronte all’emergenza, il Comune sta assicurando continui rifornimenti al fine di attenuare i disagi che sono costretti ad affrontare il personale che opera nella casa di reclusione, la popolazione detenuta, nonché gli abitanti della zona. Dal lunedì al venerdì, infatti, come fanno sapere dagli uffici comunali, un’autobotte espleta il servizio di approvvigionamento idrico, in particolare nelle ore pomeridiane. "Siamo consapevoli delle gravi difficoltà che stanno vivendo i detenuti della casa di reclusione di Brucoli e ci siamo attivati per alleviare la crisi - dichiara il sindaco Massimo Carruba - ma voglio ricordare che la struttura carceraria di Piano Ippolito era stata realizzata per ospitare 350 persone, mentre oggi sono circa un migliaio i detenuti". Il reperimento dei fondi per la risoluzione della crisi idrica da parte della civica amministrazione ha richiesto i tempi dovuti. L’investimento del Comune per l’escavazione di nuovi pozzi nelle zone periferiche e per il potenziamento di quelli già esistenti nel centro della città, è pari a 140 mila euro. I provvedimenti assunti sono oggetto di una missiva che a sua volta il primo cittadino ha inviato al direttore del carcere Antonio Gelardi per informarlo delle novità. I detenuti lo scorso martedì avevano inviato una lettera al sindaco Carrubba invitandolo a risolvere, così come si era impegnato a fare lo scorso anno, il problema dell’approvvigionamento idrico. "Noi detenuti lamentiamo l’insostenibile situazione odierna che si presenta, in tutta la sua drammaticità, ulteriormente peggiorata rispetto allo scorso anno, spessissimo infatti non viene garantita nemmeno un’ora di erogazione quotidiana. Le elevate temperature estive rendono poi ancora più insopportabile la situazione, ponendo a seri rischi le nostre condizioni igienico - sanitarie". "Stiamo cercando di fare del carcere, fra mille difficoltà - si legge nella nota firmata dal direttore - una realtà positiva e propositiva. Tutto ciò però non può prescindere dal fatto che siano garantite condizioni minime nella detenzione ed il rispetto di adeguati standard di igiene, pulizia e sanità". Ancona: gli agenti; siamo prigionieri del nostro lavoro
Il Messaggero, 8 luglio 2006
"Noi poliziotti penitenziari della casa circondariale di Ancona siamo stanchi di essere prigionieri del nostro lavoro". L’hanno scritto su un cartello gli agenti del Sappe che ieri hanno organizzato un sit-in di protesta davanti al provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria. "Siamo sottoposti a turni molto stressanti - ha spiegato Vito Coviello, segretario provinciale del sindacato - in queste condizioni non c’è possibilità di recupero fisico e mentale. Il personale (in tutto 471 unità in servizio nelle Marche, ndr) è esausto e si ammala anche più facilmente". Dopo l’iniziativa di protesta si è tenuto un incontro con il provveditore regionale all’amministrazione penitenziaria Raffaele Iannace, a cui ha partecipato anche il segretario regionale del Sappe Aldo Di Giacomo. Gli agenti hanno annunciato che i sit-in di protesta continueranno per tutto il mese di luglio con cadenza settimanale. "Se dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria non verrà una risposta concreta a questo problema - ha detto Coviello - la prima settimana di agosto andremo a Roma a manifestare davanti al Dap". Spoleto: diplomi ai detenuti. Il sogno? La laurea
Il Messaggero, 8 luglio 2006
Diplomi di maturità ai detenuti dell’Istituto d’arte che hanno superato l’esame di stato: alla cerimonia sono intervenuti il direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale Ugo Panetta, l’ispettore Leo Gori, il direttore del carcere Ernesto Padovani, il dirigente dell’istituto d’arte Beniamino Nicodemo, l’assessore alla Cultura Giorgio Flamini, la presidente della commissione esaminatrice Anna Maria Pascolini, gli insegnanti dell’Istituto statale d’arte di Spoleto e i rappresentanti della Polizia Penitenziaria. Nel consegnare i diplomi, Panetta ha espresso il suo apprezzamento per il lavoro svolto in un ambiente così diverso dall’usuale; con l’occasione ha potuto anche prendere visione della guida della costruenda pista ciclabile Spoleto-Assisi, realizzata dai detenuti nell’ambito del progetto "Conoscere per rispettare" e che da qualche giorno è in distribuzione presso il servizio turistico associato di Spoleto, in piazza della Libertà. Alcuni detenuti, inoltre, hanno espresso la volontà di proseguire gli studi ed iscriversi all’università, potendo contare sul sostegno dei docenti della scuola che, da diversi anni, seguono, con funzioni di tutor, i detenuti che continuano gli studi dopo la scuola superiore. La cerimonia è stata anche l’occasione per tutti gli intervenuti per ribadire la volontà di collaborare per migliorare l’offerta formativa della scuola all’interno del carcere, dove è presente ormai da otto anni, e creare occasioni di incontro tra il carcere la società esterna. L’Assessore Flamini ha lanciato l’idea di creare un archivio stabile di tutte le esperienze e i progetti che vengono portati avanti in questa particolare realtà, da mettere a disposizione della città e di tutti gli operatori che lavorano in realtà analoghe nel nostro Paese. Savona: riaperto il "blindo", una vittoria dei detenuti
Secolo XIX, 8 luglio 2006
La protesta dei detenuti del carcere di Sant’Agostino ha fatto effetto. Avevano scritto alla direzione del carcere per chiedere di aprire di notte il "blindo" (la porta blindata di ogni cella) per consentire un maggiore ricircolo dell’aria visto il caldo. "C’è già il portone con le inferriate che chiude le celle, non si può lasciare almeno aperto il blindo per respirare?" c’era scritto nella loro lettera. La loro protesta è stata tra l’altro condivisa dal gruppo di Rifondazione Comunista che sia in Parlamento che in Regione che in Comune (firmatari i consiglieri comunali Sergio Lugaro, Milvia Pastorino e Emanuele Varaldo) ha presentato interpellanze urgenti per chiedere un impegno per migliorare la situazione di vivibilità all’interno della struttura di piazza Monticello. "È necessario un intervento d’urgenza ma anche di umanità per far subito fronte a questa pena suppletiva che vivono quotidianamente i carcerati del Sant’Agostino" hanno scritto Marco Ravera e Giorgio Barisone di Rifondazione. E ora qualcosa si è mosso. Da due notti, infatti, il "blindo"è stato finalmente lasciato aperto. Un provvedimento che la direzione ha preso all’improvviso incassando il plauso dei detenuti. Ora, almeno di notte, nelle celle circola più aria. Immigrazione: Cpt; entro sei mesi le proposte per cambiarli
Il Messaggero, 8 luglio 2006
La madrina della nuova commissione sui Centri di permenza temporanea è lei, Marcella Lucidi, sottosegretario Ds all’Interno con delega all’immigrazione. Ha lavorato con pazienza per mettere su la squadra di 11 membri, presieduta dall’ambasciatore Onu in Italia Staffan De Mistura e ha commentato ieri con soddisfazione il "buon clima" dell’incontro d’esordio.
Quale è stata la prima decisione? "Quella di andare a vedere, senza eccezioni, tutte e 25 le strutture schierate sul nostro territorio. E cioè i sette centri di accoglienza, come Lampedusa, che servono per far transitare gli immigrati rapidamente altrove, entro 24-48 ore. I quattro centri di identificazione per i richiedenti asilo e i 14 Cpt propriamente detti, i centri di permanenza temporanea. Si sono già decise due visite, il 19 e il 23 luglio, e dei viaggi verranno compiuti anche in agosto. Le mete non verranno comunicate all’esterno (ma la prima sembra Lampedusa n.d.r.). Unico portavoce, il presidente".
Tutti questi centri scoppiano. Quando arriveranno le decisioni sul da farsi? "Intanto non scoppiano. C’è una tendenza al sovraffollamento, che finora è stata gestita bene, con uno sforzo enorme del Dipartimento delle libertà civili, che cura la struttura, e la Direzione centrale dell’immigrazione che si occupa invece delle persone. I commissari faranno la loro relazione con le relative proposte entro dicembre. Poi l’autorità politica deciderà".
Chiudere i Cpt? "Abbiamo bisogno di strutture di prima accoglienza e di identificazione. Almeno un punto è certo: gli ex-detenuti non devono a fine pena andare nei Cpt, per l’identificazione prima dell’espulsione. L’operazione va fatta già in carcere". Brasile: quinto agente penitenziario ucciso in 10 giorni
Associated Press, 8 luglio 2006
Assassini, considerati legati al più famoso gruppo criminale brasiliano, hanno ucciso un poliziotto penitenziario. Salgono così a cinque i morti in dieci giorni di violenze. Lo comunica la polizia. Le uccisioni "sembrano assolutamente" di marca del Primo comanda capitale, che da maggio ha scatenato violenze nella più grande città del Paese sudamericano. La gang criminale ha scatenato la reazione dopo che la polizia ha ucciso tredici componenti. I capi detenuti in carcere hanno allora lanciato l’ordine di uccidere quanti più poliziotti penitenziari possibile. Zimbabwe: la fame colpisce i 21.000 detenuti del paese
Redattore Sociale, 8 luglio 2006
La crisi economica nello Zimbawe ha raggiunto le celle delle prigioni, dove i detenuti si trovano spesso senza cibo per giorni, come risulta dall’esame di due commissioni parlamentari. Carenza di cibo e di acqua, condizioni igienico sanitarie insufficienti, sono alcuni dei problemi che affliggono i luoghi di detenzione di tutto il paese. Secondo fonti ufficiali, nelle carceri dello Zimbawe sono rinchiusi almeno 21.000 detenuti, in 42 strutture, che potrebbero ospitarne al massimo 16.000. Claudius Makowa, responsabile del comitato per la difesa degli affari interni, dopo una visita alla stazioni di polizia di Highland, alla periferia est della capitale Harare, ha riferito al parlamento lo scorso maggio: "Si dice che la carenza di cibo sia stata aggravata dalla scarsità di granturco, ma sorgono dei sospetti quando, dopo due giorni senza cibo, i detenuti per nutrirsi debbono contare solo sul cibo portato dai familiari". Faber Chidarikire, che presiede la commissione parlamentare per la giustizia e gli affari legali ed è membro del partito Zanu-PF, descrive la situazione delle prigioni che ha visitato come "inquietante" e sostiene che l’aumento di denutrizione e malattie sia una logica conseguenza della carenza di cibo. "C’è una grave carenza di generi alimentari , quali zucchero, olio da cucina, fagioli, carne ed altre sostanze basilari. La commissione è stata informata che, alla luce degli scarsi stanziamenti disponibili, sarà molto difficile mantenere uno standard di vita decoroso e la prima conseguenza sarà una popolazione carceraria affetta da malnutrizione", ha riferito Chidarikire al parlamento. Egli fa notare che le risorse già scarse dello Zimbawe, sono state ulteriormente indebolite dall’alto numero di detenuti affetti da malattie collegate all’AIDS. "Ci sono molti prigionieri malati di pellagra (una malattia derivante da carenze vitaminiche), di tubercolosi e di altre malattie collegate all’HIV". L’opinione della commissione è che, fatte salve le esigenze di sicurezza, ai detenuti dovrebbero essere garantite adeguate condizioni di sicurezza. "Ai malati terminali ed ai prigionieri anziani dovrebbero essere richieste cauzioni accettabili, in modo che le corti possano evitare di disporre la custodia cautelare per questi prigionieri non autosufficienti. Questo aiuterebbe a riportare la popolazione carceraria a livelli gestibili", suggerisce. Ascoltati funzionari di polizia e detenuti, si viene a sapere che non ci sono abbastanza fondi per i servizi di sicurezza, per garantire servizi sanitari e cibo. Constable Jairos (nome di fantasia) in una stazione di polizia vicino ad Harare, racconta: "Siamo andati avanti per più di una settimana senza razioni di cibo per i detenuti. All’inizio dell’anno disponiamo di uno stanziamento nel budget nazionale per acquistare cibo. Comunque ora il denaro è esaurito ed il nostro funzionario addetto ha fatto domanda per ottenere fondi supplementari, che però stiamo ancora aspettando. Ci è stato risposto che il budget si esaurisce in fretta a causa dell’inflazione". Il CSO (Central Statistical Office) di recente ha registrato un tasso di inflazione su base annua dell’1,193,5%, contro l’1,043% del mese scorso. "Noi possiamo dargli sadza (porridge di granturco) e matemba (pesce essiccato) bolliti in acqua, ogni sera per cena, quando le risorse lo consentono" dice Jairos. "All’inizio dell’anno, quando abbiamo ancora denaro, possiamo dargli la colazione al mattino e talvolta anche la cena prima di rinchiuderli per la notte". Stella Chitando, di 23 anni, è stata accusata di furto dal proprietario del negozio dove lavorava ed è stata trattenuta per quattro giorni alla polizia prima di essere rilasciata per mancanza di prove. Racconta che il cibo le veniva portato dai familiari "Mia zia, con la quale vivo, mi assicurava il cibo ogni sera. Dividevo la stessa cella con altre sei donne e ci spartivamo il poco cibo che avevano portato a me o alle altre detenute". Racconta anche che ai visitatori viene talvolta impedito di portare cibo. Jairos giustifica la cosa, spiegando che per ragioni di sicurezza è necessario allontanare i visitatori. Le condizioni sanitarie in cella sono disastrose. "Ho fatto il bagno solo una volta durante la mia detenzione, perché non era consentito consumo supplementare di acqua", racconta ancora Chitando. "Facciamo i nostri bisogni proprio dentro la cella e nella stanza c’è sempre una gran puzza, dato che non possiamo tirare l’acqua per mandare via i nostri rifiuti". Non sono forniti assorbenti sanitari e le donne sono costrette ad usare i giornali vecchi che gli passano i poliziotti. Una donna sospettata, che non aveva potuto ottenere le cure per l’asma da cui era affetta, era stata ricoverata d’urgenza all’Harare Gereral Hospital. Spesso nelle celle non c’è luce per mancanza di lampadine. Chiando racconta di aver diviso con altre detenute tre sottili coperte, infestate dai pidocchi. "La carenza di coperte comunque è normale, anche nelle stazioni di polizia", spiega Jairos "Quando arriva l’inverno, siamo costretti a dare alle detenute - dopo averle lavate, perché spesso sono completamente macchiate di sangue - coperte che potrebbero essere state usate per coprire i morti". Le coperte lavate non sempre si asciugano prima di sera, ma vengono comunque usate. Lo Zimbawe sta facendo ogni sforzo per uscire da questi ultimi quattro anni di crisi, dovuti all’insufficienza di cibo causata da piogge impreviste, all’impatto con il caotico programma di riforma agricola accelerata ed alla penuria di valuta estera, indispensabile alle importazioni di generi essenziali, come i fertilizzanti ed il carburante. Giappone: detenuti "giustiziati" dopo decenni di detenzione
Redattore Sociale, 8 luglio 2006
Prigionieri anziani e con disturbi mentali sono tra coloro che attendono decenni nei bracci della morte del Giappone, per essere poi messi a morte in segreto e senza preavviso. Le loro condanne sono state spesso emesse al termine di processi iniqui, basati su "confessioni" di crimini mai commessi, rese dopo interrogatori estenuanti, minacce e violenze. Questa è la realtà della pena di morte in Giappone, descritta in un rapporto intitolato "Sarà il mio ultimo giorno?", diffuso oggi da Amnesty International in occasione di un incontro tra attivisti ed esperti sulla pena di morte della regione Asia-Pacifico, riuniti in questi giorni a Hong Kong. "Il Giappone è uno dei pochi paesi industrializzati che ancora compie omicidi di Stato - ricorda Amnesty International -. Abolendo la pena capitale, il Giappone darebbe un segnale di leadership nella regione Asia-Pacifico, che non sta procedendo al passo con la tendenza globale verso l’abolizione". Centoventicinque paesi hanno cancellato la pena di morte per legge o nella pratica. L’ultimo di essi, le Filippine, l’hanno abolita a giugno. Vi sono segnali positivi anche in Corea del Sud, dove il parlamento sta esaminando una proposta di legge abolizionista. "Come primo passo, chiediamo al governo giapponese di porre fine al segreto che attualmente avvolge l’applicazione della pena di morte. Le autorità di Tokio non possono giustificare questa pena inumana trincerandosi dietro l’opinione pubblica, quando di fatto nascondono la realtà della pena di morte, ostacolando in questo modo il dibattito nella società civile", afferma Amnesty International. In Giappone non vi sono mai proteste di fronte alle prigioni il giorno di un’esecuzione, poiché questo è noto solo alle autorità. Il prigioniero viene informato solo la mattina del giorno in cui verrà ucciso. In alcuni casi, non c’è neanche questo preavviso. Questa segretezza significa che i prigionieri vivono, in isolamento e sotto un regime carcerario durissimo, nella costante paura di essere messi a morte, senza mai sapere se ogni giorno che arriva sarà il loro ultimo giorno. Le procedure legali sono talmente lente che gli appelli durano decenni e i prigionieri trascorrono anni in attesa di essere messi a morte. Okunishi Masaru è uno dei condannati che hanno un’età estremamente avanzata. Ha 80 anni ed è stato condannato alla pena capitale nel 1961 per aver avvelenato cinque donne. Nell’aprile 2005, l’Alta corte di Nagoya gli ha concesso un altro processo sulla base di nuove prove che potrebbero dimostrare la sua innocenza. I suoi amici chiedono che il processo inizi presto. Nel marzo 2006, Okunishi Masaru ha lanciato un appello: "Per favore, scagionatemi da queste false accuse quando sono ancora vivo". Il rischio di mettere a morte innocenti è particolarmente alto a causa del sistema di detenzione preventiva basato sulla custodia di polizia. Le persone sospettate di aver commesso un reato possono rimanere nelle mani della polizia anche per 23 giorni ed essere sottoposte a lunghi interrogatori. Akahori Masao è stato condannato a morte nel 1958, quando aveva 25 anni, per stupro e omicidio. Ha sempre sostenuto di essere innocente e di aver confessato sotto pressione: "Le persone che mi interrogavano mi picchiavano sulla testa, mi prendevano a calci e mi stringevano il collo fino quasi a strangolarmi. Decisi di rispondere sì a tutte le loro domande perché non riuscivo a sopportare quella tortura". Solo nel 1987, dopo quattro appelli, Akahori Masao ha ottenuto un nuovo processo, nel quale è stato assolto, a 59 anni, dopo aver trascorso 34 anni in carcere.
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