Rassegna stampa 6 luglio

 

Ancona: detenuto ustionato dal fornelletto muore in ospedale

 

Ansa, 6 luglio 2006

 

È morto ieri nell’ospedale Bufalini di Cesena, Andrea Monina, 32 anni, di Ancona, il detenuto ricoverato nel reparto grandi ustionati dal 27 giugno scorso, dopo lo scoppio di un fornelletto da campeggio, che utilizzava nella sua cella del carcere anconetano di Montacuto, dove era rinchiuso dal 13 maggio scorso. Monina era accusato di una tentata rapina in una tabaccheria di Corso Stamira di Ancona. Dopo l’incidente in carcere, le cui cause sono ancora in fase di accertamento, era agli arresti domiciliari presso la struttura ospedaliera romagnola.

Le sue condizioni erano apparse subito gravi, a causa delle vaste ustioni riportate su braccia viso e corpo. E negli ultimi giorni la situazione clinica del paziente era ulteriormente peggiorata. La famiglia di Monina, assistita dall’avv. Marco Pacchiarotti, profondamente scioccata dalla morte improvvisa del giovane, ha già presentato istanza all’amministrazione di Montacuto per avere informazioni sulla dinamica dell’incidente e per chiedere di fare chiarezza sull’accaduto. Secondo una prima ricostruzione, la bomboletta di gas del fornelletto sarebbe esplosa in mano a Monina, mentre stava riscaldando un caffè.

Amnistia: incontro Unione-Cdl, ma l'intesa resta difficile

 

Agi, 6 luglio 2006

 

Poli al lavoro sull’amnistia e sull’indulto, anche se l’accordo non sembra dietro l’angolo. In questi giorni a sondare le acque sono stati Dario Franceschini (Ulivo) e Gaetano Pecorella (Fi) che hanno avuto mandato esplorativo da parte rispettivamente del centrosinistra e del centrodestra per vedere se si può trovare un accordo. Colloqui fitti in questi giorni, e domani pomeriggio a Montecitorio, a quanto si apprende, ci sarà un incontro tra maggioranza e opposizione per fare il punto.

I provvedimenti di clemenza, infatti, sono già stati calendarizzati per l’aula della Camera per il 24 luglio, a patto però che l’iter sia concluso in Commissione Giustizia. In ogni caso, il ddl inizierà il suo percorso in commissione solo dalla prossima settimana. Prioritario, infatti, in questo momento, è vedere se tra i poli ci può essere un’intesa prima dell’approdo in aula, altrimenti sarà inutile cominciare. Perché per l’approvazione di amnistia e indulto serve una maggioranza dei 2/3 e quindi anche il concorso dell’opposizione. Domani Pecorella porterà la proposta della Cdl che si può sintetizzare così: niente amnistia per il momento perché, spiega, "è troppo complessa per farla adesso", sì all’indulto invece perché "responsabilmente - aggiunge ancora Pecorella contattato telefonicamente dall’Agi - diciamo che il problema carcerario c’è ed è da risolvere". Tra i nodi che ostacolano l’intesa tra Unione e Cdl, però, c’è anche quello relativo ai reati contro la Pubblica Amministrazione: su questo il centrodestra è favorevole, il centrosinistra no.

Amnistia: Pecorella; l'indulto entro estate, poi l’amnistia

 

Ansa, 6 luglio 2006

 

"Credo che l’indulto debba essere concesso prima dell’estate. Altrimenti che emergenza e? Poi dell’amnistia se ne può parlare a settembre". L’ex presidente della Commissione Giustizia della Camera Gaetano Pecorella (Fi), preme l’acceleratore sulla proposta che ormai porta il suo nome: fare subito l’indulto entro l’estate e poi fare in un secondo momento l’amnistia.

"E se non ci dovesse essere nessuna emergenza - aggiunge il parlamentare - allora perché si dovrebbe arrivare ad un provvedimento di clemenza? Insomma, se si vuole davvero risolvere il problema delle carceri e affrontare questa emergenza prima della pausa estiva facciamolo subito. Altrimenti dopo, in autunno, avrà meno senso...". Pecorella che in questi giorni è in contatto con esponenti dell’Unione per vedere se è possibile raggiungere un’intesa su indulto e amnistia, assicura che i tempi per emanare il provvedimento in entrambe le Camere "c’è tutto. Basta volerlo".

Amnistia: Finocchiaro; d’accordo con proposta Pecorella

 

Ansa, 6 luglio 2006

 

Il presidente dei senatori dell’Ulivo Anna Finocchiaro guarda con favore la proposta di Gaetano Pecorella (Fi) di approvare subito l’indulto prima dell’estate per fare poi l’amnistia in un secondo momento dopo la pausa estiva. "Sono assolutamente d’accordo con l’idea di fare subito l’indulto - sottolinea l’esponente dei Ds - possiamo cominciare a parlarne. I tempi per quanto mi riguarda si possono accelerare".

Milano: catturato il detenuto slavo evaso da Bollate

 

Ansa, 6 luglio 2006

 

La sua latitanza non è durata neanche un giorno. Mujic Mujo, il ventisettenne croato evaso ieri pomeriggio dal carcere di Bolllate, è stato catturato dai carabinieri di Piacenza.

Erano circa le 15 di ieri quando l’uomo, la cui pena (furto e ricettazione) sarebbe scaduta tra tre anni, ha minacciato con una sbarra di ferro un operaio impegnato nelle manovre della macchina escavatrice all’interno del carcere di Bollate. L’ha costretto ha farsi issare in alto con il braccio della ruspa che stava utilizzando, per quattro metri, si è aggrappato a una delle telecamere di sicurezza ed è saltato al di là. L’allarme è stato immediato ma il Mujo si era già dileguato.

I militari lo hanno sorpreso a mezzogiorno nella città emiliana, là dove la direzione regionale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aveva indicato come possibile meta di fuga. Un’altro possibile rifugio era a Varese: ma qui, quando gli agenti la notte scorsa si sono presentati, non hanno trovato nessuno. L’evaso si era già allontanato.

Considerato che l’apolide è un pregiudicato che non ha appoggi e nessun collegamento con la criminalità organizzata, c’erano consistenti speranze che la sua libertà non sarebbe durata a lungo: come, infatti, è avvenuto.

Mujic Mujo era finito in carcere nel 2004, a San Vittore, e successivamente era stato assegnato all’istituto di Bollate dove vengono inviati i detenuti meno pericolosi. Nella casa di pena i detenuti imparano un lavoro e si preparano al reinserimento nella società. Mujic Mujo seguiva un corso di saldatore. Ora deve rispondere anche di evasione e di minacce al manovratore della ruspa. La pena da scontare dietro le sbarre si allungherà inevitabilmente.

Giustizia: la Campania istituisce il Garante dei detenuti

 

Vita, 6 luglio 2006

 

Nel Consiglio regionale della Campania opererà un Ufficio del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. L’Assemblea, nella seduta di oggi, ha infatti approvato all’unanimità la proposta di legge per l’Istituzione dell’Ufficio in questione e per l’Osservatorio regionale sulla detenzione. "Con l’approvazione della legge - ha affermato Luisa Bossa, ds, Presidente della VI Commissione consiliare permanente Istruzione, Cultura, Politiche sociali, che firma la legge - si scrive una pagina importante per il Consiglio regionale in cui la politica si coniuga al suo ruolo fondamentale di attenzione alle fasce deboli della società".

Bossa ha ricordato che "in dieci anni la nostra popolazione carceraria è raddoppiata con 15 mila detenuti in soprannumero rispetto alle capacità ricettive delle carceri. La Campania conta 18 istituti di pena con popolazione di oltre 7 mila unità. Anche qui la sofferenza e i ritardi sono molteplici. Queste cifre rendono doverosa l’istituzione del Garante, come figura di mediazione a tutela della popolazione carceraria affinché le sia garantita il rispetto dei diritti fondamentali, dalla salute all’istruzione".

Nella competenza del Garante ci saranno anche i ragazzi ospiti degli istituti penali per i minori, quelli dei centri di prima accoglienza, dei centri di assistenza temporanea per stranieri e delle strutture sanitarie sottoposti al trattamento sanitario obbligatorio. Il Garante verrà eletto dal Consiglio regionale tra candidati che abbiano ricoperto incarichi istituzionali di responsabilità e rilievo o che abbiano una indiscussa e acclarata competenza nel settore della protezione dei diritti fondamentali, con particolare riguardo ai temi della detenzione. Tra le altre cose ,si assumerà iniziative per assicurare che ai detenuti siano erogate prestazioni inerenti al diritto alla salute, al miglioramento della qualità della vita, all’istruzione, all’assistenza religiosa, alla formazione professionale, e ogni altra prestazione finalizzata al recupero, alla reintegrazione sociale e all’inserimento nel mondo del lavoro. La proposta di legge istituisce, inoltre, l’Osservatorio regionale sulla detenzione, composto dalle associazioni, organizzazioni o enti che si occupano delle questioni legate alla detenzione e prevede che entro il 30 aprile di ogni anno il Garante presenti una relazione alla Giunta regionale.

Giustizia: Manconi; presto risorse per emergenza Sollicciano

 

Ansa, 6 luglio 2006

 

"Risorse in tempi rapidi per il ripristino delle condizioni minime di vivibilità, soprattutto per quanto riguarda la situazione igienico-sanitaria" nel carcere di Sollicciano. È l’ impegno confermato dal sottosegretario alla giustizia Luigi Manconi che, spiega una nota del Comune di Firenze, oggi ha visitato il penitenziario fiorentino su invito dell’assessore alle politiche sociosanitarie del Comune di Firenze, Graziano Cioni.

A Firenze, continua la nota, Manconi ha partecipato anche a una riunione a Palazzo Vecchio con le istituzioni locali a cui hanno preso parte anche il garante dei diritti dei detenuti Franco Corleone, il provveditore regionale dell’ amministrazione penitenziaria Massimo De Pascalis e il direttore del carcere di Sollicciano Oreste Cacurri. "Abbiamo concordato - ha commentato Cioni - una serie di azioni e nello specifico, sul tema più stringente, ovvero quello dell’emergenza igienico-sanitaria, il sottosegretario si è impegnato a garantire le risorse per effettuare i lavori minimi di primaria manutenzione".

Giustizia: le carceri della Toscana stanno per scoppiare

 

Toscana Oggi, 6 luglio 2006

 

Sovraffollamento delle carceri e alta percentuale di detenuti stranieri. Questi i dati più significativi contenuti nel rapporto sugli istituti penitenziari della Toscana realizzato dalla Fondazione Michelucci in collaborazione con la Regione ed il Provveditorato regionale all’amministrazione penitenziaria. Il dato riguardante il sovraffollamento è quello più allarmante: a fronte di una capienza regolamentare degli istituti toscani pari a 2707 unità e ad una "capienza tollerabile" di 3765 unità, in realtà sono 4102 le persone recluse. Rispetto al 2000 (3940) il dato resta più o meno stabile. In realtà è proprio il concetto di "capienza tollerabile", che il precedente governo ha elevato a più riprese, ad aver camuffato il problema.

Il caso più eclatante in Toscana è rappresentato dal carcere di Sollicciano, a Firenze: 447 la capienza regolamentare, 765 quella "tollerabile", 995 i presenti. Un altro dato che emerge riguarda il numero dei cittadini con cittadinanza non italiana ospitati nel sistema penitenziario toscano: al 31 dicembre 2005 sono ben 1628, il 41% del totale. Il "record" spetta ancora a Sollicciano dove su 1052 reclusi oltre la metà, 611, sono stranieri. Resta bassa la presenza femminile nelle carceri toscane, 189 donne, seppur in aumento rispetto al 2000, 143. I detenuti con problemi di tossicodipendenza reclusi sono 1226 (1155 dei quali di sesso maschile), in sensibile aumento rispetto al 2000, quando erano 776.

 

Rapporto sui penitenziari della regione

 

Aprire una discussione col governo, entro tempi brevissimi, per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri in Italia. È questo l’appello lanciato il 16 giugno scorso dall’assessore regionale alle politiche sociali Gianni Salvadori intervenuto alla presentazione del rapporto sugli istituti penitenziari della Toscana presentato nella foresteria della Giunta regionale a Palazzo Bastogi a Firenze. Il rapporto, realizzato dalla Fondazione Michelucci in collaborazione con la Regione ed il Provveditorato regionale all’amministrazione penitenziaria, analizza nel dettaglio il panorama carcerario toscano fornendo dati molto interessanti riguardo ad una situazione che, in alcuni casi, permane estremamente complicata.

 

Il dramma del sovraffollamento

 

Il dramma del sovraffollamento delle carceri - ha aggiunto l’assessore Salvadori - merita una soluzione urgente. Non è un problema che si può risolvere con le proposte del governo precedente, che auspicava la costruzione di nuovi istituti. Un’amnistia? Ripeto, occorre una decisione in tempi brevissimi perché in alcuni casi la situazione è allarmante e le condizioni di vita delle persone recluse sono vergognose. Credo che il governo attuale abbia la sensibilità giusta per affrontare questa situazione. Da parte nostra sosterremo tutte le iniziative che consentano di migliorare le condizioni di vita ed un reale percorso di reinserimento sociale dei detenuti, come i progetti di formazione universitaria che sono uno strumento importantissimo".

 

Il coraggio di cambiare

 

Severo anche il giudizio del presidente della Fondazione Michelucci, Alessandro Margara, nei confronti della situazione carceraria attuale, in Toscana e in Italia. "Il carcere deve avere una dimensione gestibile, e in questo momento non ce l’ha. Ci troviamo ad un bivio: o facciamo una scelta completamente diversa di politica penitenziaria oppure rischiamo di trovarci in una situazione preoccupante. Non posso dire se, come sostengono in molti, le carceri stiano per esplodere. È certo che le condizioni di vita al loro interno sono degradanti e disumane. Occorre il coraggio per cambiare politica, e ritengo che questo governo abbia questa capacità".

 

Indispensabile l’amnistia

 

Infine, secondo Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti, sono necessarie alcune misure organiche e strutturate. "Innanzitutto è indispensabile un provvedimento di amnistia, l’ultimo risale al ‘90, che permetta di ridurre il numero della popolazione carceraria allo scopo di intervenire sulle strutture, per adeguarle, per renderle più vivibili. Il passo successivo è un intervento strutturato che dapprima elimini le leggi criminogene attualmente vigenti, come la Bossi-Fini e la legge sulle droghe, poi occorre la riforma dell’ordinamento penitenziario, così come proposta da Margara, finendo con il codice Rocco che risale a 75 anni fa. Pensate che su circa 85 mila ingressi in carcere in Italia nel 2005, circa 40 mila dipendono dalle leggi sull’immigrazione e sulla droga. Una situazione imbarazzante. Questo lavoro di riforma - ha concluso Corleone - spero possa essere attuato da questo governo anche se la mia paura è che venga realizzato in modo non organico. Credo sarebbe opportuna, come avviene per la legge finanziaria, una sessione speciale in parlamento".

Giustizia: Alessandro Margara; dietro le sbarre la "non vita"

 

Toscana Oggi, 6 luglio 2006

 

Sovraffollamento, condizioni disumane, scarsa assistenza. "La domanda che ci dobbiamo fare oggi è: dove va la galera, dove va la pena?". Così Alessandro Margara aggredisce il problema delle carceri toscane e di quelle italiane. La risposta, secondo il magistrato, sta in una "scelta": "O scegliamo una politica che dando risposte penali a criticità sociali porterà all’esplosione della situazione, o andiamo verso una legislazione che prevede una forza diversa all’intervento sociale che farà tornare le carceri al livello di governabilità". Margara ha dedicato la sua vita di magistrato ai penitenziari italiani. Per molti anni è stato presidente della sezione di sorveglianza e magistrato di sorveglianza di Bologna e Firenze e in seguito direttore generale del dipartimento della amministrazione penitenziaria. Oggi, come presidente della Fondazione Michelucci, si occupa della situazione delle carceri toscane e dei problemi che le affliggono.

 

Margara, qual è lo stato di salute del sistema penitenziario?

"Parliamo di numeri: nel 1990 i detenuti italiani erano 30.000 e le misure alternative erano 6.300. Oggi i detenuti sono 60 mila e le misure 50 mila. E, soprattutto, ci sono in attesa di decisioni circa 70 mila richieste di misure alternative. L’area della penalità, in 16 anni, è passata dunque dalle 36.300 del 1990 alle circa 180 mila unità di oggi. E per il gruppo di 60 mila detenuti, la popolazione penitenziaria è rappresentata per i due terzi da quella che possiamo chiamare detenzione sociale, ovvero detenzione che fa riferimento a fenomeni sociali trattati penalmente".

 

Chi sono precisamente questi due terzi?

"Sono in gran parte tossicodipendenti e immigrati. Poi ci sono tutte le altre criticità: dalle persone con problemi psichiatrici alle persone con problemi di abbandono sociale. In totale rappresentano 40 mila persone su 60 mila. Insisto su questo perché riguarda ciò che sinteticamente potremmo chiamare "l’esplosione del penale" che si è moltiplicato in 16 anni di 5 volte tanto. Tutto ciò accade in conseguenza di una certa politica potremmo sintetizzare con l’espressione "dal sociale al penale"".

 

Che cosa va cambiato e dove nella legislazione attuale?

"Per l’immigrazione serve una legge diversa dalla Bossi-Fini che comprenda che gli stranieri rappresentano una risorsa per il paese e non sono un pericolo. Per quanto riguarda i tossicodipendenti, nella maggior parte dei casi la risposta non può essere il carcere: devono essere invece affidati al sociale e curati. L’attuale legge Fini-Giovanardi che punisce il consumo e lo spaccio in modo preventivo non fa che peggiorare la situazione. E la cosiddetta "Cirielli" deve essere rivista nella parte che prevede l’inasprimento della pena in caso di "recidiva"".

 

Quanto è difficile oggi la gestione delle carceri toscane?

"Le carceri sono congestionate e difficili da gestire perché sono molto più affollate di quanto possano accogliere. Inevitabilmente la gestione diventa più difficile, ogni servizio diventa più complicato ed è ancor più difficile quando per molte di queste persone si aggiungono problemi di carattere sociale e di disagio. Per la collettività interna è un problema difficile da affrontare: c’è una grossa fetta del carcere che soffre particolarmente e che non ha risposte adeguate. Durante questo periodo, nonostante l’aumento della popolazione interna, le risorse d’aiuto a queste persone sono diminuite".

 

Ma i problemi non finiscono qui…

"Il problema in cui ci si imbatte è quello del "non vivere" in carcere. La non vita che il carcere dà in molte strutture in cui non ci sono risorse di lavoro, dove la vita si trascina in una cella tutt’altro che vuota ma sovraffollata. Con poche ore d’aria che sono l’unica risposta che viene data, con scarsi interventi di carattere generale e scarse possibilità. Questa è la situazione che interessa una parte notevole della popolazione penitenziaria. Ecco questa "non vita" è il fondo su cui ci si muove, è la patologia di fondo che sarebbe necessario curare. Per questo bisognerebbe che ci si interessasse effettivamente di cambiare le cose, che ci fosse da lavorare, da muoversi, da vivere fuori dalla cella. Queste dovrebbero essere risposte fondamentali".

Giustizia: l’appello; se le "piazze" chiedono l’amnistia

 

Toscana Oggi, 6 luglio 2006

 

In carcere: quello di Arezzo. Una trasmissione in diretta: quella di RadioTre Rai. Un ospite illustre: il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio consiglio per la giustizia e la pace. Un messaggio che ha fatto il giro dell’Italia, è rimbalzato nelle aule del Parlamento e ha riaperto una questione dimenticata: quella sull’amnistia ai detenuti.

Se c’è un appello che ha tenuto banco dopo le "Piazze di maggio", l’evento nazionale ospitato dalla diocesi idi Arezzo che ha scandito il cammino sulla cittadinanza verso il Convegno ecclesiale di Verona, è stato quello lanciato oltre le sbarre dal cardinale Martino nella casa circondariale "San Benedetto". "Giovanni Paolo II aveva chiesto un gesto di clemenza per i detenuti - ha detto Martino nel carcere aretino - La Chiesa e tutti gli operatori impegnati nelle carceri non hanno perduto la speranza". Il cardinale non ha parlato di amnistia, ma ha premuto per un passo concreto. "Ancora oggi preghiamo perché un atto di clemenza in qualsiasi forma i legislatori decideranno di farlo si possa attuare nel nostro Paese". Di fronte a lui c’era un nutrito gruppo di detenuti, illuminati dai raggi che filtravano nella piccola chiesa sotto la vetrata che raffigura, miracoli delle coincidenze, la Basilica di San Pietro. Vicino al cardinale anche il vicedirettore della Caritas nazionale Giancarlo Perego, il Vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro Gualtiero Bassetti e il Presidente di Rondine Cittadella della Pace Franco Vaccari. Diocesi e Rondine che si sono impegnate ad entrare in una delle piazze più difficili: quella del carcere. "I diritti umani di tanti detenuti - ha spiegato Martino - sono calpestati e abusati. E quando una persona finisce in carcere, la società tira un sospiro di sollievo dicendo: "Giustizia è fatta". E poi si disinteressa di chi sta dietro le sbarre. E questo non deve accadere". Le parole del cardinale hanno permesso che tornasse nell’agenda politica italiana il tema dell’amnistia e hanno aperto un ampio dibattito.

E l’intervento di Martino farà parte del "compendio" delle "Piazze di Maggio" che sarà presentato venerdì 30 giugno, alle 18, nella cittadella della pace di Rondine, alle porte di Arezzo. Due i lavori realizzati a tempo di record: un video che sarà una carrellata di immagini e di emozioni sull’evento aretino, dalle tende della Cittadella alle piazze aperte in città, dalla camminata nel bosco di Camaldoli al dialogo ecumenico tra Kasper e Luzzatto; e poi un libro che sarà un rapporto iniziale sui passaggi principali di questa avventura. La presentazione coinciderà con il debutto della kermesse "VolArondine 2006", la stagione di spettacoli, stage e appuntamenti all’insegna della pace che si dipana da giugno a settembre nel borgo di Rondine.

Toscana: gli istituti penitenziari a trattamento avanzato

 

Toscana Oggi, 6 luglio 2006

 

Sono state avviate in Toscana, grazie al finanziamento della Regione, attività di sperimentazione in istituti definiti a "trattamento avanzato". Si tratta della casa circondariale femminile a custodia attenuata di Empoli e di quella maschile di Massa Marittima dove è stato attivato un servizio di tutorato con lo scopo di accompagnare il detenuto nel percorso di reinserimento e di sostenere gli operatori nella implementazione di programmi personalizzati di trattamento.

 

I Poli universitari e l’istruzione

 

Sono in fase di realizzazione in varie sezioni. Nella casa circondariale di Prato funziona da 5 anni. Sorgeranno a Pisa, San Gimignano e Sollicciano. A Prato, in virtù dell’accordo tra Università di Firenze, Amministrazione penitenziaria centrale e periferica e Regione, è stato possibile realizzare l’esperienza in una sezione apposita di 23 celle occupate ciascuna da una sola persona. Con l’aumento del numero degli utenti saranno realizzati spazi appositi. Esistono anche una saletta con pc e biblioteca e stanze per i colloqui con i docenti. In fase di realizzazione un’attività di lavoro a distanza. È anche prevista la possibilità di ottenere un’istruzione a partire dalla scuola elementare.

 

Tossicodipendenza e custodia attenuata

 

La casa circondariale di Firenze M. Gozzini, o Solliccianino, è stata il primo istituto a prevederla. Sono poi seguite la casa circondariale femminile di Empoli e quella per uomini di Massa Marittima, anche se quest’ultima si è allontanata da questo modello.

 

Il teatro: laboratori, scene, musica e costumi

 

In almeno 11 dei 18 istituti attivi in regione esistono laboratori teatrali gestiti da insegnanti o associazioni del settore e si svolgono corsi di formazione teatrale (scenografia, musica, costumi). Oltre all’attività svolta nella casa di reclusione di Volterra, assurta alle cronache nazionali ed internazionali a partire dal 1988, vanno menzionate quelle sviluppate all’interno degli istituti, e fuori da questi, come nelle case circondariali a custodia attenuata di Empoli, Solliccianino e nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo. Altre esperienze sono state realizzate ad Arezzo, Sollicciano, Livorno, Massa, Pisa e San Gimignano.

 

Accordo di programma Regione-Ministero

 

È in fase di stesura allo scopo di definire strategie comuni finalizzate a promuovere e realizzare azioni di trattamento e reinserimento socio-lavorativo più efficaci. Progetto di Riforma dell’Ordinamento penitenziario La Fondazione Michelucci ha contribuito alla sua elaborazione. Un gruppo consistente di deputati dell’Unione lo hanno assunto trasformandolo in proposta di legge.

Giustizia: il lavoro rende possibile la vita del dopo-cella

 

Toscana Oggi, 6 luglio 2006

 

Piergiorgio, genovese, 60enne, si è fatto sei anni di carcere per rapina. È uscito dalla casa di reclusione di Massa nel 2003. Non ha una famiglia, solo la mamma: "ma con lei mi sento solo una volta al mese". Umberto, 37 anni, di Potenza, la galera l’ha conosciuta da ragazzino. Sembrava aver imparato la lezione ed invece... l’ultimo furto gli è costato 4 anni di cella e dieci mesi di arresti domiciliari. La moglie lo ha lasciato e con lei i tre figli, Giuseppe, Chiara e Valerio: "Adesso posso solo risalire la china".

Due storie tra tante. Vissute dai ragazzi accolti da Mauro e Norina Cavicchioli nella loro casa di Mulazzo, pochi km a sud di Pontremoli, in Lunigiana. Loro, i referenti in Toscana dell’associazione papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi, un senso alla loro vita l’hanno trovato. Mauro, 51 anni, aveva un lavoro ben pagato alla centrale di produzione di energia elettrica del territorio, Norina, a casa, era impegnata nel difficile lavoro di mamma. Poi accadde qualcosa... Galeotto fu l’incontro con una comunità di tossicodipendenti della zona: "Il parroco mi chiese di portar loro una lavatrice - racconta Mauro -. Li incontrai, conobbi le loro storie. Avevano bisogno di tutto". Quella comunità abbandonò presto la struttura, ma Mauro e Norina cominciarono ad interrogarsi: "che fare se un povero bussa alla nostra porta?". In cerca di una risposta, Mauro prese ad impegnarsi nella Caritas di Pontremoli. "Allora ero ateo, la conversione religiosa sarebbe venuta dopo".

Poi l’incontro con il carcere, l’imbarazzo nel veder uscire dalle anguste celle quei detenuti con cui tanto si era parlato di come fosse la vita fuori: "sì, ma fuori verso dove?". Già, verso dove? I coniugi Cavicchioli fecero spazio nella loro casa, anzi la ampliarono per far posto a nuovi ragazzi. Oggi alla casa famiglia Giovanni XXIII abitano in venti: ex detenuti, detenuti in stato di detenzione domiciliare o in affidamento; e con Mauro e Norina, le rispettive madri, i figli naturali Lisa, Michele e Francesca e l’ultima new entry Lorella, in affidamento. Mauro ha deciso di lasciare il lavoro per dedicarsi completamente ai suoi ragazzi. E con loro ha costruito una interessante attività economica: si chiama il Pungiglione, è una cooperativa sociale di tipo "b" e produce l’unico miele di origine protetta (dop) certificato in Italia. I ragazzi di Mauro e Norina lavorano in un vecchio capannone (ora in fase di ristrutturazione) dove un tempo si fabbricava la dinamite: rendendo arsenale di pace ciò che era arsenale di guerra.

Perché il miele? "Io e mia moglie coltivavamo, in gioventù, l’hobby della produzione di miele. Fu un ragazzo della nostra comunità ad incoraggiarci: "voi tornate tra gli alveari, io, che so di falegnameria, mi occuperò di costruire le arnie". Quello che iniziò quasi per scommessa oggi è una bella realtà: il miele di acacia e di castagno dop della Lunigiana, ottenuto grazie a tecniche di produzione biologiche, è conosciuto in tutto il Paese, grazie alle grandi catene di distribuzione commerciale (Esselunga, Coop, Standa). Al "Pungiglione" se ne confeziona 400 quintali all’anno. Ma qui, nel reparto di falegnameria, si realizzano anche tremila arnie all’anno. Alla cooperativa "Il Pungiglione" fanno riferimento una quarantina di altri apicultori del territorio protetto dall’Unione Europea (la dop va da Pontremoli a Fivizzano, passando per Aulla, Fosdinovo, Fivizzano).

Intanto i ragazzi di Mauro e Norina crescono in autostima, si sentono accolti, imparano ad amare. Merito della comunità, certo, ma anche di tutti quegli enti che hanno creduto sin dall’inizio in questa iniziativa: l’Ente Cassa di risparmio di Firenze, le fondazioni della Cassa di risparmio di Carrara, della Spezia, di Lucca, del Monte dei Paschi di Siena, la Fondazione Bancaria. L’Unione Europea, la Regione, la comunità montana della Lunigiana, il Ministero di Grazia e giustizia e la Caritas italiana.

 

A Livorno c’è anche chi lavora alla coop

 

Carceri sovraffollate, strutture inospitali, aumento dei suicidi in cella. Tinteggiando così il sistema penitenziario italiano resta difficile intravedere sfumature di speranza. Ma segnali in controtendenza ci sono e non hanno a che vedere con richieste di amnistia. A Livorno ad esempio si è appena concluso un corso di formazione professionale per dieci soggetti in misura alternativa: dopo 140 ore di lezione e 160 di stage quattro ragazzi sono già stati assunti per lavorare dietro un bancone di un supermercato.

"Spesso la cronaca si occupa di persone ammesse ai benefici delle misure alternative alla detenzione solo per segnalare quelle che ne fanno un cattivo uso, questa volta parliamo di gente che si è impegnata a fondo per riuscire a conquistarsi un lavoro". Salvatore Nasca, direttore dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna del Ministero della Giustizia di Livorno, non nasconde una venatura polemica nel presentarci quest’iniziativa sui generis promossa dal suo ufficio in collaborazione con la Provincia di Livorno, Ceis e Unicoop Tirreno. "Se c’è forte integrazione tra gli Uffici del ministero - dice Nasca - e i soggetti territoriali i risultati positivi arrivano e contribuiscono a far abbattere i pregiudizi e le chiusure da parte dei datori di lavoro e della società in genere".

Nasca ci tiene a sottolineare che i problemi del sistema penitenziario non vanno limitati ai problemi connessi al carcere. I numeri parlano chiaro: oggi i detenuti sono 59.523 ma i soggetti in misura alternativa arrivano a 50.000 (31.958 in affidamento in prova, 3.458 in semilibertà, 14.527 in detenzione domiciliare - dati 2005, fonte: Ministero della Giustizia).

Lo scorso maggio, ricorda Nasca, molti direttori ed operatori degli Uffici Esecuzione Penale Esterna hanno firmato un Appello per una nuova politica della pena. In uno dei punti clou si legge: "Da un lato il sistema della detenzione è sull’orlo dell’esplosione a causa del sovraffollamento degli istituti, dall’altro quello dell’esecuzione penale esterna è privo di una chiara missione ed in condizioni di tale povertà di risorse e operatori da spingerlo alla paralisi operativa". "Non si capisce - spiega Nasca - perché un detenuto in carcere costi allo Stato circa 250 euro al giorno e al momento i cui si decide di metterlo fuori per misure alternative non si predispone per lui neanche un euro come se improvvisamente non avesse più bisogno di niente". Ecco perché in questa delicata fase di passaggio di legislatura non ci si può limitare ad affrontare i problemi del sistema penitenziario con una mera richiesta di amnistia. Casomai - si legge tra le righe nell’Appello - è urgente deflazionare il ricorso al carcere potenziando le risorse dell’esecuzione penale esterna. Anche per evitare che la comunità interpreti l’amnistia concludendo che "meno carcere significhi meno sicurezza per i cittadini".

"Credo - dice Nasca - che la più bella definizione di quello che dovrebbe essere il nostro ruolo l’abbia data Giovanni Paolo II nel suo messaggio del 2000 per il Giubileo nelle carceri, che troppo spesso è stato travisato o strumentalizzato come una richiesta di amnistia. Il papa diceva che quando un reato viene commesso "la collaborazione al bene comune si traduce per ciascuno, entro i limiti della sua competenza, nell’impegno di contribuire alla predisposizione di cammini di redenzione e di crescita personale e comunitaria improntati alla responsabilità".

Vale a dire? "Che le misure alternative non sono un modo per liberare le carceri dal sovraffollamento, come spesso si dice, ma devono essere un percorso ben pensato improntato al recupero della responsabilità per chi ha commesso un reato. I condannati sono dei cittadini che hanno avuto un "incidente di percorso" e che hanno bisogno di essere aiutati - senza nessuna corsia preferenziale ma con un cammino serio di responsabilizzazione - a tornare ad essere cittadini come tutti gli altri, senza rimanere per sempre cittadini di serie B. Negli ultimi tempi sta sempre più prendendo corpo il concetto della cosiddetta giustizia riparativa che io condivido moltissimo: l’idea cioè che i condannati possano in qualche modo restituire almeno un poco del male fatto facendo lavori di pubblica utilità. Qui sta la vera rieducazione e in questo modo si allontanano molti pregiudizi nei confronti dei condannati: l’immagine del mostro comincia a sciogliersi. Vedere che un condannato fa qualcosa di utile alla collettività è importante per la gente comune che non penserà più ai detenuti solo come a coloro che scontano una pena vivendo totalmente a carico dello Stato ed è importante per il cammino di recupero della responsabilità da parte dei condannati stessi".

 

Ed è l’unico in Italia di origine protetta

 

Il miele di acacia dop della Lunigiana è quasi incolore, dall’odore leggero, fruttato, simile a quello dei fiori e dal sapore decisamente dolce. Quello di castagno dal colore ambra scuro, odore forte e penetrante, sapore persistente. La Bioagricoop certifica la scrupolosa adesione dei produttori al disciplinare della dop e alle tecniche di produzione biologica. Dall’associazione Papa Giovanni XXIII nascono anche iniziative missionarie: la costruzione di un centro di formazione in apicoltura nella baraccopoli di Soweto in Kenia o la produzione di telaini in legno e la raccolta di cera biologica a Iringa, in Tanzania. Molti dei telaini che troviamo qui vengono proprio dall’Africa: "ogni 50 telaini acquistati, una famiglia della Tanzania può vivere decorosamente per un intero anno". Nel periodo estivo, "Il Pungiglione" promuove campi di lavoro e condivisione (per adesioni e informazioni telefonare al 0187.850022 o 348.2488124) Buono, infine, il rapporto di collaborazione con Toscana Miele, associazione di categoria che si occupa della gestione della mieleria e della commercializzazione del miele.

Gorgona: vivere la vocazione su un’isola-carcere

 

Toscana Oggi, 6 luglio 2006

 

Fra Brioschi ha 39 anni, è nato in un paesino dell’interland milanese e da più di dieci anni fa parte della comunità S. Spirito, un’Associazione di Consacrati che si ispira alla regola francescana e che dal 2002 è presente a Rosignano Marittimo. Ma fra Annalisa non abita in Comunità, da otto mesi il vescovo di Livorno monsignor Diego Coletti le ha affidato la cura pastorale degli abitanti dell’isola di Gorgona. La popolazione di Gorgona ammonta a circa cento abitanti: 65 detenuti, alcune guardie carcerarie con le loro famiglie ed altre 15 persone. I detenuti lavorano come muratori, fabbri, falegnami, oppure si dedicano alla pulizia delle strade, alla manutenzione dei locali e agli animali.

È un carcere ambito, perché qui si lavora e si vive praticamente liberi. Gorgona attualmente non ha un sacerdote fisso: il sabato i cappellani militari che risiedono a Livorno, a turno si recano sull’isola per celebrare la Messa, ma durante il resto della settimana c’è Annalisa a fare da catechista, da cappellano, e punto di riferimento per la fede. "L’idea è nata da sé - racconta fra Brioschi - avevo chiesto di poter fare un’esperienza di preghiera e solitudine e dopo altre proposte è emersa l’idea di Gorgona. All’inizio ero perplessa, tuttavia incoraggiata dal Vescovo e anche da una certa spinta interiore ho accettato". Vivere su un’isola carcere non è certo facile: "Sono qui solo da poco - continua - ma mi sono resa conto che Gorgona sta uscendo con fatica da un periodo difficile: i due omicidi del 2003, le conseguenti ripercussioni sul personale soprattutto dirigenziale e l’assenza per qualche anno di una figura religiosa stabile, hanno indotto nella gente un senso di incertezza ed anche una certa sfiducia nella storia. Tuttavia si stanno concretizzando, grazie alle iniziative dell’attuale direttore il dottor Salvatore Iodice, dei progetti orientati a "rilanciare" l’isola, valorizzando il lavoro dei detenuti e questo apre alla speranza".

"Personalmente - conclude - dopo aver superato le difficoltà iniziali: la fatica di vivere in un luogo che è un carcere, il quale richiede atteggiamenti regolati dalla prudenza, ed alcune limitazioni legate anche agli spostamenti tra l’isola e la terraferma, posso affermare di essermi piuttosto adeguata, cercando di proporre la mia figura con un certa cautela, quasi in punta di piedi, accettando le regole del carcere". La giornata di fra Brioschi è scandita dalla preghiera e dall’apostolato nel carcere. Ogni giorno incontra i detenuti, gli educatori, gli psicologi ed una volta a settimana anche i parenti dei detenuti. Ha preparato alcuni di loro alla prima Comunione ed altri alla Cresima.

Giustizia: se la detenzione diventa umanamente indegna

 

Toscana Oggi, 6 luglio 2006

 

Al volgere della legislatura, e a maggior ragione con l’alternanza del governo, viene spontaneo fare una panoramica sulla situazione generale del paese, sui problemi della gente, sui programmi, sui conti. In questa ricognizione non può mancare l’esame delle condizioni di vita di quella parte di popolazione che vive reclusa dietro le sbarre, in espiazione di pena o in attesa di giudizio. È parte di noi, delle nostre famiglie, delle nostre vicende; non è fatta di esclusi o di espulsi. La società tiene giusto il castigo per chi ha sbagliato nel calpestare i diritti altrui e per ammonire; ma lo scopo ultimo della pena è quello di togliere il reo dalla via del delitto, recuperarlo, emendarlo.

Al mondo del carcere, isola di sofferenza, la gente presta un’attenzione discontinua; a volte si turba nel sentire che le condizioni di vita, il disagio e il dolore, sono al limite del sopportabile, e chiede maggiore umanità e qualche gesto di clemenza; altre volte, pressata dall’allarme sociale dei quotidiani delitti si sente assediata dalla criminalità diffusa, e chiede rigore inflessibile. I dibattiti ricorrenti sull’amnistia e sull’indulto, che negli ultimi tempi hanno accompagnato speranze e disperazioni, ne raccolgono i sintomi.

In Italia, il problema cruciale del sistema carcerario è il sovraffollamento, 60mila detenuti stipati in uno spazio sufficiente per 40mila. È un sovrappiù di sofferenza, rispetto alla privazione della libertà, che aggiunge qualcosa di ingiustamente crudele, sul piano della dignità umana. Più che redimere, genera semi di aggressività e di violenza. Quanto si è discusso, da Beccaria in poi, sulla filosofia del castigo, sulla giustificazione e sullo scopo, su quel che si paga e quel che si investe mettendo un uomo in ceppi; sull’equazione retributiva del taglione, occhio per occhio; sulla forza dissuasiva e intimidativa; sul ravvedimento e sull’emenda. Il rispetto della dignità umana è il primo ingrediente della riabilitazione che la pena insegue. Se manca la dignità della persona, se la punizione è "umanamente indegna", tutto si perverte e diviene un controsenso, un brutale esercizio che rincalza il puro dogma della forza, senza un orizzonte etico, e persino senza utilità.

Un carcere così è fuorilegge. Non ci metto parole mie, lascio parlare la legge n. 354 del 1975, che dice come devono essere fatti gli edifici penitenziari, per "accogliere un numero non elevato di detenuti"; e come devono essere i locali di soggiorno e di pernottamento; e le attrezzature per le attività lavorative, scolastiche, ricreative, culturali; e poi il trattamento rieducativo "individualizzato"; e poi i contatti risocializzanti con il mondo esterno; e poi, e poi infinite cose che par di sognare, e che sono rimaste nel cassetto dei sogni; o per dirla più chiara nel cassonetto delle promesse tradite. È gravissimo che lo sappiamo tutti, parlamento e governo compresi, e che si neghi ripetutamente un gesto di clemenza pur minimo, una goccia d’acqua nell’arsura dei disperati.

Libri: intervista a Emilia Patruno per "Avanzi di galera"

 

Postano on-line, 6 luglio 2006

 

"Avanzi di galera" (Guido Tommasi Editore) è un libro di ricette di cucina, nato tra e con i detenuti di San Vittore, premiato alla quinta edizione del Premio di Letteratura enogastronomica Minori-Costa d’Amalfi. Un volume frutto di un’idea originale che certamente ha un fondamento. Ne parliamo con Emilia Patruno, giornalista di Famiglia Cristiana, ideatrice del progetto "Per la comunicazione dal carcere e nel carcere".

 

Ma come nasce l’idea?

Amo sottolineare che è un libro di "frammenti di vita", anzi di "briciole di vita" per usare la terminologia culinaria. Il cibo non è solo alimento che si deglutisce e che nutre. È un insieme di emozioni, sensazioni, di sogni e di ricordi che, all’interno di un non-luogo, diventa vita, possibilità di sperare, di vivere ancora là dove il corpo è colpito duramente. Il cibo rappresenta, così, l’unica via d’uscita ad un disagio al limite dell’umano. Mangiare è importante per tutti ma, in una dimensione esistenziale come quella carceraria, lo è ancora di più.

 

Questa esperienza di "notorietà" quanto ha dato ai detenuti?

Il carcere è il luogo dell’esclusione. Ciò che manca più di tutto è l’essere interpellato. Essere messi insieme per un progetto ha rappresentato un divertimento, ma anche l’elaborazione di una propria esperienza umana. Dal racconto di sé, della personale tragedia è emersa una voglia di vivere. Nelle pieghe di un luogo della non-vita, c’è vita. La scelta della Giuria ha significato un’attenzione verso chi, spesso, non ha più identità.

 

Sì, ma stasera mancano i veri autori…

L’assenza è ovvia. Il Premio, però, è un segno che si può percorrere un cammino alternativo che è quello di "voler guardare" ciò che, invece, non si deve vedere. San Vittore è al centro di Milano a pochi passi dal Duomo. Proibire di entrare, anche solo con lo sguardo, entro muri dove si accalcano circa 1200 persone, per la società significa perdere una grande occasione di ulteriore maturazione. La scelta del cibo, come elemento comune per un confronto, ha messo ognuno di loro in grado di raccontare il meglio di sé.

 

È il primo esperimento letterario del genere?

Abbiamo realizzato già un libro sul linguaggio carcerario dal titolo "Pugni nel muro" ed un gioco "Criminal Mouse" inventato dai detenuti i quali hanno scritto il regolamento del gioco stesso con la consapevolezza di essere stati fuori dalle regole.

 

A parte il coraggio dell’editore Guido Tommasi nel pubblicare il libro, quanto o cosa questo lavoro ha dato a voi del progetto?

Una enorme gratificazione nell’essere riusciti a far emergere la personalità creativa di questi individui. Credo che il mondo dietro le sbarre sia un po’ come i limoni di questa splendida costa: buccia amara e polpa acre ma che sanno concertare sapori e profumi che sono il gusto della vita".

 

Pur affrontando temi più strettamente legati al turismo enogastronomico, l’edizione di quest’anno del Premio Minori ha voluto spostare l’attenzione su un mondo diverso, quello carcerario.

"Questo perché - ha sostenuto Tullio Gregory, presidente della Giuria - l’arte dei sapori non ha confini, come il turismo". Assunto condiviso da Giuseppe Liuccio, ideatore del Premio che vuole essere - ha sottolineato ancora una volta - uno strumento per l’affermazione di un turismo di qualità.

 

 

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