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Indulto: anche il Senato approva lo "sconto di pena" di 3 anni
Ristretti Orizzonti, 29 luglio 2006
Il Senato ha approvato oggi senza apportare modifiche il disegno di legge sull’indulto, che era stato licenziato giovedì scorso dalla Camera dei Deputati. I voti favorevoli sono stati 245, su un totale di 307 votanti (la maggioranza richiesta era di 215, i 2/3 degli aventi diritto). Il condono di 3 anni sulle pene detentive e di 10.000 euro sulle pene pecuniarie diventa quindi legge dello Stato. L’entrata in vigore solo dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, tra 15 giorni. Giustizia: sotto l’indulto… niente, di Sergio Segio
Redattore Sociale, 29 luglio 2006
Contraddizioni e auspici a margine del provvedimento votato alla Camera. di Sergio Segio Dopo 16 anni dall’ultima volta e dopo sei dalla grande speranza del Giubileo, alfine è arrivato il voto positivo della Camera sull’indulto. L’amnistia si è persa silenziosamente per strada, determinando il controsenso che i magistrati continueranno a lavorare su procedimenti e definiranno condanne in buona parte destinate a essere archiviati e condonate. Si è posto insomma mano al sovraffollamento carcerario ma non a quello dei fascicoli giudiziari, questioni invece strettamente connesse. Schizofrenia del legislatore o misteri degli accordi politici. In compenso si sono esclusi reati poco rappresentati e di scarsa incidenza, mentre se ne sono compresi altri dai gravi riflessi per la collettività: non tanto quelli sulla pubblica amministrazione, ma quelli in materia di lavoro e ambientale, che hanno visto la timida protesta della sola Cgil, protesta resa invisibile a differenza di quella, enfatizzata oltre modo, del ministro Di Pietro. La cui posizione, peraltro, risulta del tutto coerente, seppur furbescamente, con la sua storia e convinzioni. Meno comprensibile, a prima vista, quella del segretario Diliberto. Non fosse che - con tutto il rispetto per la persona - va ricordato che è egli stato il ministro Guardasigilli durante il massacro dei detenuti nel carcere di Sassari e il defenestratore da capo dell’Amministrazione penitenziaria, per far posto a Giancarlo Caselli, di Alessandro Margara, massimo esperto di cose penitenziarie in Italia, oltre che gran galantuomo. Del resto, l’indulto, per propria ratio, non dovrebbe mai prevedere esclusioni. Ma assieme all’amnistia si è perso per strada quel "piccolo piano Marshall" per le carceri, vale a dire quella proposta avanzata nel 2000 da tutte le reti delle associazioni, del volontariato, della cooperazione sociale, dei sindacati, delle comunità di accoglienza, persino delle piccole imprese artigiane, che diceva una cosa semplice: la gran parte dei reclusi è costituita da poveri, immigrati, tossicodipendenti. 1 su 4 non ha casa dove andare quando esce, 1 su 2 non possiede istruzione e lavoro. Se non si predispone un piano eccezionale di sostegno al reinserimento sociale e lavorativo, almeno il 60% di coloro che usciranno dal carcere è destinato a tornarvi in breve tempo. Come "cartello" nazionale di realtà presenti sul territorio e attive sui temi del disagio - dicemmo e scrivemmo su intere pagine sul "Corriere della Sera"- siamo a disposizione per questo piano, per fare da "paracadute", da ponte tra carcere e società, ed evitare che si inneschi la spirale della recidiva, altrimenti certa. È possibile salvaguardare assieme clemenza, umanità e legalità nelle carceri con un discorso di sicurezza dei cittadini e sul territorio. Basta passare dalla demagogia ai progetti concreti e all’attivazione di sinergie tra il privato-sociale e le istituzioni, comprese quelle locali. Naturalmente, anche le istituzioni e il governo devono fare la loro parte, predisponendo misure adeguate, ad esempio di borse lavoro, per aiutare la rete del volontariato e del Terzo settore a gestire tale progetto, i cui costi sarebbero assai minori della detenzione in carcere o delle stesse rette che vengono corrisposte per la detenzione all’esterno o nelle comunità. E la cui resa - in termini di integrazione e di sicurezza -, prevedibilmente, infinitamente più alta. Dopo svariati incontri al ministero e col passato governo di centrosinistra e fiumi di promesse questo progetto finì in nulla, così come l’indulto e l’amnistia. A questa ripresa di iniziativa e dibattito parlamentare avremmo voluto rilanciarlo, in accordo anche con i maggiori sindacati della polizia penitenziaria e con gli operatori, ma il ministro della Giustizia non ha ritenuto di incontrare le associazioni, che lo avevano richiesto e gli avevano scritto al proposito sin da maggio, al termine di un’affollata assemblea di operatori, detenuti e volontari. Immaginiamo che gli impegni fossero molti e gravosi. Non è questo il problema. Il problema è che un indulto che nasce e finisce nel chiuso delle aule parlamentari, senza ascolto del sociale, rischia - anzi, è certo - di mandare elusi i problemi, invece centrali, del reinserimento. È purtroppo facile ipotizzare che tra non molto il pendolo politico, dopo aver battuto il necessario e tardivo colpo dalla parte della clemenza, tornerà a batterne consecutivamente molti sul versante dell’allarme sociale e delle campagne securitarie contro il crimine e i reati che sono destinati - a bocce ferme - all’aumento statistico. In ciò, come sempre, avrà un ruolo decisivo e trainante l’informazione. O meglio la disinformazione, che troppo spesso si riscontra attorno alle questioni penali e carcerarie. Un esempio c’è già oggi sulle pagine del "Corriere della Sera" dove, dalla grafica proposta, si dovrebbe intendere che l’indulto riguarderebbe ben 6.152 autori di omicidi volontari. Una cifra del tutto incredibile, che però si getta in pasto all’opinione pubblica e forse anche ai senatori che ancora dovranno discutere e auspicabilmente approvare il provvedimento. I detenuti e i volontari intanto ringraziano (Di Pietro e Diliberto a parte, ovviamente), ci mancherebbe. Ma, come spesso, si rischia di aver perso una buona occasione. Giustizia: l'accoglienza per chi esce dal carcere con l’indulto
Comunicato stampa, 29 luglio 2006
L’imminente approvazione dell’indulto anche da parte del Senato, apre nel nostro territorio necessarie prospettive di attenzione verso quelle persone che ne beneficeranno. Non saranno molti coloro che varcheranno le porte del carcere di via Verdi, all’incirca una ventina, ma diversi di costoro non sono provvisti né di alloggio né di lavoro ed è ipotizzabile che per questo si ritroveranno in mezzo ad una strada senza prospettive. Il Coordinamento dei Volontari del carcere di Rovigo chiede, pertanto, che vengano attivate urgentemente tutte quelle possibilità concrete per dare risposte ai bisogni, soprattutto quelli più immediati e di prima necessità, di uomini e donne che si trovano nelle condizioni sopra descritte. Riteniamo necessario, perciò, che i soggetti pubblici e privati locali che hanno competenze e responsabilità in merito (gli assessorati alle politiche sociali comunali e provinciale, il Sert, il privato sociale, il volontariato) si coordinino e mettano in essere un piano di accoglienza, quale segnale di una città solidale e attenta alle problematiche sociali che la coinvolgono. Considerato che il presidente Marini ha affermato di poter calendarizzare la votazione del Senato anche sabato sera - fa notare Livio Ferrari - già da lunedì prossimo potrebbe iniziare il piccolo esodo dalla Casa Circondariale. Perciò è necessario agire tempestivamente, per far avere al momento dell’uscita delle indicazioni scritte precise che indichino i punti di ascolto e accoglienza predisposti in città. Dobbiamo anche tenere conto - prosegue Ferrari - che se pur conosciamo indicativamente il numero di chi ritorna in libertà da via Verdi, non abbiamo invece nessun dato dei polesano ristretti presso altri istituti e che potrebbero tornare, chiedendo a loro volta un aiuto. È fondamentale dare delle opportunità nuove a coloro che hanno sbagliato ma vogliono ritornare a vivere nella legalità - conclude Ferrari - ed ora come comunità locale ne abbiamo l’opportunità, è importante non perdere l’occasione. Anche perché la sicurezza, di cui tanto si agita lo spettro, si costruisce con il recupero e il reinserimento delle persone devianti e non con l’aumento del presidio sul territorio delle forze di polizia.
Coordinamento dei Volontari della Casa Circondariale di Rovigo Via Mure Soccorso, 5 - 45100 Rovigo Tel. 0425.200009 - Fax 0425.28385 Indulto: Caruso (Prc); sono disgustato dal voto del Pdci
Ansa, 29 luglio 2006
"Sono rimasto esterrefatto e disgustato dall’atteggiamento del Pdci". Lo afferma il deputato del Prc, Francesco Caruso commentando il voto alla Camera dei Deputati del provvedimento dell’indulto. Facendo riferimento alla scelta dei Comunisti Italiani, Caruso dice che "farebbero bene a stare alla larga, in piazza e nelle mobilitazioni, da chi rischia ogni giorno la galera per le lotte e le mobilitazioni sociali". "Il voto favorevole di oggi alla Camera dell’indulto rappresenta un successo importante ma non sufficiente. Bisogna rilanciare a settembre la lotta, dentro e fuori le carceri, dentro e fuori il parlamento, per un provvedimento di amnistia generalizzata e per la depenalizzazione dei reati di lotta", aggiunge ancora il parlamentare del Pdci. "Ci sono oltre 11.000 attivisti dei movimenti (da Nunzio D’Erme e i compagni di Roma reclusi da settimane per le proteste contro il carovita fino ad arrivare agli inquisiti di Genova, Napoli, Milano, Cosenza) denunciati e sotto processo, la cui unica colpa è quella di aver disobbedito e lottato contro le ingiustizie, le politiche neoliberiste e le guerre. Bisogna liberare questa generazione politica", conclude Caruso. Manconi: commissione d'indagine su regolamento carcerario
Ansa, 29 luglio 2006
"Intendo promuovere la costituzione di una Commissione Ministeriale, con personalità molto competenti, delegata a verificare l’attuazione del regolamento penitenziario con indagini condotte carcere per carcere. La sua istituzione non richiederà denaro". Lo ha reso noto il sottosegretario della Giustizia con delega all’amministrazione penitenziaria, Luigi Manconi, intervenendo - nella sala del Cenacolo della Camera - al convegno sull’amministrazione penitenziaria promossa da Antigone. Inoltre, Manconi si augura, entro oggi, l’approvazione dell’indulto "che contribuirebbe alla fine del sovraffollamento nelle carceri che, adesso, crea una emergenza costante che impedisce qualunque progettualità". "Con 12-13 mila detenuti in meno - ha spiegato Manconi - si possono affrontare le riforme complessive del sistema penitenziario". Il sottosegretario ha, infine, reso noto che oggi avrà "un primo incontro con le organizzazioni sindacali e questo è un segno di discontinuità rispetto al passato". Indulto: Manconi; serve a sanare una disparità di trattamento
Ansa, 29 luglio 2006
L’indulto serve a sanare disparità di trattamento dei detenuti: lo afferma Luigi Manconi, sottosegretario alla Giustizia con delega alle carceri, facendo osservare che "se il quaranta per cento dei detenuti è in attesa di giudizio, il sessanta per cento dei condannati sta scontando una pena o un residuo di pena inferiore ai tre anni, quindi o è condannato per fatti minori o è al termine di una pena più lunga e ormai prossimo alla scarcerazione". "Questa è la popolazione che attende con ansia la decisione del Parlamento - sottolinea Manconi -. L’indulto è un provvedimento di clemenza rivolto a loro, per sanare una disparità di trattamento, per impedire il protrarsi di condizioni di detenzione contrarie al senso di umanità, per porre le basi per una riforma organica del sistema penale e penitenziario. La sostanza di cui discutiamo è questa e solo questa, e su questa sostanza ciascun parlamentare deve assumersi pubblicamente le proprie responsabilità, davanti al Paese e davanti a quelle sessantunomila persone". Per i detenuti, dice il sottosegretario, "il carcere si rivela la più classista e discriminatoria delle istituzioni del nostro paese, con un’ ampia componente di poveri e poverissimi, dove è elevato il tasso di analfabetismo e dove oltre il 43% dispone solo la licenza elementare, un sistema criminogeno e patogeno che riproduce all’infinito crimine e criminali e che cronicizza le più diffuse patologie e ne determina di nuove; una popolazione segnata dallo svantaggio sociale, non solo nelle condizioni che ha portato la gran parte di loro a commettere un reato, ma anche nella incapacità per limiti economici, culturali e finanche linguistici - di difendersi nella aule di giustizia". Indulto: alla Camera 460 hanno votato "sì", 94 "no", 18 astenuti
Vita, 29 luglio 2006
La Camera ha approvato l’indulto. I voti a favore sono stati 460, quelli contrari 94, 18 gli astenuti. La maggioranza richiesta era di 420 voti. Il provvedimento ora passa al Senato. "È stato raggiunto il quorum con un ampio margine su una misura di carattere umanitario che secondo me era giusta. io sono sempre stato infatti favorevole all’indulto", ha detto il vicepremier Massimo D’Alema. Alla domanda di un cronista su come considera la posizione del ministro Di Pietro, che ha sempre dato battaglia sull’indulto, D’Alema ha risposto:"Ognuno è libero di esprimere le proprie opinioni, comunque è una questione che non riguarda né la maggioranza né il governo". Critico il segretario generale di Magistratura Democratica (Md), Ignazio Juan Patrone: "La clemenza dovrebbe "essere mirata alle persone che stanno realmente in carcere a causa della dissennata politica repressiva portata avanti durante la passata legislatura e non diventare l’ennesimo colpo di spugna per reati economico-finanziari di estrema gravità, alcuni dei quali ancora in corso di accertamento, che già sono stati trasformati dal legislatore in poco più che bagattelle pur avendo provocato decine di migliaia di vittime e danni incalcolabili", ha dichiarato. "Il provvedimento di indulto all’esame del Parlamento, pur se motivato da esigenze umanitarie serie e reali, è formulato in modo tale da non potersi sottrarre alla critica più stringente: tra le esclusioni oggettive non sono compresi, come già denunciato dalla Cgil, i reati relativi alla sicurezza della vita umana e della salute sui luoghi di lavoro, né quei reati, come l’usura, da sempre collegati alle associazioni criminali, né le violazioni tributarie o i più gravi delitti contro la Pubblica Amministrazione e l’economia, e non viene prevista quella condizione del risarcimento del danno e della restituzione del maltolto che avrebbe almeno garantito un minimo ristoro delle ragioni delle parti offese". Indulto: Segio; ma l’amnistia si è persa per strada
Vita, 29 luglio 2006
"Dopo 16 anni dall’ultima volta e dopo sei dalla grande speranza del Giubileo, alfine è arrivato il voto positivo della Camera sull’indulto. L’amnistia si è persa silenziosamente per strada, determinando il controsenso che i magistrati continueranno a lavorare su procedimenti e definiranno condanne in buona parte destinate a essere archiviati e condonate". È una delle riflessioni di Sergio Segio, responsabile dell’Associazione Società Informazione e membro della giunta della Conferenza nazionale Volontariato Giustizia. Secondo Segio, ex militante di Prima Linea, da anni impegnato nelle lotte per il reinserimento dei detenuti, "si è posto insomma mano al sovraffollamento carcerario ma non a quello dei fascicoli giudiziari, questioni invece strettamente connesse. Schizofrenia del legislatore o misteri degli accordi politici" In compenso, dal provvedimento, secondo Segio, "si sono esclusi reati poco rappresentati e di scarsa incidenza, mentre se ne sono compresi altri dai gravi riflessi per la collettività: non tanto quelli sulla pubblica amministrazione, ma quelli in materia di lavoro e ambientale, che hanno visto la timida protesta della sola Cgil, protesta resa invisibile a differenza di quella, enfatizzata oltre modo, del ministro Di Pietro. La cui posizione, peraltro, risulta del tutto coerente, seppur furbescamente, con la sua storia e convinzioni". Meno comprensibile, a prima vista, a giudizio dell’ex collaboratore di don Ciotti, è la posizione "del segretario Diliberto. Non fosse che, con tutto il rispetto per la persona, va ricordato che è egli stato il ministro Guardasigilli durante il massacro dei detenuti nel carcere di Sassari e il defenestratore da capo dell’Amministrazione penitenziaria, per far posto a Giancarlo Caselli, di Alessandro Margara, massimo esperto di cose penitenziarie in Italia, oltre che gran galantuomo". Assieme all’amnistia si è perso per strada quel "piccolo piano Marshall" per le carceri, vale a dire, spiega ancora Sergio Segio, quella proposta avanzata nel 2000 da tutte le reti delle associazioni, del volontariato, della cooperazione sociale, dei sindacati, delle comunità di accoglienza, persino delle piccole imprese artigiane, che diceva una cosa semplice: la gran parte dei reclusi è costituita da poveri, immigrati, tossicodipendenti". Di loro, recitano i dati, "uno su 4 non ha casa dove andare quando esce, 1 su 2 non possiede istruzione e lavoro. Se non si predispone un piano eccezionale di sostegno al reinserimento sociale e lavorativo, almeno il 60% di coloro che usciranno dal carcere è destinato a tornarvi in breve tempo. Come "cartello" nazionale di realtà presenti sul territorio e attive sui temi del disagio siamo a disposizione - continua Sergio Segio - per questo piano, per fare da "paracadute", da ponte tra carcere e società, ed evitare che si inneschi la spirale della recidiva, altrimenti certa". "È purtroppo facile ipotizzare che tra non molto il pendolo politico, dopo aver battuto il necessario e tardivo colpo dalla parte della clemenza, tornerà a batterne consecutivamente molti sul versante dell’allarme sociale e delle campagne securitarie contro il crimine e i reati che sono destinati,a bocce ferme, all’aumento statistico" Napoli: nel carcere di Secondigliano la sezione "morgue"
Il Manifesto, 29 luglio 2006
Un numero record di decessi. Parecchi i suicidi, ma anche molte malattie sottovalutate, non diagnosticate, ignorate. Eppure il carcere ospita un "centro clinico" Violenze sui reclusi, più volte denunciate, ma tutte le inchieste si sono chiuse con l’assoluzione degli agenti di custodia. Istituito ora un "garante dei detenuti" Dario Stefano Dell’Aquila Napoli Venti morti, tra suicidi e malattie, nell’ultimo anno e mezzo. È questo il triste primato del carcere di Secondigliano, periferia di Napoli Nord, a due passi da Scampia. Un carcere che ospita 1.475 detenuti per una capienza ufficiale di 1.028 posti, con un Centro Clinico in cui vi sono circa 40 detenuti affetti da HIV. Gli ultimi suicidi, tre, da questa primavera ad oggi, appaiono solo l’epilogo di una manifesta situazione di crisi.
Una primavera di morte
La contabilità, alquanto triste, ha subito infatti una rapida accelerazione. Ultimo, in ordine di tempo, Carmelo Perrone, 43 anni, deceduto il primo luglio (ma la notizia è trapelata soltanto una settimana dopo) all’Ospedale Cardarelli, proveniente dall’Istituto penitenziario di Secondigliano. Perrone è stato ricoverato in ospedale appena due giorni prima il suo decesso; è arrivato in ospedale in condizioni ormai critiche e disperate. Non proveniva dal Centro Clinico del carcere, ma semplicemente dalla sezione Infermeria. Da tempo si mostrava apatico, in condizioni fisiche di evidente disagio, a sentire le testimonianze; ma la sua morte sembra dimostrare che la sua malattia non ha incontrato né attenzione né cura. Lorenzo Pino, 47 anni, fine pena nel 2007, si è ucciso il 23 maggio, impiccandosi nella sua cella di pomeriggio. La sorella, Lucia, denuncia che al dolore per la scomparsa, si è aggiunta anche l’umiliazione di apprendere la notizia solo due giorni dopo. "Ho ricevuto il 25 la telefonata di un conoscente che mi informava che era accaduto qualcosa di brutto. Quando mi sono recata presso al direzione dell’Istituto ho appreso che mio fratello era morto due giorni prima". Nessuno aveva avvisato la famiglia. Un compito, spiega la direzione dell’istituto, che spetta ai carabinieri e non all’amministrazione penitenziaria. Lorenzo aveva problemi di salute, più volte aveva richiesto assistenza - a detta dei familiari - senza ricevere risposta. La sua pena sarebbe finita nel 2007, ma quei pochi mesi che mancavano alla libertà devono essere sembrati eterni. La sua morte ha chiuso un mese tragico, quello di maggio, che si è aperto con la scomparsa per malattia di Domenico Libri, morto nel Centro Clinico, all’età di 72 anni. Il 18 maggio si è invece tolto la vita, sempre impiccandosi, Lucio Addeo, 44 anni, imprenditore. Addeo, titolare di un’azienda di ortofrutta, era in carcere da pochi mesi, coinvolto in un’inchiesta cui si proclamava estraneo. Ai colloqui era emerso lo stato di profonda depressione in cui era caduto dopo l’arresto, ma i timori della famiglia sono valsi a poco; nessuna vigilanza particolare è stata attivata. Il 23 marzo si era invece tolto la vita Ovidiu Duduianu, rumeno di 32 anni, detenuto in isolamento, la sua condanna era appena divenuta definitiva. Due giorni dopo, un detenuto di 73 anni, Luigi Fiorenza, è morto dopo il trasporto in ospedale. Mentre il primo aprile Salvatore Livello moriva, per malattia a soli 48 anni. Non potete avere idea "La situazione è molto più drammatica di quanto la mente umana possa immaginare" scrive Mario Scrimieri, ex detenuto, ricordando al sua esperienza a Secondigliano. Francesco Caruso (indipendente del Prc), che ha inaugurato il suo mandato di parlamentare visitando istituti di pena in mezza Italia, ha depositato, due settimane fa, un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia che disegna un quadro a tinte fosche delle condizioni di alcuni reparti da lui visitati nel carcere napoletano. Cinque detenuti della Terza Sezione Infermeria "Psichiatrica" sono stati trovati in celle prive di ogni mobile, "se non di un letto e un materasso in gommapiuma, senza lenzuola, tavolo, sedie e persino carta igienica (...) i bagni sono sprovvisti di porte e pertanto laddove in cella vi sono due detenuti ognuno deve effettuare i suoi bisogni fisiologici alla vista dell’altro". Lo stesso Caruso racconta di essere rimasto molto stupito quando ha visto una cella, in almeno due occasioni, sulla cui porta di ingresso vi era scritto "sala di coercizione fisica" con un letto di contenzione utilizzato per detenuti con problemi psichiatrici. Nessun medico risultava presente in reparto al momento della visita.
L’allarme degli educatori
È evidente che la crescita esponenziale della popolazione detenuta (più che raddoppiata negli ultimi dieci anni) ha determinato una generale crisi del sistema penitenziario. Eppure il numero di decessi avvenuti nel penitenziario campano, sembra richiedere un supplemento di analisi. Imma Carpiniello, dell’Associazione Antigone Napoli, che per prima ha segnalato gli episodi di suicidio, spiega "è vero che il costante taglio del governo di centrodestra che, nelle ultime tre finanziarie ha ridotto le risorse, ma è anche vero che la presenza in questo carcere di un Centro Clinico non appare un’argomentazione valida, in quanto in altri istituti che ospitano analoghe strutture (Pisa, S. Vittore, Parma, Poggioreale) non si ha una così alta incidenza di decessi". Anche Samuele Ciambriello, presidente dell’Associazione Città Invisibile, concorda su una crisi che, spiega "dipende da una grave insufficienza di uomini e risorse". Certo, se si cercano le cause di questa crisi, viene alla luce un documento presentato dagli educatori ben sei anni fa all’allora direttore del Dap, Giancarlo Caselli, che riletto oggi sembra essere tristemente profetico. "A Secondigliano - scrivevano gli educatori nel 2000 - sono in servizio 900 poliziotti penitenziari e 9 educatori (su un organico previsto di venti unità); il rapporto operatore/utente per questi ultimi è di 1 a 170. Gli psicologi sono appena 5, assunti con convenzioni che offrono 30,5 ore mensili di consulenza (circa mezzo minuto al giorno per utente). I detenuti con posizione giuridica di definitivo, quelli per cui la legge impone di attivare la cosiddetta osservazione scientifica della personalità, sono quasi 900". Oggi, la situazione appare peggiorata con l’aumento dei detenuti definitivi, circa 1.100, e la diminuzione degli educatori.
Il nuovo garante per i detenuti
La gravità della situazione è evidente. Il Consiglio regionale della Campania ha approvato, all’unanimità, il cinque luglio scorso, la proposta, firmata da Luisa Bossa (Ds), presidente della Commissione Regionale politiche sociali per l’istituzione del Garante Regionale per le persone ristrette. Ma in attesa di un provvedimento di amnistia e di indulto e di un intervento del nuovo governo che inverta la rotta tracciata da Castelli, i nodi da sciogliere sono ancora molti. Beppe Battaglia, della Federazione Città Sociale, segnala la criticità delle condizioni dei detenuti affetti da Hiv. Da diverso tempo si verificano delle difficoltà nel servizio scorte e traduzioni, che ha il compito di accompagnare i detenuti ai controlli medici che si svolgono nel reparto malattie infettive del vicino ospedale Cotugno. Un problema, quello delle scorte, che costringe spesso i detenuti, anche di altri istituti, a saltare visite e controlli. Un problema di carenza di personale che, insieme ad una cattiva organizzazione, mette ulteriormente a rischio la salute di persone già gravemente malate. Francesco Maranta (Pdci), componente della Commissione regionale Sanità sino ad un anno fa, attribuisce le difficoltà "ad una mancata riforma della sanità penitenziaria, che ha determinato incertezza di competenze tra regioni e ministero". Con il contingentamento delle spese anche la disponibilità di farmaci all’interno dell’istituto è diventata difficile, con oltre il 60% della popolazione detenuta che soffre di patologie croniche. Quali che siano le cause di molti decessi è difficile dirlo, ma è certo che su molte morti permane un alone di incertezza. La morte di Luigi Maione presenta aspetti poco chiari, almeno a sentire le testimonianze dei suoi compagni di cella. Ancora non chiarita neppure la morte di Francesco Pirozzi, che nel novembre 2004 è deceduto in carcere per overdose. Non si è mai stabilito chi gli ha fornito la dose fatale. Mentre per il caso di Domenico Del Duca, affetto da Hiv, morto a dicembre del 2004 dopo un’irruzione con idranti di agenti di polizia penitenziaria nella cella in cui si era barricato, il pubblico ministero della Procura di Napoli, Maria Rosaria Bruni, ha disposto l’archiviazione. Complessivamente, nell’istituto di pena, già al centro di due inchieste della magistratura, entrambe concluse con l’assoluzione degli agenti indagati per maltrattamenti, sono venticinque le morti negli ultimi due anni. Dati che si possono archiviare nei procedimenti penali, più difficilmente nelle coscienze civili. Roma: per i transessuali c'è una sola ora d’aria al giorno
Comunicato stampa, 29 luglio 2006
"Sulla situazione dei transessuali nel carcere di Rebibbia Nuovo Complesso di Roma il presidente del Consiglio Romano Prodi ha avuto informazioni errate dal Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria". È quanto afferma il Garante dei diritti dei detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni commentando l’esito del question time alla Camera dei deputati con protagonisti il presidente del Consiglio e il deputato del PRC Vladimir Luxuria. L’onorevole Luxuria aveva visitato, nelle scorse settimane, il carcere romano accompagnata da una collaboratrice del Garante regionale dei diritti dei detenuti. Nei giorni scorsi poi, Luxuria aveva presentato una richiesta di chiarimenti su presunti abusi ai danni delle 15 detenute transessuali recluse nel carcere di Rebibbia. Il premier Romano Prodi aveva risposto sulla base di una informativa del DAP assicurando "che ai detenuti transessuali vengono garantite due ore giornaliere di aria, come agli altri detenuti". "Le cose non stanno così - ha detto il Garante Angiolo Marroni - le detenute hanno la possibilità di usufruire di una sola ora d’aria al giorno e per di più in un piccolo spazio adibito a giardino spesso sporco e pieno di spazzatura buttata dalle celle sovrastanti. Solo due giorni a settimana, il lunedì e il venerdì pomeriggio, alle detenute è concesso utilizzare per un’ora l’area grande (riservata uomini) per camminare e svolgere attività sportiva per favorire la quale abbiamo donato delle attrezzature sportive. Ho deciso di intervenire a sostegno delle istanze avanzate dall’onorevole Luxuria non per spirito polemico ma per ristabilire la verità delle cose e per cercare di migliorare una situazione che di umano ha davvero poco". Pordenone: senza casa e lavoro, la paura degli scarcerati
Il Gazzettino, 29 luglio 2006
Una ventina di detenuti del carcere di Pordenone si apprestano a fare le valigie se il provvedimento dell’indulto sarà licenziato anche dall’aula del Senato. Si saprà con ogni probabilità questa sera ma l’altra mattina ci sono stati i primi sussulti dietro le sbarre, proprio quando le radioline sintonizzate su Radio Radicale, hanno amplificato la notizia dell’ok dalla Camera: 460 voti, quaranta in più rispetto alla necessaria maggioranza dei due terzi. I detenuti certi di lasciare la cella hanno mostrato un certo entusiasmo. Ma non euforia: il profumo della libertà è una conquista che va assaporata con attenzione La quotidianità non è di certo rose e fiori. Si volta pagina, si cambia vita. Se da una parte, dunque, traspare la gioia, dall’altra c’è anche un motivato timore per quel che sarà. "A Pordenone - spiega Maria Vittoria Menenti, la direttrice del carcere - non ci sarà un’uscita significativa come nella maggioranza delle situazioni dove si supererà il 50 per cento. Qui si raggiungerà il 20-25 per cento come tetto massimo". Degli 83 detenuti, infatti, la maggior parte non rientra nei casi previsti dall’indulto. Comunque un certo ottimismo traspare da parte della direzione della casa di detenzione, perché lo sconto di pena farebbe giusto al caso di una struttura sovraffollata. "In ogni cella - fa notare Giuseppe Bertolo, che da sei anni presta la propria attività di volontariato nella struttura carceraria cittadina - dovrebbero esserci due persone invece ce ne stanno otto". Il personale, dunque, che ogni giorno viene a contatto con questa problematica, potrebbe tirare un sospiro di sollievo. "Molti dei nostri detenuti - fa sapere Menenti - hanno una loro famiglia e lì potrebbero ritornare. Per quelle persone, invece, che non sono in questa condizione stiamo cercando di adottare dei provvedimenti in contatto con l’Ufficio per l’esecuzione dell’amministrazione penitenziaria di Udine". Ed è proprio sul fronte "vita fuori dal carcere" che chi conosce bene la realtà ha seri dubbi. "Chi darà da mangiare e un letto il primo giorno fuori dal carcere a chi non ha davvero nulla? Chi si occuperà di trovare loro un lavoro? - si interroga Bertolo - Ammesso e concesso che l’indulto passi, novemila persone potranno godere di questa opportunità. Molti sono gli extracomunitari privi di permesso di soggiorno che dovranno ritornare in cella non appena incontreranno la prima pattuglia di carabinieri. Altrimenti, chi si occuperà di accompagnare al confine gli extracomunitari? I pochi che beneficeranno dell’indulto dovranno attendere più mesi e il problema intanto rimane". "Prima andava fatta una seria riforma penitenziaria - è il parere del cappellano del carcere, Pier Giorgio Rigolo - Un provvedimento di questo tipo rischia di avere un effetto immediato, ma non di risolvere alla radice il problema". "I detenuti - commenta un altro operatore - sperano di uscire, ma temono delusioni, perché è da un anno che se ne parla e la sicurezza del provvedimento, nonostante l’incalzare degli eventi, non è ancora definitiva. Prima di gioire attendono di avere i documenti in mano, solo allora noteremo un legittimo entusiasmo. Per alcuni potrebbe essere facile il ritorno in un circuito di illegalità e poi ognuno deve fare i conti con la propria condanna". "Ci sono persone che pensavano di uscire tra qualche tempo - aggiunge il cappellano - e si trovano improvvisamente a dover cercare una casa e un lavoro. È spiazzante. Li ho visti preoccupati". Nel frattempo qualcuno si è già mosso, iniziando a scrivere lettere alle aziende della Destra Tagliamento. Perché se si deve iniziare daccapo non è possibile prescindere dall’occupazione. E sono molti i detenuti che hanno seguito corsi di formazione, e c’è anche chi ha intrapreso gli studi universitari. "Molti - aggiunge Bertolo - hanno il desiderio di trovare un posto di lavoro, ma non sarà facile. Ognuno ha la propria odissea personale, non si può generalizzare, i casi sono molteplici. Di recente è arrivato in cella anche un chirurgo con due specializzazioni. Un giovane mi ha confessato "Non vedo l’ora di uscire", altri mi hanno chiesto una mano per cercare un’occupazione". Solo nei prossimi giorni si capirà con maggiore chiarezza se il territorio sarà in grado di farsi carico delle new entry nella società civile e soprattutto nelle aziende del Nordest. Ancona: i detenuti sono costretti a dormire a terra
Il Messaggero, 29 luglio 2006
Troppi detenuti, al punto che non bastano i posti letto e i carcerati sono costretti a dormire per terra. Montacuto è al collasso. A denunciare la situazione critica in cui verza la casa circondariale è la direttrice del carcere Santa Lebboroni. "Abbiamo dovuto mettere i materassi per terra - spiega la direttrice - per trovare posto ai detenuti in più. Al momento siamo a quota 320. Una condizione insostenibile. Non so fino a che punto potremmo continuare così. In media riceviamo dai 3 ai 4 nuovi arrivi al giorno. A tali ingressi però non corrispondono altrettante uscite quindi il carcere non ha più posti. Siamo in soprannumero. È un anno che la situazione perdura e non accenna a migliorare. Le celle da due ospitano già tre detenuti, in spazi che sono di per sé troppo piccoli, di appena 7 metri quadrati. La stessa cosa si sta verificando anche al carcere femminile di Pesaro. Non è una situazione felice la nostra - continua Lebboroni - e francamente sono favorevole alla legge sull’indulto appena approvata dalla Camera. Almeno così potremmo tornare a respirare un po’, contando in posti che presumo si libereranno". Sul numero effettivo dei posti che tornerebbero disponibili in carcere, con la cancellazione della pena per i reati minori, la direttrice non si sbilancia. "Dovrà essere calcolato - aggiunge - per ora non ci siamo azzardati a farlo. Quanto al numero crescente dei detenuti ospitati invece posso dire che questi sono per lo più extracomunitari". A fare un stima ci pensa il sindacato. "Il numero - dice Aldo Di Giacomo, responsabile regionale del Sappe (sindacato autonomo della polizia penitenziaria) - potrà oscillare tra i 40 e i 100 posti che si libereranno. Questi daranno una boccata d’ossigeno anche alle stesse guardie carcerarie, costrette ormai da troppi mesi a lavorare sotto organico, in condizioni non sicure e senza rispettare i turni di riposo".
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