Rassegna stampa 9 giugno

 

Giustizia: Napolitano; soluzioni concrete per crisi carceri

 

Apcom, 9 giugno 2006

 

Non pronuncia la parola amnistia, ma richiama tutti alla responsabilità per dare risposte concrete alla drammatica situazione delle carceri. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dedica un passaggio del suo primo discorso al Csm proprio alla condizione delle carceri italiane.

Parlando davanti al ministro Clemente Mastella che ha rilanciato pochi giorni fa il tema dell’amnistia, Napolitano osserva che se, da un lato, "innovazioni normative andranno attuate con accorta ponderazione evitando interventi disorganici o ispirati a situazioni di emergenza" nell’amministrazione della giustizia, dall’altro si dovrà procedere con coerenza anche sul fronte degli istituti di detenzione. "Ciò vale - ha osservato il capo dello Stato - anche in rapporto alla così critica situazione carceraria che richiede l’avvio di soluzioni concrete e praticabili".

Giustizia: disegno di legge per cancellare la "riforma Castelli"

 

Secolo XIX, 9 giugno 2006

 

Roma. Questa mattina, il Guardasigilli, Clemente Mastella, presenterà al Consiglio dei ministri un disegno di legge, dal testo stringatissimo, per bloccare subito gli effetti della riforma dell’ordinamento giudiziario, varata, nella precedente legislatura, dal suo predecessore, Roberto Castelli. E non basta: ieri sera, la Corte Costituzionale, ha definito "parzialmente illegittima" la "ex Cirielli", la legge che ha limitato i benefici per i recidivi, e ridotto drasticamente i termini di prescrizione dei reati. Nel giro di poche ore, due dei capisaldi della politica giudiziaria della Cdl rischiano di andare in frantumi. E tutto questo nel giorno in cui il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, presiede, per la prima volta, il plenum del Consiglio Superiore del Csm: "Si devono superare le tensioni tra politica e giustizia - è il senso del suo ammonimento - Sveltiamo i processi e troviamo soluzioni concrete al problema delle carceri".

La decisione di bloccare la "Riforma Castelli" era nel programma dell’Unione, ma Mastella ha voluto accelerare i tempi: già questa mattina potrebbe presentare un disegno di legge che blocchi l’applicazione del provvedimento firmato dall’ex ministro. "È mio fermo proposito - ha spiegato intervenendo ai lavori del Csm - partire da un riesame della recente riforma. Una conseguenza della politica della giustizia, negli ultimi anni, è stata la demotivazione indotta in tutti gli operatori, e nei magistrati in primo luogo. Occorre dare vita a una nuova fase dell’amministrazione, ridare stimoli, fiducia ed entusiasmo. Prima ancora che nelle risorse e nei mezzi, occorre ripristinare condizioni indispensabili per il corretto lavoro di tutti". Il capitolo finanze, peraltro, è allarmante: dal ministero arriva un allarme conti. I cinque anni di governo Berlusconi hanno lasciato un "buco" di bilancio di 340 milioni di euro. A Viterbo sono i carabinieri a sbrigare il lavoro di cancelleria; a Napoli i magistrati devono pagare la benzina di tasca propria; udienze saltate per l’inefficienza dei computer o delle fotocopiatrici: "La finanziaria 2006 non contiene i necessari accantonamenti", spiega un nota. Il capo dello Stato, Napolitano, ha ascoltato il guardasigilli e poi, nel suo intervento, ha largamente condiviso questa impostazione: "Occorre superare le tensioni che, inevitabilmente, sono destinate a turbare lo svolgimento di una funzione costituzionale così alta come la giustizia. Le innovazioni normative vanno attuate con accorta ponderazione, evitando interventi disorganici, ispirati all’emergenza. È essenziale, allora, tenere aperte le porte al dialogo, alla ricerca di soluzioni il più possibile condivise. Questa è la premessa indispensabile per rendere funzionale il sistema giudiziario". Solo poche ore dopo la prima riunione del Csm presieduta del nuovo capo dello Stato, dalla Consulta, è arrivata la prima "bocciatura" anche per la "Ex Cirielli", la contestatissima legge che taglia i tempi di prescrizione dei processi. I giudici della Suprema Corte erano chiamati a decidere su due eccezioni di incostituzionalità. Hanno stabilito che l’articolo 7 è parzialmente illegittimo in quanto si prevede che il beneficio del permesso premio possa essere concesso soltanto ai condannati, recidivi, che prima del dicembre 2005 abbiano maturato i requisiti richiesti. Una seconda decisione, sull’articolo 10, è stata invece rinviata. Ed è questo il "cuore" della legge stessa: si prevede che la riduzione dei termini di prescrizione per gli incensurati, non valga in tutti i procedimenti penali, ma solo per quelli in cui è stata dichiarata l’apertura del dibattimento. È una norma transitoria, inserita all’ultimo momento dalla Cdl, nella scorsa legislatura, per impedire che la "ex Cirielli" si adattasse, come un guanto, alla situazione processuale di Cesare Previti. I giudici decideranno, probabilmente dopo l’estate, se è veramente "irragionevole" questa distinzione tra imputati. In quel caso la legge, di fatto, sarebbe del tutto inapplicabile.

Giustizia: ex-Cirielli; arriva la prima bocciatura della Consulta

 

Il Gazzettino, 9 giugno 2006

 

La cosiddetta ex - Cirielli, la legge che ha limitato i benefici per i recidivi e tagliato i termini di prescrizione per gli incensurati, è in parte illegittima. La decisione - secondo quanto si è appreso - è stata presa dalla Corte Costituzionale riunita in camera di consiglio.

In particolare, i giudici della Consulta avrebbero bocciato l’art. 7 della ex Cirielli nella parte in cui non prevede che il beneficio del permesso premio possa essere concesso ai condannati recidivi che prima del dicembre 2005 - quando è entrata in vigore la nuova e più rigorosa legge - abbiano già maturato i requisiti (un grado di rieducazione adeguato) per ottenere il beneficio richiesto. Si tratta della prima decisione della Consulta sulla ex Cirielli: i giudici non avrebbero trovato l’intesa su un secondo ricorso, relativo a un altro punto della legge, facendo pertanto slittare la causa.

La causa slittata - e che probabilmente verrà fissata a nuovo ruolo, forse dopo la pausa estiva - riguarda la questione più spinosa, vale a dire la legittimità dell’art. 10 della ex Cirielli nella parte in cui subordina la riduzione dei termini di prescrizione per gli incensurati alla condizione della mancata apertura del dibattimento nei processi penali pendenti al momento dell’entrata in vigore della nuova legge. Si tratta della norma transitoria che fu introdotta in extremis, con un emendamento dell’Udc, sulla scia delle polemiche sollevate da più parti per una legge ribattezzata salva - Previti. In questo modo, invece, al parlamentare di Forza Italia è stato impossibile avvalersi della ex Cirielli in Cassazione: la Suprema Corte lo ha condannato in via definitiva 6 anni per la vicenda Imi-Sir.

I giudici della Consulta hanno invece discusso e deciso la questione relativa ai benefici penitenziari che la ex Cirielli ha limitato ai recidivi. La Consulta, in base all’art 27 della Costituzione (le pene devono tendere alla rieducazione del condannato) avrebbe ritenuto illegittime le norme più restrittive nei confronti dei condannati recidivi che prima dell’entrata in vigore della ex Cirielli hanno raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto. La questione era stata sollevata dal magistrato di sorveglianza di Livorno, chiamato a pronunciarsi su un permesso premio chiesto da una persona condannata a 12 anni di carcere per spaccio di stupefacenti con l’aggravante dell’ingente quantitativo. L’uomo aveva ottenuto valutazioni molto positive sul percorso penitenziario compiuto negli anni. Aveva espiato la metà della pena (vale a dire il limite sufficiente per ottenere il permesso premio in base alla vecchia legge Gozzini), ma non ancora i due terzi, limite, questo, previsto invece dalla nuova legge ex Cirielli.

In altre parole, il condannato aveva presentato la richiesta di permesso premio al giudice di sorveglianza di Livorno quando ancora non esisteva la ex Cirielli. La legge più restrittiva è però entrata in vigore al momento della decisione del giudice, che si è quindi rivolto alla Consulta. La Corte avrebbe deciso l’illegittimità della norma tenendo anche conto di proprie precedenti sentenze. Una in particolare, la n. 137 del 1999, che espressamente diceva: "non si può ostacolare il raggiungimento della finalità rieducativa, prescritta dalla Costituzione nell’art. 27, con il precludere l’accesso a determinati benefici o a determinate misure alternative in favore di chi, al momento in cui è entrata in vigore una legge restrittiva, abbia già realizzato tutte le condizioni per usufruire di quei benefici o di quelle misure".

Le motivazioni della decisione presa oggi in camera di consiglio saranno scritte dal vicepresidente della Corte (ed ex Guardasigilli) Giovanni Maria Flick, e depositate nelle prossime settimane. Quanto all’altra questione di legittimità - sollevata dal Tribunale di Bari in relazione alla norma transitoria della ex Cirielli sui termini di prescrizione - bisognerà attendere. La questione è stata rinviata a nuovo ruolo.

Giustizia: ex-Cirielli; per Consulta l'articolo 7 è incostituzionale

 

Altalex, 9 giugno 2006

 

No della Consulta all’articolo 7 della ex legge Cirielli, entrata in vigore l’8 dicembre scorso. Con un’anticipazione, raramente avvenuta in passato, si è appreso che la camera di consiglio ha trovato un accordo nel dichiarare illegittimo l’articolo 7 nella parte in cui limita i permessi premio ai condannati recidivi che, alla data di entrata in vigore della legge (dicembre 2005), avevano maturato i relativi requisiti.

Non solo la decisione non è ufficiale ma, poiché l’esame del resto della legge è stato rinviato, anche per l’efficacia dell’intervento sull’articolo 7 bisognerà attendere la pubblicazione della sentenza.

La questione sull’articolo 7 era stata sollevata dal magistrato di sorveglianza di Livorno, chiamato a pronunciarsi su un permesso premio chiesto da una persona condannata a 12 anni di carcere per spaccio di stupefacenti con l’aggravante dell’ingente quantitativo. L’uomo aveva ottenuto valutazioni molto positive sul percorso penitenziario compiuto negli anni. Aveva espiato la metà della pena (vale a dire il limite sufficiente per ottenere il permesso premio in base alla vecchia legge Gozzini), ma non ancora i due terzi, limite, questo, previsto invece dalla nuova legge ex Cirielli.

Roma: suicidi in carcere, protesta comunità dei rifugiati eritrei

 

Corriere della Sera, 9 giugno 2006

 

Uno è morto nel carcere di Civitavecchia; un altro, un mese e mezzo prima, in cella a Catanzaro. Più di 300 eritrei hanno manifestato ieri davanti al ministero della Giustizia per chiedere il conto di questi suicidi tra le sbarre. "Hanno promesso che faranno il possibile per chiarire cosa è successo", spiega Mussie Zerai, presidente dell’associazione Selam, uno dei membri della delegazione che è stata ricevuta.

Asmelash Merhawui, 28 anni, si è impiccato in Calabria verso la fine di marzo. È stato sepolto senza nemmeno avvertire la famiglia, che ora, dubitando del suicidio, vuole la riesumazione della salma. Il 14 maggio è toccato a Eyasu Habteab, 36 anni, in isolamento per una rissa, il giorno prima, con un altro detenuto. L’immigrato, rifugiato politico, era in carcere per associazione a delinquere, riduzione in schiavitù, immigrazione clandestina. Ma, secondo i congiunti e la comunità eritrea, era stato fermato in circostanze poco chiare.

L’inchiesta della procura di Civitavecchia ha stabilito che Habteab si è impiccato. Ma per l’avvocato Luca Santini i punti da chiarire sono altri: "Perché era stato arrestato? E perché, vista l’aggressività del giorno precedente, non era sorvegliato?". "L’amministrazione penitenziaria è tranquilla", ribatte il direttore del carcere, Giuseppe Tressanti. Ma la zia Sara Tseghe Paulos insiste: "Vogliamo la verità, Eyasu era venuto in Italia per vivere, non per morire.

Roma: rifugiati eritrei; chiarezza sulla morte di Habteab

 

Redattore Sociale, 9 giugno 2006

 

Manifestazione della comunità eritrea a Roma davanti al ministero della giustizia: un centinaio di persone per chiedere che il guardasigilli faccia chiarezza sulla misteriosa morte di Habteab Eyasu, 37 anni, rifugiato in Italia da 3 anni, sposato con due bambini, trovato morto in cella di isolamento lo scorso 14 maggio nel carcere di Civitavecchia. Sul tavolo anche il caso della morte un mese fa a Catanzaro di un altro detenuto eritreo. Ufficialmente entrambi si sono impiccati, ma le foto scattate dai familiari al cadavere di Habteab sembrano smentire la versione delle autorità.

Dopo aver visto ematomi e ferite sul volto e sulle braccia del cadavere, la famiglia ha incaricato un avvocato - Luca Santini - di verificare l’attendibilità della versione ufficiale dei fatti. La richiesta è arrivata quando l’autopsia era già stata effettuata, su disposizione dell’autorità giudiziaria di Civitavecchia, che in questi casi può non consultare i parenti. L’avvocato ha quindi chiesto che un medico, il dottor Caringi Cristiano, potesse verificare il tipo di lesioni osservate dai familiari di Habteab. I segni dell’impiccamento ci sarebbero, la vertebra cervicale è rotta. Ma è anche vero che dopo due settimane dall’autopsia non si può capire se la rottura della cervicale sia stata provocata per creare ad arte la scena del suicidio. La ferita alla nuca invece sarebbe stata provocata dagli esami necrologici per verificare le cause di morte. "Nelle verifiche non sono emersi elementi sufficienti a dubitare del suicidio" secondo l’avvocato, il referto ufficiale dell’autopsia non arriverà prima di metà luglio, ma quel che è certo è che non si rifarà.

Le foto mostrano segni di maltrattamento sul corpo di Habteab. Secondo indiscrezioni questi sarebbero stati causati da una colluttazione avvenuta il giorno prima del decesso con un altro detenuto, su cui è in corso un’indagine dei carabinieri. Quest’ultimo sarebbe stato medicato per la rottura del setto nasale, ma nulla si sa su quanto accaduto successivamente a Habteab, se non che è stato subito trasferito in cella di isolamento. Ecco i primi motivi di perplessità. L’isolamento non può essere disposto senza un previo parere medico-psicologico, che verifichi la capacità della persona di sopportare uno stress ulteriore a quello della detenzione. Ancora non è chiaro se il parere sia stato dato o meno, ma ad ogni modo - visti i risultati - l’intervento non è stato sufficientemente pesato. E comunque in questi casi è buona norma togliere dalla cella tutti gli oggetti con cui è possibile procurarsi lesioni, quindi anche le lenzuola. Per gli agenti del carcere di Civitavecchia si presenta quindi l’ipotesi di responsabilità di omissione e di mancata vigilanza. Oltretutto l’istituto penale non è nuovo ad episodi simili: il 15 settembre 2004 si impiccava M.C., polacco, 45 anni, e un anno dopo, il 31 marzo 2005, moriva nello stesso modo un detenuto rumeno di 30 anni. Inoltre "ci sono spesso episodi di autolesionismo, a volte gravi", si legge nel rapporto dell’Associazione Antigone, a riprova delle dure condizioni di questa casa circondariale.

Ma le perplessità del caso riguardano anche l’arresto e l’interrogatorio. Habteab era accusato dalla Procura di Crotone - sulla base di alcune intercettazioni telefoniche - di associazione a delinquere, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e riduzione in schiavitù. Il suo arresto è avvenuto all’aeroporto di Fiumicino, ma ancora non è chiaro se sia stato arrestato in Inghilterra su mandato europeo o se dall’Inghilterra sia stato espulso e poi identificato alla frontiera italiana. Durante l’interrogatorio a Civitavecchia Habteab non ha avuto la possibilità di parlare nella sua lingua, il tigrino. L’interprete era di nazionalità etiope e i due comunicavano in inglese, una lingua che Habteab conosceva poco bene. Habteab si era comunque dichiarato innocente nel merito delle accuse, sebbene ammettesse di conoscere gran parte delle persone della presunta associazione su cui indagava Crotone. Insomma il materiale per riaprire il caso non manca. Per questo una delegazione dei manifestanti questa mattina è stata ricevuta da Stefano Anastasia, capo segreteria del sottosegretario alla giustizia Luigi Manconi, e gli ha chiesto che il Ministero apra un’indagine sul caso. "Tra 10 giorni - promettono i manifestanti - torneremo a chiedere conto dei fatti".

Roma: lettera al Parlamento da comunità dei rifugiati eritrei

 

Ristretti Orizzonti, 9 giugno 2006

 

Onorevoli Senatori e Deputati,

la comunità dei rifugiati Eritrei, ha indetto una manifestazione per giovedì 08.06.2006 ore 9.00 davanti al ministero della grazie e giustizia. Dopo le recenti arresti e morti in carcere di Civitavecchia e Crotone, di due cittadini Eritrei in circostanze poco chiare per noi, abbiamo ritenuto opportuno fare questa manifestazione per sollecitare una inchiesta ministeriale che accerti la verità dei fatti, sul perché queste persone si trovavano in carcere, su quali prove ci sono a carico di questi ultimi, perché e come sono morti in carcere, a distanza di un mese l’uno dall’altro? Ci risulta che di recente è morto nel carcere di Civitavecchia anche un cittadino Nigeriano: come si spiegano tute queste morti a distanza di pochi giorni? Chiediamo la solidarietà e il sostegno di tutti affinché venga fatta piena luce su questa vicenda. Grazie per la vostra attenzione.

 

Mosè Zerai, Presidente dell’Agenzia Habeshia

Via Casilina, 634 - 00177 Roma

Tel. 06.2411405 - Fax. 06.24304412 - Cell. 3384424202

Civitavecchia: troppi misteri sulla morte del detenuto eritreo

 

Il Manifesto, 9 giugno 2006

 

Nelle fotografie scattate all’ospedale di Civitavecchia Habteab Eyasu ha un ferita in fronte, e dietro la nuca una grande macchia rossa di sangue. Sara Tseghe Paulous, sua zia, arrivata appositamente dall’Arabia Saudita, mostra il cadavere del nipote e dice a chiare lettere: "Io ora voglio sapere cosa è accaduto. Non credo che si sia suicidato. Perché chi si suicida non ha queste ferite in faccia".

Habteab era eritreo e aveva 37 anni. Domenica scorsa è morto nella casa circondariale di Civitavecchia, dove era stato rinchiuso in seguito a un’espulsione dall’Inghilterra. "Ormai viveva in Italia da quasi tre anni - racconta un suo amico eritreo - siamo arrivati insieme con la barca a Lampedusa, poi siamo passati per il cpt e per il centro di accoglienza. Abbiamo ricevuto tutti e due lo status di rifugiato". Subito dopo, Habteab si è spostato a Bologna. Tre mesi fa ha avuto una bambina dalla sua compagna, Nasthinet, anche lei eritrea e rifugiata in Italia.

Ha deciso che doveva guadagnare di più, che doveva trovare un lavoro migliore e ha tentato la carta dell’Inghilterra, come fanno in molti. Ma da Londra è stato rimandato in Italia, ed è finito in carcere, forse a causa di qualche precedente pendenza penale. Non si sa con precisione, perché i suoi amici, i suoi parenti, la sua compagna non lo sentivano ormai da qualche giorno e erano piuttosto preoccupati. Finché l’amico che ha condiviso con lui l’esperienza del viaggio, riceve una telefonata dal Comune di Crotone martedì 16 maggio: "Mi comunicano che Habteab è morto il 14 maggio, in carcere, a Civitavecchia. Non ci capivo niente, ho avvertito i suoi parenti e mi sono precipitato a Roma". La notizia, inizialmente, è che Habteab si è suicidato, impiccandosi.

Ma quando, l’altro ieri, gli amici e i parenti si sono recati nell’ospedale di Civitavecchia per vedere la salma, sono rimasti a bocca aperta: Habteab presentava delle chiare lesioni in viso. E secondo quanto riferito da un medico, ci sarebbero anche lesioni sul resto del copro, che però non è stato mostrato ai parenti. Non sapendo che fare, gli amici hanno iniziato a scattare fotografie e ieri si sono messi in contatto con un avvocato.

Ieri, nel centro autogestito di via Collatina - occupato da un gruppo di immigrati e da Action dopo la "cacciata" dal famoso "Hotel Africa" della Tiburtina - è stata allestita una specie di camera ardente, anche se la salma non c’è perché è rimasta in ospedale. La zia, con il velo nero, sta seduta su una sedia, Nasthinet coccola la figlia, lungo le pareti amici di vecchia data di Habteab e i suoi parenti arrivati da Milano, Bologna, Crotone. La signora Sara è una donna che gira il mondo.

È una suora laica delle "Figlie di S. Anna", istituite alla fine dell’800 dalla beata genovese Anna Rosa Gattorno. Racconta di aver parlato con il personale della casa circondariale: "Prima mi hanno detto che si è impiccato con un lenzuolo, poi con un cordone. Mi hanno detto che era solo nella cella, lo avevano spostato perché aveva litigato con un altro detenuto. Io gli ho detto che chi si impicca non si spacca la testa. Loro mi hanno risposto che quando hanno tagliato il cordone il corpo è caduto e ha sbattuto a terra. Ma allora perché aveva una ferita anche dietro la nuca?".

Domande inquietanti, tanto più che la casa circondariale di Civitavecchia non è nuova a tristi episodi di cronaca. Una lunga scia di suicidi, a volte misteriosi, sovraffollamento e mancanza di personale. Il senatore di Rifondazione comunista Francesco Martone ha presentato un’interrogazione parlamentare sulla morte di Habteab: "Una vicenda allarmante che pone di nuovo all’attenzione la casa circondariale di Civitavecchia per il triste primato di decessi in carcere. Una struttura che è più una casa di Reclusione che una Circondariale, con problemi gravi e cronici che rendono gravoso per molti aspetti il clima complessivo dell’istituto".

Civitavecchia: suicidio "misterioso" di un rifugiato eritreo

 

Liberazione, 9 giugno 2006

 

Le autorità carcerarie dicono che si sarebbe impiccato ma la moglie di Habteab non capisce che cosa c’entrino col suicidio la testa sfondata e le tumefazioni sul volto che avrebbe trovato sul corpo del marito. E poi sarebbe stata avvertita solo tre giorni dopo la morte, avvenuta il 14 maggio. Il ragazzo, 33 anni, era un rifugiato politico residente a Crotone. Avrebbe vissuto per un anno a Bologna, con la moglie e i due bambini, uno otto mesi e l’altro due anni.

Però non avrebbe mai trovato un lavoro vero, così si sarebbe spostato a Londra dove forse conosceva qualcuno. Ma nella capitale inglese s’è imbattuto nella polizia e nel rimpatrio coatto. La comunità eritrea è sconvolta, l’ambasciata sta provando a capirci qualcosa. Intanto il penitenziario di Civitavecchia torna alla ribalta per i decessi dietro le sbarre. Ricorda il senatore Martone (Prc) che ieri ha presentato un’interrogazione urgente al Guardasigilli Mastella sul "misterioso suicidio", che nel marzo 2003 due giovani donne romane sono morte lì per overdose, il 15 settembre 2004 è toccato a un detenuto polacco, 45 anni, trovato impiccato con la cinta dei suoi calzoni imitato, il 31 marzo dell’anno dopo, da un trentenne rumeno.

Vibo Valentia: detenuto campano di 39 anni si impicca in cella

 

Agi, 9 giugno 2006

 

Un uomo di 39 anni di origine campana, è stato trovato morto impiccato in una cella del carcere di Vibo Valentia dove si trovava rinchiuso. Il fatto è avvenuto verso le 19.30. Ad accorgersi le guardie carcerarie, ma nonostante i soccorsi immediati, i sanitari non hanno potuto fare altro che constatare la morte.

Torino: scarcerato per errore, scompare boss della camorra

 

Tg Com, 9 giugno 2006

 

L’hanno scarcerato per un "difetto di motivazione", poiché nell’ordinanza mancava una pagina (a quanto pare per colpa di un "copia e incolla" sbagliato al computer) dedicata alle esigenze cautelari. Ma quando, pochi minuti dopo è arrivata la nuova richiesta di custodia cautelare, il boss di Scampia e Secondigliano Vincenzo Di Lauro era già scomparso. Ora carabinieri e polizia lo stanno cercando in tutta Italia.

Secondo i magistrati della quarta sezione del Tribunale, che a maggio aveva condannato Di Lauro a 8 anni di reclusione emettendo, contestualmente alla sentenza, un provvedimento restrittivo nei confronti del figlio del boss Paolo, detto "Ciruzzo ‘o milionario", la mancanza della pagina dell’ordinanza (che ha indotto il Riesame ad annullare il provvedimento) sarebbe conseguenza di un errore in un "copia e incolla" eseguito al computer, oppure la pagina sarebbe rimasta bloccata in una fotocopiatrice malfunzionante o in una vecchia stampante della cancelleria.

Dopo essere stati avvisati dell’annullamento, i magistrati della Direzione distrettuale antimafia si sono affrettati a richiedere alla quarta sezione del Tribunale l’emissione urgente di una nuova ordinanza. Ma, nonostante il nuovo provvedimento restrittivo sia stato firmato con celerità, la notifica al carcere di Torino non è giunta in tempo: Vincenzo Di Lauro era infatti uscito da pochi minuti quando il nuovo ordine di custodia è stato spedito al penitenziario del capoluogo piemontese. E fuori dal carcere c’erano due auto ad aspettare il boss, che ora potrebbe essersi rifugiato all’estero. Subito dopo l’arrivo del contrordine sono stati predisposti posti di blocco su strade e vie d’ accesso agli aeroporti, ma del camorrista non c’erano ormai più tracce.

Giustizia: ministero indebitato per 240 mln, i fondi non bastano

 

Apcom, 9 giugno 2006

 

L’Ufficio Stampa ed Informazione del ministero della Giustizia rende noto che la situazione debitoria è pari a 239,9 milioni di euro. 121,6 milioni sono in capo all’Amministrazione giudiziaria; 100,00 milioni di euro all’Amministrazione penitenziaria; 18, 3 milioni alla Giustizia minorile. Tale situazione, specifica la nota, è stata "determinata dalle leggi finanziare dell’ultimo quinquennio, che - si legge - hanno imposto notevoli riduzioni alle spese di funzionamento dell’apparato giustizia".

Nonostante gli accorgimenti adottati per ottenere sia sensibili risparmi sia l’avvio di un ampio processo di contenimento e razionalizzazione delle risorse, la grave situazione finanziaria non consente il regolare andamento della gestione dell’esercizio amministrativo. Le risorse necessarie per l’anno corrente ammontano infatti a 279,9 milioni di euro. Nello specifico: per l’Amministrazione giudiziaria 154,4 milioni, per l’amministrazione penitenziaria 103,5 milioni e per la Giustizia minorile 22,00 milioni. Si precisa che la legge finanziaria 2006 non contiene i necessari accantonamenti dei fondi speciali per le spese di giustizia da approvare nel corso dell’anno. La nota segnala, inoltre, che la mancata riqualificazione del personale, la mancata distribuzione del Fondo Unico d’Amministrazione (Fua), la mancata assegnazione dei fondi necessari al lavoro straordinario, hanno già generato situazioni di criticità per il personale dell’amministrazione giudiziaria. La gestione dei suddetti fondi, infine, ha causato l’emanazione di numerosi decreti ingiuntivi e successivi pignoramenti.

Milano: i disoccupati insegnano un lavoro ai detenuti

 

Secolo XIX, 9 giugno 2006

 

Trasformare due fragilità, quella dei disoccupati per la crisi economica del settore tessile, e quella dei detenuti, per il disagio sociale nelle carceri, in una risorsa per aiutare entrambi. L’esperimento parte da Milano e potrebbe essere esportato: disoccupati che insegnano - pagati - un mestiere ai detenuti. È il progetto "Detenzione, formazione, lavoro: impresa", presentato ieri a San Vittore e nato dalla sinergia delle cooperative sociali Ecolab e Alice, della direzione del carcere milanese, della Provincia e della Filtea Cgil di Milano. Il progetto è articolato in più fasi. Attraverso i sindacati e l’Osservatorio Attivo Tessile vengono ricercati lavoratori di grande professionalità e disoccupati. Vengono sottoposti a una selezione psico-attitudinale. Seguiranno corsi di formazione e potranno entrare in carcere per insegnare ai detenuti. Inizialmente i lavoratori coinvolti saranno 5 ai quali sarà affidata la gestione di un gruppo di 10 detenuti ciascuno.

Giustizia: Mantini: su ex Cirielli sentenza giusta e attesa

 

Apcom, 9 giugno 2006

 

"La sentenza della Corte Costituzionale ha comprensibilmente dichiarato la parziale illegittimità della norma della ex-Cirielli che nega i benefici penitenziari per i detenuti, anche recidivi, che hanno correttamente vissuto la detenzione. È una sentenza giusta e attesa che ha bloccato l’accanimento punitivo della Cdl, riaffermando il principio costituzionale secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione nel rispetto dell’irretroattività delle misure restrittive delle libertà". È quanto afferma Pierluigi Mantini, deputato dell’Ulivo.

"Siamo convinti che la certezza della pena debba accompagnarsi sempre all’umanità della pena e alla speranza del reinserimento del detenuto - sottolinea Mantini -. Per questo, anche dopo la sentenza della Corte, saranno necessarie misure non solo di clemenza che restituiscano legalità e umanità al carcere ed efficienza alla giustizia. Ora la ex-Cirielli è davvero ex, perché è stata abrogata proprio nella filosofia punitiva che la ispirava".

Amnistia: Sappe; utile per ricondurre carceri a livelli civili

 

Apcom, 9 giugno 2006

 

"Il Sindacato autonomo della polizia penitenziaria (Sappe) è favorevole a una amnistia per i detenuti, non per ragioni ideologiche, ma perché è l’unico provvedimento attuabile per ricondurre a livelli di civiltà le nostre carceri". È quanto ha detto il segretario generale, Donato Capece, che oggi ha incontrato con una delegazione del sindacato il ministro della Giustizia, Clemente Mastella. "Con l’approvazione della legge ex Cirielli - aggiunge Capece - si incrementerà ulteriormente la già vertiginosa cifra dei 62.000 detenuti attuali (sono previsti 4.000 detenuti in più alla fine del prossimo anno e saranno oltre 70.000 nel 2008). Questo sovraffollamento, che non è degno di un Paese civile, ricade principalmente sul Personale di Polizia Penitenziaria, che è impiegato nelle sezioni detentive 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, con notevole stress psico-fisico ormai in una irreversibile inferiorità numerica rispetto ai detenuti presenti".

Il Sappe ha evidenziato anche come a nulla sia servito il famoso indultino: "nelle previsioni avrebbe dovuto prevedere l’uscita dal carcere di almeno 9000 persone. Nei fatti, però, i detenuti che ne hanno beneficiato sono stati meno della metà, appena 4.000. E mentre loro uscivano, il loro posto veniva rimpiazzato in fretta".

"Il sovraffollamento delle carceri - sottolinea il Sappe - è diventato un’emergenza del Paese e può essere tamponato solo con un provvedimento di clemenza. Subito dopo, però, sono necessari ben altro interventi di carattere strutturale che non facciano rimanere l’amnistia un puro e semplice palliativo che fra qualche mese avrà già perso la sua efficacia".

In altre parole, parliamo di potenziamento dell’area penale esterna e un maggior ricorso alle misure alternative alla detenzione, che tengano in carcere chi veramente deve starci, e una legge sugli extracomunitari che permetta espulsioni più facili piuttosto che la detenzione in Italia (a livello nazionale sono il 30% - circa 20mila - i detenuti stranieri, percentuale che si raddoppia negli Istituti del Nord).

Giustizia: Sappe apprezza l'intervento di Napolitano su carceri

 

Apcom, 9 giugno 2006

 

Sono apprezzabili e di buon senso le parole dette oggi dal Capo dello Stato Napolitano al Csm sul tema carceri. Adesso auspichiamo che Governo e Parlamento assumano i provvedimenti di competenza". È il commento della Segreteria Generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria Sappe, il più rappresentativo della Polizia Penitenziaria con oltre 11mila iscritti, alle parole espresse oggi dal Capo dello Stato Napolitano a Palazzo dei Marescialli.

"Proprio questa mattina" prosegue il Sappe "abbiamo incontrato al Ministero della Giustizia il nuovo Ministro Guardasigilli Clemente Mastella, chiedendo una soluzione legislativa utile alla riassunzione in servizio dei circa 530 agenti di polizia penitenziaria ausiliari, licenziati a fine 2005; la garanzia che una eventuale manovra finanziaria bis non penalizzi nuovamente la Polizia Penitenziaria; l’urgente calendarizzazione della proposte di legge sul riordino delle carriere del Personale delle Forze di Polizia, già approvato dalla Camera dei Deputati nel febbraio del 2006; una Delega al Governo per la riforma del Corpo (proposta On. Pecorella), che prevede anche l’istituzione della Direzione Generale della Polizia Penitenziaria. "Ci siamo anche detti favorevoli all’amnistia" prosegue il Sappe "non per ragioni ideologiche, ma perché è l’unico provvedimento attuabile per ricondurre a livelli di civiltà le nostre carceri. L’attuale sovraffollamento ricade principalmente sul Personale di Polizia Penitenziaria, che è impiegato nelle sezioni detentive 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, con notevole stress psico-fisico ormai in una irreversibile inferiorità numerica rispetto ai detenuti presenti".

"Il sovraffollamento delle carceri - prosegue - è diventato un’emergenza del Paese e può essere tamponato solo con un provvedimento di clemenza. Subito dopo, però, sono necessari ben altro interventi di carattere strutturale che non facciano rimanere l’amnistia un puro e semplice palliativo che fra qualche mese avrà già perso la sua efficacia. In altre parole, parliamo di potenziamento dell’area penale esterna e un maggior ricorso alle misure alternative alla detenzione, che tengano in carcere chi veramente deve starci, e una legge sugli extracomunitari che permetta espulsioni più facili piuttosto che la detenzione in Italia (a livello nazionale sono il 30% - circa 20mila - i detenuti stranieri, percentuale che si raddoppia negli Istituti del Nord"

Giustizia: Castelli; apprezziamo le parole di Napolitano

 

Apcom, 9 giugno 2006

 

"Le parole del Presidente Napolitano sono apprezzabili da un punto di vista teorico, ma calate nella realtà italiana rischiano di risultare mere affermazioni di principio". È quanto ha dichiarato il senatore Roberto Castelli, presidente del Gruppo Lega Nord Padania, commentando le affermazioni del Presidente della Repubblica. "Non v’è dubbio - ha proseguito Castelli - che in Italia esiste una parte della Magistratura che si ritiene militante politica, di questo vi sono numerose prove ed affermazioni degli stessi magistrati. Napolitano, in qualità di presidente del Csm ha il potere, ma ancor di più il diritto/dovere di intervenire per dettare norme deontologiche che impediscano ciò". "Per quanto riguarda la situazione delle carceri italiani - ha continuato Castelli - ricordo che l’avvio di soluzioni concrete e praticabili è già stato dato da tempo durante il Governo Berlusconi con la costruzione di 23 nuovi penitenziari, 15 già finanziati. Occorre però che il nuovo Governo non blocchi questo piano".

Giustizia: Marvulli; inevitabile la bocciatura dell’ex Cirielli

 

Apcom, 9 giugno 2006

 

La pronuncia della Corte costituzionale, che ha dichiarato illegittima l’ex Cirielli nella parte che riguarda i benefici ai recidivi condannati, era "inevitabile". Lo afferma il primo presidente della Cassazione Nicola Marvulli, a margine della seduta del Plenum del Csm presieduta dal capo dello Stato. "Mi auguro che subito si riveda la legge Pecorella", aggiunge. Per Marvulli, dunque, la decisione dei giudici costituzionali "non è una sorpresa", visto che "il Csm aveva già espresso i suoi rilievi in un parere tecnico", ricorda.

Roma: i centri per l’impiego della provincia entrano in carcere

 

Redattore Sociale, 9 giugno 2006

 

Favorire il reinserimento socio-lavorativo dei detenuti: è questo l’obiettivo del progetto "Centri per l’impiego in carcere", promosso dall’amministrazione provinciale, in collaborazione con 5 centri provinciali per l’impiego: Cinecittà, Primavalle, Civitavecchia, Velletri e Frascati. 40 operatori di questi centri attiveranno un servizio di orientamento al lavoro all’interno degli istituti di pena dei propri territori: Rebibbia Nuovo complesso, Rebibbia femminile, Regina Coeli, Casal del Marmo, Centro Giustizia Minorile, Casa circondariale di Velletri, Civitavecchia Nuovo complesso e Civitavecchia Penale.

Destinatari del progetto sono quei detenuti - individuati e segnalati dalle amministrazioni penitenziarie - che stanno per terminare l’esecuzione della pena o possono usufruire delle misure alternative alla detenzione. Gli operatori dei Centro per l’impiego, d’accordo e in stretto collegamento con l’amministrazione penitenziaria, effettueranno un primo colloquio conoscitivo e orientativo con le persone segnalate, compilando una scheda anagrafica e professionale, che sarà inserita in un’apposita banca dati. La seconda fase del loro lavoro si svolgerà all’interno dell’istituto: gli operatori infatti, a partire dalla data del colloquio, daranno l’avvio a una serie di indagini sul territorio, volte all’individuazione di specifiche opportunità formative o professionali. Successivamente, se possibile entro tre mesi dal colloquio, l’operatore incontrerà di nuovo il detenuto preso in carico, per proporgli una o più soluzioni di inserimento. Un’attenzione particolare sarà rivolta ai minorenni, per i quali la ricerca si concentrerà intorno alle possibilità formative.

Il progetto, che partirà già dai prossimi mesi, nasce dall’impegno e dalle competenze dell’amministrazione provinciale in materia di orientamento e formazione professionale. "Occupandoci del problema dell’inserimento lavorativo di tutti, ci siamo imbattuti nella questione dell’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate", ha detto Gloria Malaspina, Assessore provinciale alle politiche del lavoro e qualità della vita. "Tra queste persone ci sono i detenuti, che stanno espiando una colpa. Troppo spesso questi sono destinati a portare per sempre su di sé il segno dello stigma. Questa iniziativa ha invece lo scopo di permettere a queste persone di pensare al proprio futuro con maggior fiducia, consapevoli della possibilità di poter costruire qualcosa".

Un altro segno che la Provincia intende trasmettere con questa iniziativa è "il rapporto proficuo tra l’istituzione penitenziaria e l’istituzione che, sul territorio, è preposta all’orientamento e all’inserimento lavorativo. "Questo progetto - ha detto ancora la Malaspina - rientra nell’impegno che stiamo portando avanti per trasformare i Centri per l’impiego da uffici a centri di servizio. Ed è con questo spirito che i nostri operatori, opportunamente formati e con competenze specifiche, entreranno negli istituti penitenziari per offrire lì la propria professionalità".

In un progetto che coinvolge una realtà tanto complessa, la Provincia naturalmente non può essere sola. "Per quanto riguarda l’animazione territoriale, ossia il rapporto con le imprese - ha spiegato l’Assessore - saremo sostenuti dall’Agenzia della Regione Lazio "Prometeo", con cui stiamo stringendo un preliminare di convenzione. È evidente che le aziende andranno aiutate ad assumersi questa responsabilità sociale, attraverso tutte le opportunità possibili, tra cui gli sgravi fiscali". Punto di riferimento per la programmazione e la realizzazione dell’iniziativa è il Piano cittadino per il carcere, "che ci ha aiutato a individuare i percorsi più giusti e meno sovrapposti ad altre competenze e ad altri servizi".

Droghe: il vaccino anti-cocaina fa ancora discutere

 

Redattore Sociale, 9 giugno 2006

 

Il Cartello nazionale "Non incarcerate il nostro crescere" - a cui aderiscono decine di organizzazioni nazionali dei servizi pubblici e privati delle dipendenze, associazioni, organismi di volontariato, sindacati, operatori della giustizia - esprime in una nota il proprio dissenso rispetto "a un approccio al problema droghe, e in particolare al consumo di cocaina, che emerge dal modo in cui è stata presentata la prossima sperimentazione nel Veneto di un vaccino contro la cocaina".

Per il Cartello, infatti, "il termine stesso di ‘vaccinò appare come un affascinante farmaco immunizzante e salvifico che interviene su una patologia sanitaria, senza grande sforzo per la persona che ne fa uso".

Afferma l’organizzazione: "La proposta, annunciata al Cocaina Verona Congress (5-6 giugno scorsi), evento che ha avuto una vasta eco mediatica, organizzato dall’Osservatorio regionale sulle dipendenze della Regione Veneto, ripropone un approccio miracolistico ed esclusivamente sanitario a un fenomeno complesso che richiede una forte attenzione agli aspetti culturali, educativi, psico sociali che tale consumo manifesta in particolar modo. Un approccio semplificatorio che ritorna ciclicamente: qualche anno fa, fu la volta dell’Urod per l’eroina, un sistema di disintossicazione veloce che avrebbe dovuto, anch’esso, essere l’arma definitiva contro le droghe.

La via del farmaco appare una scorciatoia seducente, anche se mai in grado di rendere quanto promesso. E non bisogna dimenticare che essa è promossa anche da interessi corposi: quasi un milione e trecentomila persone in Italia consumano cocaina, secondo una stima presentata proprio al congresso di Verona dal CNR, un mercato potenziale davvero enorme per chi commercializzerà prodotti di contrasto alla dipendenza".

"Non sorprende, poi - continua il Cartello -, che tale metodo sia sponsorizzato soprattutto dagli esperti sulle droghe del precedente Governo, a significare una coerenza di visione rispetto ai problemi sociali e culturali che non passa per una seria riflessione sui significati e le implicazioni di un abuso o con domande di senso rispetto a modi di vita e valori diffusi e, se necessario, per un sostegno alla ridefinizione di sé in relazione al contesto in cui si vive. Sorprende, invece, che un tale investimento, anche mediatico, sia condotto proprio da coloro che, in questi ultimi cinque anni, hanno avuto responsabilità rilevanti in tema di politiche sulle droghe - vedi la Conferenza nazionale sulle droghe di Palermo - e che, tuttavia, poco o niente di reale hanno fatto per intervenire sul fenomeno, e in particolare sul consumo di cocaina, limitandosi ad appoggiare proclami ideologici senza alcun investimento reale di risorse e proposte".

"Per queste ragioni - conclude - , chiediamo al nuovo Governo di promuovere subito una seria riflessione che coinvolga tutti i più autorevoli esperti nel campo delle droghe attivi nel nostro paese per mettere a punto una strategia integrata - non solo sanitaria e farmacologica - al problema cocaina e che sia in grado di elaborare risposte diversificate a seconda della situazione della persona che assume tale sostanza. In tale approccio, naturalmente, anche il farmaco ha un suo spazio e, certamente, ci auguriamo che tale vaccino possa dimostrarsi efficace nei confronti di un determinato numero di pazienti".

Cagliari: carenza cronica di personale, appello dei sindacati

 

Redattore Sociale, 9 giugno 2006

 

Carceri che scoppiano e personale sempre più carente. Ma soprattutto nessuna attenzione ai diritti e alle esigenze di chi lavora quotidianamente negli istituti penitenziari. A denunciare una situazione davvero drammatica sono stati il segretario regionale della Fp Cgil Giovanni Pinna e il coordinatore nazionale della Polizia Penitenziaria Cgil Francesco Quinti che durante la conferenza stampa di mercoledì 7 giugno, hanno sottoscritto un appello al ministro della Giustizia Clemente Mastella. "Così come nel resto d’Italia, anche in Sardegna si riscontra un sovraffollamento di detenuti negli istituti penitenziari - ha affermato Francesco Quinti -. Nell’isola la situazione è ancora più grave per quanto riguarda le esigenze dei lavoratori per la totale inadeguatezza della dirigenza di proporre soluzioni efficaci". Ne consegue una condizione di grande disagio, quindi, sia per i lavoratori che per i detenuti stessi, il cui spazio vitale tende sempre a diminuire all’interno degli istituti. Basti pensare che oggi ammontano a circa 62mila i detenuti nelle carceri italiane, a fronte dei 42 mila posti previsti. E la situazione in Sardegna non è certo più rosea: nell’istituto penitenziario di Cagliari vi sono 473 detenuti, contro i 332 previsti.

Una carenza di organico strutturale, che riguarda anche professionalità di fondamentale importanza per l’assistenza ai detenuti, che non permette di risolvere i sempre maggiori problemi linguistici, etici e religiosi che ogni giorno i lavoratori devono affrontare. "I recenti tagli al personale e il blocco delle assunzioni - ha continuato Francesco Quinti - ha impedito negli ultimi tempi un ricambio generazionale. Ricambio invece necessario per chi fa un lavoro usurante come quello svolto dalla polizia penitenziaria". Per questi motivi il segretario regionale Cgil, il coordinatore nazionale della polizia penitenziaria e i delegati FP di tutte le carceri della Sardegna hanno sottoscritto una lettera diretta al neo ministro della Giustizia Clemente Mastella al fine di porre l’attenzione sulle tematiche del lavoro e sui diritti di chi presta la propria opera negli istituti penitenziari. "Chiediamo che ci sia un numero maggiore di investimenti in questo settore, l’assunzione di più personale e un atto di clemenza come l’amnistia o l’indulto che dia un attimo di respiro alle carceri italiane e chi ci lavora", ha concluso Giovanni Pinna.

Milano: presso l'Uepe possibile il Servizio Civile Volontario

 

Comunicato stampa, 9 giugno 2006

 

"Facile Lombardia (Facilitare l’Esecuzione)" è un progetto, accreditato dall’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e contenuto nel bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 39 del 23/05/2006. Il progetto prevede l’inserimento di 8 Volontari nei vari Uffici di Esecuzione Penale Esterna (ex CSSA) della Lombardia, di cui 4 a Milano.

Si tratta di un’occasione significativa per i giovani che vogliono realizzare un’esperienza concreta nell’ambito delle situazioni di disagio, acquisendo nel contempo una buona conoscenza delle risorse e dei servizi territoriali, oltre che abilità e competenze, anche nell’ambito della metodologia di lavoro nel sociale (lavoro di rete, lavoro di gruppo). Il lavoro si svolge in affiancamento con gli operatori degli Uffici di Esecuzione Penale Esterna, dopo un periodo formativo di uno - due mesi.

 

Qualche numero

 

Numero posti per Volontari a Milano, senza vitto e alloggio: 4.

Durata: 12 mesi.

Numero minimo ore giornaliere di impegno:5/ 6.

Numero massimo ore settimanali di impegno: 30.

Numero giorni settimanali di impegno: 5 minimo; 6 massimo.

È previsto un rimborso mensile di 433,80 euro.

Il termine per la presentazione delle domande è fissato alle ore 14,00 del 23 giugno 2006.

La domanda va presentata in carta semplice su modello prestampato reperibile sul sito www.serviziocivile.it, alla sede dove si intende prestare il servizio (Uepe di Milano e Lodi, via Numa Pompilio 14 Milano). Possono presentare domanda tutti i ragazzi e le ragazze di età compresa tra i 18 e i 28 anni che siano in possesso della cittadinanza italiana e godano dei diritti civili e politici.

Napoli: un altro carcere è possibile, al Teatro Mercadante

 

Il Mattino, 9 giugno 2006

 

Detenuti a piede libero. Per un solo giorno, a teatro. Dal 13 al 15 giugno il Mercadante di Napoli ospiterà la rassegna "Il carcere possibile", presentata oggi al teatro di piazza Municipio. Sei istituti di pena metteranno in scena opere di Eschilo, Pinter, Beckett, De Filippo, e Lanzetta. Il progetto è promosso dalla Camera Penale di Napoli e per la seconda volta vede la collaborazione del teatro stabile diretto da Ninni Cutaia. "Un ente pubblico deve recepire le istanze che vengono dal territorio - ha detto il direttore del Mercadante -, ma non ospitiamo questa rassegna solo per una questione di natura sociale. Ci troviamo di fronte a una strepitosa esperienza artistica".

Il progetto ha l’obiettivo di combattere una battaglia, per migliorare gli istituti di pena, da affrontare su un piano in prevalenza culturale. "Un nuovo carcere è possibile - ha detto il presidente della Camera Penale Riccardo Polidoro -. Non occorrono riforme, lo impone la Costituzione". Secondo il penalista, per rendere più vivibile il carcere, il vero problema sta nel reperire i finanziamenti. A questo proposito una buona notizia, ha dichiarato Polidoro, è l’adesione da parte del Comune di Napoli al protocollo d’intesa firmato tra i ministeri di Giustizia e dei Beni Culturali per introdurre programmi culturali all’interno degli istituti di pena.

"La situazione attuale è di violazione della legge - ha detto l’avvocato -. Il detenuto deve essere rieducato. Come può accadere questo nelle condizioni disumane in cui versano i carceri?". I riferimenti vanno a Poggioreale, dove in una cella vivono fino a sedici detenuti. "Il sovraffollamento - ha concluso Polidoro - raggiunge punte così elevate che la privazione della libertà diventa privazione dei più elementari principi di civiltà".

Giustizia: grazia opportuna ma frettolosa, di Sergio Romano

 

Panorama, 9 giugno 2006

 

Giusto l’atto di clemenza per Bompressi, ma forse il governo dovrebbe avere altre priorità. I presidenti degli Stati Uniti firmano i provvedimenti di clemenza negli ultimi giorni del loro mandato. Il perdono presidenziale serve generalmente a salvare qualche vecchio amico o sostenitore che ha commesso un’imprudenza giudiziaria. Da noi la grazia, nei casi particolarmente discutibili, viene invece concessa all’inizio del mandato.

Accadde quando Giuseppe Saragat, sei mesi dopo l’elezione nel dicembre 1964, approfittò del 2 giugno per graziare Francesco Moranino, comandante di una brigata partigiana, deputato all’Assemblea costituente e sottosegretario alla Guerra in uno dei primi governi italiani dopo la fine del conflitto.

Condannato all’ergastolo nel 1955 per l’omicidio di numerosi partigiani badogliani durante la Resistenza, Moranino era fuggito in Cecoslovacchia con altri compagni nelle stesse condizioni. Il Pci non lo aveva mai dimenticato. Dopo il ritorno in patria fu candidato al Senato nelle elezioni del 1968 e conquistò un seggio a Palazzo Madama. Qualcuno sostenne che Saragat, eletto con il voto dei comunisti, avesse pagato un debito. Altri dissero che aveva fatto un utile gesto di conciliazione nel ventesimo anniversario della Liberazione.

Il caso di Ovidio Bompressi è alquanto diverso. Bompressi ha scontato una parte della pena, è molto malato e, soprattutto, ha fatto domanda di grazia. Credo che il rifiuto di Roberto Castelli, guardasigilli del governo Berlusconi, sia stato un errore. E credo che il nuovo ministro della Giustizia, d’accordo con il capo dello Stato, abbia fatto bene a correggerlo. Ma è singolare che grazia e amnistia siano fra le prime iniziative di un governo che deve affrontare questioni di maggiore importanza nazionale.

Ed è particolarmente sorprendente, a mio avviso, che Clemente Mastella abbia parlato d’amnistia a un centinaio di detenuti riuniti nella rotonda del carcere di Regina Coeli. So che non ha preso impegni, che ha ribadito la competenza del Parlamento e che si è limitato a dichiarare la sua disponibilità.

Ma non mi sembra giusto che un ministro della Giustizia dica ai carcerati (riassumo schematicamente): "Io sono d’accordo, ma non dipende da me". Se il governo è favorevole a un provvedimento di amnistia, lo metta all’ordine e accerti l’esistenza della maggioranza necessaria (due terzi del Parlamento) per la sua approvazione. Ma tenga conto di almeno due esigenze. Cerchi di evitare le aspettative o, peggio, le illusioni di gente che vive un momento drammatico della propria vita. E non dimentichi che la maggioranza del Paese, in questo momento, non approva né le grazie né le amnistie.

Questo non significa che il governo debba piegarsi agli umori punitivi e vendicativi della pubblica opinione. Ma il buon senso democratico dovrebbe suggerirgli che un provvedimento impopolare deve essere spiegato, motivato e accompagnato da misure che diano una risposta efficace all’affollamento delle carceri.

Chi ricorda l’ultima amnistia sa che nel giro di un paio d’anni molti amnistiati erano tornati in prigione e le carceri si erano nuovamente riempite. Su un altro fronte, quello del risanamento finanziario e dei conti pubblici, il governo sembra muoversi con idee più chiare e con maggiore prudenza. La prima decisione del ministro dell’Economia (l’aumento delle addizionali Irpef e Irap per sei regioni che hanno sfondato i parametri della spesa sanitaria) è interessante per due ragioni.

In primo luogo Tommaso Padoa-Schioppa ha fatto comprendere che la riduzione del deficit è una priorità nazionale e che sarà la principale preoccupazione del suo ministero.

In secondo luogo si è servito, per riportare all’ordine le regioni troppo generose, di uno strumento previsto dalla Legge finanziaria del suo predecessore.

Così sono fatte le buone democrazie. Durante le campagne elettorali e nella retorica quotidiana, le reciproche accuse possono dare la sensazione che la vittoria di Tizio avrà per effetto il totale rovesciamento della politica di Caio. Nella realtà ogni governo eredita la politica del suo successore e conserva le molte cose che gli sembrano utili o necessarie. Un buon governo, quando arriva al potere, non butta mai via ciò che può servire al Paese.

Giustizia: Anastasia, da "Antigone" a segreteria di Manconi

 

Ansa, 9 giugno 2006

 

Stefano Anastasia, esperto di problemi carcerari, tra i fondatori dell’Associazione Antigone (che si batte per i diritti dei detenuti) e presidente della conferenza nazionale del volontariato giustizia, è stato nominato capo della segreteria del sottosegretario alla Giustizia, con delega alle carceri, Luigi Manconi. Anastasia, 41 anni, sposato, due figli, è direttore del centro per la Riforma dello Stato, fondato da Terracini e Ingrao. Assistente di sociologia e filosofia del diritto all’Università di Perugia e Roma Tre, è stato presidente di Antigone dal 1999 al 2005 quando è stato nominato presidente della Conferenza Nazionale del Volontariato Giustizia (Cnvg) di cui fanno parte associazioni come l’Arci, la Caritas, la S. Vincenzo de Paoli. Molti i libri scritti da Anastasia sul pianeta carceri, ultimo dei quali quello pubblicato insieme a Patrizio Gonnella, "Inchiesta sulle carceri italiane", che contiene i risultati di tre anni di visite e interviste negli istituti di pena in Italia.

Pescara: detenuto morì di emorragia, il medico sotto accusa

 

Il Messaggero, 9 giugno 2006

 

Rischia di finire sul banco degli imputati, accusato di omicidio colposo per aver procurato la morte di un detenuto. La richiesta di rinvio a giudizio è stata firmata dal sostituto procuratore Francesca Del Villano ed è a carico di Florindo Rossodivita, medico dell’ospedale civile di Pescara, ex consigliere e assessore comunale di Forza Italia. Una decisione sofferta, quella del magistrato, sulla quale hanno pesato indubbiamente le due consulenze mediche che non erano certo favorevoli al professionista, che comunque all’indomani dell’atto formale dell’avviso di conclusioni delle indagini, ha chiesto ed ottenuto di essere ascoltato. Una deposizione che evidentemente non ha convinto fino in fondo il magistrato. Il caso è piuttosto delicato. La vittima, Nicola Labbate, affetto da cirrosi epatica, era stato arrestato il 26 aprile del 2004 nel corso dell’operazione "Rancitelli" condotta dai carabinieri contro lo spaccio di droga.

Dal San Donato aveva cercato in tutti i modi di uscire fidando proprio sulla sua malattia che già in precedenza gli aveva permesso di essere posto agli arresti domiciliari. Quella volta, però, era stato proprio il medico del carcere a stabilire che la sua malattia era compatibile con la detenzione in carcere. Ma la notte del 7 maggio del 2004, intorno alle quattro del mattino, Labbate viene trasportato con urgenza in ospedale con dei fortissimi dolori addominali. Viene visitato al pronto soccorso dal dottor Rossodivita che gli somministra degli antidolorifici e lo rispedisce in carcere con una prescrizione di antispastici e una salutare dieta alimentare.

Ma la mattina seguente i compagni di cella trovano Labbate moribondo. L’immediato trasporto in ospedale si rivela però inutile. Labbate muore alle 22 dello stesso giorno per uno "shock emorragico irreversibile conseguente ad emorragia intraperitoneale in un paziente affetto da colecistite acuta cancrenata e perforata", come scriveranno i medici dopo l’esame autoptico. Inizia da quel momento una battaglia legale tra i familiari della vittima, assistiti dall’avvocato Daniela De Sanctis, e il professionista difeso dall’avvocato Italo Ciccocioppo. Due consulenze (quella di parte del dottor Paolini), come dicevamo, oltre all’interrogatorio di diverse persone. Nel capo di imputazione il Pm contesta all’indagato Rossodivita una lunga serie di presunte negligenze, imprudenze. Non avrebbe tenuto in debito conto, ad esempio, il grave quadro clinico del paziente.

Veneto: Galan; no all’amnistia, libererebbe 4 mila delinquenti

 

Asca, 9 giugno 2006

 

"Sono contrarissimo all’amnistia perché verrebbero liberati nel solo Veneto 4 mila piccoli delinquenti. Piccoli ma sempre delinquenti". Lo ha detto Giancarlo Galan, presidente della Regione Veneto. "Non possiamo rimettere in strada gente che ruba le pensioni agli anziani, che entra nelle nostre case per portarci via ciò che di meglio abbiamo. Questi - afferma Galan - sono veri e propri criminali". Galan ha aggiunto di essere "indignato" dal fatto che il Parlamento "affronta il problema delle carceri mandando a casa i detenuti anziché rinnovandole, e magari anche umanizzandole".

Friuli: progetto; i detenuti traducono Esopo in friulano

 

Il Gazzettino, 9 giugno 2006

 

Grazie ad una collaborazione tra il Ministero di Giustizia, Dipartimento Regionale del Triveneto, e la Società filologica friulana, è stato possibile sviluppare nella nostra regione un percorso di inserimento della lingua e della cultura friulana in ambito penitenziario.

Il progetto "Friuli", presentato ieri nella sede della Società Filologica alla presenza del presidente Lorenzo Pelizzo e del prefetto di Udine Camillo Andreana, ha coinvolto le Case Circondariali di Udine, Tolmezzo e Gorizia e ha visto la partecipazione, tra l’ottobre 2005 e il maggio 2006, di venti detenuti e 80 operatori penitenziari, in maggioranza non friulani.

Le attività svolte, grazie ai finanziamenti della legge 482 per la tutela delle minoranze, sono state rivolte sia al personale, con corsi di formazione per un totale di 390 ore, sia ai carcerati, che hanno seguito lezioni di grammatica e grafia, ma anche di geografia, storia dell’arte e antropologia, per poter conoscere il territorio e favorire il loro reinserimento nel contesto culturale di riferimento.

Negli istituti di pena coinvolti, sono stati aperti tre sportelli linguistici per fornire informazioni sui servizi e i regolamenti delle case di detenzione ed è stata scritta una Guide pai ditignts, con la traduzione delle principali norme penali. Nel carcere di Tolmezzo, è stato organizzato un corso di mosaico, in collaborazione con la Scuola di Spilimbergo, e i detenuti si sono persino cimentati in una traduzione friulana delle favole di Esopo.

Alessandra Montico, coordinatrice del progetto per la Filologica, ha spiegato che i detenuti hanno apprezzato molto l’iniziativa: "Il 98per cento dei partecipanti ha espresso un notevole gradimento. Si tratta di un esperimento unico: in Italia, solo la Sardegna ha attuato un progetto simile. Speriamo che arrivino i finanziamenti per continuare".

Imola: il vescovo Tommaso Ghirelli interviene sull’amnistia

 

Corriere adriatico, 9 giugno 2006

 

Interviene nel dibattito sull’amnistia introdotto dalle aperture del nuovo ministro della Giustizia Clemente Mastella il discorso pronunciato dal vescovo di Imola Tommaso Ghirelli davanti all’assemblea della Conferenza episcopale italiana.Più che di un commento, spiega Ghirelli, si tratta di una proposta che riguarda le vittime dei reati, "quanti sono stati pesantemente danneggiati e spesso dimenticati e lasciati a se stessi", un "suggerimento" rivolto ai parlamentari recentemente eletti nel territorio imolese come i deputati Raffaello De Brasi (Ds) e Donatella Mungo (Prc), in modo che essi possano "approfondirne la fattibilità"."Clemenza per i detenuti, ma anche per le vittime - sono le prime parole del vescovo -. Ogni volta che viene commessa un’azione illegale, vi è un colpevole e vi è una vittima.

Non vi è mai un’azione illecita che non danneggi qualcuno. Ma qui vorrei ricordare a me e ai lettori le persone che, dopo essere state pesantemente danneggiate, nel loro corpo e nella loro mente (più ancora che nei loro beni), rischiano di essere dimenticate dalla società civile e dalla società politica. Sono diventate persone scomode, perché indebolite dal sopruso e dalla violenza. Con la loro presenza e la loro parola costituiscono un rimprovero alla società, che non riesce, non può risarcirle completamente di quanto è stato loro tolto. In loro il senso di frustrazione e lo stesso senso della giustizia, che può degenerare in rancore, se non in desiderio di vendetta, si è fortemente acuito. Avrebbero bisogno di una particolare solidarietà, per riuscire a superare i sentimenti negativi e per trasmettere all’intera società la sete di giustizia. Per facilitare quindi un auspicabile atto di clemenza da parte dello Stato nei confronti dei detenuti, sarebbe opportuno abbinarlo ad un gesto di attenzione speciale per le vittime della violenza e dell’imprudenza".

Rieti: carcere bocciato, mancano spazi per attività rieducative

 

Il Tempo, 9 giugno 2006

 

Serve al più presto il nuovo carcere perché la Casa Circondariale di "Santa Scolastica" è troppo piccola e priva di spazi adeguati per la rieducazione. Il messaggio, forte e chiaro, arriva direttamente dalla Commissione Sicurezza della Regione. Ieri, infatti, il gruppo di lavoro, predisposto da Luisa Laurelli (Ds), si è recato in visita al carcere di Rieti e ha constatato una serie di ritardi. Presenti al sopralluogo, i consiglieri Donato Robilotta, socialista, Anna Maria Massimi (Ds), Mario Perilli (Ds) e Antonio Cicchetti di An.

"Purtroppo - ha dichiarato la Laurelli - in questa casa di pena abbiamo rilevato l’assenza di luoghi adatti a svolgere qualsiasi attività. Con grande sforzo il carcere è messo in condizione di funzionare bene ma vi è carenza di tutto: anche la biblioteca e il luogo per le funzioni religiose sono ridotti in pillole, non esistono luoghi per la socializzazione ad eccezione del cortile per l’ora d’aria, per le attività extracarcerarie si può contare soltanto su un educatore ed un volontario. Come Regione Lazio solleciteremo con forza il ministero affinché i lavori di completamento del nuovo penitenziario siano accelerati, e garantiremo ogni possibile aiuto per incentivare l’attività di formazione e lavoro all’interno del carcere". Donato Robilotta ha riscontrato che "anche a Rieti come già a Velletri e Viterbo ignorano completamente l’esistenza di stanziamenti regionali per l’assistenza psicologica di chi lavora e vive il carcere.

Con le somme messe a disposizione dai bandi è possibile migliorare le condizioni di vita dei detenuti, allestire biblioteche e spazi per diverse altre attività. Sono rammaricato che dei fondi che ho contribuito personalmente a fare stanziare siano stati ignorati". Insomma non c’è da perder tempo sul nuovo carcere in costruzione a Vazia.

"È un’esigenza importante che la Casa delle Libertà ha compreso da subito - ha osservato il consigliere Cicchetti - non a caso con il passato Governo Berlusconi sono stati raddoppiati gli stanziamenti, accelerando fortemente i lavori nel cantiere. Si tratta di proseguire su questa strada e mi auguro che la Giunta Marrazzo ci aiuti in tale direzione". In totale verranno spesi 48 milioni di euro (più di 90 miliardi di vecchie lire). Il nuovo penitenziario sorgerà al Nucleo industriale, dietro l’ospedale e non sarà un super-carcere ma una Casa Circondariale di medie dimensioni. Sarà operativo nel 2009 ed ospiterà 200 detenuti.

Droghe: Pavia; muore bruciato nella comunità "Saman"

 

Ansa, 9 giugno 2006

 

Era ospite della comunità di reinserimento "Saman" a Belgioioso, in provincia di Pavia, da alcuni mesi. Una vita difficile la sua, segnata dalla droga e da oltre due anni in un’altra comunità di recupero. Carmine D’Alessandro, ventinove anni, è morto ieri, bruciato nel capanno degli attrezzi per i lavori di falegnameria. Il personale e i circa trenta ospiti della comunità pavese hanno fatto solo in tempo a vedere le fiamme levarsi alte. Erano passate da poco le 15, Carmine si era avviato verso il piccolo deposito dove erano stipati gli attrezzi per i lavori di falegnameria. Una scena consueta cui nessuno aveva prestato attenzione. Dopo pochi minuti dall’ingresso nel capanno, molto piccolo, il fuoco che ha letteralmente divorato la struttura. Nessun segno che D’Alessandro abbia tentato di uscire. Quando le fiamme sono state domate la scena è stata raccapricciante, all’interno del deposito il corpo del giovane era praticamente irriconoscibile, le fiamme l’avevano completamente devastato.

Difficile il lavoro degli inquirenti che hanno in mano pochissimi elementi. Primo tra tutti la rapidità con cui si sono sprigionate le fiamme, un dato che potrebbe far pensare a un suicidio. L’autopsia e ulteriori rilievi potrebbero rivelare altri particolari. Da anni lontano da Pozzuoli, D’Alessandro non aveva parenti nella città flegrea.

Francia: più donne dirigono le carceri; 182, contro 288 uomini

 

Ansa, 9 giugno 2006

 

Sono sempre di più le donne che occupano posti di direzione nelle carceri francesi e la loro presenza non cessa di aumentare. Il ministro della giustizia francese, Pascal Clement, andrà infatti oggi a trovare i nuovi direttori dei penitenziari francesi, e ben venticinque donne riceveranno i complimenti del guardasigilli. Da tre anni le donne sono più numerose degli uomini, rappresentando il 56% degli effettivi.

Per molto tempo le donne erano ammesse nelle carceri soltanto per controllare le detenute. Oggi invece guadagnano terreno nei posti di sorveglianza, dove già formano il 12% del corpo e il 26% dei nuovi arrivi, ma soprattutto nei posti di direzione: 182 donne sono attualmente ai comandi delle prigioni francesi, contro 288 uomini. Marie Line Hanicot, direttrice del carcere di Meaux-Chauconin, in Seine Marne, intervistata da Le Figaro, dice di non aver mai incontrato episodi di misoginia e assicura che "con le donne, i detenuti si comportano sempre meglio, si controllano di più. Io non ho mai dovuto assistere a violenze verbali".

 

 

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