Rassegna stampa 7 giugno

 

Giustizia: l’amnistia e indulto proposti da "Radio Carcere"

 

www.radiocarcere.com, 7 giugno 2006

 

Lo stato della giustizia penale rende non rinviabile l’approvazione di un amnistia e di un indulto. Radio Carcere ha predisposto un disegno di legge (consultabile sul sito www.radiocarcere.com).

I disegni di legge predisposti da Radio Carcere, oltre alle esclusioni per i reati più gravi, hanno queste caratteristiche:

l’amnistia: è retrodatata: "per i reati commessi fino al 31 dicembre 2002", questo per far sì che cadano sotto amnistia solo i reati più vecchi e che comunque cadrebbero in prescrizione;

l’amnistia è inoltre condizionata al risarcimento del danno in favore della vittima del reato;

l’indulto, è fissato a tre anni, ma è condizionato al fatto che il condannato abbia già scontato un terzo della pena;

ovviamente, amnistia ed indulto vanno accompagnati da una riforma organica della giustizia penale di cui Radio Carcere ha già proposto alcune linee guida.

 

Adesioni

 

Il disegno di legge ha trovato l’adesione di Pubblici Ministeri, Giudici, Professori Universitari e Avvocati. Tra loro: Fabio Alonzi, Ennio Amodio, Luca Blasi, Marco Cafiero, Roberto Carrelli Palombi, Pierpaolo Dell’Anno, Vincenzo Di Stasi, Guido Guerra, Francesco Iacoviello, Giorgio Lattanzi, Francesco Maisto, Enrico Marzaduri, Tullio Padovani, Luca Palamara, Cesare Placanica, Massimo Pavarini, Nicoletta Parvis, Carmela Parziale, Gianpiero Pirolo, Francesco Petrelli, Nicola Pisani, Giorgio Spangher, Marco Vassallo, Federico Vianelli, Grazia Volo.

Tra le associazioni: Don Ciotti, per il Gruppo Abele di Torino, Don Gallo, per la Comunità San benedetto al Porto di Genova, Patrizio Gonnella di Antigone, Fabrizio Rossetti della Cigl-Fp Polizia Penitenziaria, Stefania Tallei della Comunità di Sant’Egidio, Ristretti Orizzonti di Padova

Giustizia: il dialogo vero parte dai principi, di Valerio Spigarelli

 

www.radiocarcere.com, 7 giugno 2006

 

In questi giorni le cronache hanno riportato con dovizia di particolari gli incontri che il ministro Mastella ha avuto con i rappresentanti dell’ANM, con quelli del Csm e del CNF e dell’UCPI. Molta parte delle prime attività del titolare del dicastero della giustizia sembrano dunque essere volte a realizzare quella volontà di dialogo con "il mondo della giustizia" che da più parti s’invocava dopo una stagione di contrapposizioni.

Il dialogo è condizione necessaria ma non sufficiente per aprire una nuova stagione sulla Giustizia. Al riguardo, intanto, deve essere ben chiaro con chi si dialoga e in che veste. Non vi deve essere confusione tra gli organi istituzionali della magistratura e dell’avvocatura, che sono il CSM e il CNF, e le associazioni, tra le quali rientra, sullo stesso piano di qualsiasi altra, anche l’ANM.

I primi atti del Ministro, al di là del galateo istituzionale, lasciano l’impressione di una certa confusione dei ruoli. Ciò premesso il problema non è solo l’ostentazione di una mano un pò troppo tesa nei confronti della magistratura a destare perplessità da parte dell’avvocatura.

Il fatto è che il dialogo, se tale termine allude ad uno scambio reale e profondo e non ad un giro di consultazioni di facciata, non può accompagnarsi a dichiarazioni unilaterali di soddisfazione delle richieste di un interlocutore prima ancora di aver ascoltato gli altri. Leggere che sono contestualmente allo studio iniziative di decretazione di urgenza volte a recepire le richieste dell’ANM dimostra che il dialogo rischia di essere inteso come mera apparenza, buona per una realpolitik nella quale tutti sono sullo stesso piano solo a parole.

In tema di ordinamento giudiziario, tanto per essere più specifici, congelare i decreti sul punto della tipizzazione degli illeciti disciplinari, ovvero sulla scelta delle funzioni requirente o giudicante, significa cancellare con un tratto di penna innovazioni che anche esponenti di primo piano della attuale maggioranza di governo avevano salutato con favore. Ancor peggio, poi, se si dovesse toccare la riforma Pecorella, innovazione che la magistratura contrasta invocando una incostituzionalità che viene ampiamente smentita dalla dottrina.

Su questi temi l’avvocatura ha posizioni ben diverse e note. Quanto all’assetto ordinamentale della magistratura, infatti, l’opposizione della avvocatura alla riforma si è semmai fondata sulla mancata realizzazione della terzietà del giudice, reclamata dall’articolo 111 della Costituzione sul punto non ancora attuato.

La sottolineatura della separazione delle funzioni che la riforma ha disposto è insufficiente allo scopo ma certamente qualsiasi passo indietro sarebbe inaccettabile. Ancor più deflagrante sarebbe stato un intervento sulla disciplina delle impugnazioni, attualmente al vaglio della Consulta, la cui conformità ai principi costituzionali appare ben più solida della disciplina precedente.

Sul punto, per la verità, il Ministro ha ufficialmente smentito ipotesi di intervento d’urgenza - sia pur solo a seguito delle prese di posizione dei penalisti - ma a ben vedere non ha negato intenti demolitori per via ordinaria. In realtà la posta in gioco è l’indirizzo del nuovo governo sul tema della giustizia.

Prima delle elezioni le proposte dell’attuale maggioranza, espresse nel programma sottoscritto dai partiti che la compongono, non erano certo nel senso della tabula rasa e una personalità di rilievo come Giuliano Pisapia aveva più volte sottolineato che aderire alle richieste di spoil system legislativo provenienti dalla magistratura avrebbe condotto allo scontro con altre componenti non meno importanti del mondo della giustizia.

Non vorremmo che quelle indicazioni, oltre a fruttare a chi le ha pronunciate una dichiarata opposizione da parte di esponenti dell’ANM tale condizionare le scelte del capo del governo, finissero per essere profetiche.

Anche sui temi in ordine ai quali le posizioni tra avvocatura e magistratura paiono meno distanti, come l’opposizione alla legge Cirielli o le possibilità di varare provvedimenti di clemenza, è necessario essere chiari.

Per l’avvocatura il no alla Cirielli significa una netta opposizione alla disciplina della recidiva, alla liquidazione della Gozzini, alla schizofrenica disciplina della prescrizione corta per le persone "per bene" e lunghissima - o sine die - per gli "underdog". Per la magistratura, dal congresso di Roma fino alle dichiarazioni odierne di Nello Rossi, sembra che il problema risieda solo nell’accorciamento della prescrizione per taluni, invero pochi, reati.

Sull’amnistia e l’indulto una cosa deve essere chiara: si discuta di provvedimenti seri ed incisivi perché spargere illusioni, con dibattiti sfociati in nulla o poco più come avvenuto negli ultimi anni, sarebbe indecoroso.

 

Avv. Valerio Spigarelli

segretario dell’Unione Nazionale camere Penali

Giustizia: sulla Grazia a Bompressi, di Ignazio La Russa (An)

 

www.radiocarcere.com, 7 giugno 2006

 

Ho alcune difficoltà nel concordare con chi sostiene che il presidente Napolitano, concedendo la grazia a Ovidio Bompressi, abbia compiuto un "gesto di pacificazione". Sia chiaro, con questo non intendo mettere minimamente in dubbio il potere di grazia del Capo dello Stato. Potestà su cui la Corte costituzionale ha recentemente sciolto ogni incertezza, delineando il ruolo che, in materia, spetta al Guardasigilli, la cui controfirma è un atto dovuto e non un potere di veto. Pertanto ribadisco: Napolitano ha agito nella pienezza delle sue facoltà. Tuttavia ciò che mi lascia perplesso è la forma. E l’esteriorità in politica - come ben sa il Capo dello Stato - non è un aspetto secondario. Mi chiedo: se l’intento dichiarato del Quirinale è quello di rasserenare il clima politico dopo una durissima campagna elettorale, perché s’è scelta la grazia a Bompressi come primo atto del settennato? Personalmente, avrei preferito che il provvedimento di clemenza fosse giunto solo dopo una qualche forma di riconoscimento alle forze dell’ordine di cui il commissario Calabresi, ucciso dalla stessa mano di Bompressi (come risulta della sentenza definitiva a suo carico), è icona adamantina.

Certo, mi si dirà, il caso di Ovidio Bompressi è particolare. Si tratta di una persona gravemente malata che ha fatto esplicitamente richiesta di essere graziato al Presidente della Repubblica. Ma il sospetto è che occorra l’attenzione spasmodica dei media, unita a sponsor eccellenti, affinché un caso umano sia preso in considerazione e tenuto in debito conto. Quanti sono, nelle carceri, le persone almeno altrettanto (o forse più) meritevoli di Bompressi con molti anni di lunga inascoltata attesa non agli arresti domiciliari e senza il conforto di tanta parte della nostra intellighenzia? Nella mia esperienza professionale di avvocato, ho potuto verificare personalmente il caso di molte persone in stato di detenzione e in attesa di grazia, di cui nessun "opinion leader" si sia mai interessato. Ed è per questo che forse si poteva almeno trattare la pratica dell’ex Lc insieme a quelle di tanti altri detenuti che hanno avanzato domanda per un analogo provvedimento di clemenza.

Esistono molti precedenti significativi di grazie concesse, a un tempo, non a uno ma a gruppi di detenuti. Sarebbe grave ora, se passasse il principio per cui si esaminano solo casi eccellenti forti di motivazioni anche politico-ideologiche.

Ma l’aspetto che più indispettisce, a mio avviso, è la fretta con cui si è proceduto. Una premura che porta a compiere errori e gravi mancanze nei confronti di chi ha patito il dolore causato dal delitto di Bompressi e dei suoi sodali. Ho letto che nessuno, né il Guardasigilli né il Quirinale, ha provveduto ad avvisare la famiglia Calabresi dell’imminente provvedimento di clemenza. E che la vedova del commissario ha dovuto apprendere la notizia della grazia dai mezzi di informazione. È un fatto che mi ha addolorato, ma non stupito. E mi ha convinto ancora di più che, se avessero perso un mese a esaminare meglio il fascicolo di Bompressi, ma anche altri casi sicuramente più meritevoli, avrebbero compiuto un atto di giustizia e, forse, avrebbero anche evitato di usare uno sgarbo verso la famiglia del commissario ucciso.

In conclusione, non vorrei che la vicenda di Bompressi fosse solo un corollario. Che svolga, cioè, solo il ruolo annunciato di apripista per la grazia ad Adriano Sofri. Ma di questo, semmai dovesse verificarsi, ne parleremo a tempo debito. Sin da ora, però, emerge una differenza sostanziale tra i due casi. Ho già avuto modo di dire che Bompressi aveva personalmente fatto esplicita richiesta di grazia, come previsto dall’articolo 681 del codice di procedura penale. Sofri no. L’ex leader di Lc non ha mai voluto chiedere la grazia, quasi che l’atto di domandarla equivalesse al riconoscimento di una colpevolezza sempre negata. Ho più volte sostenuto che non ho nulla contro una eventuale grazia ad Adriano Sofri. Che la domandi però. La procedura non può attivarsi per inerzia. Lui non vuole chiederla? Bene. Sempre il citato articolo 681 stabilisce che, oltre al condannato, possono sottoscrivere la domanda di grazia un familiare, un convivente, l’avvocato. Insomma, c’è un ampio ventaglio di soluzioni a disposizione.

Se si dovesse procedere con Sofri, così come si è fatto con Bompressi, cioè in maniera frettolosa e poco approfondita, ebbene credo si andrebbe realmente contro quella esigenza di pacificazione tra i poli che il Presidente Napolitano ha inserito tra gli obiettivi del suo settennato.

Giustizia: a Mastella... le amnistie si fanno, non si annunciano

 

www.radiocarcere.com, 7 giugno 2006

 

Roma, 2 giugno 2006. Finita la parata militare, il Ministro di giustizia e il Senatore a vita lasciano i Fori imperiali. Si dirigono a Trastevere. Destinazione via della Lungara, 29. "Saliscono" il gradino. Lo scalino. I romani così lo chiamano. Quello che "chi nun lo salisce nun è romano, manco ‘n trasteverino". Oltrepassano il portone. Varcano la soglia del carcere di Roma. Regina Coeli. Convento costruito nel 1654. Convertito in carcere intorno al 1900. Umberto I lo definì un carcere infame. Tra coloro che hanno salito il gradino si ricordano Pertini e Saragat. Ospitati nel sesto braccio. Strano destino dal carcere alla massima carica istituzionale. Un pò come Sergio D’Elia.

I due ex democristiani, completata la visita del braccio, giungono nella rotonda. Lì il 9 luglio Giovanni Paolo II chiese tre volte clemenza per tutti i detenuti, con una riduzione della pena. Il Ministro non si fa pregare. E davanti ai detenuti pronuncia la parola magica "Amnistia". I detenuti gioiscono. Un tripudio per Clemente I. Assediato dai cronisti. Le agenzie battono la notizia. Le prime pagine tutte per lui. I giornali ospitano botte e risposte. Favorevoli, contrari e dubbiosi. Strano i politici non sanno dialogare direttamente. Lo devono fare attraverso i mass media.

Il dilemma. L’intervento del Ministro soppesato. Pensato. Con un progetto alle spalle. O parole in libera uscita davanti ad un pubblico che non chiedeva altro. La successiva esternazione chiarisce. Il Ministro afferma: l’amnistia non riguarderà mafiosi e pedofili. Una dichiarazione senza senso. È ovvio che l’amnistia non si applicherebbe agli autori di questi reati. Così come non avrebbe ad oggetto altri gravi reati quali, per esempio, l’omicidio ed i sequestri di persona.

La paura. Le parole non saranno seguite dai fatti. L’iniziativa mass mediatica rimarrà tale. La brutta esperienza natalizia, marcia di Natale e convocazione della Camera in seduta straordinaria, si ripeterà.

Un dubbio. Il modus procedendi è errato. Forse è necessario cambiare l’ordine dei fattori. Prima preparare un disegno di legge. Che non si preoccupi solo di svuotare carceri e tribunali. Ma che si faccia carico delle vittime del reato e di evitare che chi è stato condannato non sconti neanche un giorno di carcere. Successivamente trovare intorno ad esso un consenso politico all’approvazione del Consiglio dei ministri. E solo allora se proprio non se può fare a meno confezionare una bella dichiarazione per al stampa.

Amnistia ed indulto sono vitali per l’amministrazione della giustizia e per l’amministrazione carceraria. La prima cronicamente ingolfata. Il numero dei processi pendenti aumenta quotidianamente. I tempi si allungano intollerabilmente. La mannaia della prescrizione scende implacabile su molti di essi. Il reato rimane senza colpevole. Le vittime senza soddisfazione. I processi più vecchi, per i quali la prescrizione è sicura, devono essere eliminati per permettere che invece i più recenti si concludano. Il male minore. L’amnistia può permettere il raggiungimento di questo scopo. Il sovraffollamento rende le carceri luoghi nei quali le condizioni di vita sono talmente degradate che il detenuto è privato non solo delle libertà ma pure della dignità. L’indulto può permettere di ridurre il numero dei detenuti. Il provvedimento attraverso uno sconto di pena determinerebbe la scarcerazione di alcuni detenuti. Il numero si ridurrebbe ed le carceri recupererebbero le condizioni minime di vivibilità. Tenendo conto che la pena scontata nelle condizioni odierne determina che un giorno di carcere comporta una punizione equiparabile a più giorni scontati in condizioni normali.

Ovvio che Amnistia ed indulto non devono rimanere atti isolati. Ad essi si deve accompagnare una riforma sistematica giudiziaria e penitenziaria. Una riforma che eviti che si debba nuovamente fare ricorso all’adozione impropria di provvedimenti di clemenza.

L’enfatica dichiarazione fatta nella rotonda di Regina coeli deve pertanto essere sostituita con un disegno di legge. A questo devono lavorare il Ministro e i suoi cinque sottosegretari. L’ufficio legislativo deve sostituirsi all’ufficio stampa. Si devono realizzare le condizioni perché una simile realtà non si ripeta. Sostituendo così i fatti alle parole.

 

Emile

Lettere: dalla Gorgona; ho 34 anni, mi trovo detenuto da quattro

 

www.radiocarcere.com, 7 giugno 2006

 

Ho 34 anni e mi trovo detenuto da 4 anni Il mio fine pena è 2012, mi mancherebbero circa 6 anni. Nel 2002 sono entrato nel carcere Montorio di Verona. Ovvero un carcere che soffre di un gran sovraffollamento e dove ci vuole una grande resistenza per poter sopravvivere. Pensa che lì ci sono celle di 10 mq con dentro 4 o 5 persone detenute. Un vero inferno.

Nel carcere di Verona sono stato più di un anno. Un anno che non dimenticherò mai, come non dimenticherò mai la disperazione dei ragazzi che ho lasciato lì.

Dopo il carcere di Verona ho avuto il privilegio, perché di questo si tratta, di essere trasferito nel carcere dell’isola della Gorgona. A ripensarci ora mi sembra incredibile. A me ha detto culo ad andare lì. Ho fatto un’istanza e dopo un po’ me l’hanno accolta. Della serie quando il diritto a scontare la pena secondo la legge diventa fortuna. Dico questo perché la realtà del carcere della Gorgona è più unica che rara. È un microcosmo in mezzo al mar Tirreno, che si distingue per il modo in cui si sconta la pena in carcere. Sembra di non stare in Italia. La punizione c’è, ma ha anche un senso, un significato. Il fatto unico è che l’isola della Gorgona offre a tutti i detenuti che ospita la possibilità di fare un lavoro e di ricevere uno stipendio fisso mensile. E non solo. Ai detenuti che non sanno fare un lavoro gli viene data la possibilità di impararne uno. Il che avviene spesso, visto che molte persone detenute sono finite in carcere proprio perché non sapevano o non potevano lavorare. E sia chiaro che lavorare alla Gorgona non è una passeggiata. Tutti i lavori che si fanno sono impegnativi e faticosi. Lì non si batte la fiacca, altrimenti ti mandano via. Alla Gorgona tu detenuto capisci la pena che ti hanno dato. Riconosci lo Stato. Ti ricordi la canzone che faceva "da la sua cella lui vedeva solo il mare..", credo fosse di Dalla, bè la Gorgona è così. È un isolotto che sta tra Livorno e la Corsica, grande poco più di 2 chilometri quadrati. È uno scoglio in mezzo al mare.

Ogni mattina alle 7 la tua cella viene aperta e tu detenuto vai al tuo posto di lavoro. Posto di lavoro che molto spesso è fuori dalle mura del carcere. Così c’è chi va alla macelleria, chi va in officina o in falegnameria. I detenuti alla Gorgona sono il cuore dell’Isola.

Io per esempio facevo il pescatore. Ogni mattina all’alba uscivo in mare per ritirare le reti, tornavo sull’isola per sistemare il pescato e poi ogni sera riuscivo in mare per ricalare le reti. Può sembrare assurdo che un detenuto possa andare per mare. E tante volte mi sono rispecchiato su un onda che mi passava accanto. Io detenuto che guardavo un’onda.

In base alle ore che lavoravo prendevo uno stipendio, che era di circa 400 euro al mese. Non è una grande cifra per uno libero, ma è tanto per un detenuto. Soprattutto in termini di quello che quei soldi rappresentano. Il risultato di un duro lavoro, il senso di una pena e il pensiero per un possibile domani. È un tesoro per chi è carcerato. Dicevo prima che i detenuti sono il cuore della Gorgona, non solo perché tutti lavorano, ma anche perché non ci sono insegnanti esterni. Voglio dire che quando arriva un nuovo detenuto, assegnato per esempio alla macelleria, sarà il detenuto più anziano ad insegnagli il mestiere. E questa è una gran cosa, anche in termini di costi per l’amministrazione.

Io il pescatore non l’ho mai fatto, ma alla Gorgona un detenuto anziano, sotto la supervisione di un agente, mi ha insegnato a pescare.

Ogni realtà positiva ha degli aspetti negativi. E quello della Gorgona è l’isolamento. Sono difficili i colloqui con i familiari. Basta che il mare sia mosso e ti salta il colloquio del martedì. Succede regolarmente. Tu detenuto ci fai l’abitudine, ma per i famigliari, che magari arrivano da lontano, è più difficile.

Mentre ero alla Gorgona mi sono trovato, mio malgrado, protagonista di fatto che rimane nella mia mente e mi fa sentire migliore.

Un giorno di dicembre ero vicino alla mia barca in porto. Ad un certo punto ho visto una jeep della polizia penitenziaria cadere giù in mare. Aveva sbagliato una curva e stava affondando. A quel punto ho agito di istinto ed, con un Agente, ci siamo gettati in acqua per tirare fuori gli altre due guardie intrappolate della macchina. Mentre la jeep andava a fondo abbiamo rotto il vetro davanti e abbiamo tirato fuori i due feriti. Ci siamo trovati a riva tutti e quattro infreddoliti ma felici. Dopo un pò ho ricevuto un encomio scritto. Per me è stata una grande emozione. Dopo quel fatto il direttore del carcere ha presentato istanza di grazia parziale. Tutti erano d’accordo anche il magistrato di sorveglianza. Purtroppo dopo un anno e mezzo il Ministero della Giustizia mi ha spedito una lettera di quattro righe dove era scritto: "Non ci sono gli elementi necessari per discutere un provvedimento di grazia". Ora magari io non la merito la Grazia, e neanche parziale, ma in quelle poche righe ho sentito una disattenzione.

Comunque ora sono tornato a Verona e mi occupo di bambini disabili. Sono in semilibertà. Lavoro il giorno e la notte torno in carcere. Continuo a fare quello che ritengo giusto. Forse proporrò una nuova istanza di grazia parziale. Io, detenuto senza "nome".

 

Nicola, 34 anni

Amnistia: Fini; da Mastella solo un comizio in carcere

 

Apcom, 7 giugno 2006

 

"Inaccettabile comizio". Così il presidente di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini gia ha bocciato, al termine dell’esecutivo del partito, svoltosi alla Camera, l’ipotesi di amnistia lanciata dal ministro della Giustizia clemente Mastella. "Quelle di Mastella sono state parole intempestive - ha aggiunto Fini - ed è inaccettabile che vengano buttate lì, in una sorta di comizio alimentando anche delle aspettative". A questo proposito "siccome non siamo in un talk show dove si dice amnistia sì amnistia no, Alleanza nazionale riunirà i senatori e i deputati delle commissioni Giustizia per approntare un documento nel quale il governo Prodi ci dovrà dire come intende muoversi e che cosa intende fare su temi come le carceri e la giustizia".

Amnistia: Alemanno; sono favorevole ma solo per pochi reati

 

Apcom, 7 giugno 2006

 

"Serve un’amnistia, limitata a pochi reati, e un indulto di due anni". Gianni Alemanno, deputato di An, in un’intervista al Corriere della sera, esprime un parere favorevole all’ipotesi di un provvedimento di clemenza verso i detenuti, in controtendenza rispetto ai suoi compagni di partito. "Quando si entra in un tema di fortissimo impatto umano - spiega - credo non si debba badare a schematismi. Il centrodestra nella scorsa legislatura sui temi del garantismo ha dato parecchio - ricorda -, forse troppo".

Alemanno annuncia che chiederà all’esecutivo di An, che si terrà oggi, "un confronto approfondito per avere una posizione univoca". Secondo l’esponente di An occorrerà limitare l’indulto "che comporti per i detenuti già condannati uno sconto di pena di due anni e un’amnistia molto ristretta, valutando reato per reato, dopo aver escluso quelli di grave allarme sociale e quelli che offendono le vittime e il sentimento della giustizia". Alemanno esclude dall’amnistia anche i reati finanziari, perché "occorre salvaguardare la credibilità della classe politica, in modo che il provvedimento non sia scambiato per un’auto assoluzione". Infine l’esponente di An invita maggioranza e opposizione ad avviare quanto prima un confronto per verificare se esiste la maggioranza dei due terzi: "Nel giro di una settimana - dice - dobbiamo sapere se esiste la maggioranza necessaria ad approvare questi provvedimenti di clemenza perché bisogna assolutamente evitare che nelle carceri si crei l’ennesima aspettativa delusa a causa di uno stillicidio giornalistico interminabile".

Giustizia: due anni di indulto; in An si apre il dibattito...

 

Il Tempo, 7 giugno 2006

 

"A mio avviso un intervento di clemenza va fatto". L’affermazione di Gianni Alemanno in merito all’amnistia proposta dal ministro della Giustizia Clemente Mastella è un fulmine a ciel sereno all’interno di Alleanza Nazionale. E apre una questione "trasversale" ai partiti. Una proposta che, se nel centrodestra trova consensi in partiti come Forza Italia, l’Udc, il Nuovo Psi o la Dc di Rotondi, spacca a metà Alleanza Nazionale, divisa tra le posizioni intransigenti di Gasparri e La Russa e quelle di "apertura" sul tema di Alemanno, dell’ex ministro Matteoli e del senatore Mantovano, che è sceso in campo con un "parliamone" rimandando la questione a domani, in sede di esecutivo di Alleanza Nazionale.

"Condivido l’opportunità che la posizione di An in tema di amnistia e indulto sia discussa. Posizioni - ha continuato - apparentemente distanti potrebbero trovare composizione nell’esame della situazione di fatto delle carceri italiane e delle prospettive per arginare l’emergenza". "L’importante - ha specificato Alemanno - è che ciò avvenga nel minor tempo possibile, ovvero che non si creino tormentoni di settimane intere su favorevoli e contrari. Le mie motivazioni? Sicuramente il sovraffollamento delle carceri e le cattive condizioni dei detenuti. Ciò che mi interessa - ha proseguito - è che ci sia un’amnistia molto limitata e un indulto di due anni. Escluderei però i reati più gravi, non solo quelli di pedofilia e mafia.

Tutto ciò - ha concluso - non è una novità, mi espressi già in modo favorevole, quando Giovanni Paolo II visitò il Parlamento". Secco, al contrario, il "no" di Gasparri, che all’orizzonte ha preannunciato iniziative trasversali "per bloccare un provvedimento molto pericoloso per la maggioranza onesta degli italiani. Diremo mille volte "no" all’amnistia", ha affermato senza mezzi termini. Sullo stesso fronte e altrettanto duri i commenti del governatore del Veneto Galan: "Va bene la beata innocenza fino a quando questa però non diventa sciocca incoscienza, visto che di stupidità si muore" e quelli di Ignazio La Russa, capogruppo di Alleanza Nazionale: "Preciso - ha commentato - che la mia posizione è in questo momento sicuramente contraria all’introduzione dell’amnistia e dell’indulto". Altrettanto intransigente si è mostrato il senatore Domenico Gramazio, ribadendo un "no" fermo alla proposta avanzata da Mastella e convinto che "l’80% di An sia d’accordo con questa linea".

Perché si dichiara contrario? "Perché se nelle carceri c’è sovraffollamento la soluzione è quella di costruire nuove carceri, non di far uscire i delinquenti. Un’altra soluzione potrebbe essere quella di snellire i provvedimenti giudiziari e regolare situazioni-limite, già preesistenti". Torna a galla la questione della scelta tra amnistia e indulto e, sebbene siano stati esclusi mafiosi e pedofili, in ballo ci sarebbero almeno 18 mila persone: "Sull’amnistia ho ripetuto le mie considerazioni e sono state considerate ragionevoli", ha commentato ieri il ministro della Giustizia Clemente Mastella uscendo dal vertice dei ministri a San Martino in Campo e rimandando però la discussione in Parlamento. "Mettere il numero chiuso nelle carceri" la soluzione alternativa proposta - visto mai l’amnistia finisse con il non raccogliere i consensi - dalla Dc di Rotondi. "Frena" invece Luigi Li Gotti, sottosegretario di Stato alla Giustizia ed esponente di Italia dei Valori. "Con il mio partito eravamo un po’ contrari ai provvedimenti di clemenza - ha commentato - ora invece improvvisamente il tema è diventato di grande attualità". A quanti affermano che questo era uno dei capitoli del programma dell’Unione, il sottosegretario Li Gotti replica che "non è vero. Nel programma - dice - c’è scritto che quando si farà una riforma dei codici è necessario un provvedimento di clemenza. Non è detto che i provvedimenti di amnistia e indulto debbano camminare insieme. Se si pensa al mondo carcerario quello che funziona è l’indulto. Se si pensa di sgravare il carico dei processi è meglio l’amnistia. Io dico che, se si dovesse fare un provvedimento, sarei più per l’indulto e per collegare poi l’amnistia alla riforma dei codici".

Padova: tossicodipendenze; parte il Progetto "Dap-Prima"

 

Il Gazzettino, 7 giugno 2006

 

Il Sert sbarca in tribunale per lanciare un salvagente ai tossicodipendenti condannati per reati minori o correlati all’uso di sostanze stupefacenti che così potranno evitare la traumatica esperienza del carcere, abbracciando percorsi terapeutici riabilitativi alternativi. Un aiuto concreto contro la dipendenza, la sofferenza e l’emarginazione: è il progetto Dap-prima promosso dall’Ufficio III servizio sanitario del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) che il ministero della Giustizia ha avviato in via sperimentale in quattro città italiane - oltre Padova, Roma, Catania e Reggio Calabria - per offrire nuove pratiche e metodologie d’intervento che consentano, nella fase dell’arresto e del giudizio per direttissima, di evitare la detenzione a tossicodipendenti incensurati, catturati per la prima volta e colti in flagranza sì di reato, ma minore, che accettano di sottoporsi a un programmi di trattamento in strutture pubbliche o private. Il Dap ha individuato nell’Usl 16 il partner ideale per pianificare il progetto in collaborazione con la magistratura.

"La procedura prevede che il tossicodipendente arrestato per reati minori venga preso in carico dall’equipe del Sert direttamente in un apposito locale allestito in tribunale, prima che venga condotto davanti al giudice per il processo per direttissima. Grazie all’aiuto di un’equipe di cinque esperti - spiega Daniele Berto, coordinatore dello staff nonché dell’Unità funzionale carcere dell’Usl 16 - il tossicodipendente potrà concordare un piano di cura: a questo punto il giudice avrà a disposizione tutti gli elementi per emettere un provvedimento che tenga conto dello stato di salute del soggetto". Nel primo mese di attività l’ufficio ha già avuto contatti con 40 consumatori di sostanze, di cui 15 sono stati avviati a percorsi personalizzati di recupero. "L’iniziativa, nella quale crediamo molto, ha preso il via sotto buoni auspici - commenta Mario Fabiani, presidente del tribunale di Padova - e contiamo, nell’arco dei due anni in cui si articola la sperimentazione, di ottenere risultati importanti". Lo stato di avanzamento del progetto di riabilitazione verrà monitorato a cadenza quindicinale. "È un progetto innovativo - annota il direttore generale dell’Usl 16, Fortunato Rao - atto a recuperare le persone attraverso un ausilio farmacologico e psicoterapeutico, in visto del loro reinserimento nella comunità di appartenenza, nel mondo sociale e lavorativo".

Viterbo: show in prima serata dal carcere di Mammagialla

 

Il Messaggero, 7 giugno 2006

 

Il reality dal carcere si farà. Il progetto va avanti e adesso è arrivata anche la richiesta ufficiale di Maurizio Costanzo per una visita alla casa circondariale di Mammagialla, che si appresta ad ospitare, probabilmente in autunno, le telecamere di Canale 5 per la realizzazione di uno show da mandare in onda in prima serata. Ma il direttore dell’istituto di pena, Pierpaolo D’Andria, preferisce parlare di documentario sulla vita vera della galera, diventata nell’immaginario comune una sorta di albergo a cinque stelle: "Non è così che stanno le cose, i problemi sono tanti, dalla sicurezza al sovraffollamento, al rischio di contagio criminale alla diffusione di malattie. E allora - spiega - ben venga un programma di approfondimento che racconta la verità della pena al pubblico televisivo". Il progetto è poco più che in fase embrionale: "Ma da entrambi le parti c’è la volontà di arrivare fino in fondo".

La novità sta nel fatto che, per la prima volta, non andranno in onda immagini di repertorio: "Il pubblico da casa vedrà la cruda realtà di chi sta scontando una condanna in prigione". Smentisce categoricamente che si tratti dell’ennesima trovata per fare audience, stavolta a spese dei detenuti: "L’obiettivo è divulgativo - ribadisce - far conoscere al pubblico cosa vuol dire vivere in una cella, espiare un reato dietro le sbarre". Mammagialla si presta, non solo per la vicinanza con Roma: "Non è l’isola felice di Pianosa o della Gorgona, dove i detenuti possono lavorare all’aperto e avere una vita sociale più intensa. È un carcere di massima sicurezza, con pesanti limitazioni della libertà, dove basta varcare i cancelli per respirare aria di sofferenza". Un’occasione per portare alla luce il dramma dei detenuti, ma anche la dura vita del personale penitenziario: "Basti dire che Mammagialla ospita 650 reclusi invece dei previsti 450, il che significa due detenuti per cella invece che uno, con tutti i disagi e i rischi, sanitari ma non solo, che ciò comporta". Altissima la vigilanza. La sezione più affollata è quella dei detenuti comuni, circa 500 tra imputati e condannati. Poi ci sono circa cento detenuti in regime di alta sicurezza, per reati come associazione a delinquere e spaccio internazionale di stupefacenti. Infine una cinquantina di reclusi nel reparto blindato del 41 bis.

Le telecamere di Maurizio Costanzo riprenderanno solo l’ala riservata ai cosiddetti detenuti comuni: "Ma non saranno a presa diretta, anche se le immagini girate saranno quelle della quotidianità del carcere, dalla vita in cella alla socializzazione, ai rapporti col personale". Tutto filtrato, per evitare qualunque forma di strumentalizzazione: "Se ci saranno parenti saranno in studio, così come altri ospiti, dove il conduttore integrerà i filmati dando vita al dibattito". Il temine galera resta il preferito da Pierpaolo D’Andria: "La percezione comune è che in prigione si stia bene, è arrivato il momento di spiegare che la verità è un’altra".

Viterbo: i detenuti dell’Alta Sicurezza recitano Eduardo De Filippo

 

Il Messaggero, 7 giugno 2006

 

Lavori in corso a Mammagialla per mettere a punto un evento senza precedenti: domani pomeriggio, alle ore 17, per la prima volta, il carcere di massima sicurezza ospiterà 250 spettatori disposti a pagare per vedere in scena i detenuti. Coincidenza curiosa, si tratta della commedia "Non ti pago" di Eduardo De Filippo, che avrà per protagonisti 15 reclusi del reparto di alta sicurezza, iscritti al laboratorio "Teatro in Gradi", nato nell’85 e attualmente gestito da Arci solidarietà di Viterbo, con la regia di Francesco Mencaroni, il cui obiettivo è raccogliere fondi da devolvere a favore dell’associazione Eta Beta. Un evento unico, anche se gli attori della compagnia si sono già esibiti in tre repliche per gli altri reclusi.

Solidarietà a doppio senso di marcia, come hanno sottolineato il prefetto Alessandro Giacchetti e il direttore dell’istituto di pena, Pierpaolo D’Andria, presentando l’iniziativa: "Da una parte ci sono i reclusi, il cui regime non prevede permessi di uscita, dall’altra i diversamente abili. Entrambe categorie svantaggiate, che hanno diritto alla stesa tutela di tutti i cittadini italiani, come recita la costituzione". Non a caso l’evento cade in concomitanza con le celebrazioni per il 60° anniversario della Repubblica e dell’assemblea costituente: "L’obiettivo è promuovere un circuito civico virtuoso per il recupero e il reinserimento di tutti i soggetti svantaggiati, fuori e dentro il carcere". I ragazzi del laboratorio teatrale "Su il sipario" ricambieranno venerdì 16 portando a Mammagialla il loro nuovo spettacolo. Dietro le sbarre anche gli studenti dell’istituto pedagogico "Santa Rosa" di Viterbo: "Non solo per assistere allo spettacolo, ma anche per una vista alla struttura, per smitizzare l’immagine del carcere che nell’immaginario collettivo è simile a un albergo, con la televisione a colori e tutti gli agi, nella speranza che l’impatto con una realtà ben diversa faccia capire loro la verità, la sofferenza, l’aria pesante che si respira in prigione". All’iniziativa ha contribuito tutto il personale penitenziario, che ha donato ai ragazzi dell’Eta Beta gli abbonamenti gratuiti alle Terme dei Papi.

Milano: San Vittore Sing Sing: festival di musica, arte e poesia

 

www.ildue.it, 7 giugno 2006

 

Il 19 Giugno 2006, all’interno del carcere di San Vittore di Milano, si terrà la seconda edizione del Festival San Vittore Sing Sing, iniziativa nata nel 2005 come Festival di musica e di cabaret che coinvolge sia artisti di fama nazionale sia il gruppo musicale del carcere.

L’edizione 2005 aveva visto la presenza di 3 gruppi musicali, 11 comici, 100 persone dello staff e oltre 400 spettatori. Con il 2006 il festival raddoppia. Il programma di quest’anno propone concerti e performance di oltre 15 artisti per un pomeriggio di spettacolo e intrattenimento rivolto ai detenuti e agli operatori penitenziari. In ogni zona d’aria verrà allestito un palco per un totale di cinque stage sui quali si susseguiranno pezzi di cabaret e brani musicali.

I cinque palchi ospiteranno: Caparezza, Bertolino, Stefano Chidaroli, il gruppo algerino Gnawa Rai Diffusion, Giovanni Cacioppo di Colorado Cafè, Max Pisu, Mondo Marcio, Walter Leonardi e Flavio Pirini, Rossana Carretto, Andrea Rivera, Lisa Lessi, Sabino de Bari, il gruppo musicale sud americano Carlos Ugheto y Su Sonido Sabroso, Germano Lanzone e Flavio Settegrani. E non solo, il Mago Barnaba animerà il pomeriggio degli "ospiti" più piccini.

Gli artisti esterni si mischieranno a quelli interni al carcere e la mascotte dell’evento è anche quest’anno il laboratorio musicale di San Vittore, VLP Sound, il gruppo interno affiancato dal maestro di musica Alejandro Jaraj con la collaborazione di maestri quali Franco Cerri e Enrico Intra. Già l’anno scorso la Provincia di Milano, che patrocina l’iniziativa, ha voluto sostenere VLP Sound contribuendo alla creazione di uno studio di registrazione e all’acquisto delle strumentazioni tecniche necessarie, e anche quest’anno saranno presenti alla manifestazione Filippo Penati, Presidente della Provincia di Milano e Francesca Corso, assessore all’Integrazione sociale per le persone ristrette nella libertà.

Cassazione: Bossi-Fini, no all’arresto dei clandestini recidivi

 

Corriere della Sera, 7 giugno 2006

 

Il clandestino recidivo non può essere arrestato anche se non ha ottemperato al provvedimento di espulsione intimato dal questore. Lo sottolinea la Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso di Isabel M., una 24enne immigrata senza fissa dimora e senza un lavoro stabile nei confronti della quale il tribunale della libertà di Bologna aveva respinto la richiesta di sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari. Per il tribunale, la richiesta della difesa della clandestina appariva inadeguata a fronteggiare il pericolo di reiterazione del reato. Tesi bocciata dalla suprema Corte secondo la quale "lo straniero già condannato per non aver volontariamente ottemperato all’ordine di allontanamento impostogli dal questore" non può essere arrestato in caso di recidività, tutt’al più per lui "può soltanto disporsi il trattamento presso un centro di permanenza".

Genova: in Parlamento il libro bianco elaborato dal Sappe

 

Comunicato stampa, 7 giugno 2006

 

Giunge al Parlamento europeo e alla Commissione Europea il libro bianco sulla situazione penitenziaria della Liguria, già inviato a tutti i Parlamentari eletti in Regione.

Ad elaborarlo è stato, nei giorni scorsi, la Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, il più rappresentativo del Corpo con oltre 11 mila iscritti (circa 600 in Liguria), d’intesa con le Segreterie Provinciali e Locali della Regione.

"Abbiamo ritenuto opportuno inviare il documento, oltre ai parlamentari ed ai gruppi consiliari della Liguria, anche agli eletti al Parlamento Europeo nella circoscrizione Nord Ovest, ai componenti la Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni e al vice Presidente della Commissione Europea Franco Frattini" spiega Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto Sappe.

"La situazione è d’emergenza: nei sette penitenziari liguri ci sono oggi circa 1.550 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 1.121 posti e una carenza di poliziotti penitenziari che sfiora le 300 unità" denuncia il SAPPE, che sottolinea come il libro bianco elaborato "fotografi la situazione penitenziaria regionale. È un dato di fatto oggettivo che tutte le realtà del Nord Italia sono in palese sofferenza in ordine alla carenza di Personale di Polizia Penitenziaria e del Comparto Ministeri nonché per strutture sovraffollate ben oltre i limiti regolamentari. La situazione ligure, però, ha raggiunto limiti massimi oltre i quali non è possibile proseguire oltre e se il sistema penitenziario regionale "regge" è solamente per l’alto senso di responsabilità e di competenza che tutto il personale, e principalmente quello appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria, pone in essere quotidianamente. Le attuali condizioni sono certamente il risultato di politiche sbagliate, trascuratezze, risposte inadeguate avvenute a livello nazionale e locale, legislativo e gestionale da molto, troppo tempo. Troppi gli errori, le disattenzioni, i limiti. I dati statistici dimostrano, oggettivamente e incontrovertibilmente, la gravità del problema carcerario in Liguria per una grave carenza di Personale di Polizia Penitenziaria e del Comparto Ministeri; una popolazione detenuta in prevalenza composta da immigrati e tossicodipendenti; strutture spesso vecchie ed inadeguate".

"Sicurezza sociale vuole anche dire carceri sicure e per avere queste servono le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria. Per queste ragioni" conclude Martinelli "abbiamo deciso di coinvolgere tutti gli eletti parlamentari. Perché di fronte a questo problema nessuno può chiudere gli occhi".

Lettere: Palermo; mio marito è nel carcere dell’Ucciardone

 

Melting Pot, 7 giugno 2006

 

"Mio marito è ancora nel carcere Ucciardone di Palermo ma è ancora in pericolo di espulsione. Sono andata a trovarlo con i nostri 3 bambini. Le carceri sono tutte posti orribili ma non mi aspettavo un’ accoglienza simile. Mi hanno fatto aspettare 4 ore prima di vederlo, pur sapendo che avevamo fatto 16 ore di viaggio e mi hanno concesso forse "per clemenza " solo 1 ora di colloquio. Hanno detto che rispettano la mia religione e che mi avrebbero lasciato il velo ma mi hanno spogliata, lamentandosi che avevo troppi vestiti!!! ringrazio Dio era una donna che perquisiva. Dopo l’ennesima umiliazione ho visto mio marito, ma, in una sala da soli. I colloqui si fanno di solito con gli altri detenuti, se si è in stanza da soli è evidente che si è ascoltati e così diventa impossibile parlarsi. Nabil ha, però, voluto farmi sapere che non poteva farmi le telefonate che solitamente sono concesse e che non gli facevano neanche ricevere posta e che su questo aveva inoltrato una protesta formale. Nel frattempo ha ricevuto un verbale in cui gli chiedevano se voleva usufruire dei giorni di liberazione anticipata. Forse perché era disperato, non vedendoci e non vedendo l’avvocato, ha chiesto i 90 giorni l’anno maturati sino ad ora. Questo significa che dovrebbe uscire tra qualche giorno e che il rischio di espulsione si fa sempre più grave. Purtroppo ancora non abbiamo trovato un avvocato, a Palermo, disponibile ad andare subito in carcere per avviare con lui le procedure che possono rendere meno facile l’espulsione. Purtroppo il suo permesso di soggiorno è scaduto e lui non ha potuto rinnovarlo perché ai detenuti non è permesso. Per lui uscire dal carcere non significa libertà ma espulsione! Alcuni dei suoi connazionali arrestati con le stesse motivazioni, una volta riportati in Tunisia hanno scoperto di avere condanne di cui non sapevano e alcuni sono scomparsi nel nulla. Io sono italiana, Nabil è in Italia da 19 anni e io e lui siamo sposati e abbiamo 3 figli nati in Italia, il più grande ha 17 anni, perché deve tornare in Tunisia se la sua vita è in Italia??? Lui ha finito di pagare la sua condanna e vuole restare qua con la sua famiglia. Chiedo la vostra solidarietà, la vostra comprensione ed il vostro aiuto, grazie nabilbenatia@virgilio".

Filippine: il Parlamento abolisce la pena di morte

 

Asca, 7 giugno 2006

 

Il Parlamento delle Filippine ha approvato la proposta di legge sull’abolizione della pena capitale. È attesa a breve la promulgazione della legge da parte del presidente Gloria Arroyo. Il testo, che abroga la normativa del 1994 sui crimini efferati, è stato votato ieri sera all’unanimità in Senato, dopo un contrattato passaggio alla Camera dei rappresentanti. Una volta entrata in vigore, la nuova legge commuterà in ergastolo le sentenze di morte di circa 1.200 detenuti. A Manila, sono stati giustiziati quattro stupratori e tre rapinatori dal 1999 al 2000, prima che il governo approvasse una moratoria su pressione della chiesa cattolica locale, dell’Unione europea e dei gruppi per la difesa dei diritti umani. La presidenza "accoglie favorevolmente il progetto di legge che abolisce la pena di morte", ha detto il portavoce di Arroyo, Ignacio Bunye.

 

 

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