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Chiacchiere bipartisan bilancio critico della campagna sull'amnistia di Sergio Segio
Fuoriluogo, 27 gennaio 2006
L’ennesima puntata sull’amnistia-indulto è finita, affondata da un voto congiunto Lega, An, Ds e Margherita di cui in altri tempi ci si sarebbe vergognati. "Forcaioli di tutt’Italia unitevi", ha crudamente titolato "il manifesto", che pure sui temi del carcere si spende con parsimonia. In maniera bipartisan i partiti si sono cimentati un mese intero in divisioni, temporeggiamenti, scambio di accuse e di comunicati, gare di visibilità. E chiacchiere, tante chiacchiere. Una pessima, cinica e già veduta telenovela. Ora l’amnistia è sepolta. Sarebbe potuta andare diversamente? Probabilmente sì. Certo era necessaria la precondizione di vedere, volere e dichiarare amnistia e indulto come primo atto di un "nuovo corso" della giustizia. Un segnale, concreto e propedeutico, di discontinuità rispetto alle politiche sin qui seguite, caratterizzate dalla massima tolleranza verso i reati dei "potenti" e dall’intransigente rigore verso quelli della marginalità sociale, verso tossicodipendenti e immigrati. In molti hanno invece pensato possibile e lineare varare in dicembre la legge ex Cirielli (o rivendicare i Cpt) e caldeggiare (a parole e per finta, ovviamente) l’amnistia per fine anno; alcuni, anzi, non hanno avuto pudori nel partecipare in prima fila alla Marcia di Natale per l’amnistia, che ha visto più politici presenti di quanti non ve ne siano poi stati a chiusura della seduta del 27 dicembre, appositamente e straordinariamente convocata alla Camera per verificare le reali disponibilità. Sarà dipeso dal fatto che era maggiore il numero di telecamere e giornalisti alla Marcia di Pannella di quello previsto a Montecitorio. Fatto sta che Ds e Margherita si sono infine compattati sulla proposta del solo indulto o, meglio, di un indulticchio, parziale e "a scalare". Come non vi fosse stato già l’indultino dell’agosto 2003: vera e propria truffa, sin dal nome. Sbagliare è umano (anche i radicali lo appoggiarono), specie per una politica miope e sorda alle voci del sociale, ma stupisce che quel provvedimento venga ancora rivendicato da chi lo promosse e ora ne enfatizza le cifre: sarebbero 8.000 i "beneficiati". Si dimentica però di dire che la gran parte avrebbe comunque avuto accesso all’affidamento al servizio sociale e, soprattutto, che circa uno su tre è già rientrato in carcere, in buona misura a causa delle prescrizioni vessatorie, non previste nell’esecuzione delle normali misure alternative. Dunque l’indultino non solo non ha consentito maggiori uscite, ma semmai ha prodotto reincarcerazioni che non ci sarebbero state con le normali misure. Un saldo insomma del tutto negativo. E perseverare certo è diabolico. Una diversa conduzione di questa campagna per l’amnistia sarebbe stata altrettanto indispensabile. Occorreva dall’inizio ragionare e agire in logica di "rete" e non di partito. Per costruire iniziative "dal basso", per realizzare le necessarie alleanze, per coinvolgere associazioni, volontariato, realtà cattoliche, operatori. Si è preferito "usarli", immaginando bastasse che Prodi e Berlusconi si accordassero, con consuete logiche della peggior politica. La battaglia per amnistia e indulto, però, è così difficile che non può essere pensata e gestita come occasione per piantare bandierine di partito, per essere giocata elettoralmente o per acquisire contrattualità nei rapporti e negli accordi tra forze dell’Unione. Ma così sono andate le cose, e così stanno adesso. Con i detenuti beffati e pure mazziati. Stante che neppure la legge istitutiva del Garante nazionale dei detenuti è uscita dalle paludi parlamentari. A novembre, dopo molte iniziative e digiuni, impegni al riguardo erano stati presi dal presidente della Camera Casini e da quello della Commissione giustizia Pecorella. Evidentemente, impegni di carta straccia. Come ogni altro impegno del centrodestra per riformare davvero le carceri. Non è affatto sicuro che l’amnistia si faccia nella prossima legislatura a opera del centrosinistra, se dovesse vincere le elezioni. Ma rimane certo che detenuti, operatori e volontari non rimpiangeranno l’attuale governo. Giustizia: a Roma l’inaugurazione dell’anno giudiziario
Ansa, 27 gennaio 2006
Il Procuratore Generale della Cassazione, Francesco Favara, esprime al presidente della Repubblica, "la ferma convinzione che i magistrati del pubblico ministero sapranno proseguire, con l’autonomia e l’indipendenza di cui hanno dato sempre prova, la loro opera a difesa della legalità". Con queste parole, l’alto magistrato conclude il suo intervento alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario che inizierà alle 11, nell’aula magna della Suprema Corte. Il Pg Favara ha espresso questa convinzione dopo aver analizzato gli effetti che la riforma dell’ordinamento giudiziario potrebbe avere sulle procure: in particolare, Favara si è riferito al rischio della "burocratizzazione" degli uffici del pm.
No a pm burocrati
Il procuratore generale della Cassazione lancia inoltre l’allarme sul rischio che la riforma dell’ordinamento giudiziario produca effetti negativi sulle procure. "È lecito auspicare che i capi degli uffici - dice Favara - non accentuino la burocratizzazione delle procure, che ne comprometterebbe l’azione e la funzionalità, e lederebbe la stessa immagine della giustizia. Questo non significa rinunciare a una organizzazione efficiente, che certamente implica controlli e coordinamento in ordine alle attività svolte dai magistrati delegati". "L’obiettivo di una migliore efficienza e funzionalità degli uffici non si raggiunge - ammonisce Favara - con una interpretazione della riforma in senso rigidamente gerarchico e burocratico". "Non può essere sottaciuto il rischio che in taluni uffici - spiega Favara - sia eccessivamente limitata l’autonomia dei singoli magistrati e si creino le premesse per un dannoso contenzioso interno".
Più lunghi tempi indagine
Si sono allungati, in questo ultimo anno, i tempi delle indagini preliminari. Il dato emerge dall’intervento di Favara che "rinnova la sollecitazione a ridurre i tempi". "La media nazionale della loro durata è stata, nell’anno decorso, pari a 365 giorni (18 in più dell’anno precedente). Se si escludono le indagini nei confronti di ignoti, le media sale a 485 giorni. Troppi!".
Cerimonia con Ciampi e Berlusconi
Alla presenza del presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e delle più alte cariche dello Stato è cominciata nell’Aula magna della Cassazione la cerimonia di inaugurazione dell’Anno giudizario. Per la prima volta, a leggere la relazione sullo stato dell’amministrazione della giustizia è il presidente della Cassazione, Nicola Marvulli. Dopo la riforma dell’ordinamento giudiziario, varata lo scorso luglio, questo compito spetta infatti al primo presidente e non al pg della Suprema Corte. Tra le altre novità di quest’anno c’è il mancato e tradizionale corteo degli ermellini: 40 rappresentanti dei magistrati di legittimità, 11 della procura ed i 9 avvocati sono infatti entrati nell’Aula Magna dalla parete di fondo che collega l’Aula con la Biblioteca. Tra le autorità presenti ad ascoltare la relazione di Marvulli ci sono, tra gli altri, il presidente del Senato, Marcello Pera, il vicepresidente della Camera, Alfredo Biondi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, il presidente della Corte Costituzionale Annibale Marini, il vicepresidente del Csm, Virginio Rognoni ed il cardinale Camillo Ruini. Dopo Marvulli, interverranno il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, il vicepresidente del Csm Rognoni, l’Avvocato generale dello Stato, Oscar Fiumara ed il presidente del Consiglio nazionale forense, Guido Alpa.
Marvulli, aumento contenzioso civile
Il contenzioso civile ha avuto una tendenza al "progressivo, costante incremento: per i processi di nuova iscrizione è del 14,8% presso i giudici di pace, dell’1,8% presso i tribunali e del 28,5% presso le corti d’appello". Lo ha detto il primo presidente della Cassazione, Nicola Marvulli, nella relazione che ha inaugurato l’anno giudiziario. "Vi è stata una crescita esponenziale del contenzioso civile - ha aggiunto - non comparabile con il tasso di crescita degli anni precedenti; ciò nonostante all’incremento dei nuovi processi pervenuti ha fatto riscontro un notevole aumento dei processi definiti pari al 2,1% per i giudizi di primo grado e addirittura all’8,1% per quelli d’appello". Quest’aumento generalizzato del contenzioso, ha sottolineato il presidente, "evidenzia il consolidamento nella nostra società di una estesa conflittualità nei rapporti inter-soggettivi con la conseguenza che si ricorre sempre e soltanto al giudice anche quando, specialmente in alcuni settori, sarebbe possibile ed agevole l’utilizzo di adeguate strutture di mediazione".
Marvulli, riforma pregiudica efficienza
"Certo che questa riforma pregiudicherà l’efficienza della magistratura". Questo uno dei passaggi politici della Relazione sull’attività giudiziaria che il primo presidente della Cassazione, Nicola Marvulli, sta leggendo nell’Aula Magna.
Marvulli, magistratura non è più casta
"Dobbiamo riconoscere con umiltà che oggi la magistratura, a causa dell’inadeguatezza dell’amministrazione della giustizia, più non gode dell’antico prestigio, quello che era il prestigio della casta". Lo ha detto il presidente della corte di Cassazione, Nicola Marvulli, nel corso della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario. "La magistratura - ha proseguito Marvulli - potrà recuperare e accrescere ad un tempo il prestigio perduto se tutti insieme, con la nostra attività, sapremo essere fedeli interpreti della legge e garanti della sua osservanza". Secondo il presidente della Cassazione, la magistratura deve essere consapevole, "nell’irrinunciabile difesa della sua indipendenza", che questa "difesa non può prescindere dall’arricchimento della professionalita".
Marvulli, ex Cirielli amnistia mascherata
Il primo presidente della Cassazione, Nicola Marvulli, critica la ex Cirielli che ha tagliato i tempi di prescrizione e, implicitamente, parla di una amnistia mascherata. "Se fortemente condivisibile è la prospettiva di non consentire che un processo, per la sua lunga durata, diventi un inutile e dannoso strumento di vanificazione delle sue finalità - ha detto Marvulli - ciò non giustifica né il ricorso a provvedimenti che sono simulacri di generalizzati atti di clemenza, né un così pesante e differenziato trattamento punitivo nei confronti dei recidivi, tanto più che questi, molto spesso, costituiscono l’anello debole della delinquenza".
Castelli, varate norme senza precedenti
"Sul piano normativo, in questa legislatura, è stata approvata dal Parlamento una serie di norme che non è azzardato dichiarare senza precedenti rispetto a qualsiasi altra legislatura repubblicana": è quanto ha detto il Ministro della Giustizia, Roberto Castelli, parlando alla cerimonia di apertura dell’anno giudiziario in Cassazione. "La riforma dell’Ordinamento Giudiziario, la riforma del Diritto Societario, la riforma delle procedure concorsuali e la riforma di una parte significativa del Codice di Procedura Civile - ha aggiunto Castelli - costituiscono infatti un corpus di riforme, che certamente contribuirà da un lato a ridurre la durata dei processi e dall’altro a incrementare la competitività del sistema Italia".
Castelli, processo civile 300-1500 giorni
In Italia il processo civile di primo grado ha una durata media di 300 giorni in alcune realtà, di 1.500 giorni in altre realtà. Lo ha sottolineato il ministro della Giustizia Roberto Castelli nel suo discorso all’apertura dell’anno giudiziario in Cassazione. Tra le iniziative messe in campo durante la sua permanenza al ministero della Giustizia, Castelli ha ricordato "l’ideazione, la costruzione e la sperimentazione, in collaborazione con il Consiglio Superiore della Magistratura, di un efficace strumento telematico che valuta l’efficienza degli uffici giudiziari". "Ciò - ha spiegato Castelli - è stato reso necessario dalla considerazione che disaggregando i dati nazionali, emergono differenze di efficienza assai notevoli tra uffici giudiziari. Vi sono infatti alcune realtà in cui il processo civile di primo grado ha una durata media di 300 giorni ed altre in cui il medesimo processo dura 1.500 giorni. È stato, pertanto, assolutamente necessario munirsi di uno strumento che consentisse di analizzare approfonditamente la realtà dei singoli uffici, al fine di intervenire con efficaci correttivi".
Castelli, abbattuto costo intercettazioni
In Italia il costo medio delle intercettazioni telefoniche è sceso in un quinquennio da 80 a 20 euro. Lo ha detto il ministro della Giustizia Roberto Castelli, citando, durante il suo intervento all’apertura dell’anno giudiziario in Cassazione, alcune iniziative messe in campo per razionalizzare le risorse per il settore giustizia.
Rognoni, no a organo indipendente magistrati
La prospettiva di un organo indipendente che abbia funzione di sezione disciplinare per i magistrati, ipotizzata dal Guardasigilli attraverso una riforma costituzionale secondo Rognoni "può essere certo legittima ma, se si basa sulla supposta autoreferenzialità dei magistrati, è gratuita e sbagliata perché introduce nel sistema un diffidenza circa la imparzialità dei giudici, e ferisce gravemente quel rapporto di fiducia che deve esserci tra il cittadino e i giudici della Repubblica; un rapporto che i soggetti istituzionali, in particolare, devono avere cura di favorire e preservare". Nel riconoscere che ci sono state lentezze nelle procedure di nomina e dei trasferimenti dei magistrati sulle quali si è intervenuti per porre rimedio dopo l’opportuno richiamo del Capo dello Stato, Rognoni ha detto che si sono visti "buoni risultati, ma queste ritardate procedure soprattutto per le nomine apicali rimangono". Il vice presidente dell’organo di autogoverno dei giudici ha comunque smentito, sulla base dei dati, "la tesi del lassismo del Csm in materia disciplinare. Per unanime riconoscimento la sessione disciplinare del Csm è stata ed è al riparo da logiche di schieramento e si attiene al più rigoroso criterio di imparzialità. Una corretta analisi delle statistiche restituisce la realtà del Csm attento tutore del prestigio della magistratura".
Mafia si diffonde anche dove non c’era
La criminalità organizzata si sta accaparrando nuove fette del territorio italiano, adottando forme di invasione molto più invisibili e soft rispetto al passato. Lo dice il Primo presidente della Cassazione, Nicola Marvulli, nella sua relazione per l’apertura dell’anno giudiziario. "Per quanto riguarda le tradizionali organizzazioni criminali, si devono registrare - ha detto - una consistente diffusione della mafia anche in territori dove era stata assente e la persistenza di scelte operative meno clamorose e meno appariscenti". "La mafia abbandonata ogni strategia di lotta armata - ha spiegato Marvulli - continua a gestire i suoi interessi nell’area che le è più consona, e cioè nell’usura, nelle estorsioni, nella gestione degli appalti, nel traffico di droga, cioè in tutti quei campi nei quali la forza dell’intimidazione, il silenzio della vittima o la sua estorta collaborazione hanno un ruolo determinante nella esecuzione del delitto e nella garanzia della sua impunita".
Italia territorio preferito da mafia russa
"Anche quest’anno l’Italia è stata il territorio di elezione di alcune organizzazioni criminali russe che, associate a bande italiane, si sono dedicate all’investimento di ingenti capitali nel campo immobiliare, finanziario ed imprenditoriale". L’allarme sulla mafia che viene dall’Est - e che nel nostro paese trova un terreno fertile per riciclare gli ingenti flussi di denaro sporco di cui è provvista - viene dal Primo presidente della Cassazione Nicola Marvulli, nella sua relazione per l’apertura dell’anno giudiziario. Con riferimento alle altre mafie straniere, Marvulli sottolinea come quella cinese "caratterizzata da forte coesione interna, si è quasi esclusivamente dedicata alla contraffazione dei marchi, al gioco d’azzardo, alle estorsioni ed al traffico di sostanze stupefacenti". A proposito dei clan albanesi, Marvulli segnala come essi si dedichino in "forma prevalente" al traffico di sostanze stupefacenti, alla tratta degli esseri umani ed al controllo della prostituzione". Buono il giudizio sulla legge 228 del 2003 che ha punito, specificamente, la tratta degli esseri umani. Droghe: Fini; ma nessuno andrà in carcere per uno spinello
Il Mattino, 27 gennaio 2006
Olimpiadi invernali e droga. L’insolito accostamento è di ieri, dove in Senato si stava discutendo il decreto legge datato 30 dicembre che si occupava sostanzialmente di sicurezza e finanziamento dei Giochi Olimpici. In extremis sono state inserite alcune norme del ddl Fini sulla droga. Il governo ha posto la fiducia e il decreto con il maxi emendamento ha avuto il via libera. Per le Olimpiadi non ci sono novità. Ma per le sostanze stupefacenti si tratta di una rivoluzione. Tre i punti più importanti: nessuna distinzione tra droghe leggere e pesanti, strutture pubbliche e private sono ora sullo stesso piano, e sono previste pene alternative per i tossicodipendenti, ma anche per gli alcolisti, in carcere. Il provvedimento non ha stabilito la quantità di droga che può essere considerata per uso personale, demandando la questione ad un prossimo provvedimento del ministero della Salute. Ma di fatto cannabis e cocaina sono sullo stesso piano: chi importa, esporta, riceve, acquista o detiene una sostanza stupefacente per uso non esclusivamente personale è punibile con una pena che va da sei a venti anni di carcere (e da 26 a 260mila euro di multa). Sanzioni amministrative per chi (quando verrà fissato il quantitativo) è trovato in possesso di droga per uso personale. In questo caso potrebbe ritrovarsi senza passaporto o patente di guida, porto d’armi o permesso turistico (e se si tratta di un extracomunitario non avrà mai il permesso di soggiorno). Il testo - che costituisce l’articolo 4-bis dell’emendamento - è suddiviso in ventitré sezioni. Si va dall’inasprimento delle pene, alla possibilità per il tossicodipendente condannato ad una pena inferiore ai sei anni (ora è fissata a quattro anni) di poter avere gli arresti domiciliari per curarsi in una struttura pubblica o privata. La certificazione per passare in prova alla comunità fino ad oggi appannaggio dei Sert per la prima volta viene delegata anche al privato sociale. L’approvazione di una parte del ddl Fini a pochi giorni dallo scioglimento delle Camere ha scatenato l’Unione che ha annunciato una durissima battaglia. Critico Fausto Bertinotti di Rifondazione: "Quello che offende è che per ammiccare alla parte reazionaria dell’elettorato la Cdl si permette di inserire in una legge che riguarda le Olimpiadi un provvedimento sulle droghe". Rosy Bindi della Margherita l’ha definito "un colpo di mano": "Sono norme poliziesche che affrontano il contrasto alle tossicodipendenze in modo inadeguato e osteggiato dalle stesse comunità". Attacca Daniele Capezzone dei radicali: "In Parlamento fanno tanto i moralisti, ma se va un cane poliziotto a Montecitorio, prima gli va in tilt il naso e poi si arrende...". Il ministro degli Esteri Gianfranco Fini difende la legge: "Non si tratta di un intervento repressivo se non per quello che riguarda lo spaccio. Nessuno finirà in galera per uno spinello, ma è innegabile che chi assume sostanze stupefacenti crea dei danni ed è giusto che lo Stato sanzioni il consumo personale". In difesa delle nuove norme anche il ministro dell’Udc, Carlo Giovanardi: "Il disegno di legge non è una macelleria giuridica ma pone fine a una situazione di grande incertezza perché ad oggi i tribunali hanno troppa discrezionalità nello stabilire se si tratta di spaccio o di consumo personale". Il provvedimento passa ora alla Camera, i tempi sono strettissimi e non ci saranno modifiche, malgrado gli operatori del settore abbiano criticato la legge. Droghe: Giovanardi; svolta storica, anche la "canna" è pericolosa
Apcom, 27 gennaio 2006
"Anche gli spinelli sono una droga pericolosa" e "finalmente è stato chiarito da una legge dello stato". A dirlo è il ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi in una intervista a La Repubblica, nella quale si fa il punto dopo l’approvazione del provvedimento sulla droga. "Abbiamo fatto una operazione di principio - dice il ministro - il consumatore è differente dallo spacciatore, quindi per il primo si prevedono sanzioni amministrative, per il secondo invece c’è la galera: sono quelli della camorra, mafia e ‘ndrangheta". E basta con le scuse: "chi vende eroina con la scusa che rifornisce gli amici per una festa non la farà più franca: quello è spaccio". Adesso non c’è che da attendere che il ministero della salute compili le tabelle con le quantità di sostanze nocive ‘permessè, uno strumento che "diventerà il futuro parametro di riferimento per i magistrati, che avranno gli strumenti per adottare le sentenze alla gravità del caso". E a chi dice che le carcere scoppieranno, il ministro replica che in carcere "andranno soltanto i veri spacciatori". Del resto, sostiene, questo è un provvedimento che punta alla prevenzione". Droghe: Gruppo Abele; approvazione stralcio è grave per tutti
Comunicato stampa, 27 gennaio 2006
È grave la modifica apportata al Senato alla legislazione in materia di tossicodipendenza, all’interno del decreto Olimpiadi, con voto di fiducia. Grave per molti giovani che possono non essere definiti tossicodipendenti anche se entrano in contatto con droghe leggere, grave per le persone tossicodipendenti, grave per le loro famiglie, grave per la già tragica situazione delle carceri italiane. Grave per tutti. Per riassumere sono quattro i punti, in estrema sintesi, su cui esprimiamo il dissenso, dato dall’esperienza e dall’incontro con migliaia di situazioni che sono entrate in contatto con le droghe, e delle quali molte hanno dato una svolta alla loro vita abbandonando l’uso delle sostanze. Primo: l’equiparazione tra droghe leggere e pesanti mette sostanze, effetti e persone, molto diverse, sullo stesso piano e porterà inevitabilmente nel circuito carcerario molti assuntori di sole droghe leggere. Questa nuova legislazione ci riporterà a quanto avveniva tra il 1990 e il 1993. Secondo: quando si definisce per legge chi è tossicodipendente e chi spacciatore e si determina la quantità si limita fortemente la discrezionalità del giudice che - le storie lo dimostrano - è necessaria perché ogni situazione va valutata, caso per caso, nell’ambito del giudizio. Terzo: le cure coatte. La legge introduce la consequenzialità tra condanna e opportunità di trattamento prevedendo l’accesso ai programmi di trattamento in sostituzione della pena. E se per tutte le forme di trattamento la libera scelta è un tassello fondamentale ciò diviene imprescindibile per chi entra in una comunità terapeutica che rappresenta uno strumento efficace solo se la persona che ne fruisce può sceglierla liberamente giorno per giorno. Quarto: l’introduzione delle certificazione da parte dei privati per l’accesso al trattamento. Oggi le comunità hanno molti posti vuoti e potrebbe esserci una sorta di "conflitto di interessi", vale a dire un invio più facile, per "far tornare i conti" per riempire, non nell’interesse della persona ma della struttura. Noi siamo per una separazione di tutto ciò, in parole povere avremmo lasciato questo aspetto unicamente ai servizi pubblici. Droghe: Corleone; in un anno 20-30 mila detenuti in più
Libertà, 27 gennaio 2006
Nelle carceri italiane un detenuto su quattro è tossicodipendente: in totale sono quasi 15 mila su oltre 60 mila, e più di seimila sono cocainomani. Sono i dati forniti a dicembre dallo stesso ministro della Giustizia Roberto Castelli nel suo intervento alla Conferenza nazionale sulla droga di Palermo. Da un primo studio italiano condotto in 19 penitenziari nel triennio 2001-2004, reso noto alla fine dello scorso ottobre, è inoltre risultato che sono diecimila i detenuti tossicodipendenti che sono affetti anche da disturbi psichiatrici. I disturbi più frequenti di cui soffrono sono i comportamenti antisociali (33,9%), i borderline (26,2), le paranoie (25%), per poi passare alla depressione e infine alla schizofrenia. In base alla statistica del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria riferita al primo semestre del 2005, erano poi quasi 25 mila i condannati in via definitiva affidati in prova ai servizi sociali, che scontavano la pena all’esterno del carcere usufruendo di questa misura alternativa: si tratta del 62% dei soggetti che devono scontare pene all’esterno dell’istituto carcerari, il 13% dei quali è costituito da tossicodipendenti. Il resto sconta la pena fuori dal carcere con la semilibertà (mille persone, 6%); con la detenzione domiciliare (quasi cinquemila persone, 27%); in libertà vigilata (4%) e libertà controllata (1%). Secondo la previsione di Franco Corleone, presidente di "Forum droghe" un anno di applicazione delle nuove norme in materia di tossicodipendenza "farà lievitare il numero di detenuti di 20-30 mila unità, rendendo la situazione esplosiva". Anche per il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, "se i detenuti tossicodipendenti oggi sono circa 20 mila, dopo la legge sulle droghe si andranno a moltiplicare" e "giovani incensurati che fanno uso di marijuana o hashish rischieranno decenni di galera". Droghe: Giovanardi; finalmente mano dura con chi spaccia
Il Gazzettino, 27 gennaio 2006
La Cdl incassa, con sicurezza, il sì di Palazzo Madama al decreto per le Olimpiadi di Torino, nel quale erano state inserite anche le parti fondamentali del disegno di legge Fini contro la droga. Sul decreto così modificato il governo aveva posto la "questione di fiducia" e l’ha avuta. Di fatto la mano dura cala su tutto l’ampio spettro del fenomeno della tossicodipendenza con pene che vanno da un minimo di 6 ad un massimo di 20 anni per gli spacciatori e da 26 mila a 260 mila euro di multa, senza sostanziali distinzioni tra il consumo di droghe leggere e pesanti, per chiunque sia in possesso di quantità superiori a quelle del consumo personale; e con una serie di sanzioni amministrative come la sospensione della patente o del passaporto o del permesso di soggiorno. Tuttavia la nuova legge non precisa quale sia la quantità di droga oltre la quale si presume un consumo "non solo personale". La delicata questione è rinviata ad un successivo decreto applicativo. Il Governo, nessuna macelleria. Si vogliono colpire gli spacciatori, non i tossicodipendenti, non c’è nessun atto di macelleria, dice il ministro Giovanardi. Le nuove norme sono il frutto del contributo di operatori laici e cattolici. C’è una differenza sostanziale, anche nella gradualità delle misure da adottare, tra uso personale e spaccio: il principio generale è che anche gli spinelli sono una droga. Cdl, è una nostra vittoria. Esulta la Cdl per una legge che la qualifica politicamente, come dice An. "Non si tratta di un provvedimento repressivo se non per quello che riguarda lo spaccio - dice Gianfranco Fini, il padre del ddl varato a suo tempo dal governo - L’emendamento è semplice: non esiste il diritto di drogarsi. È innegabile che chi assume delle sostanze stupefacenti crea dei danni". Tutta An sottolinea con grande enfasi il risultato. Unione, sarà un dramma sociale. Dall’opposizione viene un pronostico: si innescherà un vero e proprio dramma sociale. L’Unione prepara battaglia alla Camera perché questa legge è "ingiusta e autoritaria", come dicono i Ds, o rappresenta semplicemente "vergogna e scempio della civiltà", come aggiungono i Verdi. Antiproibizionisti, non ci sono più libertà personali. "Ormai in Italia c’è una situazione in cui non ci sono più libertà personali: per farsi uno spinello bisogna andare in Olanda, per abortire con la RU486 bisogna andare in Svezia, per i Pacs in Francia, per la procreazione assistita in Spagna e per esercitare la ricerca in America", dice Emma Bonino. Le comunità divise sulla legge. Anche le comunità e le associazioni giovanili o comunque interessate a questo mondo si dividono e contrappongono. Don Gelmini dice che la legge non è perfetta ma migliora sostanzialmente la situazione; mentre Acli, Agesci, Cisl ed Exodus bocciano il decreto, definendolo "lontano dalla realtà e dalle persone". L’associazione Antigone prevede che ci sarà un rapido moltiplicarsi dei giovani tossicodipendenti in galera che oggi sono circa 20 mila. Droghe: Maisto (PG a Milano); si aggraverà affollamento carceri
Redattore Sociale, 27 gennaio 2006
Dopo l’approvazione al Senato del decreto Olimpiadi contenente modifiche alla legge sulle droghe, abbiamo intervistato Francesco Maisto, sostituto procuratore generale presso la Procura generale di Milano, per capire quali conseguenze sul piano penale e giudiziario comporterà l’adozione del nuovo provvedimento.
Dottor Maisto, il Senato oggi ha approvato le modifiche della normativa sulle droghe attraverso il decreto legge sulle Olimpiadi. I decreti legge si adottano in casi di urgenza. A quale urgenza fa fronte il provvedimento a suo avviso? La costituzione consente la decretazione d’urgenza solo quando ci sia il carattere di urgenza. Mentre sul provvedimento di abrogazione della ex-Cirielli c’era l’emergenza, cioè di non mandare in carcere detenuti che avevano fatto un programma terapeutico, per tutti gli altri articoli per i quali è stato fatto l’emendamento il requisito dell’emergenza non c’è. Tutta la parte relativa al potere delle Regioni, l’assemblamento delle tabelle, non c’è il requisito dell’emergenza.
Droghe leggere e pesanti sono equiparate. Quali saranno le prime conseguenze giudiziarie? Le tabelle portano al fatto che ci troviamo di fronte allo stesso trattamento sanzionatorio. Conseguentemente ci sarà un maggiore ampliamento dell’operatività degli arresti obbligatori in flagranza o quasi flagranza, si aggraverà la situazione di affollamento delle carceri e aumenteranno i processi per le nuove condotte sanzionate, andando a pesare sulla già ingolfata macchina della giustizia.
Il provvedimento reintroduce le quantità di principio attivo come discrimine tra uso personale e spaccio, ma rimanda al Ministero della Salute la decisione dei valori soglia. Mentre in Parlamento si vota, il Ministero non ha ancora pubblicato le quantità. Si rischia un vuoto legislativo? Intanto mi pare che il fatto cioè che non si scriva la soglia nella legge è un fatto positivo. Ma il problema è più generale, il problema è la soglia. Si sbaglia ogni volta che si ricorre a criteri quantitativi. Su questo la Corte Costituzionale si era già espressa con la sentenza numero 28 del 1993. Nella vacatio legis, tra la pubblicazione cioè della legge in Gazzetta ufficiale e la sua entrata in vigore, che di solito è di 15 giorni, c’è tempo per il Ministero di emettere la tabella. Se ciò non avvenisse avremmo una norma penale in bianco, e grossi problemi interpretativi.
Il testo introduce accanto alle quantità soglia anche dei parametri investigativi per discernere lo spaccio dal consumo, come il peso lordo, il confezionamento, il taglio della sostanza. Lo trova utile? Aiuteranno gli agenti di polizia? Dei parametri investigativi non c’è necessità. C’è tutta una giurisprudenza costante ed unanime della Corte di Cassazione su quelli che sono i parametri investigativi, cioè quelli indiziari se si versa nell’una o nell’altra ipotesi. Le forze dell’ordine in quanto operano in brutta condizione sulla strada, di questi parametri non sapranno mai cosa farsene, questi parametri servono al giudice.
Il decreto Olimpiadi ha modificato anche l’articolo 94bis della ex-Cirielli, sospendendo l’aumento di pena dei detenuti recidivi tossicodipendenti, a patto che abbiano un percorso terapeutico in corso. È limitativo assegnare i benefici soltanto a chi sceglie la comunità? L’obiettivo iniziale della Cirielli per quanto riguarda i tossicodipendenti era di punirli ancora di più e di mandarli in carcere senza sospendere la pena se recidivi. A questo hanno cercato di porre riparo con il decreto sulle Olimpiadi. Il decreto prevedeva in un primo momento l’esonero per quelli che erano tossicodipendenti ma che avessero comunque un programma di recupero in corso. Quello di oggi è ancora più restrittivo perché non si applica nei confronti di tossicodipendenti che non abbiano in corso al momento del deposito della condanna definitiva un percorso terapeutico. Se una persona inizia un programma e lo continua da dopo che la sentenza è divenuta definitiva a quando viene emesso l’ordine di carcerazione non serve a niente.
C’è una riduzione dell’area di operatività della sospensione della pena del td che abbia in corso un trattamento terapeutico. Sulle modifiche alla legge sulle droghe non vede vizi di incostituzionalità, quando ad esempio reintroduce il criterio quantitativo, già abrogato dal referendum del 1993? Si tratta in effetti della mera reiterazione di una legge che nei suoi principi era già stata ritenuta incostituzionale dalla Corte Costituzionale dopo il referendum. Si riproduce per legge ordinaria ciò che la maggioranza dei cittadini italiani aveva con voto referendario voluto abrogare. Il principio secondo il quale il legislatore ordinario non può reiterare una legge abrogata per referendum. Dopo il referendum la Corte ha valutato non costituzionale il principio quantitativo. La questione potrà essere sollevata nel momento in cui si richiederà una valutazione di legittimità costituzionale. Droghe: cancellata la distinzione tra "leggere" e "pesanti"
L’Arena di Verona, 27 gennaio 2006
Passa il giro di vite sulle droghe. L’assemblea di Palazzo Madama ha varato in prima lettura - concedendo la fiducia con 148 voti favorevoli e 82 contrari - l’emendamento del governo che contiene i pilastri del disegno di legge di Gianfranco Fini. Il testo - inserito nel maxi emendamento delle Olimpiadi invernali di Torino - passerà ora all’esame della Camera. Se sarà licenziato, entreranno in vigore pene molto più severe in tema di stupefacenti. Si rischiano infatti dai sei ai vent’anni di reclusione se si importa, esporta, riceve, acquista o detiene una sostanza stupefacente per uso non solo personale. Le quantità sono da definire, ma la vera novità - uno dei punti più scottanti dello scontro politico - è che non esisterà più distinzione fra droghe pesanti e droghe leggere. Chi detiene un quantitativo inferiore, comunque per uso personale, potrà incorrere in sanzioni amministrative, come la sospensione della patente di guida, del porto d’armi, del passaporto, del permesso di soggiorno per motivi turistici (nel caso in cui si tratti di un extracomunitario, non potrà mai più ottenerlo). In ogni caso, anche il consumatore sarà punito, con multe da 26 a 260mila euro. "Un colpo di mano" per imporre una visione autoritaria: questo il giudizio critico di Rosy Bindi, deputata della Margherita, che ha parlato di "norme poliziesche che affrontano il contrasto alle tossicodipendenze in modo assolutamente inadeguato e osteggiato dalla stragrande maggioranza degli operatori e delle comunità di recupero". Concorda il senatore Guido Calvi, capogruppo Ds in commissione Giustizia: "Questa legislatura è stata segnata da strappi istituzionali, ma pensare di concluderla con un voto di fiducia che inserisce in un decreto sulle Olimpiadi di Torino una nuova legge sulle droghe è troppo". Il segretario di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti è duro: "Quello che offende è che per ammiccare alla parte reazionaria dell’elettorato la Casa delle Libertà si permette di inserire in una legge che riguarda le Olimpiadi un provvedimento sulle droghe. Ci vorrebbe una ribellione etico-morale, prima che politica, su un episodio come questo". Fortemente critici nei confronti del centrosinistra i Radicali: "Mentre nell’Unione ci dicono di non parlare di laicità - osserva il segretario Daniele Capezzone - Fini e Giovanardi vogliono sbattere in galera i ragazzi per qualche spinello. È emergenza sociale: ma i vertici del centrosinistra cosa dicono?". "Con l’approvazione di questa legge, se diminuirà il numero delle persone che vanno in galera per il consumo di stupefacenti allora sarà una buona legge, altrimenti sulla problematica non si sarà fatto alcun passo avanti", ha sottolineato Massimo Barra, presidente nazionale della Croce rossa italiana. "Oggi in carcere ci sono 60 mila detenuti: un anno di applicazione delle nuove norme farà lievitare il numero di 20-30 mila unità, rendendo la situazione esplosiva", ha sottolineato invece Franco Corleone, presidente di "Forum droghe", definendo "sciagurato" il decreto legge approvato in Senato. Soddisfatto a metà don Luigi Gelmini, fondatore della Comunità incontro di Amelia, secondo il quale "non è una legge perfetta ma migliora la situazione precedente". "Non si tratta di un intervento repressivo se non per quello che riguarda lo spaccio - ha spiegato il numero uno di Alleanza nazionale Gianfranco Fini -, non esiste il diritto di drogarsi. Ma è innegabile che chi assume delle sostanze stupefacenti crea danni ed è giusto che lo Stato sanzioni amministrativamente il consumo personale". Anche il ministro Carlo Giovanardi (Udc) difende le nuove norme, che hanno l’obiettivo di salvare i tossicodipendenti e sgominare gli spacciatori: "Si pone fine a una situazione di grande incertezza perché a oggi i tribunali hanno troppa discrezionalità nello stabilire se si tratta di spaccio o di consumo personale". Milano: in carcere innocente, chiede risarcimento di 100 mila euro
Corriere della Sera, 27 gennaio 2006
Fu accusato ingiustamente nel 2000 di aver ucciso la fidanzata, fu arrestato e detenuto per 14 giorni. Ora Mario Maglione, 33 anni, dopo 4 anni è stato definitivamente assolto con formula piena ed ora chiede un risarcimento di centomila euro per ingiusta detenzione. L’uomo, assistito dall’avvocato Mario De Caprio, fu arrestato il 15 maggio 2000 perché ritenuto responsabile della morte di Tullia Accetta, 32 anni, trovata il 13 aprile precedente in un bagno di sangue sul letto della sua casa in via Po, a causa di un colpo di pistola sparato alla testa. Solo grazie a due gradi di giudizio è emerso che la donna di suicidò. Ma Maglione - è detto nella "domanda di riparazione" - intanto finì in carcere in isolamento, su iniziativa dell’allora pubblico ministero Silverio Piro malgrado la "negatività dello stub" compiuto sulle mani dell’indagato. I giudici di primo grado diedero ragione all’imputato. "Il danno provocato dall’ingiusta detenzione, risarcibile ai fini dell’equa riparazione - si legge nell’istanza dell’avvocato De Caprio - travalica molte volte quello della semplice riparazione per la privazione della libertà personale in quanto tale privazione ha provocato danni irreparabili". Verona: ladri entrano in casa, imprenditore spara e ne uccide uno
La Repubblica, 27 gennaio 2006
Un imprenditore veronese ha sparato durante un tentativo di furto nella sua abitazione. Un ladro è stato trovato morto. L’imprenditore è indagato in stato di libertà per omicidio volontario: la nuova legge sulla legittima difesa, che prevede la legittimità dell’uso di armi in casi del genere, benché approvata dal Parlamento non è stata ancora pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. L’uomo, di cui non sono state rese note le generalità, abita a Sandrà, frazione di Castelnuovo del Garda (Verona). È lui che, verso l’una di questa notte, si è accorto che qualcuno cercava di forzare la finestra di casa. Ha intimato ai ladri - a quanto sembra, erano in due - di andarsene, poi ha sparato alcuni colpi di pistola e ha chiamato i carabinieri. Giunti sul posto, i militari dell’Arma hanno scoperto a 200 metri dall’abitazione il cadavere di un uomo, che presentava una ferita da arma da fuoco. Il corpo, in base ai primi accertamenti dei militari di Peschiera del Garda, è di una persona di circa 30 anni, presumibilmente un albanese. Taiwan: preferisce il suicidio all’attesa dell’esecuzione
Agenzia Radicale, 27 gennaio 2006
Un prigioniero del braccio della morte di Taiwan ha preferito togliersi la vita piuttosto che soffrire nell’attesa di essere giustiziato; "Huang Chih-hsien, 28 anni, condannato a morte oltre un anno fa, aveva detto al personale della prigione di soffrire molto nell’attesa dell’esecuzione", ha raccontato il direttore del Dipartimento di Correzione, Cheng An-hsiung. Huang aveva tentato altre due volte di suicidarsi, sempre questo mese. Il 9 gennaio aveva ingerito tre batterie ed era stato salvato da un intervento chirurgico. Il 19 gennaio aveva ingerito parti di un rubinetto ed era stato salvato ancora una volta in ospedale. "Credo che anche questa volta Huang abbia ingoiato qualche oggetto, sarà comunque l’autopsia a chiarire la causa della morte", ha aggiunto Cheng. Il personale del carcere racconta che Huang esprimesse spesso rimorso per i crimini commessi e fosse depresso nell’attesa della propria esecuzione. Era stato condannato a morte nel dicembre 2004 per tre omicidi commessi a Peinan, nella contea di Taitung. Nel giugno 2002 avrebbe ucciso la propria ragazza con un coltello, in seguito ad un litigio, poi si sarebbe recato a casa di una ex fidanzata, uccidendo sia la ragazza che il fidanzato di quest’ultima. Dopo aver fallito l’obiettivo dell’abolizione della pena di morte nel Paese, il Ministero della Giustizia cerca di praticare il minor numero possibile di esecuzioni. Questa sarebbe la causa dell’insostenibile attesa di Huang. Negli ultimi anni, il numero dei detenuti nel braccio della morte e dei giustiziati a Taiwan ha mostrato un chiaro declino, risultato della volontà più volte manifestata dal governo di arrivare all’abolizione della pena di morte e, più in generale, prestare una maggiore attenzione alla tutela dei diritti umani. Tra il 1994 e il 2004, Taiwan ha giustiziato 188 persone, ma l’evoluzione positiva nel senso su descritto si è tradotta in una drastica riduzione delle condanne a morte e delle esecuzioni nel paese. Dalle 32 esecuzioni nel 1998, si è passati alle 24 nel 1999, alle 17 nel 2000, alle 10 nel 2001, alle 9 nel 2002, alle 7 nel 2003 e alle 3 soltanto effettuate nel 2004.
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