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Giustizia: amnistia senza riforme, questo è il vero lato oscuro
Diritto & Diritti, 2 febbraio 2005
Su queste colonne è stato recentemente dibattuto (Il Sole 24 Ore dell’8.1.06) il problema della delinquenza, ravvisando una corrispondenza tra l’aumento dei reati negli ultimi anni e il progressivo indebolimento della risposta repressiva messa in campo dallo Stato. Sono stati presi in esame i risultati di uno studio realizzato da un economista americano (Steven Levitt, autore del best seller "Freakonomics, il lato nascosto di tutto") il quale - dati alla mano - sostiene la tesi che "la galera riduce la criminalità". Su queste premesse, la prospettiva dell’amnistia al vaglio del Parlamento, è stata ritenuta misura che, oltre ad essere impopolare, anti-liberale e di dubbia valenza morale, finirebbe per distruggere il residuo effetto deterrente esercitato sui criminali dal rischio di incorrere nella punizione prevista dalle leggi penali. Vengono suggeriti, in conclusione, quali rimedi al collasso della giustizia, il lavoro e la rieducazione nei penitenziari, la diffusione delle prigioni private, l’introduzione di criteri di efficienza e merito tra magistrati e forze dell’ordine. L’analisi coglie indubbiamente alcuni elementi di verità. Vero è, infatti, che l’adozione di un provvedimento di amnistia sarebbe (è) generalmente avversato dalla pubblica opinione quale immotivato "premio ai delinquenti". Assodato questo, però, è anche da dire che una classe politica degna di questo nome non dovrebbe essere condizionata, né farsi condizionare dagli umori mutevoli dell’opinione pubblica, soprattutto quando vi sono in gioco valori fondamentali della civiltà giuridica di un popolo, quali le condizioni di vita all’interno degli istituti penitenziari italiani, attualmente ben oltre la soglia della tollerabilità, sotto il profilo giuridico prima ancora che umano e umanitario. Che un gesto di clemenza da parte dello Stato sia opinabile moralmente, può essere oggetto di riflessione. Certamente non la pensava così Giovanni Paolo II, che invano chiese al Parlamento riunito proprio quel gesto di clemenza. L’affermazione levittiana che "la galera riduce la criminalità" colpisce per l’anglosassone, quasi matematica, semplificazione. Purtroppo (perché sarebbe una soluzione comoda, un po’ come si fa con i rifiuti: seppelliamoli, in fondo è più comodo della raccolta differenziata) essa è contraddetta dai fatti. Per citare proprio l’esperienza nordamericana, a fronte di un sistema penitenziario dai numeri impressionanti (oltre 2.000.000 di detenuti), abbiamo un indice di criminalità che non pare in drastica diminuzione, se è vero che gli Stati Uniti perdono ogni anno più cittadini a causa dei conflitti a fuoco in patria che per cause belliche nei teatri di guerra di tutto il mondo in cui sono attualmente impegnate le truppe USA. Le prigioni private, tratte anch’esse dal way of prison americano, non sembrano facilmente esportabili nell’esperienza giudiziaria e penitenziaria italiana, informata al principio, che trae origine dal diritto romano, secondo il quale lo Stato ha il compito di processare e punire i responsabili di reati, attraverso propri organi che garantiscano imparzialità e legalità (non solo nella fase del processo ma) anche all’interno degli istituti penitenziari. E’ certamente giusto motivare maggiormente gli operatori della giustizia, anche se il quadro non pare tutto ombre, se è vero, come riconosciuto dallo stesso Ministro della giustizia, che il numero dei procedimenti pendenti è in costante diminuzione, nonostante le regole del processo penale siano ridotte ad un inestricabile labirinto giuridico. La soluzione al problema del collasso della giustizia ed al connesso problema della dignità e umanità nell’esecuzione della pena passa attraverso una rivoluzione culturale piuttosto che fondarsi sull’adozione di ricette d’importazione, nate e sviluppatesi in una realtà del tutto diversa dalla nostra, nell’ottimistica speranza che diano chez nous quei frutti che non hanno prodotto nella loro patria d’origine. E allora una riflessione: una pena che agisca soltanto sul versante retribuzionistico, dell’inflizione cioè di sofferenza ai condannati, ottiene il sicuro effetto di incattivirne ancor più l’animo, ricacciandoli nel circolo vizioso del reato-carcere-reato di chi non ha più niente da perdere (e dunque da temere). La pena "giusta" deve agire alla radice della devianza, con pene "giuste" non (solo) perché severe, ma perché efficaci nel recuperare il delinquente alla società: la medicina al posto della quarantena. Occorre offrire almeno una chance di cambiamento a chi ha spesso come unica famiglia e come unica scuola il carcere. Cercare, almeno, di colpire alla radice le cause di una gran parte della fenomeno criminale ( che sono le subculture, il disagio, l’emarginazione dei ghetti) investendo in risorse culturali e assistenziali (mediatori culturali, difensori civici dei detenuti, educatori) appare non tanto giusto, quanto soprattutto utile nella misura in cui sottrae delle persone al circuito della criminalità (secondo stime attendibili, il 70% dei reati commessi in Italia è riconducibile ad un numero non elevato di plurirecidivi). E’ necessario, allora, agire sugli strumenti: riformando profondamente le regole del processo penale, sfrondandone inutili formalismi e garantismi di facciata. Va ripensato l’apparato sanzionatorio, introducendo un sistema che privilegi le pene alternative al carcere (che dovrebbe essere riservato ai reati più gravi, quale extrema ratio del sistema, poiché costoso per i contribuenti e poco utile al recupero del condannato). Una misura possibile nel breve periodo è la riattualizzazione, in chiave di sanzione penale non detentiva, dello strumento del lavoro di pubblica utilità quale modalità di espiazione della pena, così come il rendere obbligatoria l’adesione a meccanismi di mediazione penale e di risarcimento delle vittime del reato da parte degli autori degli stessi, quale condizione per l’ammissione alle misure alternative al carcere. Occorre puntare sulle pene pecuniarie, riformando in radice l’attuale sistema, che non garantisce attualmente allo Stato il recupero delle somme non corrisposte spontaneamente dai condannati (delle quali solo l’1% è effettivamente percepito). Quello che preoccupa, insomma, non è tanto la possibile promulgazione dell’amnistia, ma l’amnistia senza vere riforme. Droghe: penalisti; riforma è attentato a libertà cittadino
Ansa, 2 febbraio 2005
Una riforma "inaccettabile", che scegliendo "la via dell’intolleranza" si traduce in un "pericoloso attentato alla libertà dell’individuo". L’Unione delle Camere penali spara a zero contro il ddl che ha anticipato, stralciandoli, 22 articoli del disegno di legge Fini sulla droga. Ed auspica perciò che la Camera esamini il testo licenziato dal Senato con un "dibattito approfondito e meditato", ma che soprattutto accolga "le istanze che provengono dal mondo degli operatori, affrontando la delicata materia del consumo delle sostanze stupefacenti fuori dalla logica della repressione". I penalisti accusano la riforma di realizzare "l’ennesima campagna contro il tossicodipendente, allargando l’offensiva al semplice consumatore, abolendo ogni distinzione fra sostanze stupefacenti e sanzionandone indiscriminatamente l’uso sempre e comunque". E avvertono: "Il rinnovato ricorso al concetto di dose giornaliera finirebbe col riproporre le assurde conseguenze già sperimentate negli anni 1990-1993", con la legge Iervolino-Vassalli, che contribuì "al collasso delle fatiscenti strutture carcerarie". E non basta: "La criminalizzazione del consumo legittimerebbe, inevitabilmente, da un lato, l’inasprimento dei sistemi e dei mezzi di controllo delle abitudini del cittadino, che dovrà mettere in conto il pericolo di gravi intrusioni nella vita privata e,dall’altro, l’ingresso nelle fila della malavita dei semplici consumatori". Secondo i penalisti la riforma intende intraprendere la via della intolleranza "in nome di una visione etica della legge penale, che ha per obiettivo quello di rafforzare un apparato repressivo non sempre efficiente e comunque mai efficace rispetto al fenomeno sociale della diffusione del consumo di sostanze stupefacenti". E così peraltro si pone "in aperta contraddizione con i propositi, tante volte ribaditi da tutte le forze parlamentari, riguardanti la attuazione del così detto diritto penale minimo". Di qui la critica aperta al Senato, che "pur in presenza di un così grave intervento, ha votato con il meccanismo della fiducia, senza dibattito ed a scatola chiusa", "suscitando critiche e dissensi anche in chi aveva collaborato alla stesura del testo". Droghe: Valpiana; nuove norme vogliono vietare anche alcol
Ansa, 2 febbraio 2005
Le nuove norme in materia di tossicodipendenze, approvate al Senato la scorsa settimana e ora all’esame della Camera, di fatto includono anche l’alcol etilico tra le sostanze incluse nelle tabelle e quindi vietate: lo ha reso noto Tiziana Valpiana, capogruppo del Prc in Commissione Affari Sociali della Camera, confermando quanto denunciato stamani, nel corso di una conferenza stampa, dagli operatori delle tossicodipendenze. "Il relatore del testo in commissione, Conti - ha precisato Valpiana - ha confermato l’intenzionalità del divieto rispetto agli alcolici". Libri: "Non aprite quel barattolo", raccontare il carcere in vignette
Redattore Sociale, 2 febbraio 2005
Parlare di carcere fuori dal carcere. Nella saletta Da Villa alla Casa dell’Ospitalità a Mestre, si è raccontato il carcere attraverso quattro anni di vignette che hanno come protagonista l’inedito Dado, disegnato da Graziano Scialpi, nella duplice veste di vignettista-detenuto, che si incontra con Bobo, l’eroe delle vignette di Sergio Staino. E’ successo martedì scorso. Il libro, dal titolo "Non aprite quel barattolo", è il terzo pubblicato dall’associazione "Il granello di senape", grazie al contributo della Istituzione veneziana servizi sociali alla persona (Ivssp), alla collaborazione della cooperativa "Il cerchio" e dell’associazione "Esodo". Con Graziano Scialpi e Sergio Staino, alla presentazione del libro sono intervenuti l’assessore comunale alle Politiche sociali e ai rapporti con il volontariato, Delia Murer, il presidente di Ivssp, Domenico Casagrande, il giornalista e vignettista Fulvio Fenzo. "L’iniziativa rappresenta bene l’efficacia che ha la rete messa in opera dalle risorse pubbliche e da quelle del volontariato privato. Lavorare assieme è anche un modo per vincere la diffidenza - ha detto l’assessore Murer - che spesso hanno le istituzioni sociali nello spingersi fuori di sé, perciò lavorare insieme ci porta a fare meglio". "Le vignette sul carcere mi sono piaciute ancor prima di vederle - ha detto Sergio Staino - e proprio perché escono da quel luogo. L’ironia e poi la satira hanno di bello il farci ridere proprio partendo da situazioni che generalmente non sono piacevoli. La satira come forma prima di indignazione e di protesta è un’operazione di intelligenza che, nell’amplificazione di alcuni caratteri, fino ad estremizzarli, richiama sempre alla verità. La satira è una sorta di analisi del potere, che ha lo scopo di evidenziarne i punti deboli, ed è questa la ragione del suo essere antipatica a chi invece rappresenta il potere, e ha come esigenza la diffusione di certezza". Dado, il protagonista delle vignette, sa di muoversi in un territorio minato e questa è la ragione del suo presentarsi totalmente indifeso facendo piccoli discorsi di denuncia su grandi fatti, sapendo che l’istituzione di potere ha la possibilità di muoversi schiacciandolo. Come ha sottolineato Scialpi, in carcere ridere è importante, non solo perché la risata rappresenta un momento di condivisione, di rilassamento, il mettersi su di un altro piano ma anche perché si tratta della possibilità di affermare nel carcere un’umanità che troppo spesso non c’è. L’alternativa è l’autodistruzione mentre la risata, l’ironia sono una conquista importante nel percorso di accettazione di sé e di distacco. Bergamo: 20 anni dell’associazione "Carcere-Territorio"
Redattore Sociale, 2 febbraio 2005
Da oltre vent’anni aiuta le persone a ricostruire la loro libertà. E’ l’associazione Carcere e Territorio, impegnata nel reinserimento sociale e lavorativo di persone sottoposte a misure limitative della libertà personale. Questa mattina il consorzio di cooperative "Il Sol.co del Serio" ha organizzato una incontro presso la Sala consiliare della Provincia di Bergamo, per lanciare l’allarme sul rischio che l’associazione non possa continuare a svolgere il suo servizio. Dopo la conclusione di un progetto finanziato dalla fondazione Cariplo, infatti, le risorse disponibili si presentano sbilanciate al punto da mettere in forse buona parte delle attività e della stessa ragione d’essere dell’associazione. Anche nel 2005, in collaborazione con "Il Sol.co del Serio", l’associazione ha realizzato anche per il 2005 numerosi progetti che si sono concretizzati sia sul versante dell’housing sociale che dell’inserimento lavorativo. L’associazione, che gestisce 10 appartamenti, ha garantito l’ospitalità gratuita e temporanea di oltre 30 persone, che in assenza di tale risorsa non avrebbero potuto usufruire dei benefici di legge in quanto privi di abitazione. Il costo di tale intervento è stato di circa 60.000 euro, tra affitti, utenze domestiche, piccole manutenzioni e del coordinamento educativo. Sono state invece 60 le persone che hanno usufruito delle azioni di inserimento lavorativo, anche se "la crisi economica ha fatto aumentare, rispetto agli anni precedenti, il ricorso alle borse lavoro che, considerate le condizioni di estremo bisogno degli utenti, non possono essere inferiori ai 500 euro mensili", dicono dall’associazione. Le borse lavoro, attivate presso Comuni e cooperative sociali, hanno assicurato la possibilità di usufruire di benefici di legge, di disporre di un minimo di reddito vitale e in alcuni casi di accedere ad un lavoro vero e proprio. L’impegno finanziario sostenuto per le borse ammonta a 120.000, a cui va sommato quello dell’intervento educativo. In totale l’associazione ha sostenuto costi per oltre 210mila euro, con l’aiuto di enti pubblici e privati bergamaschi e dalla fondazione Cariplo, attraverso un finanziamento biennale al consorzio "Il Sol.co del Serio". Per informazioni: Consorzio Sol.co Città aperta, tel. 035.250342. Droghe: canna olimpica per protesta contro nuovo decreto
Il Gazzettino, 2 febbraio 2005
Dopo la fiaccola olimpica, a Padova è arrivata anche la "canna olimpica". Piazza delle Erbe, ieri sera, ha ospitato la prima tappa di questa manifestazione-sfottò, creata dai disobbedienti per protestare contro il nuovo decreto legge Fini sulle droghe. "Comincia ora la storia delle nostre olimpiadi - spiega Max Gallob, leader del Cso Pedro - per disobbedire ad una legge liberticida, all’idea folle dei governanti di controllare e proibire ogni comportamento sociale. Di destinare al carcere migliaia di persone, di azzerare le politiche di riduzione del danno, di alimentare le narco-mafie e di scagliare le loro frustrazioni contro la marijuana che è e rimane, comunque, una pianta". La polisportiva San Precario cannabis Team, intanto, fa sapere quali sono le specialità della "spinellata olimpionica": slalom tra i cani poliziotto, trampolini da cui rilanciare percorsi di ricerca alternativa sull’uso della cannabis e le acrobazie per inventare ogni volta un nuovo modo per sfuggire ai controlli delle forze dell’ordine. Oggi, poi, i no global porteranno la "canna olimpica" di fronte alle facoltà scientifiche al Portello. Domani, invece, saranno di scena davanti alle porte del liceo scientifico Cornaro, mentre sabato mattina la "canna olimpica" verrà accesa in piazza Antenore a due passi dalla Prefettura. "Davanti alla sede del prefetto - sottolinea Gallob - perché è il simbolo del Governo in città e per ribadire che disobbediremo ad ogni legge che pensa di cancellare un comportamento socialmente diffuso con il proibizionismo e la carcerazione. Ricordo, - conclude Gallob - che la nostra canna olimpica non ha nulla a che vedere con la fiaccola della vergogna che abbiamo visto bloccare in ogni città. Fiaccola olimpica che ha portato con sé un carico di devastazioni, di ricatti politici per la Val di Susa e i loro abitanti". Cremona: una casa "oltre il carcere" gestita dalla Caritas
La Provincia di Cremona, 2 febbraio 2005
Duecentomila euro arrivano dalla Regione, gli altri duecentoquarantamila li garantisce la Diocesi di Cremona, che fa affidamento anche sulla collaborazione di enti locali, privati e fondazioni. Così nel giro di un mese prenderanno in via i lavori (destinati a concludersi entro un anno), della struttura di housing sociale per detenuti, in programma nella cascina adiacente alla casa parrocchiale di San Savino, che sarà interamente ristrutturata. Iniziativa e progetto sono stati presentati ieri mattina presso la sede della Caritas nel corso di un’affollata conferenza stampa: insieme al direttore della Caritas don Antonio Pezzetti ed al cappellano del carcere, don Felice Bosio, la direttrice di Cà del Ferro, Ornella Bellezza, rappresentanti della Provincia (il presidente Giuseppe Torchio con l’assessore ai servizi sociali Anna Rozza) e l’architetto Andrea Gennari. Il progetto sociale, che conta anche sulla collaborazione di Provincia e Comune, fa capo alla cooperativa sociale ‘Carità e Lavoro’ ed alla Fondazione San Facio, proprietaria degli immobili e braccio operativo della Caritas Diocesana. La cascina verrà interamente ristrutturata realizzando, tra il pian terreno ed il primo piano, spazi comuni, di lavoro e privati (due trilocali, un bilocale ed altri ambienti). Mentre il cortile interno potrà essere utilizzato anche come piccolo spazio espositivo, ponte di collegamento funzionale e sociale con l’esterno. L’obiettivo è quello di offrire ai detenuti una struttura adatta ad avviare il percorso di reinserimento (risocializzazione ed attività lavorativa), rendendo concretamente possibili misure alternative al carcere; dai permessi-premio all’affidamento in prova ai servizi sociali. "In questi casi serve un punto d’appoggio esterno, nel quale eventualmente poter riunire anche la famiglia", ha spiegato la direttrice del carcere, Ornella Bellezza. "Un filone che cerchiamo di sviluppare anche a Cà del Ferro, con il progetto Socrate legato alla riappropriazione della genitorialità". La domanda è forte, ma non altrettanto si può dire delle strutture disponibili. Così non di rado le misure alternative rischiano di rimanere lettera morta, un diritto (o almeno una possibilità) scritto solamente sulla carta. Qualcosa si fa già presso la Casa dell’Accoglienza e la stessa casa parrocchiale di San Savino, ma la nuova struttura permetterà di accrescere in modo significativo l’offerta. "Naturalmente non vogliamo creare un ghetto, né un altro carcere all’esterno di Cà del Ferro", ha puntualizzato don Pezzetti. "Per questo è stata dedicata particolare attenzione al rapporto con la comunità locale, e molto si farà per garantire presso il nuovo centro - che sarà dedicato a Giovanni Paolo II - la presenza di associazioni di volontariato o gruppi giovanili, a partire dagli scout". Tutti insieme per dare ai carcerati almeno un’altra occasione. Catania: pomeriggio di cabaret nel carcere minorile di Bicocca
La Sicilia, 2 febbraio 2005
Su progetto dell’assessore ai Servizi Sociali, Santo Ligresti, e in collaborazione con il gruppo di cabaret "Dolci & Gabbati", l’Istituto penale per i minorenni di Bicocca, oggi a partire dalle 15, ospiterà la manifestazione "Il Cabaret entra a Bicocca", iniziativa resa possibile, sottolinea una nota dell’assessorato, grazie alla disponibilità appunto dei "Dolci & Gabbati", gruppo formato dagli attori Enrico Manna, Laura De Palma, Anna Impegnoso, Concetto Venti e dai musicisti Franco Pennisi e Gregorio Lui, che hanno accettato di esibirsi in maniera gratuita regalando così un’ora e mezza di cabaret agli ospiti di Bicocca e solidarizzare con chi, nella vita, è stato più sfortunato. Un’iniziativa sostenuta dai Servizi Sociali del Comune e pienamente condivisa dalla direzione dell’Istituto, rappresentata dalla dott. Rita Barbera e dalla sua vice, dott. Maria Randazzo, e dall’educatrice dello stesso istituto di Bicocca, dott. Giuliana Mastropasqua. Per questo appuntamento è stato scelto il testo del catanese Enzo Ferrara, "Donne…affanni e danni", interpretato dai brillanti Enrico Manna, Anna Impegnoso, Concetto Venti e Laura De Palma, che si fa anche apprezzare per la possente voce. Due ore di serenità e di risate, attorno al tema, sempre di attualità, della donna nella società odierna. I quattro protagonisti, accompagnati al pianoforte da Franco Pennisi e alla chitarra da Gregorio Lui, danno vita ad una serie di esilaranti siparietti, caratterizzati dalle rielaborazioni musicali di Laura De Palma, che mostrano proprio il gentil sesso nelle sue diverse sfaccettature. In scena, quindi, la donna giornalista, la donna che si reca in chiesa per confessarsi da un prete con tanto di computer portatile e in contatto direttamente con San Pietro, la donna popolana che sale sull’autobus priva di biglietto e altri "quadri" presi in prestito dalla sceneggiata napoletana. Lo spettacolo, sempre in chiave umoristica e senza mai trascendere, presenta nel finale anche l’intervista a un uomo politico locale. La regia dello spettacolo è di Armando Sciuto, i movimenti coreografici sono curati da Anna Impegnoso e i costumi sono di Maria Cozzubbo. Modena: visite mediche in carcere per prevenire i tumori
Comunicato Stampa, 2 febbraio 2005
Per la prima volta in Italia, la prevenzione del tumore al seno e ginecologico entra in un carcere. Accadrà sabato 4 e sabato 11 febbraio nell’istituto penitenziario Sant’Anna di Modena, dove le donne detenute potranno effettuare gratuitamente esami diagnostici e visite senologiche. Quindici medici, 2 infermiere, un’ostetrica e sei volontarie lavoreranno gratuitamente per eseguire visite, Pap test ed ecografie, lasceranno alle pazienti i referti e distribuiranno materiali informativi sulla prevenzione. L’iniziativa è dell’associazione Il Cesto di ciliegie e della direzione del carcere con il patrocinio e la collaborazione dell’associazione Carcere Città, degli assessorati alla Sanità e ai Servizi sociali del Comune di Modena, dell’Azienda Policlinico e dell’Azienda Usl. "Ci proponiamo di richiamare l’attenzione sul ruolo della diagnosi precoce e della prevenzione secondaria - spiega Maura Malpighi, presidente dell’associazione Il Cesto di ciliegie - perché accorgersi in tempo del tumore al seno e ginecologico può favorire la cura e la guarigione. Proporre attività di prevenzione in un istituto penitenziario è inoltre un modo per richiamare l’attenzione sulle difficoltà delle donne detenute e sulle scarse risorse destinate alla salute in carcere". Le donne recluse al Sant’Anna per reati legati al piccolo spaccio, alla prostituzione e al furto sono circa una trentina, hanno un’età compresa tra i 20 e i 35 anni e spesso sono madri. Una su due proviene da paesi extracomunitari o dall’Est europeo.
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