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Brescia: detenuta esce semilibera… per il bene del figlio
Giornale di Brescia, 22 gennaio 2006
Sono passati centoundici giorni da quando ha dovuto lasciare suo figlio di tre anni per tornare in cella, nel carcere di Brescia. Da quel giorno Nicoletta conta non solo i giorni, ma le ore, in attesa di un beneficio penitenziario introdotto nel 2001 (assistenza all’esterno dei figli minori) e più volte richiesto, ma su cui la direzione del carcere non si è mai pronunciata. Nella situazione di Nicoletta - afferma il suo legale, Andrea Borgheresi - ci sono in Italia altre quarantadue detenute madri. La storia di questa donna di 35 anni, condannata a quattro anni e otto mesi per una vicenda di traffico internazionale di stupefacenti che risale al 1997, è - a detta del legale - singolare, ma allo stesso tempo analoga a quella di molte detenute con figli. Tanto che al ministro della Giustizia, Roberto Castelli, e al sottosegretario Giuseppe Valentino è stato inoltrato un copioso fascicolo su Nicoletta. Alla donna restano da scontare soltanto nove mesi. "Negli ultimi quattro anni ha dato prova di aver tagliato i ponti con la sua vita passata. Beneficiando di misure alternative al carcere - racconta il suo avvocato -, nel 2001 è stata assunta a tempo indeterminato come operaia da una ditta di pulizie di Rezzato". Poi la donna è rimasta incinta e ha messo su famiglia. Ma il 2 novembre scorso per lei si sono riaperte le porte del carcere: suo figlio ha compiuto tre anni, e questa è l’età limite che consente la detenzione domiciliare o il differimento della pena alle madri-detenute. A nulla sono valse, fino ad ora, le richieste al Tribunale di sorveglianza del datore di lavoro di Nicoletta, che con la sua famiglia ha preso a cuore la vicenda. Lo scorso 24 novembre, l’avvocato Borgheresi ha presentato istanza al direttore del carcere di Brescia affinchè alla donna sia concesso il beneficio penitenziario introdotto con la legge 40 del 2001, in base al quale la donna potrebbe uscire la mattina per dare assistenza al figlio (rimasto a casa col padre) e tornare in cella la sera. "Nonostante i nostri solleciti, la direzione del carcere non ci ha dato alcuna risposta - lamenta il legale -. Ci siamo rivolti al Dipartimento amministrazione penitenziaria e al Provveditorato regionale della Lombardia, che sono intervenuti lodevolmente e tempestivamente. Tuttavia, la decisione spetta solo e unicamente alla direttrice del carcere, che in tre mesi non ha emesso alcun provvedimento, positivo o negativo che sia". Intanto il tempo passa e - dice la donna dal carcere - "a pagare, adesso, non sono tanto io, quanto mio figlio". Milano: il carcere si mostra, ma è molto più di una mostra...
Vita, 22 gennaio 2006
Valerio Onida dice che il carcere lo puoi vedere da due prospettive. C’è la parte giusta delle sbarre, quella delle teorie, dell’amministrazione e dei pregiudizi. E poi c’è la parte sbagliata delle sbarre, che però è l’unica giusta per capire. La mostra-evento della Triennale è anche questo, un cortocircuito fra i due sguardi. Nata da un progetto di Origoni e Steiner associati, coordinata da un comitato scientifico guidato da Aldo Bonomi, la mostra è un laboratorio di racconto e di confronto sulla realtà del carcere, con nomi e appuntamenti di grande rilievo. Tra le personalità coinvolte nella lunga carrellata di incontri che punteggiano i 26 giorni di apertura della mostra, troviamo Gianni Canova, Lucia Castellano, Luigi Pagano, Massimo Cacciari, Virginio Colmegna.
Tutti dentro: un evento shock in Triennale
Il colpaccio è riuscito. Il carcere invisibile si è conquistato una vetrina di primo piano, di quelle che in genere sono inarrivabili anche per chi di visibilità ed esposizione ci campa. Il carcere - con i suoi problemi e soprattutto con i suoi abitanti: detenuti, amministratori, operatori e volontari - entra in Triennale, il tempio dell’arte milanese, e ci entra dalla porta principale. Dal 23 febbraio al 19 marzo qui verrà ospitata "Carcere invisibile e corpi segregati", una rappresentazione-evento dedicata alla vita in carcere: la ricostruzione di 14 celle, con gli odori e i rumori del carcere, la schedatura, le impronte digitali, e poi dibattiti, incontri con i detenuti, film, spettacoli teatrali. Davide Rampello, 58 anni, presidente della Fondazione Triennale, un passato da artista eclettico, da autore e regista televisivo a professore universitario, a direttore artistico del Carnevale di Venezia, pesa le parole: "Lavorare sui problemi sociali ed antropologici del nostro vissuto quotidiano, con l’obiettivo di rappresentarli nella loro crudezza e problematicità, è in grado di elevare gli stessi codici delle arti espressive". Avete in mente l’Inno alla gioia di Schiller, quello che poi Beethoven musicò nella Nona? Dice così: "Salve o gioia, figlia della luce, dea dei fior. Il tuo canto asciuga il pianto, oscura il duol". Rampello accenna la melodia, e poi dice: "La gioia è uno dei poli della vita dell’uomo, e quindi dell’arte. Ma c’è anche un altro polo, quello della sofferenza, e io ho sempre avuto più attenzione per quello. Sono convinto che l’arte debba affrontare tutti i temi, e in particolare i più cruciali per la società. Il prossimo su cui mi piacerebbe lavorare è la solitudine degli anziani". La mostra-evento sul carcere quindi si inserisce in un percorso più ampio che il Comitato scientifico della Triennale ha deciso di intraprendere e che - rivela Rampello - nel 2008 porterà a una grande Expo incentrata su temi sociali e antropologici. Rovigo: gli agenti penitenziari sono in stato d’agitazione
Il Gazzettino, 22 gennaio 2006
Com’era prevedibile, l’evasione dal carcere avvenuta venerdì scorso da parte di un giovane serbo ha rilanciato il problema della sicurezza e della carenza di organico all’interno della casa circondariale di via Verdi. Si muove il sindacato Fp Cgil che proclama lo stato di agitazione di tutto il personale di polizia penitenziaria. Un comunicato del coordinatore regionale Gianpietro Pegoraro, dopo aver passato in rassegna i problemi sofferti dall’intero sistema delle carceri italiano, precisa che "il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è indebitato per circa 150 milioni di euro e sono a rischio i livelli minimi di mantenimento in vita delle strutture, quindi della loro sicurezza. Questo è dimostrato anche dall’ultimo episodio accaduto a Rovigo sull’evasione di un detenuto dal carcere. Episodio che ripropone in primo piano il tema di sicurezza sia per chi lavora all’interno delle carceri sia per l’intera popolazione. Dove un’amministrazione penitenziaria risulta inerme nel garantire sicurezza per mancanza di risorse, necessarie per dare al personale di polizia penitenziaria maggiori strumenti di controllo". Il sindacato chiede "l’adeguamento degli organici, un piano straordinario per l’innovazione tecnologica, risorse economiche per garantire sicurezza all’interno e all’esterno dell’istituto". La Fp Cgil Veneto penitenziaria proclama lo stato di agitazione e aggiunge che "qualora le nostre richieste non avranno seguito, si asterrà dal vitto e si daranno corso a forme di protesta legali affinché la situazione di Rovigo sia nel breve risolta". Sul fronte delle indagini sull’evasione di Smile Krasnic, nessun rilievo penale viene ravvisato dalla procura. La mancata sorveglianza dei detenuti durante l’ora d’aria viene spiegata con l’eccessiva mole di mansioni che dovevano ricoprire gli agenti di polizia penitenziaria. Come prime contromisure per scongiurare altre evasioni ci sarà un diverso sistema di comunicazione interno fra le guardie per assicurare una sorveglianza costante, la posa di filo spinato sopra il muro di cinta e interventi su grondaie ed altre strutture per impedire a detenuti "acrobati" di arrampicarsi e darsi alla fuga. Il 25enne scappato e poi schiantatosi dopo aver rubato un’auto in un fosso a Loreo, intanto, è ancora ricoverato in gravi condizioni all’ospedale di Porto Viro. Napoli: 13 anni e 30 rapine; liberato compie subito altri due colpi
Il Mattino, 22 gennaio 2006
Ci è ricascato. Quei sei mesi trascorsi in comunità non sono bastati a fargli cambiare vita. A maggio Massimo, allora tredicenne, di Barra, era stato ritenuto responsabile di trenta rapine compiute all’inizio del 2005 tra Portici, San Giorgio a Cremano e San Sebastiano al Vesuvio: quattro raid si erano conclusi con l’accoltellamento della vittima. A luglio era finito in un centro di recupero a Manocalzati, in provincia di Avellino. Venerdì ha ottenuto un permesso: due giorni di libertà. Sarebbe dovuto rientrare domenica. Ma è tornato quello di sempre, coltello in mano ha aggredito i passanti. Lo hanno arrestato sabato sera a Portici gli agenti del commissariato di polizia diretto da Eduardo Battista. Insieme con un amico di 18 anni, Luigi Cuccaro, di Barra, pregiudicato, è ritenuto responsabile di due rapine. Due in poche ore, entrambe a Portici. La prima contro una ragazza in via Aldo Moro, è filata liscia. La seconda no: i due rapinatori hanno avvicinato un giovane di 16 anni in via Paladino. Secondo la ricostruzione degli investigatori Massimo ha puntato il coltello contro i genitali della vittima: ha visto negli occhi della vittima il terrore, ha pensato che anche questa volta l’avrebbe fatta franca. Ma in questi giorni a Portici, dopo l’ennesimo allarme sicurezza a causa dei tanti raid, sono stati potenziati i controlli. È passata una pattuglia di poliziotti in borghese: gli agenti si sono resi conto di quanto stava accadendo, sono intervenuti e hanno arrestato Massimo e il complice. Non c’è stato bisogno di consultare l’archivio per riconoscere quel ragazzino, lo stesso che a maggio aveva seminato il panico nei comuni vesuviani: nel frattempo, però Massimo ha compiuto 14 anni, è quindi diventato imputabile. È stato portato al centro dei Colli Aminei, in attesa di essere giudicato. Anche per il suo amico maggiorenne sono scattate le manette: l’accusa è di rapina a mano armata. Un nuovo complice, la solita tecnica: la punta del coltello che fa pressione sul corpo della vittima, poche parole decise, occhi di ghiaccio puntati contro le vittime, per lo più adolescenti con telefonini alla moda e qualche euro in tasca. Un nuovo complice, anche perché quello delle prime scorribande è ancora in galera. La storia di Massimo è emblematica: era già stato fermato nel 2004 per aver commesso tre rapine e una estorsione; era fuggito più volte da una comunità, fino a quando il tribunale di sorveglianza gli aveva concesso le misure alternative, ovvero il lavoro di mattina e la permanenza a casa di pomeriggio, ed era tornato a commettere raid fino a quando lo avevano fermato a maggio. Ora il carcere, forse dietro le sbarre avrà modo per capire come costruirsi un futuro diverso. Giustizia: la riforma della prescrizione di Franco Izzo e Paolo Scognamiglio
Altalex, 22 gennaio 2006
La legge 5 dicembre 2005, n. 251, ha introdotto rilevanti modifiche al sistema penale che, se da un lato hanno complessivamente ridotto i termini di prescrizione dei reati, dall’altro hanno inciso notevolmente sulla discrezionalità del giudice in ordine alla commisurazione della pena ed alla sua esecuzione. Pubblicata sulla G.U. il 7-12-2005, è entrata in vigore l’ 8-12-2005. È stata denominata, durante il suo travagliato iter parlamentare, legge "ex Cirielli", dal nome del suo originario proponente, il senatore di A.N. Edmondo Cirielli, il quale non ha mancato di disconoscere la paternità del provvedimento come modificato in sede di approvazione parlamentare, definendola una "amnistia mascherata ". Il provvedimento legislativo a prima vista potrebbe palesare delle incoerenze interiori; infatti ad una svolta garantista sulla prescrizione, accompagna un inasprimento del sistema penale nei confronti dei recidivi, ai quali vengono applicati maggiori aumenti di pena e sono pregiudicati nell’applicazione delle misure alternative alla detenzione. È questo il motivo che ha indotto qualcuno a parlare di un sostanziale ritorno alla "colpa d’autore", cioè alla teoria di origine tedesca, secondo la quale la legge penale deve rimproverare il soggetto non tanto per quello che ha compiuto, quanto per quello che egli è divenuto a seguito della sua condotta di vita. Nonostante tale riflusso, la nuova legge, non intaccando il fondamento della punibilità, non incide sulla legittimità della scelta del legislatore. Contrastante è stata l’accoglienza della riforma tra gli operatori del diritto. Ad un atteggiamento "tiepido" della Magistratura, dovuto soprattutto alla esclusione della possibilità di estensione dei termini di prescrizione più brevi ai processi già approdati alla fase dibattimentale, ha fatto riscontro una decisa presa di posizione contraria alla riforma da parte della Avvocatura. Vengono criticate la introduzione di meccanismi fortemente restrittivi del sistema sanzionatorio, che annichiliscono la funzione rieducativa della pena; la sottrazione al giudice di qualsiasi possibilità di reale personalizzazione della pena, con la creazione, di fatto, di un "doppio binario" di trattamento processuale; l’effetto della "novella" di rendere imprescrittibili una lunga serie di reati, nonché di allungare i termini in relazione ai recidivi, trattati da "presunti colpevoli". Prima di addentrarci in un’approfondita analisi della riforma appare opportuno riepilogare sinteticamente gli aspetti più rilevanti della nuova legge. In tema di attenuanti generiche (art. 62bis c.p.) viene limitata la loro applicabilità ai recidivi reiterati (art. 99 c. 4° c.p.), quando sono imputati dei delitti di maggiore allarme sociale, indicati nell’art. 407, c. 2°, lett. a) c.p.p. Inoltre, in caso di recidivo reiterato, non sarà più possibile concedere le circostanze attenuanti con giudizio di prevalenza sulle aggravanti. Ancora, nel caso di condanna per reato continuato o concorso formale di un imputato gravato da recidiva reiterata, l’aumento di pena ai sensi dell’art. 81 c.p. non può essere inferiore ad un terzo della pena irrogata per il reato più grave. Ai fini di una maggiore incidenza della repressione penale, sono state aumentate le pene per i reati di cui all’art. 416bis c.p. (associazione di tipo mafioso); art. 418 c.p. (assistenza agli associati); art. 644 c.p. (usura). L’aggravamento delle sanzioni comporterà simmetricamente l’aumento dei termini di prescrizione di tali reati. Nell’alveo di un sistema penale che ripercorre la strada della "colpa d’autore", vengono inaspriti gli aumenti di pena per la recidiva, la cui applicazione in taluni casi diventa obbligatoria. A compensazione di ciò, ai fini della configurazione della recidiva, non hanno rilievo le condanne precedenti per contravvenzioni e delitti colposi. Le modifiche più rilevanti sono state introdotte in materia di prescrizione (artt. 157 ss. c.p.). Innanzitutto tale causa estintiva del reato diviene rinunciabile. I termini sono commisurati alla pena massima edittalmente prevista, ma mai di entità inferiore a sei anni per i delitti e quattro per le contravvenzioni. Una vera rivoluzione riguarda però gli effetti delle cause interruttive (artt. 160-161 c.p.): infatti in tali ipotesi l’incremento del termine non può andare oltre il quarto di quello originariamente previsto. Ciò consente, pertanto, di affermare complessivamente che vi sia stata una generale riduzione dei termini di prescrizione. Invece anche qui, sulla via di un "doppio binario", sono stati previsti proporzionali aumenti dei termini, in caso di interruzione, per i recidivi. Ulteriori novità sono previste: in tema di dies a quo della prescrizione, ove non rileva più il momento della cessazione della continuazione, ciò in una nuova ottica atomistica dell’istituto; in tema di sospensione della prescrizione (art. 159 c.p.), ove la sua durata non può superare i sessanta giorni (art. 159 c.p.). L’inasprimento del sistema penale ha riflessi anche in materia di esecuzione della pena: infatti per i recidivi sono previste restrizioni per la sospensione dell’esecuzione della pena (art. 656 c.p.p.) ed in tema di permessi e misure alternative alla detenzione (legge 354/1975). Infine l’art. 10 della "novella" dispone norme transitorie che sono destinate a porre numerosi problemi interpretativi e, verosimilmente, questioni di costituzionalità. In sintesi, le disposizioni più favorevoli (diverse dalla prescrizione) si applicano retroattivamente ex art. 2 c.p.; i termini di prescrizione più lunghi non si applicano in relazione ai procedimenti o processi in corso (sicché, dal tenore letterale della disposizione, deve ritenersi che se il processo non è in corso, i nuovi termini, anche se più lunghi, si potranno applicare anche ai reati commessi prima dell’entrata in vigore della "novella"); i termini di prescrizione più brevi si applicano ai procedimenti e processi in corso, salvo che in primo grado, se dichiarato aperto il dibattimento (art. 492 c.p.p.), in appello ed in cassazione. Padova: diplomarsi allenatore di pallavolo in carcere…
Il Gazzettino, 22 gennaio 2006
Diplomarsi allenatore di pallavolo in carcere: succede al penitenziario "Due Palazzi" di Padova, dove da gennaio trenta detenuti partecipano a questa attività. Autori dell’iniziativa il Centro Sportivo Italiano della città veneta e l’associazione Tangram, che da tempo opera nell’istituto con altre iniziative formative. "L’allenatore - spiegano i promotori - è il leader pro-positivo di un gruppo, una figura di esempio sportivo ma anche di comportamenti corretti, "riconosciuto capo" per le capacità e non per l’autorità". Sono previste in tutto 100 ore di corso, tra teoria e pratica; le lezioni, di due ore ciascuna, si tengono tre volte alla settimana all’interno della sezione "Alta sicurezza" del penitenziario padovano. I docenti sono Michela Gamba e Fabio Baldin, tecnici del Csi di Padova, ma gli organizzatori sono in contatto con il "Giotto Volley Padova" per far tenere all’allenatore Luigi Schiavon una lezione "speciale" il 15 o il 22 marzo mattina. Al termine del corso, previsto per il mese di giugno, i neo allenatori riceveranno l’attestato di allenatore di pallavolo Csi. Il progetto delle due associazioni padovane è stato sostenuto dalla Regione Veneto, assessorato agli interventi sociali La Spezia: l’arte dei detenuti in mostra nel chiostro francescano
Secolo XIX, 22 gennaio 2006
I sogni d’evasione dalle sbarre di Villa Andreino diventano opere d’arte che saranno esposte dal 24 febbraio all’8 marzo nello spazio claustrale di S. Francesco in una rassegna dall’allusivo titolo "Un colpo a regola d’arte. Messaggi da dentro le mura". Autori delle 19 opere grafiche in mostra, realizzate con collage e tecnica mista, sono infatti altrettanti detenuti del carcere spezzino i quali, negli ultimi cinque anni, hanno lavorato a questo progetto, nato da un’idea e dalla passione dell’insegnante di comunicazione visiva Daniela Paita. "Il carcere della Spezia - ha ricordato fra l’altro la stessa Paita, che insieme alla preside dell’istituto Einaudi Clementina Petillo e alla docente di diritto Maria Luisa Nota hanno presentato l’iniziativa ieri mattina insieme al sindaco di Sarzana Massimo Caleo - è sotto il profilo logistico uno dei peggiori d’Italia, ed è quindi normale, e significativo, che i suoi ospiti cerchino di "evadere" almeno nel segno dell’arte e della fantasia". Sono anche state mostrate nel corso della conferenza stampa alcune delle opere che saranno in mostra a S. Francesco. In una di queste un condannato per reati legati al terrorismo rosso visualizza per così dire il suo percorso ideologico di militante combattente, con immagini che ricordano la Comune di Parigi, Mao, Ho Ci Min fino a Stalin. In un’altra invece un condannato a molti anni di carcere per ripetuti reati contro il patrimonio, appassionato di musica e bravo batterista nella vita da libero, ricorda invece il suo universo con suggestive immagini dei grandi musicisti del pop e del rock degli ultimi 40 anni. La mostra, la cui vernice si terrà domani alle 17 nella sala consiliare, sarà liberamente visitabile tutti i giorni dalle ore 15,30 alle 18,30; il venerdì e il sabato anche al mattino dalle 10 alle 12. Milano: in carcere non si fanno letture "d’evasione"…
Il Giornale, 22 gennaio 2006
Sembra esserci un rapporto inversamente proporzionale fra libertà e lettura, almeno questo è ciò che emerge da una rapida indagine tra alcuni detenuti di San Vittore. La diversa scansione del tempo imposta da un’inevitabile routine impone, come unica via d’uscita, la lettura, mai come in questo caso, considerata "d’evasione". Qui c’è una fornitissima biblioteca centrale, ricca di decine di migliaia di volumi, a cui si sommano le piccole biblioteche presenti in ogni raggio e a cui possono attingere liberamente i detenuti. A questo si aggiunge la possibilità di farsi portare i libri dai propri famigliari senza incidere sul peso del "pacco" (20 chili) concesso mensilmente a ogni detenuto. Nonostante la presenza, talvolta invadente, di televisori accesi in quasi tutte le celle, la lettura è un’attività apprezzata e condivisa da molti carcerati, soprattutto da quelli che, condannati in via definitiva, sanno di non essere di passaggio e devono quindi organizzare meglio le lunghe giornate. "La cultura, nella dimensione carceraria, è di importanza vitale" afferma Emilia Patruno, giornalista professionista e da anni operatrice volontaria nel mondo delle carceri, apprezzata al punto di meritare la più alta onorificenza della Repubblica. "Quando a un detenuto si parla di cultura, vedo una luce accendersi negli occhi: non gli sembra vero che qualcuno, dall’esterno, venga a scambiare delle idee e a suggerire discorsi diversi da quelli, interminabili e ossessivi, della pena, del reato e della sofferenza. Può bastare davvero poco a distrarre i carcerati dalla loro condizione, e spesso il libri possono aiutarli a scoprire un percorso di miglioramento individuale. In molti mi confidano: "Ah, se avessi letto di più, forse non sarei finito qua dentro!" E io ci credo, dato che alcuni ex-detenuti, una volta scontata la pena, mi sono rimasti vicino e collaborano con me al progetto culturale "ildue" (www.ildue.it) con passione e volontà che, prima, non immaginavano neppure di possedere". E infatti sono parecchi i detenuti che partecipano alle iniziative promosse da "ildue", che prende il nome dal numero civico di Piazza Filangieri dov’è l’entrata al carcere. "Ho smesso di leggere dopo la scuola, e ho ripreso questa attività quando sono entrato qui" racconta Pino, un detenuto tra i più attivi a fianco di Emilia. "Durante la mia permanenza in carceri speciali, poi, i libri me li "bevevo" davvero, uno dopo l’altro, soprattutto i romanzi ma anche tutto quello che riguarda il mondo tecnologico e informatico". Leonardo, un altro detenuto, ha incontrato anche libri difficili e importanti, come quelli di Aristotele, che ha imparato a comprendere e ad amare: "Qui non mancano di certo né il tempo né i libri, semmai è difficile trovare la giusta intimità per entrare nel "vivo" della lettura". Luca, invece, non è incappato in libri che gli hanno cambiato la vita, anche se, ammette "i libri che ho letto mi hanno sempre spinto a cercare di capire e capirmi per affrontare meglio la mia crescita". Già, perché, anche se talvolta lo rimuoviamo, in carcere le persone affrontano, volenti o nolenti, un percorso, se non di crescita, almeno di comprensione di sé e di accettazione dell’altro, come Nicola, che ama i libri di meditazione, come quelli del gesuita indiano poco ortodosso Anthony De Mello: "Se li avessi letti prima, forse avrei occupato meglio il mio tempo...". Invece Francesco, che confessa, ultimamente, di leggere meno del solito, è incuriosito dal libro per tante ragioni, a volte ignorati dal marketing delle case editrici. Tutto il can can sollevato attorno al Codice da Vinci, ad esempio, gli ha tolto il desiderio di leggerlo: "In fondo un libro ti può attrarre per mille motivi, anche estetici, come una donna: se ti piace vai fino in fondo, altrimenti abbandoni. E con i libri c’è un vantaggio: puoi lasciare ma mai essere lasciato...". Droghe: con le nuove modifiche alla legge meno tutele per i minori
Progetto Uomo, 22 gennaio 2006
Ignorate le proposte della Fict che puntavano su un approccio più educativo del provvedimento. La scorsa settimana alla Camera dei Deputati è stato definitivamente approvato il decreto legge che insieme alle misure per le Olimpiadi invernali di Torino contiene lo "Stralcio Giovanardi" di modifica alla legge sulla droga. Il testo del provvedimento, frutto secondo il Ministro della discussione alla Conferenza sulle tossicodipendenze di Palermo e del consenso della Consulta degli operatori, invece non ha recepito le indicazioni esposte dalla Federazione Italiana Comunità Terapeutiche (Fict) che pure a Palermo era presente e aveva esposto in un documento la sua posizione, incontrando ampia condivisione da parte degli esponenti politici presenti e delle maggioranza degli operatori delle Comunità e dei Ser.T. Nonostante, quindi, l’atteggiamento iniziale sia stato apparentemente aperto al confronto, alla messa in discussione di quanto redatto e al recepimento di suggerimenti qualificati, il testo sottoposto all’approvazione del Parlamento, è rimasto sostanzialmente nella sua originaria formulazione e con irrilevanti variazioni. In aula, dunque, vediamo una bozza incurante del pensiero di chi, quotidianamente, combatte sul fronte delle dipendenze. La partecipazione della Fict a Palermo, ben lontana dal desiderio di schierarsi partiticamente, aveva l’obiettivo di accettare un confronto costruttivo, speranza che, i risultati, vogliono disattesa. L’aspetto sanzionatorio rimane invariato, risente del clima rigoristico ed individua un percorso articolato che rischia di essere non solo inefficace, ma anche controproducente per l’assuntore di sostanze. Vanifica quell’intento educativo che nasce dalla convinzione che "drogarsi non è un diritto". La Fict ritiene che l’irrogazione della sanzione amministrativa nei confronti del consumatore debba produrre un monito educativo attraverso la graduazione di interventi volti più alla comprensione dell’illiceità del gesto che non alla mera afflizione. Il risultato del percorso sanzionatorio individuato dalla stesura portata alla Camera dei Deputati sembra avere solo quest’ultima connotazione. Suggerivamo, infatti, la netta differenziazione tra la sanzione amministrativa irrogata al minore e quella al maggiore di età. In realtà questo aspetto rimane sullo sfondo e non si discosta dalla normativa precedente. La diversità si attenua ulteriormente laddove consente l’archiviazione del procedimento amministrativo in occasione della "prima volta" davanti al Prefetto, indipendentemente dal fatto che si tratti di maggiorenni o minorenni. Il problema, è evidente, nasce dalla equiparazione delle sostanze, per cui il primo incontro rischia di avere efficacia nulla. Ribadiamo, quindi, che la sanzione amministrativa debba avere la doppia finalità di contrastare l’utilizzo di sostanze e quello di esercitare una adeguata ed educativa pressione psicologica a scegliere il proprio recupero. Sotto questo profilo preme sottolineare come la Fict, sulla scorta dell’esperienza maturata e degli approfondimenti effettuati si riveli sempre contraria alla reintroduzione delle Tabelle. Dalla lettura del testo in discussione alla Camera si evince come la volontà del Governo di apporre un limite agli spazi di valutazione soggettiva del Magistrato sia molto forte. Il risultato, lo si precisa, sarà quello di creare ingiustificate sperequazioni sulla scorta di criteri rigidi che non tengono conto del disagio dalla dipendenza. In ultimo, questa proposta, pur cercando di trovare una soluzione al problema ed incoraggiare il recupero, rischia di creare nuove figure criminali sottovalutando come una progressiva sanzione possa essere più educativa di rigidi parametri scientifici. Iraq: morti quasi 100 detenuti sotto il controllo americano
Ap, 22 gennaio 2006
Un centinaio di prigionieri sotto custodia americana in Iraq. Dopo Abu Graib, Guantanamo, i voli segreti Cia, l’amministrazione Bush è costretta all’angolo su un’altra questione che si annuncia spinosa: 98 morti fra i detenuti in Iraq e almeno 34 da considerare omicidi "causati intenzionalmente o per comportamento imprudente". Dopo Amnesty International e la commissione Onu sui diritti umani, è il ora Human rigts first a denunciare morti sospette e – in dodici casi – torture su prigionieri. Il rapporto, ricorda Newsnight della BBC, è stato realizzato con dati provenienti da fonti ufficiali americane. Tra queste anche il Pentagono, che ha assicurato che prenderà in "seria considerazione" le accuse di maltrattamenti, con un’inchiesta interna. Raggiunto dalla tv britannica, l’ambasciatore americano a Baghdad, Zalmay Khalilzad, ha sottolineato che "la stragrande maggioranza" dei soldati rispetta la legge ma ha ammesso che ci sono militari che "fanno errori e ne devono rispondere. La cosa buona del nostro sistema è che la gente deve rispondere dei suoi atti". Si complica, intanto, anche la situazione a Guantanamo, dove, scrive oggi il New York Times, di fronte allo sciopero della fame e della sete di alcuni detenuti i militari fanno sempre più ricorso all’alimentazione forzata, duramente contestata dagli avvocati dei prigionieri e dalle organizzazioni umanitarie. Svizzera: 2 giornalisti in carcere per aver rivelato prigioni della Cia
La Stampa, 22 gennaio 2006
Il capo redattore dello svizzero Sonntags Blick, Christoph Grenacher, e i due giornalisti che scrissero l’articolo pubblicato l’8 gennaio e poi ripreso dai giornali di tutto il mondo che svelava l’esistenza di prigioni segrete gestite dalla CIA in paesi europei, Sandro Brotz e Beat Jost, sono detenuti nelle galere svizzere. Il codice penale militare svizzero prevede infatti 5 anni di prigione per aver svelato segreti militari. Il caso, trattato anche dal Guardian settimana scorsa è stato denunciato da Reporter Senza Frontiere, che ha chiesto la scarcerazione dei tre giornalisti. I tre erano riusciti ad ottenere la notizia tramite un fax, spedito dal ministro degli esteri egiziano all’ambasciatore egiziano a Londra intercettato dall’Intelligence svizzera. Data la fonte attendibile, e consapevoli di rischiare provvedimenti, i tre hanno deciso di pubblicare comunque la notizia facendo scoppiare un caso mondiale che ha portato a indagini europee e addirittura all’ammissione da parte della Cia di prigioni segrete e di decine di voli segreti usati per trasportare i presunti terroristi fino alle loro basi. I paesi che, secondo il documento, ospitavano prigioni segrete della Cia erano Kosovo, Macedonia, Ucraina, Romania e Bulgaria; le inchieste avevano ricostruito le rotte degli aerei utilizzati dalla Cia che facevano scalo anche all’aeroporto di Roma. Iraq: la denuncia dell’incappucciato; Abu Ghraib, anche italiani...
La Repubblica, 22 gennaio 2006
C’erano anche degli italiani a condurre gli interrogatori nel carcere della vergogna di Abu Ghraib. Lo rivela Ali Shalal al Kaisi, il detenuto incappucciato con gli elettrodi della foto che ha fatto il giro del mondo. Riferendo la confidenza raccolta da un ex diplomatico iracheno, Haitham Abu Ghaith, "l’incappucciato" parla ai microfoni di RaiNews24 e sostiene che a condurre i tremendi interrogatori nel carcere iracheno c’erano anche contractors italiani ingaggiati da ditte americane. Il servizio con l’intervista andrà in onda domani alle 7.40 su RaiNews24. La testimonianza. Ali Shalal al Kaisi ha 42 anni; fu arrestato nell’ottobre 2003 a Bagdad con l’accusa di far parte della guerriglia. Studioso e insegnante di religione era un mokhtar, un’autorità amministrativa e religiosa in uno dei distretti della capitale irachena. "Dopo quindici giorni di prigionia - ricorda l’ex detenuto - mi hanno tolto dalla cella, mi hanno messo una coperta con dei buchi, come se fosse un vestito tradizionale arabo. Mi hanno legato con del filo elettrico e messo su una scatola di cartone. Poi mi hanno detto che mi avrebbero elettrizzato se non avessi collaborato. Per tre giorni mi hanno colpito con scosse elettriche". "Ogni volta che usavano gli elettrodi - prosegue - sentivo gli occhi che fuoriuscivano dalle orbite. Una scossa è stata talmente forte che mi sono morso la lingua e ho cominciato a sanguinare. Sono quasi svenuto. Hanno chiamato un dottore, che ha aperto la mia bocca con gli stivali, ha visto che il sangue non veniva dallo stomaco ma dalla lingua e ha detto: Continuate pure". "Mi chiamavano uomo uncino". Ad Abu Ghraib, Ali Shalal veniva chiamato in gergo sprezzante Clawman, uomo uncino, per una tremenda ferita alla mano. "Prima di essere arrestato avevo subito un’operazione chirurgica alla mano. Ma quando sono entrato in prigione, gli americani hanno usato questa ferita come strumento di pressione. Mi dicevano: Se collabori ti possiamo aiutare a far diventare la mano come prima con un intervento chirurgico". Invece "con gli stivali calpestavano continuamente la mia mano ferita". Ali si è rifugiato ad Amman, in Giordania, e ha fondato l’Associazione delle vittime delle prigioni americane. È stato intervistato mentre seguiva un corso per Non violent action for Iraq tenuto da alcune Ong europee. Violenze sessuali in carcere. Ai microfoni di Sigfrido Ranucci inviato di Rai News24, Ali Shalal dice di aver assistito personalmente ad abusi sessuali su uomini e donne: "Una soldatessa ha interrogato un religioso e gli ha chiesto di fare sesso con lei. Lui si è opposto; allora la donna è tornata, indossava un fallo finto e lo ha violentato. Abbiamo pure sentito delle donne portate in prigione che venivano violentate, che strillavano e chiedevano il nostro aiuto ma l’unica cosa che potevamo fare è gridare: Dio è grande e vincerà". Era atteso in Italia, Al Kaisi: sarebbe dovuto venire a Roma per raccontare la sua storia ma gli è stato negato il visto. Spagna: Eta; tribunale supremo inasprisce le pene massime
Ansa, 22 gennaio 2006
Il Tribunale supremo spagnolo ha adottato un nuovo criterio giurisprudenziale che inasprisce l’espiazione delle pene di persone condannate ad oltre 30 anni di carcere, decisione presa soprattutto al fine di non consentire la futura liberazione del membro dell’Eta Henri Parot condannato a 4.700 anni per 33 assassinii compiuti fra il 1978 e il 1990. La decisione del Supremo, quella che i media chiamano "la soluzione Parot", che ha fatto seguito a vaste polemiche in Spagna sopra la prevista liberazione di Parot prima del 2011, ha provocato già una reazione del governo basco, secondo il quale in tal modo di viola "la non retroattività del codice penale". Parot sarebbe uscito probabilmente nel 2011 dopo aver compiuto 20 anni per effetto della redenzione della pena attraverso il lavoro contemplato dal codice penale del 1973 in base al quale fu giudicato. Adesso in base al nuovo criterio la redenzione della pena si applicherà ognuna delle condanne accumulate e non sul massimo di 30 anni, rendendo di fatto improbabile che qualcuno esca dal carcere prima di 30 anni scontati. Il nuovo criterio si applicherà ad altri Etarra nelle stesse condizioni di Parot ma non ad alcuni già scarcerati. La decisione, contro cui si potrà ricorrere davanti al Tribunale Costituzionale, avviene in un momento delicato del dibattito nel Paese Basco per l’apertura di un processo per porre fine al conflitto. Una delle principali richieste dell’Eta nell’ambito di un’eventuale trattativa con il governo è relativa al trattamento e alla liberazione dei "prigionieri politici" baschi.
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