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Sicilia: due detenuti suicidi in poche ore a Palermo e Brucoli
La Sicilia, 16 febbraio 2006
Due suicidi in poche ore in altrettante carceri siciliane: a Brucoli (Siracusa) e ai "Pagliarelli" di Palermo. Nell’istituto di pena del siracusano si è tolto la vita un tunisino di 39 anni che ha ingerito una dose eccessiva di farmaci; a dare l’allarme è stato il compagno di cella. I sanitari del penitenziario hanno tentato di strappare il nordafricano alla morte ma ogni tentativo è risultato vano. La salma del tunisino, che soffriva di crisi depressive, è stata trasferita all’obitorio dell’ospedale Umberto i di Siracusa dove domani sarà effettuata l’autopsia. L’altro episodio al "Pagliarelli" di Palermo: Tiziano Moschiera aveva 34 anni, era originario del capoluogo isolano e si è tolto la vita impiccandosi ad una finestra del carcere. Secondo una prima ricostruzione, l’uomo martedì sera si trovava nel reparto destinato a detenuti sofferenti di malattie psichiche quando ha deciso di annodare alcune lenzuola e di impiccarsi ad una finestra. Soccorso immediatamente, è stato trasportato all’ospedale "Civico" dove è spirato ieri. Moschiera, arrestato per reati contro il patrimonio, era nel carcere di "Pagliarelli" dalla scorsa settimana. Reggio Emilia: pedofilo chiede castrazione chimica... è l’unico rimedio
Corriere della Sera, 16 febbraio 2006
Con gli stuzzicadenti costruisce velieri. Di sicuro, prima di uscire di qui, avrà una flotta tutta sua. Ma quindici anni di galera sono tanti, e allora Natale Terzo si è dato un obiettivo più ambizioso. Con gli stuzzicadenti riprodurrà la Torre di Pisa. Natale Terzo ha sessant’anni ed è un pedofilo. La parola non lo sconvolge ed è lui stesso a usarla quando parla di sé. Né lo spaventa sentir parlare di "castrazione chimica", il trattamento farmacologico e psicoterapeutico che diversi Stati già da alcuni anni prevedono per i pedofili recidivi. Un trattamento volontario, non coatto. Come quello che Natale Terzo ha chiesto per sé e sul quale sta lavorando una commissione di esperti nominata dal governo. "Non mi interessa rinunciare al sesso, molto più importante è evitare di fare male ai bambini. Credo che questo valga non solo per me, ma per tutti i pedofili che, come me, sanno ciò che fanno, ma non riescono a farne a meno e quindi sono portati a rifarlo". Natale Terzo è nato a Palermo e poi è emigrato con la famiglia a Reggio Emilia, dopo un’adolescenza trascorsa quasi tutta nella casa di rieducazione di San Cataldo, Caltanissetta, dove lo portavano ogni volta che scappava di casa perché il padre lo picchiava. Meglio: lo torturava. Lo metteva su una sedia, gli legava i polsi dietro la schiena e lo frustava.
"Usava i fili della luce, bagnati, per fare più male e lasciare i segni".
Natale è un detenuto modello. Non dà fastidio a nessuno, parla senza alzare mai la voce, piange quando va a trovarlo sua madre, "che ha ottant’anni ed è la sola persona che mi voglia bene nonostante tutto". È stato anche sposato, vent’anni fa. Ma Concetta, la madre di suo figlio, lasciò Natale dopo sette anni. Credeva, Concetta, che anche Natale fosse stato travolto dalla "crisi del settimo anno" e che avesse un’altra. "Invece non c’era nessun’altra donna. A me piacevano i ragazzini. Li trovavo molto più attraenti delle donne. Mia moglie non ci credeva. Ma nel ‘92, quando mi condannarono per aver abusato di un bambino di 11 anni, Concetta capì. E se ne andò con nostro figlio". Il ragazzo oggi ha vent’anni e Natale non lo vede da allora. "Non credo che mi cercherà mai. Ma se accadesse, gli racconterei la verità". Ma quale "verità" può raccontare un mostro? Uno che ha abusato di venti bambini nel corso della sua vita? "Questa verità: io non sono un mostro, sono un malato. Ho agito sempre in base a un impulso più forte di me. Ma non cerco di giustificarmi. So che ho fatto del male e che qualche genitore se potesse mi ammazzerebbe. Lo capisco. Eppure so che se uscissi di galera la prima cosa che farei è mettermi di nuovo alla ricerca di ragazzini. Mai costringendoli con la forza però, questo non l’ho mai fatto". Certo, l’uso della forza fisica non è indifferente, ma cambia poco, perché a un pedofilo, dice Natale, la forza serve fino a un certo punto, o non serve per nulla. Un bambino te lo porti dietro anche con le caramelle o suonando il piffero magico. Oppure regalandogli biglietti per la giostra, come Natale Terzo aveva fatto con il ragazzino di cui abusò nel 1971, quando aveva 26 anni. "Fu la mia prima volta, poi ho sempre avuto rapporti con le donne, mi sono sposato... Ma nel ‘92 ci sono ricascato e da allora non mi sono più fermato". Sa bene, Natale, che ogni sua parola sull’argomento rischia di essere strumentalizzata. Ma da quando Rita Rizzi e Alessandro Verona, la psicologa e l’avvocato che lo assistono, sono riusciti a ottenere la sua fiducia, Natale Terzo non ha più cercato rifugio nel silenzio e oggi dice che non vuol morire se prima non affronta questo problema che gli ha cambiato la vita. Un problema che in realtà è la sua storia inconfessabile. Quella nota, di violentatore. Ma anche quella ignota, di violentato. "Tutto cominciò a Palermo, in una casa diroccata dietro la Cattedrale. Ciccio l’edicolante mi aveva regalato pochi spiccioli e io lo seguii. Abusò di me per più Roma: detenuti senza "identità", Comune non rilascia documenti
Redattore Sociale, 16 febbraio 2006
Dalla possibilità di esercitare il diritto al voto nelle imminenti lezioni politiche e amministrative a quella di presentare domanda per avere pensioni sociali o di invalidità. Sono questi e altri i diritti preclusi ai detenuti delle carceri di Roma che stanno incontrando difficoltà quasi insormontabili nell’affrontare una procedura in apparenza assai semplice: la richiesta di ottenimento della carta d’identità, la possibilità di ottenere la patente di guida e quella di ricercare i luoghi dove poter usufruire di eventuali benefici alternativi alla reclusione. Negli ultimi tempi decine di segnalazioni in tal senso sono arrivate al Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni, dai reclusi nelle carceri di Regina Coeli e di Rebibbia. Gli ultimi due casi, in ordine di tempo, riguardano due detenuti ricoverati nel Centro clinico di Regina Coeli: Mirko S., malato di Aids, avrebbe bisogno della carta di identità (che ha chiesto a più riprese) per ottenere una pensione di invalidità, ma la pratica per il riconoscimento dell’invalidità non può iniziare perché manca il documento personale. Nello stesso centro clinico è ricoverato anche un altro detenuto, Stefano P., che senza la carta d’identità (richiesta anche in questo caso più volte) non può avviare le pratiche per ottenere la pensione di invalidità civile. Sulla vicenda, l’Ufficio del Garante regionale dei diritti dei detenuti ha inviato una lettera ai presidenti dei Municipi di Roma I (Giuseppe Lobefaro) e V (Ivano Caradonna) nella cui giurisdizione ricadono Regina Coeli e Rebibbia. "Ancora non abbiamo ottenuto risposte - ha detto il Garante regionale dei diritti dei detenuti, Angiolo Marroni - Informalmente, sembra che addirittura si ignorasse la possibilità che i detenuti potessero chiedere il documento di identità. Vorrei ricordare che la Carda d’identità e la Residenza anagrafica sono due requisiti fondamentali per poter godere appieno dei diritti civili mai persi durante la detenzione. Probabilmente il problema è burocratico, nel senso che enti pubblici come Dap e Comuni non comunicano tra loro. Resta però il fatto che da questa assurda situazione sono penalizzati detenuti che, in alcuni casi, vedono il loro futuro legato alla possibilità di avere tra le mani questo documento". Vicenza: detenuto 3 mesi per errore, 15mila € di risarcimento
Libertà, 16 febbraio 2006
Quindicimila euro per ventotto giorni di carcere e sessantaquattro agli arresti domiciliari. Li ha ottenuti con una sentenza della Corte d’Appello di Venezia Silvano Piacenza, imprenditore piacentino di 54 anni, arrestato con l’accusa di traffico internazionale di stupefacenti nel giugno del 1997 e assolto dalla stessa accusa il 28 novembre 2003. La sentenza è dei giudici veneziani in quanto l’imprenditore venne arrestato per ordine della magistratura di Vicenza ed è stato assolto. La somma ottenuta da Piacenza è lontana dai cinquecentomila euro chiesti nel ricorso presentato dagli avvocati Augusto Ridella e Lorenzo Cea, ma stabilisce nero su bianco l’ingiusto periodo di detenzione subito dall’imprenditore. Nel corso dell’udienza davanti ai giudici d’appello il procuratore generale non si era opposto alle conclusioni dei due legali, aveva però chiesto che l’entità dell’equa riparazione dovesse essere stabilita dai magistrati e così è stato. La Corte ha ritenuto eccessiva la richiesta di cinquecentomila euro per i quasi tre mesi di detenzione cautelare in carcere e domiciliare) e ha concesso quindicimila euro. La somma è stata stabilita partendo dalla cifra di 157 euro per ogni giorno di detenzione. Ma i giudici hanno aumentato la cifra di un’entità tra il doppio e il triplo per i danni subiti da Silvano Piacenza. I quindicimila euro saranno versati al piacentino dal ministero dell’Economia. A quanto risulta i legali non presenteranno ricorso in Cassazione contro l’ordinanza dei giudici Veneziani. L’imprenditore piacentino era finito con altre cinquanta persone nella maxi inchiesta "Iberia". Indagini che portarono alla scoperta di un’organizzazione dedita al traffico di droga. Gli investigatori sequestrarono 730 chilogrammi di stupefacenti, soprattutto hashish, ma anche cocaina e migliaia di pasticche di ecstasy. Secondo l’accusa Piacenza avrebbe venduto auto a persone che avrebbero stabilito legami con il clan dei Marsigliesi in Francia e con altri trafficanti spagnoli allo scopo di importare in Italia cocaina. Silvano Piacenza aveva lamentato che nel corso del processo gli erano state ritirate le licenze di commercio e aveva dovuto cedere l’attività alla moglie, e di avere avuto problemi con le banche. Ma tutto era finito con l’assoluzione con formula piena davanti ai giudici del tribunale di Vicenza. Carabiniere ucciso: Berlusconi; è mancato il buonsenso…
Il Tempo, 16 febbraio 2006
A ventiquattro ore dal funerale di Cristiano Scantamburlo, ucciso domenica in provincia di Ferrara da un detenuto in permesso premio, in un’intervista rilasciata all’emittente televisiva umbra Tef, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ha avuto parole dure e ha accusato "certa magistratura" di troppa "indulgenza". Non basta - ha detto il premier - il "mea culpa" del giudice che gli ha concesso il permesso: "sarà premura del prossimo governo approfondire il problema di una eventuale modifica alle norme attuali in materia". Berlusconi si riferiva alle parole pronunciate dal giudice del tribunale di sorveglianza di Bologna, Luca Ghedini, che all’omicida del carabiniere aveva firmato un permesso premio. "Ahimè, ahimè - ha detto Berlusconi - certa magistratura guarda con indulgenza a coloro che commettono reati, anche violenti, perché pensa che siano vittime della società, e quindi certe volte si producono dei casi come questo". "Ma il giudice che aveva rilasciato il permesso ha fatto mea culpa ed ha spiegato di avere applicato la legge" ha detto l’intervistatore. "Non basta - ha risposto Berlusconi - bisogna applicare la legge con buonsenso ed in questo caso mi sembra che il buonsenso sia mancato". "Lei non pensa che sia il caso di cambiare la legge?", ha chiesto l’intervistatore. "Vediamo - ha risposto il presidente del Consiglio - è un problema che approfondiremo con il prossimo governo nella prossima legislatura". Ieri, intanto, è stato scarcerato anche il terzo uomo che era con Antonio Dorio sull’auto rubata intercettata dalla gazzella dei carabinieri. Al Gip di Ferrara, che ha valutato il suo caso, ha detto che non poteva sapere né dell’arma del delitto, nè del fatto che l’auto fosse rubata. Paolo Bui, 53 anni, di Ostellato (Ferrara), ex poliziotto, ha ammesso di aver passato tutta la notte con Dorio, ma nega ogni coinvolgimento nei delitti. Il Gip, Rocco Criscuolo, gli ha creduto e l’ha scarcerato. La sua liberazione segue di 24 ore quella degli altri due fermati, Gaetano Farinelli e Marco Tieghi, di 29 e 35 anni, di Comacchio, che erano in auto con lo stesso Bui e con Dorio la notte della sparatoria. Bui, difeso dall’avvocato ferrarese Marcello Rampaldi, ha ribadito al Gip quello che aveva detto al Pm nell’immediatezza della sparatoria. E cioè di aver conosciuto Dorio solo la sera del sabato in un bar del Lido delle Nazioni. I due, ha detto, si erano già visti altre volte nello stesso locale, senza però mai avvicinarsi. In quell’occasione invece Dorio lo avvicinò e così passarono insieme tutta la notte. Durante l’udienza, durata un paio d’ore, dalle 9,30 in poi, non si è invece parlato dell’altra pista che gli investigatori stanno seguendo, quella di un possibile coinvolgimento di Dorio, e dunque anche di Bui, nell’omicidio del pescatore rodigino Massimiliano Trombin, 41 anni, di Gorino Veneto, ucciso tra il 4 e il 5 febbraio ad Ariano Polesine. Non sono state poste domande in quanto l’udienza di convalida riguardava esclusivamente i reati già formalmente contestati all’ex poliziotto. Su quel delitto del resto Bui, con la sostituta procuratrice Guerra, aveva detto di non poter essere coinvolto perché Dorio l’ha conosciuto solo la sera dell’11 febbraio. Giustizia: un nuovo reparto all’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto
Apcom, 16 febbraio 2006
Venerdì 17 febbraio 2006, alle ore 11.45, il Ministro della Giustizia, Roberto Castelli, sarà presente all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto (Me) in via Madia 31, per inaugurare il quinto reparto dell’OPG. Alla cerimonia, interverranno anche il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Presidente Giovanni Tinebra, il Provveditore della Sicilia, Orazio Faramo e il Sindaco di Barcellona Pozzo di Gotto, Candeloro Nania. Lo rende noto un comunicato del ministero della Giustizia. Veneto: De Poli; sovraffollamento e condizioni precarie
Asca, 16 febbraio 2006
Le carceri del Veneto continuano ogni giorno a fare i conti con i problemi di sempre: il sovraffollamento, le condizioni igienico-sanitarie, la presenza di tossicodipendenti e alcoldipendenti, la presenza sempre crescente di stranieri, la mancanza di lavoro in carcere, la difficile situazione del reinserimento sociale e lavorativo. È stato l’Assessore regionale alle politiche sociali, a puntare il dito su questa situazione illustrando stamani il rapporto curato dall’Osservatorio regionale sulla popolazione detenuta e in esecuzione penale esterna, che ha sede nell’Azienda Ulss n. 16 di Padova. I numeri parlano da soli. Sono 2767 detenuti al monitoraggio del 31 gennaio scorso con una capienza complessiva degli edifici carcerari di 1772. La suddivisione per provincia è la seguente: 719 nel carcere di reclusione di Padova (a fronte di una capienza di 446), 218 detenuti nel carcere circondariale di Padova (capienza 98); 130 detenuti a Belluno (capienza di 84); 96 detenuti a Rovigo (capienza 66); 263 detenuti a Treviso (128 di capienza); 230 detenuti nel carcere circondariale di Venezia (capienza 111), 101 detenute nel carcere di reclusione femminile di Venezia (capienza 111), 46 detenute nel carcere circondariale femminile della Giudecca di Venezia (capienza 38);688 nel carcere circondariale Montorio di Verona (capienza 554); 277 detenuti nel carcere circondariale di Vicenza (136 di capienza). Per quanto riguarda l’Istituto Penale per Minorenni di Treviso, le presenze nel primo semestre del 2005 erano 20 di cui 16 stranieri e 4 italiani. I detenuti dipendenti da sostanze sono il 30% di cui il 62% italiani; il 2% è affetto da HIV. In aumento anche i suicidi: nel 2004 sono stati 2 (uno a Belluno e 1 a Padova), nel 2005 sono stati 6 di cui 4 a Padova, 1 a Venezia e 1 a Vicenza. Nell’Istituto per minorenni di Treviso ci sono stati invece 4 episodi di autolesionismo nel 2004, saliti ad 8 nel 2005. Sono 71 gli operatori delle Aziende Ullss che lavorano nelle carceri (dagli assistenti sociali, agli educatori, dagli infermieri ai medici, dagli psichiatri agli psicologi. Importanti anche i dati relativi al regime di semilibertà nel Veneto: al 30 giugno 2005 erano 130 i detenuti che godevano di questa possibilità (32 a Padova, 27 a Venezia, 26 a Verona, 18 a Vicenza, a18 a Treviso, 9 a Rovigo) di cui 33 stranieri; i permessi premo concessi nel Veneto dall’1 gennaio 2005 al 30 giugno 2005 sono stati 596 (di cui 574 uomini e 22 donne) di cui 449 nel carcere di reclusione di Padova (di cui 157 stranieri), 45 nel carcere di Verona (11 stranieri), 19 a Vicenza (7 stranieri), 22 a Rovigo (3 stranieri). Nell’anno 2005 la Regione Veneto ha assegnato 1 milione 610 mila euro a favore di interventi nelle carceri (a fronte di poco più di 300 mila euro di trasferimenti statali) di cui 500 mila per la realizzazione di attività educative, ricreative e sportive, promosse nelle carceri dagli enti del privato sociale e 1 milione 110 mila euro alle Aziende Ullss dei capoluoghi di provincia per attività di cura e assistenza e il funzionamento di presidi sulla tossicodipendenza nelle carceri (competenza passata alle Regioni e che prima era svolta dall’Amministrazione Penitenziaria). Prato: detenuto dottore in legge, tesi sotto scorta al polo di Novoli
La Nazione, 16 febbraio 2006
Da una cella all’aula magna dell’università di giurisprudenza il salto è lungo, quasi impossibile da immaginare. Eppure Mario Antonelli, 36 anni, di origini pugliesi, stamattina al polo di Novoli diventerà dottore in legge con una tesi di diritto privato. Lui non è uno studente qualsiasi, è un carcerato che deve scontare vent’anni per omicidio. È un uomo che ha creduto di potercela fare e ce l’ha fatta, che ha trovato nei libri e nello studio un modo per provare a riabilitarsi, un uomo che vuole continuare ad imparare, se è vero che si è già iscritto ai due anni di specializzazione previsti dal corso di studi dopo la laurea triennale. La storia di Mario comincia lontano, in Puglia. Quando era ancora giovanissimo accoltellò a morte un coetaneo nel foggiano, insieme ad un amico più grande. Nel 1993 venne condannato a vent’anni per omicidio volontario. Alla Dogaia si è sempre distinto per buona condotta e proprio per questo è riuscito a entrare nel progetto del polo universitario penitenziario dell’ateneo di Firenze insieme ad un’altra ventina di detenuti che come lui studiano per arrivare alla laurea. La rincorsa di Antonelli è partita più di tre anni fa ma nel 2003 ha subito un lungo stop a causa di una bravata che poteva costargli caro. Il trentenne, a giugno, ritardò due giorni a rientrare da un permesso premio perché, pare, aveva conosciuto una ragazza. Così scattò l’arresto per evasione e per diversi mesi non riuscì a studiare come avrebbe dovuto allungando i tempi per la conclusione degli esami e la discussione della tesi. Un "incidente" di percorso che però non lo ha scoraggiato e così oggi, scortato dalle guardie carcerarie, Mario potrà presentarsi a Novoli davanti alla commissione presieduta dal professor Paolo Tonini insieme agli altri laureandi. In questi mesi, sia per la tesi che per il corso di diritto privato, è stato seguito dall’avvocato Enrico Del Core che è stato il suo tutor e anche il docente che l’ha esaminato per diritto privato II. In commissione invece Antonelli ritroverà il professor Emilio Santoro, coordinatore del progetto del polo universitario penitenziario per giurisprudenza. Antonelli presenterà alla commissione una tesi dal titolo "L’amministrazione di sostegno" nella quale ha analizzato una legge del 2004 che ha introdotto una nuova figura di sostegno per i soggetti deboli. Il relatore sarà il direttore del dipartimento di diritto privato e processuale della facoltà di giurisprudenza, il professor Giorgio Collura (il correlatore sarà invece il collega Giuseppe Conte). Il trentenne detenuto alla Dogaia è il primo carcerato che riesce ad arrivare alla laurea negli ultimi tre anni e questo risultato è di grande importanza anche per la struttura, che ha riservato una sezione, l’ottava, appositamente per i detenuti iscritti all’università che possono contare su spazi dedicati allo studio e all’incontro con i docenti, oltre che su materiale didattico che viene fornito sia dagli stessi docenti che dalle associazioni autorizzate. Alla Dogaia sono rappresentate quasi tutte le facoltà principali, da scienze politiche ad architettura. Quello di Prato è stato il primo polo universitario penitenziario toscano e venne inaugurato nel novembre 2000. Ora è il momento di fare un’altra festa. S.M. Capua Vetere: detenuto semilibero ucciso in un attentato
Il Mattino, 16 febbraio 2006
Avrebbe dovuto far ritorno nella cella del carcere, a Santa Maria Capua Vetere, dove trascorreva le sue notti da detenuto semilibero, ma i killer lo hanno fermato sull’asse Nola-Villa Literno, a pochi metri dallo svincolo che conduce al piccolo centro dell’agro aversano. È di Gabriele Spenuso, 52 anni, di Grumo Nevano, ma da tempo domiciliato a Castelvolturno, pluripregiudicato per una serie impressionante di reati, il corpo rinvenuto senza vita all’interno di una vecchia Y10, nella serata di martedì, dai carabinieri della compagnia di Casal di Principe. I militari, coordinati dal capitano Pannone, hanno anche accertato che i componenti del gruppo di fuoco che erano riusciti ad eseguire la condanna a morte, hanno portato a termine solo una parte della missione assegnata. L’auto della vittima, doveva, infatti, essere data alle fiamme, addirittura fatta esplodere grazie a una bomba a mano incendiaria, al tritolo e al fosforo, di provenienza dell’Europa dell’Est. I killer l’hanno lanciata nell’abitacolo, dopo aver attivato il detonatore che, però, ha fatto cilecca. L’ordigno, la cui presenza ha costretto le forze dell’ordine, coadiuvate anche da addetti dell’Anas, a chiudere la superstrada Nola-Villa Literno in entrambi i sensi di marcia tra gli svincoli di Pinetamare e la stessa Villa Literno, dalle 21 di martedì fino alle prime ore del giorno successivo, quando la bomba, verso le 3,15 è stata fatta detonare dagli artificieri giunti da Napoli. Secondo gli artificieri, se fosse esplosa sul viadotto avrebbe addirittura potuto provocare seri danni alla struttura viaria. Gabriele Spenuso era considerato dagli investigatori un elemento di spicco del clan camorristico dei Casalesi, legato al ramo che fa capo a Francesco Bidognetti, alias "Cicciotto ‘e mezzanotte". Si ipotizza anche un legame con Luigi Guida, detto "Giggino ‘o drink", boss del litorale. Attualmente era sottoposto al regime di semilibertà. In pratica, usciva ogni mattina dal carcere di Santa Maria Capua Vetere per lavorare e vi faceva ritorno ogni sera. E dal carcere, l’altra notte, inotorno alle 2, hanno telefonato a casa di Spenuso per informarsi sul mancato ritorno dell’uomo, attivando i familiari che hanno appreso, poi, la notizia dell’agguato. La vittima stava scontando una lunga pena detentiva per un omicidio commesso diversi anni or sono, quando era ancora a Grumo Nevano. Un delitto che, secondo i carabinieri della compagnia di Casal di Principe che indagano sull’episodio, non dovrebbe essere assolutamente messo in relazione con l’omicidio dell’altra sera, frutto di una sentenza di morte emessa nella zona aversana, dalla malavita organizzata locale, dove la vittima aveva, da tempo, spostato i propri interessi. Gli inquirenti hanno anche ricostruito la dinamica probabile dell’agguato. I killer (almeno in tre), a bordo di una vettura, avrebbero affiancato, intorno alle 20,30, la Y10 di Gabriele Spenuso e avrebbero iniziato a far fuoco ripetutamente con due armi di grosso calibro, quasi certamente un revolver e un fucile. Colpito dai primi proiettili, la vittima predestinata ha perso il controllo della sua automobile finendo contro un gard-rail, tanto che, in un primo tempo, gli automobilisti che hanno transitato immediatamente dopo, hanno pensato di essere di fronte a un incidente automobilistico e hanno avvertito il pronto soccorso del 118. Il commando camorristico, prima di allontanarsi definitivamente, si è avvicinato alla vettura del pluripregiudicato napoletano e ha lanciato, dopo aver tolto la spoletta, la bomba a mano per dare il via al colpo di teatro, con l’incendio, se non addirittura l’esplosione della vettura con il corpo all’interno. Ma il detonatore si è inceppato e l’esplosione non si è avuta se non quando, in aperta campagna, l’hanno provocata gli artificieri. La presenza dell’ordigno sul sedile posteriore della Y10, però, ha costretto gli investigatori a decidere la chiusura di un lungo tratto della superstrada Nola-Villa Literno per oltre cinque ore, impegnando alcune decine di uomini, tra poliziotti, carabinieri e addetti dell’Anas per chiudere i varchi. Sanremo: muratore e spacciatore; non si vive con mille euro…
La Stampa, 16 febbraio 2006
Tre giorni dopo l’operaio bloccato a Sanremo con la cocaina, un altro giovane arrestato per spaccio si è "giustificato" con un’affermazione inquietante: "Non ce la facevo ad andare avanti con mille euro di salario al mese". La conferma è arrivata dai carabinieri. A poca distanza di tempo, si è ripetuto un copione che sembra rappresentare una nuova emergenza legata al pianeta-droga. È accaduto quando i militari di Bordighera hanno arrestato Alessio Federici, 23 anni, residente in zona Due Strade, alle porte della frazione di Borghetto San Nicolò. L’hanno fermato l’altro pomeriggio all’uscita dell’autostrada, a bordo della sua Fiat "Seicento". Arrivava da Imperia. Gli uomini del luogotenente Domenico Palermo lo tenevano d’occhio da tempo. C’erano state segnalazioni sul suo conto. Facile la conferma: in auto aveva nascosto 30 grammi di cocaina, già divisi in tre pacchetti da 5, 10 e 15 grammi, confezionati in sacchettini di cellophane, sigillati con la ceralacca. "Faccio il muratore e mille euro non sono sufficienti per tirare avanti" - ha detto ai militari. Il giovane vive con la madre e il fratello. Il padre non c’è più. È incensurato. Una vita tranquilla la sua. Ma caratterizzata dalla consapevolezza di non avere i mezzi per affrontare la quotidianità. Per sbarcare il lunario, stando a quanto affermato, avrebbe scelto il modo che poteva sembrare più facile e veloce, senza tenere conto dei rischi e delle conseguenze. Ha detto di non fare uso della cocaina: non era per lui il quantitativo sequestrato dai militari. L’avrebbe acquistata per conto terzi. Ma la sua attività di piccolo imprenditore della droga è presto fallita: la voce che stava cercando di introdursi nel mercato è arrivata ai carabinieri, che lo hanno arrestato. È stato portato nella caserma di via I Maggio: si vedeva e si capiva che era una solo una "pedina" nel feroce mondo della cocaina. La sua carriera da pusher è fallita. Secondo gli inquirenti, si tratta di uno dei tanti spacciatori che circolano in questo periodo nella Riviera, probabilmente per rispondere alla preoccupante crescente richiesta di cocaina. "Con mille euro di salario al mese non si può campare, ho provato con la droga, ma si vede che non è il mio mestiere" - ha continuato a ripetere ai carabinieri. Per lui si sono aperte le porte del carcere. Del caso si sono occupati i carabinieri di Bordighera. Vercelli: il "Carrefour" dona al carcere i prodotti in scadenza
La Stampa, 16 febbraio 2006
Proprio nel momento in cui sbarca a Vercelli la grande rivale Bennet, Carrefour, su invito del Comitato per l’Imprenditoria femminile della Camera di commercio, mette in atto un’iniziativa molto bella a favore del carcere di Vercelli: il progetto "No allo spreco". La presentazione si è svolta l’altra mattina in carcere alla presenza del direttore Antonino Raineri, della presidente dell’Imprenditoria femminile (rappresentata anche da altre socie) Lella Bassignana e del direttore di Carrefour vercellese, Vincenzo Marotta. In pratica, hanno spiegato i tre, Carrefour destinerà al carcere periodicamente, ma anche su richiesta, generi alimentari in scadenza. Un modo per venire incontro alle esigenze dei detenuti più poveri, soprattutto gli extracomunitari, non in grado di pagarsi gli "extra" da cucinarsi in cella con il fornello. Ma le scorte in scadenza del Carrefour serviranno anche a sostenere il corso dell’istituto alberghiero di Gattinara interno al carcere ("Corso che non ha neppure Vercelli", ha ironizzato Raineri), che sta avendo molto successo. Difatti, la presentazione del progetto "No allo spreco" è coincisa con un pranzo offerto proprio dai detenuti dell’Alberghiero: menù di alta qualità, con inappuntabile presentazione dei piatti e dei vini. Alla fine, applausi, non di circostanza, agli chef e ai sommelier, nonché al bravissimo docente di questi corsi, che fanno onore al carcere di Vercelli così come il progetto Codiceasbarre e la squadra interna di calcio. Croce Rossa: gestiremmo le carceri, ma occorre cambiare le leggi
Il Gazzettino, 16 febbraio 2006
Spazi ristretti, sovraffollamento, diritti sanitari non adeguatamente rispettati: la pena per i detenuti italiani ha una dose di disumanità che - secondo gli addetti ai lavori - non ha a che vedere con lo stato di diritto. Di fronte all’emergenza carceri, la Croce Rossa Italiana lancia una proposta: è disponibile a trasformare in istituti di pena, edifici abbandonati (del demanio o mettendone a disposizione fra quelli di proprietà della stessa Cri) assicurandone la gestione, chiavi in mano, con tanto di militari, personale civile e volontari. Il tutto, nel rispetto della persona e dei diritti umani. Del progetto parla il presidente, Massimo Barra, che si dice pronto a predisporre, anche a breve qualora ci fosse un interesse delle istituzioni, un progetto di fattibilità. L’ipotesi prevede la gestione, chiavi in mano, di strutture inutilizzate da destinare a carceri a carico e responsabilità della Cri, che metterebbe a disposizione anche il personale; la Cri ha fra le sue componenti anche i militari. Sarebbe un progetto-pilota con l’obiettivo primario di sperimentare un nuovo approccio di convivenza nelle carceri. Il primo e principale intervento sarebbe decongestionare le carceri, rispettando il numero dei detenuti e quello dei posti letto. "L’invivibilità delle carceri - dice Barra - è un dato oggettivo. Non vogliamo entrare nelle questioni politiche, il nostro criterio è puramente umanitario. Di fronte alle condizioni di vita degli istituti di pena, i detenuti sono persone vulnerabili. Sono loro il nostro interesse. La pena che devono scontare è nella limitazione della libertà, questo basta ed avanza. Cosa c’entra col non avere bagni dignitosi, strutture idonee, personale umano? Cosa c’entra con la disattenzione sui loro problemi sanitari? Tenuto conto che il 30\% della popolazione detenuta, ed è un dato patologico, è tossicodipendente e spesso sieropositiva o malata di Aids? La qualità della vita, anche nelle carceri, non può essere messa in discussione. Ricordo che il rispetto dei diritti umani, compresi quindi quello dei detenuti, rientra nella nostra mission". Avezzano: anche il vescovo contro la chiusura del carcere
Il Tempo, 16 febbraio 2006
Contro l’eventualità (speriamo remota) che la casa circondariale di Avezzano subisca un qualche ridimensionamento, dopo le voci circolate su una possibile chiusura per lavori di ristrutturazione, il vescovo dei Marsi, mons. Lucio Renna, scende in campo con un gesto di grande valore simbolico: un pomeriggio, che sia insieme religioso e letterario, da trascorrere con i detenuti. "Oggi, giovedì 16 febbraio, dalle ore 15 alle 17, - si legge in una nota della Diocesi - mons. Renna incontrerà i reclusi per presentare la sua ultima lettera pastorale, "Era notte e pareva mezzogiorno". Alla presenza del cappellano del carcere, don Francesco Tudini, di suor Benigna, dei volontari che operano nella struttura del "San Nicola" e con la partecipazione del maestro Cesidio Taballione, di Luciana Favoriti e delle sorelle Luciana, Maria e Vittoria Petrucci, l’incontro offrirà l’occasione per riflettere sull’immagine del Dio biblico, quella di un Dio che ama e che incontra gli uomini anche attraverso il servizio della carità, specialmente verso le persone recluse. L’eventualità che il carcere chiuda - prosegue la nota della Diocesi - ha, infatti, allarmato mons. Renna. Non si tratta di negare la necessità dei lavori di ristrutturazione dell’edificio di via San Francesco, ma di valutarli alla luce anche della volontà dell’amministrazione comunale di realizzare una nuova struttura in città. Questo eviterebbe ai detenuti e ai parenti lo sconvolgimento di condizioni di vita già dura. L’attenzione del vescovo è rivolta anche a tutto il personale che si troverebbe a trasferirsi in altre sedi, aggravando la già seria vertenza-lavoro nella Marsica". Intanto l’on. Rodolfo De Laurentiis rende noto che "non c’è nessuna richiesta sottoposta all’attenzione del Ministro che riguardi la chiusura del carcere San Nicola di Avezzano. Allo stato attuale non sono pervenute al Ministero istanze di chiusura della struttura per lavori di ristrutturazione. Continueremo, però, a vigilare sulla questione anche nei prossimi giorni". I timori legati alla paventata chiusura probabilmente si riferiscono a un vecchio decreto di dismissione di tali strutture che interessa decine e decine di carceri italiani. Proprio per questo De Laurentis ha sottolineato la necessità di realizzare nei prossimi anni la nuova struttura. "Nella prossima legislatura - aggiunge il parlamentare - sarà necessario adoperarsi per ottenere i fondi per il nuovo carcere". In campo anche i sindacati del settore penitenziario, che hanno scritto alle autorità esprimendo grande preoccupazione "in quanto non si è a conoscenza dell’esistenza di un progetto di ristrutturazione. Il personale esige la garanzia che la casa circondariale non venga chiusa prima dell’inizio dei lavori. Le organizzazioni sindacali non sono disposte ad accettare nessun provvedimento di spostamento del personale in assenza di incontri preliminari. Si riservano di intraprendere forme di protesta". Lodi: dall’ass. Andrea Ferrari una "lettera aperta" alla direttrice
Il Cittadino, 16 febbraio 2006
Segnali distensivi indirizzati alla direzione della Casa circondariale di Lodi. A trasmetterli è in particolare Andrea Ferrari, assessore alla cultura del Comune di Lodi, che nelle scorse settimane non aveva lesinato puntualizzazioni e critiche nei confronti della direttrice del carcere per una serie di difformità di vedute insorte a seguito delle decisioni restrittive assunte verso i volontari. "Desidero riconfermare piena fiducia nella dottoressa Caterina Ciampoli, direttrice della locale Casa circondariale, con la quale - scrive l’assessore Ferrari in un documento inviato ieri alla direzione del "Cittadino" - tutti gli assistenti volontari, e segnatamente il sottoscritto, desiderano riprendere il rapporto di collaborazione che era attivo con la precedente direzione". "La recente visita del provveditore regionale dottor Luigi Pagano - prosegue il testo diramato dall’assessore Ferrari - per quanto ci riguarda ha chiarito totalmente i ruoli e le modalità con le quali devono essere esercitati. Restiamo in attesa delle iniziative che la dottoressa Ciampoli vorrà assumere per riallacciare i rapporti di collaborazione, confidando che l’attesa non sarà lunga". A questo proposito ci sia permesso, come giornale, intervenire sull’argomento.Per alcuni anni "Il Cittadino" ha ospitato nelle proprie pagine, una volta al mese, il periodico "Uomini liberi", realizzato all’interno della struttura carceraria da un gruppo di detenuti seguiti da alcuni volontari. "Uomini liberi" non solo veniva letto con passione da chi acquistava il giornale nelle edicole, ma aveva anche un numero altissimo di lettori attraverso l’edizione trasmessa su Internet. "Uomini liberi" ha costituito per tutti gli anni della sua pubblicazione l’unico esempio italiano di giornale realizzato in un carcere di provincia e diffuso attraverso le pagine del quotidiano locale. In particolare per quest’ultimo aspetto "Uomini liberi" è diventato oggetto di studio e di approfondimento da parte di tanti esperti del settore: un vero caso nazionale, talmente apprezzato da farne auspicare una riproposizione in altre regioni italiane. Da alcuni mesi "Uomini liberi" non viene più pubblicato per decisioni assunte dalla direzione della Casa circondariale di Lodi. La direzione aveva imposto una serie di condizioni molto restrittive legate alla continuazione dell’iniziativa, condizioni che la direzione del "Cittadino" aveva interamente accettato. Nonostante queste cose, e senza nessun preavviso, gli articoli necessari al confezionamento di "Uomini liberi" non sono più stati inviati alla nostra redazione. Noi auspichiamo vivamente che riprenda la collaborazione tra "Il Cittadino" e la direzione del carcere di Lodi, dichiarando la nostra totale e assoluta disponibilità a riprendere un dialogo che si è bruscamente interrotto.Quanto sopra per un unico scopo, che è quello di far sentire meno soli i reclusi della Casa circondariale di Lodi. Padova: Gerardo Deganutti è pazzo e incompatibile con il carcere
Il Gazzettino, 16 febbraio 2006
È matto patocco. Un delirante cronico. E il carcere non fa proprio per lui. Gerardo Deganutti, specializzato nelle missive tragicomiche alla finta "antrace", che sia matto lo dicono gli psichiatri Rago e Bertolini nominati dal tribunale di sorveglianza. E la sua patologia è incompatibile con lo stato di detenzione penitenziaria. Al Due Palazzi non possono tenerlo in infermeria perché formalmente non è un malato comune. Così lo hanno messo in una cella del secondo piano incaricando il suo compagno di tenerlo d’occhio Una parola riuscire a parare la "fantasia" del quarantanovenne triestino, reo di piccoli reati che hanno prodotto un cumulo pena che finirà di scontare nel giugno 2008. Di lettere imbottite di intonaco grattato dai muri della galera ne ha spedite a bizzeffe in giro per l’Italia. Pure all’avvocato Marco Crimi che dal 2001 ha l’onere di assisterlo anche se ritualmente rimette il mandato. Lettere simili le hanno ricevute pure i periti, i quali, conoscendo il soggetto, si sono guardati bene dall’aprirle e le hanno cestinate. Deganutti, che sarà anche matto ma non è sicuramente scemo, ha chiesto ai magistrati di sorveglianza di potere essere ammesso alla liberazione condizionale, o al differimento della pena per gravi motivi di salute, oppure, in ulteriore subordine, all’affidamento in prova al servizio sociale. Una gran bella rogna prendere una decisione. Scartati per inapplicabilità gli istituti della liberazione e dell’affidamento, ai giudici non è rimasto altro da fare che sondare la strada del differimento della pena. E hanno incaricato due psichiatri forensi di dare una strizzatina al cervello del detenuto. Risultato scontato: assoluta inutilità della detenzione carceraria. La sua destinazione dovrebbe essere un ospedale psichiatrico giudiziario. Ma anche questo è un tasto dolente, perché i manicomi criminali che ci ritroviamo in Italia sono peggio delle galere e non sarebbero in grado di curare la patologia di cui è affetto Deganutti. Ultima spiaggia sarebbe una comunità specializzata. Ma chi se lo prende uno come lui che ne combina più di Bertoldo? Fondatore di una immaginaria quanto improbabile organizzazione terroristica, battezzata Pot, che tradotto significa "Prima organizzazione triestina" (e anche l’ultima), una volta ha pure tentato di avvicinare Giulio Andreotti armato di pistola giocattolo. Poi si è messo a spedire buste contenenti proiettili alle sinagoghe e agli organi di informazione. Ha provato ad appiccare il fuoco alla Procura e al municipio del capoluogo giuliano. Poi ha preso a divertirsi con l’"antrace" fabbricata dietro le sbarre. E per fugare ogni dubbio sul suo stato mentale basterebbe leggergli il tatuaggio preso in prestito da Auschwitz inciso sulla zucca pelata: sulla fronte "arbeit macht frei", con tanto di traduzione a tergo - per chi non capisse - "il lavoro rende liberi". Droghe: decreto legge introduce il criterio di "spaccio presunto"
Seduta Camera n° 751, 15 febbraio 2006
(A.C. 6259 - Articolo 34-bis)
Droghe: la marijuana uguale all'eroina, pene da 6 a 20 anni
Ansa, 16 febbraio 2006
Una tabella unica per le sostanze stupefacenti, che non fa distinzione tra droghe leggere e pesanti; sanzioni amministrative per i consumatori; pene da 6 a 20 anni per i reati di spaccio e traffico di qualunque tipo di sostanza; possibilità per chi è condannato a pene inferiori ai 6 anni di usufruire di misure alternative al carcere; certificazione dello stato di tossicodipendenza non più appannaggio esclusivo dei servizi pubblici. Sono i punti di maggior rilievo delle nuove norme in materia di droga, che oggi sono state approvate anche dalla Camera, con il voto di fiducia. Il testo, che va a modificare la normativa attualmente in vigore (la legge 309 del 1990), prevede la reclusione da 6 a 20 anni (finora da 8 a 20) e la multa da 26 mila a 260 mila euro per chi "coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa, consegna" sostanze comprese nella Tabella I (nella tabella II ci sono i farmaci), che per l’appunto include tutte le droghe, dall’eroina alla cannabis, dalla cocaina all’Lsd all’ecstasy. La legge 309 divideva invece le sostanze in più tabelle, prevedendo sanzioni più leggere per hashish e marijuana. Le stesse pene, da 6 a 20 anni, sono previste anche per chi acquista o detiene sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantità - se superiore ai limiti massimi, che saranno indicati con un successivo decreto del Ministero della salute - o ‘per modalità di presentazione" o per "altre circostanze" appaiono destinate a un uso non personale. La legge dà in sostanza al giudice la possibilità di stabilire se si tratta di consumo o di spaccio, alla luce non solo dei limiti quantitativi stabiliti in seguito da decreto, ma anche in considerazione di altri elementi indiziari. L’emendamento prevede poi, come già esiste, l’eventualità che, trattandosi di ‘fatti di lieve entità, le pene applicate possano scendere: da uno a sei anni di carcere e dai 3 mila ai 26 mila euro di multa. Il tossicodipendente che ha commesso reati, per i quali è stato condannato a una pena inferiore a 6 anni, può usufruire di misure alternative al carcere, cioè può sottoporsi a un programma terapeutico presso un servizio pubblico o una struttura privata autorizzata. Se non intende farlo, il giudice può applicare la pena alternativa del "lavoro di pubblica utilità", che può essere disposto anche nelle strutture private autorizzate. Il lavoro di pubblica utilità, però, può sostituire la pena per non più di due volte. Allo stesso modo, in caso di condanna a pena detentiva di una persona tossicodipendente che abbia in corso un programma terapeutico, il giudice può disporre gli arresti domiciliari, controllando che il programma venga eseguito. Arresti domiciliari anche a un tossicodipendente già in carcere, che intenda sottoporsi a un programma di recupero. Chi detiene un quantitativo di droga nei limiti di quello che sarà definito uso personale sarà invece sottoposto, oltre all’ammonimento, a una serie di sanzioni amministrative: quelle immediate sono il ritiro della patente e il fermo del ciclomotore. Ci sono poi sanzioni di media entità, che vanno dalla sospensione della patente, del passaporto o del porto d’armi alla sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo se si tratta di cittadini stranieri extra Ue. In caso di recidività, le sanzioni più gravi: obbligo di presentarsi almeno due volte a settimana presso il locale ufficio della polizia; obbligo di rientrare a casa entro una certa ora e di non uscirne prima di un’altra; obbligo di comparire in un ufficio si polizia negli orari di entrata e di uscita da scuola; divieto di frequentare determinati locali pubblici e di allontanarsi dal Comune di residenza; divieto di condurre qualsiasi veicolo a motore. Il tossicodipendente, inoltre, sarà invitato a seguire un programma terapeutico predisposto da un Sert o da un privato autorizzato: se accetta, e se il programma ha un "esito positivo", gli potranno essere revocate le sanzioni. Altra novità rispetto alla normativa vigente, è la possibilità, per una persona tossicodipendente, di avere la sospensione della pena se ha concluso con esito positivo un programma terapeutico presso una struttura sanitaria pubblica o privata autorizzata. Inoltre, il tossicodipendente condannato a pena inferiore a 6 anni - e non più 4 come accadeva finora - può chiedere, qualora abbia in corso un programma terapeutico, di essere affidato in prova a un servizio o a una comunità terapeutica per proseguire il trattamento. Ma quali sono i limiti tra consumo e spaccio? Le nuove norme demandano a un successivo decreto la fissazione della soglia, che sarà in base alla quantità di principio attivo presente: ad esempio, per la cannabis, se il limite sarà, come probabile, fissato intorno ai 300 mg, e considerando che ogni dose contiene un 6-7% di sostanza attiva, il limite tra spaccio e consumo potrebbe essere di 30 spinelli circa. La funzione della certificazione, infine, finora appannaggio esclusivo dei servizi pubblici, per la prima volta può essere delegata al privato sociale, cioè alle comunità, che però dovranno rispondere a particolari requisiti che sono: il livello di eccellenza connesso all’accreditamento e il rapporto di convenzione con il Servizio sanitario nazionale. La "regia" di tutti gli enti, pubblici e privati, sarà appannaggio dei Dipartimenti territoriali, già in fase di attuazione in alcune regioni. Onu: Guantanamo va chiusa; gli Usa: indagine priva di credibilità
Ansa, 16 febbraio 2006
Washington non ci sta. Il rapporto su Guantanamo degli ispettori della Commissione diritti umani dell’Onu è "costellato da imprecisioni e minato alla base da modalità di lavoro che lo rendono privo di credibilità", sostiene il consigliere legale del Dipartimento di Stato, John Bellinger, in un briefing per la stampa estera dopo la consegna all’amministrazione Bush del rapporto Onu sulla prigione di Guantanamo. Il rapporto, reso pubblico oggi, chiede agli Stati Uniti di scarcerare o processare tutti i prigionieri detenuti nel carcere militare di Guantanamo, a Cuba, perché sospettati di legami con al Qaida. Il testo è al centro di polemiche da alcuni giorni e il segretario generale dell’Onu Kofi Annan, così come l’alto commissario per i diritti umani Louise Arbour, hanno preso le distanze dalle sue conclusioni, tra cui figurano accuse agli Usa di torture ed esortazioni alla chiusura della prigione militare. Bellinger ha sottolineato che gli ispettori dell’Onu, non avendo ottenuto di poter interrogare direttamente i detenuti (possibilità che gli Usa concedono solo alla Croce Rossa), hanno scelto di non visitare Guantanamo, di non ricevere alcun briefing da funzionari americani e hanno respinto anche inviti a Washington per ascoltare la posizione ufficiale degli Usa. "Un rapporto che si presenta come equilibrato - ha detto il responsabile legale del Dipartimento di Stato - si basa quindi solo sulle dichiarazioni di membri di Al Qaida e dei talebani che hanno lasciato Guantanamo e su quelle dei loro avvocati che non hanno visto niente di prima mano". Il funzionario del Dipartimento di Stato ha negato, tra l’altro, le accuse che il nutrimento forzato dei detenuti in sciopero della fame avvenga con metodi che equivalgono a torture. "È una pratica - ha detto - eseguita da medici con alto addestramento, servendosi di un sondino del diametro di 4 millimetri che è esattamente lo stesso che utilizziamo nei nostri ospedali. Vengono utilizzati i più elevati standard etici che vengono applicati dai medici negli Usa". "Se gli ispettori dell’Onu - ha concluso Bellinger - si fossero presi almeno il disturbo di andare a Guantanamo, il loro rapporto sarebbe stato assai più bilanciato. Così com’è, è privo di credibilità".
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