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Carabiniere ucciso: Castelli; sui cittadini ricadono errori Stato
Agi, 13 febbraio 2006
"È nostro dovere fare di tutto affinché non vi siano più innocenti che paghino con la loro vita un malinteso garantismo". Il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, commenta così la tragica morte del brigadiere dei carabinieri Cristiano Scantamburlo. "Già nel caso Izzo due cittadine, una madre e la sua giovane figlia, pagarono con la vita errori che non avrebbero dovuto essere commessi - spiega il Guardasigilli - ricordo che in quel caso ho proposto un’azione disciplinare di cui sono ancora in attesa degli esiti. Ma al di là della eventuale responsabilità dei singoli occorre fare una riflessione profonda dei criteri che vengono seguiti nel porre in essere concessioni premiali ai detenuti. Gli errori dello Stato non possono essere pagati dai cittadini". Carabiniere ucciso: l’omicida aveva già usufruito di 7 "licenze"
Il Messaggero, 13 febbraio 2006
La vita carceraria di Antonio Dorio comincia con una condanna a 26 anni per l’omicidio di Enrica Evangelisti, bigliettaia della stazione di Mezzolara di Budrio uccisa con 70 coltellate. Dorio viene rinchiuso nel carcere di Dozza e nel 2000 comincia a beneficiare di permessi premio concessi dal Tribunale di sorveglianza di Bologna. La sua condotta sembra abbastanza tranquilla, collabora come grafico a "Mayday", un giornale che viene pubblicato all’interno del penitenziario, insieme con Horst Fantazzini e altri detenuti che devono scontare pene pesanti. Nel 2001, però, evade dal carcere. Viene trovato e nuovamente arrestato. Un anno e due mesi di condanna si vanno ad aggiungere a quelli per l’omicidio. Fino a giugno del 2005 rimane rinchiuso dietro le sbarre, ma da quel momento i giudici di sorveglianza di Bologna gli concedono sette permessi premio. L’ultimo risale al dicembre del 2005, dal quale rientra regolarmente. Il 1 febbraio Dorio chiede e ottiene altri 5 giorni di libertà, deve tornare in carcere il 6 febbraio, ma non si fa più vedere: evade. A chi si meraviglia di un simile trattamento una spiegazione arriva dal magistrato di sorveglianza del Tribunale di Roma Giulio Romano. "Il fatto che un pregiudicato abbia tentato di evadere durante un permesso di lavoro - dichiara il giudice - non preclude, passati alcuni anni dalla fuga fallita (di norma tre), che gli siano nuovamente concessi benefici carcerari. Il problema del reinserimento viene affrontato da ciascuno di noi perché sono la legge e la Costituzione che lo prevedono, in maniera graduale, proprio perché arrivi la data del "fine pena" e chi ha compiuto reati anche gravi si possa trovare in libertà con positivi punti di riferimento. La realtà, purtroppo, è che noi magistrati di sorveglianza siamo solo poco più di 150 su un totale di circa 10 mila giudici e abbiamo un lavoro enorme che spesso non ci consente di approfondire la conoscenza dei detenuti e il lavoro fatto su di loro dagli educatori e dai servizi sociali". Dalla Lega all’Udc, invece, la polemica è alta. Il primo ad intervenire è il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, che chiede sia fatta "piena luce sulle circostanze che hanno portato alla concessione della semilibertà a un detenuto" che avrebbe dovuto uscire dal carcere tra tredici anni circa. Per il ministro della Giustizia Roberto Castelli, "siamo di fronte all’ennesimo caso di una persona che non avrebbe dovuto essere in libertà e invece lo era". "Occorre verificare - aggiunge il Guardasigilli - se non sia il caso di cambiare qualche norma e fare una riflessione profonda sui criteri che vengono seguiti nel porre in essere concessioni premiali ai detenuti. Perché è nostro dovere fare di tutto affinché non vi siano più innocenti che paghino con la loro vita un malinteso garantismo". Carabiniere ucciso: l’omicida non doveva uscire di galera…
Il Giorno, 13 febbraio 2006
Cordoglio dal presidente della Repubblica e dalle principali autorità istituzionali ma anche indignazione e rabbia dal mondo politico che mette sotto accusa le misure premiali concesse a detenuti autori di reati gravissimi. Antonio Dorio, per esempio, avrebbe dovuto stare in carcere ancora per 10 anni e invece era già in libertà da mesi per aver ottenuto un permesso premio. Com’è stato possibile tutto questo? Il presidente della Camera dei deputati, Pier Ferdinando Casini, innanzitutto chiede "piena luce sulle circostanze che hanno portato in libertà un detenuto la cui pena per gravi delitti sarebbe dovuta scadere nel 2016". Ma non è il solo. Il ministro della Giustizia, Roberto Castelli riflette sulle regole e pensa a un cambiamento. "L’uccisione del carabiniere a Ferrara è una cosa molto triste, in primo luogo per questo fedele servitore dello Stato e poi perché è l’ennesimo caso di una persona che non avrebbe dovuto essere in libertà e invece lo era. Occorre verificare se non è il caso di cambiare qualche cosa. È nostro dovere fare di tutto affinché non vi siano più innocenti che paghino con la loro vita un malinteso garantismo" ha detto Castelli. Anche il capogruppo di An alla Camera, Ignazio La Russa propone una riflessione sulla normativa: "Serve più severità nel concedere la semilibertà ai recidivi. In presenza di elementi particolarmente difficili è necessario privilegiare l’atteggiamento punitivo rispetto a quello del recupero". Gli fa eco il vicesegretario dell’Udc Erminia Mazzoni che punta il dito sull’efficacia di alcune norme. "Per le misure premiali serve un ripensamento. Lo spirito della cosiddetta ex Cirielli si dimostra un tentativo serio per rivedere taluni meccanismi del nostro sistema penale, che a volte, come nel caso di specie, mostrano gravissimi limiti". Il ministro per le Riforme, Roberto Calderoli critica il magistrato di sorveglianza che ha concesso la libertà all’omicida. "Di fronte ad alcuni reati particolarmente gravi non si può ricorrere allo strumento delle pene alternative. Qualcuno ha autorizzato questo criminale a godere della semilibertà e ora è arrivato il momento che risponda della sua decisione". Ancora più duro contro i giudici l’esponente di An, Maurizio Gasparri. "L’intera magistratura italiana è chiamata a un pubblico atto di contrizione per la responsabilità morale della morte del giovane carabiniere - dice - È una nuova macchia che offusca la credibilità della magistratura questa drammatica vicenda. Chi ha sbagliato paghi in maniera esemplare e subito". Dalle accuse alle difese. Giulio Romano, magistrato del Tribunale di sorveglianza di Roma, sostiene le ragioni dello sparuto drappello di colleghi (150 in tutta Italia a fronte di 10mila giudici). "Abbiamo un lavoro enorme perché, in particolare dal 1998, dobbiamo occuparci anche dell’esecuzione della pena di coloro che sono in libertà con un carico di lavoro che, spesso, non ci consente di approfondire direttamente la conoscenza dei detenuti e il lavoro su di loro fatto dagli educatori e dai servizi sociali". Sul fatto che Dorio sia stato a spasso dopo un tentativo di evasione Romano non si sorprende, e spiega: "Il fatto che Antonio Dorio, abbia in passato già tentato di evadere (nel 2001) durante un permesso di lavoro non preclude, "passati alcuni anni dalla fuga fallita (di norma tre anni)", che gli siano nuovamente concessi benefici carcerari". Carabiniere ucciso: le reazioni del mondo politico
La Sicilia, 13 febbraio 2006
Una riflessione seria che porti a rivedere la normativa sulla concessione della semilibertà e che, in casi di recidiva, privilegi l’aspetto punitivo rispetto a quello del recupero. Come mai negli ultimi tempi, la maggioranza ha ritrovato la compattezza dopo la morte del carabiniere Cristiano Scantamburlo, ucciso a Ferrara da Antonio Dorio, in regime di semilibertà nonostante una condanna fino al 2016 e un’evasione alle spalle. Dalla Lega all’Udc, tutti chiedono che sia fatta piena luce sulla vicenda e che chi ha avallato l’uscita dal carcere di Dorio risponda della sua decisione. Il primo ad intervenire è il presidente della Camera Pierferdinando Casini, che ha chiesto "piena luce" sulle circostanze che hanno portato alla concessione della semilibertà ad un detenuto condannato fino al 2016". Più duri gli esponenti della Lega. Per il ministro della Giustizia Roberto Castelli "siamo di fronte all’ennesimo caso di una persona che non avrebbe dovuto essere in libertà e invece lo era. Occorre verificare se non sia il caso di cambiare qualche norma e fare una riflessione profonda sui criteri che vengono seguiti nel porre in essere concessioni premiali ai detenuti". Perché, aggiunge, "è nostro dovere fare di tutto affinchè non vi siano più innocenti che paghino con la loro vita un malinteso garantismo. Gli errori dello Stato - conclude Castelli - non possono essere pagati dai cittadini". Sulla stessa linea il ministro delle Riforme, Roberto Calderoli. "Sono convinto - sottolinea - che di fronte ad alcuni reati particolarmente gravi non si possa ricorrere allo strumento delle pene alternative". Con la magistratura se la prende invece l’ex ministro delle Comunicazioni Maurizio Gasparri. "L’intera magistratura italiana è chiamata a un pubblico atto di contrizione per la responsabilità morale della morte del giovane carabiniere. Chi ha concesso un permesso a un criminale detenuto che ha ucciso un servitore dello Stato deve rispondere della propria grave colpa". All’esponente di An risponde indirettamente il magistrato di sorveglianza del tribunale di Roma Giulio Romano. "Il vero problema - spiega - è che noi magistrati di sorveglianza siamo solo poco più di 150 su un totale di 10mila giudici e abbiamo un lavoro enorme". Quanto al fatto che Dorio era evaso in passato, Romano sottolinea che "Il fatto che un pregiudicato abbia tentato di evadere durante un permesso di lavoro non preclude, passati alcuni anni dalla fuga fallita (di norma tre), che gli siano nuovamente concessi benefici carcerari". La replica del centrosinistra è affidata al responsabile sicurezza della Margherita Maurizio Fistarol. "La morte del carabiniere pone alcuni interrogativi che pretendono una risposta netta. È necessario fare chiarezza in primo luogo sul permesso premio che era stato concesso e se qualcuno ha sbagliato deve pagare".
La pistola
Una volta dentro l’abitacolo Antonio Dorio (nella foto), che era evaso dal carcere di Sant’Anna dov’era detenuto in regime di semilibertà il 6 febbraio scorso, è riuscito ad estrarre la pistola, a quanto sembra una calibro 38, che aveva con sé e che evidentemente era sfuggita ai controlli dei militari. Dorio ha quindi puntato l’arma contro il brigadiere e il collega, minacciandoli, presumibilmente con l’intento di far fermare l’auto e farsi liberare.
Il caso
È stato in questo frangente che l’ex detenuto Antonio Dorio ha fatto fuoco e ha colpito il brigadiere. La corsa dell’auto a quel punto si è giocoforza fermata. Il latitante ha fatto scendere il carabiniere ferito. Dall’auto è uscito anche l’altro militare che si trovava alla guida, e che, mentre Antonio Dorio si metteva al volante, ha fatto fuoco riuscendo così a colpire il latitante al torace. I tre complici di Dorio sono in stato di fermo. La loro posizione è al vaglio degli inquirenti. Carabiniere ucciso: la destra accusa i Giudici e la "Gozzini"
Centomovimenti News, 13 febbraio 2006
Un giovane Carabiniere - il brigadiere Cristiano Scantamburlo - è stato oggi assassinato nei pressi di Ferrara da un uomo, poi ucciso da un secondo militare, che era già stato condannato in passato per omicidio e che si trovava in stato di libertà grazie ad un permesso. Un tragica vicenda che adesso molti esponenti della Casa delle Libertà prendono come spunto per tornare ad attaccare la Magistratura. Il centrista Pier Ferdinando Casini "si augura che venga fatta piena luce sulle circostanze che, a quanto si apprende, hanno portato in libertà un detenuto la cui pena per gravi delitti sarebbe dovuta scadere nel 2016". "È nostro dovere fare di tutto affinché non vi siano più innocenti che paghino con la loro vita un malinteso garantismo - gli ha fatto eco il ministro della Giustizia Roberto Castelli - già nel caso Izzo due cittadine, una madre e la sua giovane figlia, pagarono con la vita errori che non avrebbero dovuto essere commessi. Ricordo che in quel caso ho proposto un’azione disciplinare di cui sono ancora in attesa degli esiti. Ma al di là della eventuale responsabilità dei singoli occorre fare una riflessione profonda dei criteri che vengono seguiti nel porre in essere concessioni premiali ai detenuti. Gli errori dello Stato non possono essere pagati dai cittadini". Carabiniere ucciso: il Magistrato; sono addolorato, ma è la legge
La Stampa, 13 febbraio 2006
"Malinteso garantismo". "Fare piena luce". "Ci vuole una riflessione seria". Dal ministro della giustizia Roberto Castelli in giù, non c’è politico che non se la prenda con il Tribunale di sorveglianza di Bologna, che per nove volte ha concesso permessi premio ad Antonio Dorio. Nessuno fa il suo nome, ma è chiaro che nel mirino c’è il giudice Luca Ghedini. La sua replica è con un groppo in gola: "Quello che è successo a quel carabiniere mi ha molto colpito, amareggiato, addolorato. Le mie non sono parole di circostanza. Ma come magistrato mi sento tranquillo da un punto di vista formale e anche sostanziale".
Dottor Ghedini, il ministro dice che forse la legge andrebbe rivista. "Non è un mio compito. Io ho solo applicato la legge che c’è. Mi creda, non voglio fare un discorso di circostanza, non sono le parole di sempre... Ma nessuno può chiedere a noi giudici di avere una sfera di cristallo e prevedere quello che può succedere nella testa di un detenuto, immaginare il futuro".
Un detenuto particolare, Antonio Dorio. Condannato a 26 anni di carcere per omicidio nel ‘91, un primo permesso di lavoro nel 2001 da cui non era rientrato e che per questo aveva fatto scattare l’arresto per evasione. Poi ci sono i permessi che gli ha concesso lei… "Da quando mi occupavo di lui, dal giugno 2005, gli avevo dato otto permessi. Questo era il nono...".
Fa uno al mese... "Per otto volte non è successo niente".
L’ultima ha ucciso un carabiniere... "Questa mattina quando da Bologna sono andato nel carcere di Ferrara per controllare il suo fascicolo avevo un groppo in gola. Non lo nascondo. Ma anche guardando le carte era tutto a posto, tutto in regola. Il lavoro degli operatori penitenziari, degli educatori, lo stesso lavoro di noi magistrati di sorveglianza si basa sulla previsione del futuro. Si basa su elementi labili come la valutazione del comportamento di un detenuto. E per otto volte, lo ripeto, Antonio Dorio si era comportato come un detenuto attento alla legge. Nessuno può chiedere a noi giudici di essere nella testa della gente".
Però dal primo permesso nel 2001 non era rientrato. Perché concederne altri? "Perché lo stabilisce la legge. E guardi che abbiamo lasciato passare anche sei mesi, oltre i rigorosi termini stabiliti. Il sistema si basa sulla necessità di dare una possibilità di recupero ai detenuti".
Dopo questo caso, come dopo altri, c’è chi - l’ultimo è il ministro della Giustizia Castelli - chiede che ci sia un ripensamento su questa legge. "L’alternativa possibile è solo quella di non concedere più permessi a quei detenuti che sono stati condannati per determinati reati come gli omicidi e i sequestri".
E non va bene? "Allora dove finisce il concetto di pena come recupero del condannato? Se non ci fosse la speranza di un futuro per i detenuti, le carceri esploderebbero. La mia opinione non è cinismo. Come uomo mi sento coinvolto, molto coinvolto da quello che è successo".
Cosa bisognerebbe fare, per evitare il ripetersi di queste situazioni? "Bisognerebbe avere più educatori nelle carceri, più operatori in grado di valutare il comportamento del detenuto. Se poi qualcuno vuole cambiare la legge lo faccia. Non spetta a me. Io la legge che c’è l’ho rispettata. Il mio operato è nelle carte". Firenze: concerto-spettacolo della Compagnia della Fortezza
Nove da Firenze, 13 febbraio 2006
Con questo straordinario concerto-spettacolo, la Compagnia della Fortezza, una tra le più importanti compagnie del panorama teatrale italiano ed europeo, nata nel 1988 sotto la direzione di Armando Punzo con un progetto di laboratorio teatrale all’interno del carcere di massima sicurezza di Volterra, interpreta alcuni tra i brani più travolgenti e surreali del cabaret brechtiano, con l’accompagnamento di Ceramiche Lineari, giovane e geniale gruppo pulp-rock. Una serata-cabaret in cui, celebrando l’attualità di Bertolt Brecht e della sua famosa "Opera da tre soldi" - dramma buffo di un mondo votato alla perdizione, in cui ladri e sfruttatori sono vittime dello stesso sistema e dove si dimostra il fondamentale assunto politico secondo cui i metodi della malavita e quelli dei gentiluomini si equivalgono - la musica dal vivo si intreccia all’interpretazione sorprendente, divertente, sconcertante dei detenuti/attori della Compagnia, in un continuo passaggio dalla partitura alla drammaturgia, dal concettuale al carnale, dall’inorganica domanda all’inesorabile verità. A fare da contrappunto, saranno alcuni tra i più suggestivi brani che hanno fatto da colonna sonora live allo spettacolo "I Pescecani – ovvero quello che resta di Bertolt Brecht", brani travolgenti e surreali, caratterizzati da una insolita mescolanza di generi fra il rock, lo ska, il funky e il reggae, brani che lanciano un grido di denuncia contro i soprusi e le prevaricazioni della nostra società, descrivendo la pazzia che contraddistingue tutte le azioni quotidiane. Un cabaret musicale, dunque, tratto dallo spettacolo vincitore Premio UBU 2004 ("I Pescecani", appunto), per portare lo straordinario lavoro della compagnia fuori dal carcere nei teatri, per incontrare la gente. Tra gli interpreti, sul palco, ci saranno alcuni membri storici della Fortezza: Sabino Mongelli, Nicola Camarda (nomination Premio Ubu come miglior attore), Santolo Matrone, Antonio Scarola, e Stefano Cenci (straordinario e sconcertante narratore) attore che da anni collabora con la Compagnia e Pascal Piscina (danzatrice e coreografa della Compagnia). Con questo spettacolo Brecht risorge e con lui Kurt Weill, che già sfruttava relitti musicali e sviliti, re del riciclaggio e antesignano della contaminazione. Ma non solo Weill viene rianimato, c’è anche Pupo in versione ska, fino all’esplosione finale dell’ironico e autoreferente "Fuori dal Tunnel". I carcerati sono indubbiamente fuori dal tunnel del divertimento degli uomini cosiddetti liberi, e l’isolamento può partorire stranezze musicali, culti di musicisti ormai fuori dal giro, che all’esterno vengono consumati in un baleno, sorprendenti resistenze alla globalizzazione imperante e al consumismo musicale". Cuneo: incontro su formazione professionale in carcere
Targato CN, 13 febbraio 2006
Giovedì il Presidente della Provincia Raffaele Costa e l’assessore alla Formazione Professionale Stefano Viglione parteciperanno ad una conferenza stampa all’interno del carcere Cerialdo di Cuneo, nel corso del quale saranno illustrate le varie attività formative svolte all’interno dell’istituto. In particolare si farà riferimento agli sviluppi e alle potenzialità della "lettera d’intenti" sottoscritta dalla direzione del penitenziario e l’Ente Scuola Edile, che ha come obiettivi dare spazi e motivi d’impegno, attraverso la formazione professionale, ai detenuti che intendono migliorare la loro preparazione professionale nel campo dell’edilizia, da spendere o all’interno della casa circondariale o, una volta scontata la pena, all’esterno in imprese del settore costruzioni; creare le professionalità necessarie per formare una squadra, composta da detenuti e impegnata nelle opere di manutenzione ordinaria dell’istituto; creare occasioni di lavoro promuovendo l’integrazione sociale dei detenuti anche attraverso l’ammissione ai benefici previsti dall’ordinamento penitenziario. Droghe: la Lila "boccia" il nuovo decreto, fatto gravissimo
Redattore Sociale, 13 febbraio 2006
"Contro lo stralcio Giovanardi sul consumo di stupefacenti chiediamo al presidente Ciampi di non firmare; le conseguenze sono gravi per i giovani consumatori, per il Sistema Sanitario Nazionale, per il sistema penitenziario, per la società tutta". Così la Lila (Lega italiana lotta contro l’Aids), che ricorda come "il Governo è riuscito a far approvare, ponendo la fiducia, lo stralcio Giovanardi all’interno del Decreto sulle Olimpiadi. Il fatto è gravissimo, sia per la criminalizzazione dei consumatori, sia per l’incostituzionalità della legge sia, non ultimo, per la modalità piratesca dell’approvazione in Parlamento". Per la Lila, le conseguenze sono molte: "Sarà incrementata la presenza nelle carceri italiane di migliaia di giovani consumatori di cannabis, trasformati in spacciatori ‘grazie’al livello irrisorio di ciò che verrà considerato il consumo personale; la certificazione dello stato di tossicodipendenza da parte delle comunità private graverà pesantemente sul debito del Sistema Sanitario Nazionale (con la benedizione di Don Gelmini e di San Patrignano che vedranno incrementare a dismisura le proprie entrate); i consumatori si allontaneranno dai servizi di bassa soglia (drasticamente ridotti per il taglio dei fondi diretti alla prevenzione) e aumenteranno il sommerso e i contagi da Hiv, Hbv, Hcv". "La parificazione delle droghe è poi il cavallo di battaglia della destra che, sulla pelle dei consumatori, prova a racimolare i voti dell’oltranzismo cattolico che vede nelle sostanze stupefacenti la distruzione dei nostri giovani. Nessuno ha chiesto o chiede il parere dei diretti interessati, i ragazzi, che saranno i primi a subire le conseguenze di questa legge populistica, liberticida e definita da tutta Europa la peggior legge sulla droga dell’Unione Europea. L’Ue, oltretutto, aveva approvato non più tardi di 6 mesi fa il documento Catania basato sulla riduzione del danno e sulla liberalizzazione del consumo". "La reazione dei partiti dell’opposizione è forte - ricorda la Lila - e si propone l’abolizione della legge nei primi 100 giorni di un eventuale governo Prodi. Il Cartello "Non incarcerate il nostro crescere" lancia un appello al presidente Ciampi affinché non firmi la legge e la rinvii alle Camere, le Regioni preparano i ricorsi per incostituzionalità dello stralcio Giovanardi. Persino dalla maggioranza arrivano voci di dissenso dal guardasigilli Castelli: i voti a favore della legge sono arrivati in un clima di scambio politico e non per convinzione nella bontà della Legge". "Fa infine sorridere - conclude l’associazione - che nel giorno dell’approvazione della legge il responsabile scientifico di An, il dr. Mussa, chirurgo alle Molinette a Torino, avvii il protocollo si sperimentazione per l’uso terapeutico della cannabis nella terapia del dolore chiedendo di non demonizzare la cannabis che ha una farmacopea riconosciuta da almeno 10 anni". Messina: detenuto ferito, scagionato il presunto aggressore
Ansa, 13 febbraio 2006
Avrebbe aggredito un compagno di cella nel carcere messinese di Gazzi, riducendolo in fin di vita. Ma stamani il gip Massimiliano Micali non ha convalidato l’arresto per il presunto autore dell’aggressione, l’ergastolano Giuseppe Mulè: sia i detenuti testimoni all’accaduto sia gli agenti di polizia penitenziaria hanno dichiarato che Salvatore Caruso, 63 anni, non è stato colpito da Mulè ma è caduto accidentalmente. L’uomo, che ha una ferita al capo, ieri è stato operato d’urgenza alla testa ed è in coma. Secondo la prima versione raccolta ieri, Caruso era stato aggredito dal compagno di cella, che gli avrebbe chiesto di fare la doccia prima di lui, perché temeva che finisse l’acqua calda. Francia: UE mette sotto accusa carceri, polizia e giustizia
Ansa, 13 febbraio 2006
Altro che patria dei diritti dell’uomo! Prigioni "malandate", sovraffollamento carcerario, detenzioni provvisorie "abusive", una polizia che "con sentimento d’impunita impedisce di far luce su casi di "brutalità e violenze", troppi minorenni in prigione. E’ impietoso il rapporto del Commissario ai diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa, Alvaro Gil-Robles, sullo stato e le condizioni dell’applicazione della giustizia in Francia. Il documento - che sarà reso noto mercoledì, ma che è stato anticipato oggi dal quotidiano "Le Parisien" – è un atto d’accusa frutto di una visita di sedici giorni fatta nel settembre scorso dalla Commissione. Si conclude con una settantina di raccomandazioni alle quali il governo francese dovrà rispondere in un dibattito pubblico davanti ai 46 paesi del Consiglio d’Europa. Il dispositivo giuridico c’è in Francia - dice Gil-Robles nel rapporto - ed è relativamente completo nell’offrire un alto livello di protezione in materia di diritti dell’uomo", ma "esiste un fossato tra i testi e la pratica". Nel documento si citano le "infrazioni" in cinque campi principali. Polizia: c’è uno spirito di corpo "che caratterizza la polizia e che impedisce molto spesso che venga fatta piena luce sia su casi di trattamenti brutali che di violenze". Le condizioni delle celle per il fermo di polizia nei commissariati, inoltre, sono giudicate spesso "pietose". Giustizia: la proliferazione legislativa è di dimensioni tali che "gli operatori del diritto, così come i cittadini, non riescono a seguire". I magistrati sono "obbligati" ad occuparsi "più di questioni di forma, che di fondo". Ci sono inoltre "sovraccarico dei tribunali" e "mancanza di finanziamenti". Carceri: esiste come una volontà di "far sì ad ogni costo che le condizioni di detenzione siano dure", come una sorta di "volontà di vendicarsi". Stranieri: Gil-Robles chiede, fra l’altro, la "chiusura immediata"del carcere provvisorio per stranieri irregolari e per persone in stato di fermo di polizia che si trova nel sottosuolo del Palazzo di giustizia di Parigi, definito "catastrofico ed indegno della Francia": "Forse - ha detto - solo in Moldavia ho visto di peggio". Minori: il commissario è fortemente contrario all’abbassamento dell’età della responsabilità penale e all’invio di ragazzi giovani in carcere, in quanto ciò offre più le condizioni di una recidiva che la possibilità di impedirla". Vengono infine chiesti più mezzi finanziari e il rafforzamento dei servizi di protezione giudiziaria della gioventù. Gil-Robles non risparmia critiche al governo francese, anche se riconosce che le autorità hanno spesso "coscienza dei problemi". Prende di mira, in ultimo, il ministro dell’interno, Nicolas Sarkozy, e la sua proposta di "quote" di stranieri da rimpatriare: è un’iniziativa - dice il commissario - che può portare a "numerosi abusi", come "arresti massicci in zone mirate"o ancora "l’arresto"di figli di stranieri irregolari.
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