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Giustizia: Castelli attacca i magistrati; in troppi fanno politica
La Repubblica, 10 febbraio 2006
"Non mi è piaciuto e non mi piace che ci sia una parte significativa della magistratura che di fatto fa politica, attraverso dichiarazioni e manifestazioni, ma qualche volta viene il sospetto che lo faccia anche attraverso l’azione giudiziaria". Ospite di Uno Mattina su Rai Uno, il ministro della Giustizia Roberto Castelli torna ad accusare alcuni giudici di non imparzialità. Anche se alla magistratura il Guardasigilli riconosce di portare avanti un "lavoro enorme", definendo ogni anno "milioni e milioni di processi". "Questo mi piace molto", commenta. Nel salotto televisivo, Castelli rivendica anche l’azione riformatrice "profonda" portata avanti dal governo, in materia di giustizia. Interventi con i quali, a suo giudizio, si sono "toccati interessi, alterati equilibri, spostate incrostazioni": per questo, aggiunge, erano prevedibili "forti polemiche". "Se poi si considera che la parte in causa era un potere dello Stato qual è la magistratura - conclude il ragionamento - è chiaro che ne sarebbero uscite scintille....". Il ministro della Giustizia coglie inoltre l’occasione per esprimere "apprezzamento" per le dichiarazioni di ieri del presidente della Corte Costituzionale, Annibale Marini: "È una persona stimabile - afferma - le sue sono parole che apprezzo, discendono proprio dalla sua sobrietà". Infine, un altra presa di posizione forte. In riferimento alle ispezioni ministeriali, Castelli dice di se stesso: "Non sono il protettore dei magistrati". Piuttosto, una sorta di "sorvegliante" delle toghe, vale a dire colui che si deve "preoccupare quando i magistrati fuoriescono dalla loro linea di condotta". Poi il bilancio dell’alto numero di ispezioni alto numero di ispezioni da lui avviate. Ricordando che la Costituzione gli affida il potere dell’azione disciplinare, il Guardasigilli fa notare che le sue iniziative "molto spesso hanno dimostrato la corretta azione dei magistrati". "Le ispezioni - ribadisce insomma il ministro - non devono essere viste come punitive, ma cercano di accertare la verità nel campo di loro competenza, che non è certo quello penale. Sono lieto quando le ispezioni dimostrano che i magistrati si sono comportati bene. Altre volte ciò non accade, ma questo è normale". Giustizia:
querela dei Radicali a Castelli, atti tornano alla Procura Ansa,
10 febbraio 2006 Il
tribunale dei ministri di Roma si è dichiarato incompetente a pronunciarsi in
merito alla posizione del ministro della Giustizia Roberto Castelli, indagato
per diffamazione in seguito ad una denuncia dei radicali scaturita da una
sortita del Guardasigilli il quale, in occasione di una rivolta nel carcere di
Regina Coeli, parlò di iniziative che “si verificano sempre dopo le visite
dei soliti personaggi”. Il collegio, ritenendo che si tratta, eventualmente,
di reato ordinario e non ministeriale, ha quindi restituito, per “quanto di
sua competenza”, gli atti alla procura di Roma, sostenendo - informa una nota
dei Radicali - che le parole di Castelli non sono coperte da quell’insindacabilità
delle opinioni espresse da un parlamentare (articolo 68 della Costituzione)
invocata nella richiesta di archiviazione partita da piazzale Clodio. L’opposizione
alla richiesta di archiviazione era stata presentata da Daniele Capezzone, Rita
Bernardini e Antonio Grippo, assistiti dagli avvocati Giuseppe Rossodivita e
Alessandro Gerardi. “Castelli - è detto ancora in nella nota - fu querelato
nell’agosto del 2004 quando, a seguito della rivolta a Regina Coeli, accusò i
Radicali, che nei giorni precedenti si erano recati nel carcere per raccogliere
le firme per il referendum, di essere stati gli istigatori ed i fomentatori
della rivolta. “Accusa - precisano i radicali - che all’epoca destò
l’interesse della stampa e che oggi, a seguito delle indagini svolte, deve
considerarsi, scrive il Tribunale dei Ministri, pacificamente non veritiera ed
offensiva. Aggiunge ancora il Tribunale dei Ministri che il reato ipotizzato a
carico di Castelli, contrariamente a quanto ritenuto dal Procuratore di Roma,
Giovanni Ferrara, dall’allora aggiunto Carlo Figliolia e dal difensore del
Ministro, non è coperto dall’insindacabilità delle opinioni espresse da un
parlamentare in quanto le esternazioni del Guardasigilli non avevano nulla a che
fare con l’attività parlamentare dello stesso, rappresentando solo un
indebito attacco ad avversari politici”. “Una vicenda incredibile”: così il ministro della giustizia, Roberto Castelli, definisce la denuncia per diffamazione fatta dai Radicali nel 2004 nei confronti del ministro per aver detto “queste iniziative si verificano sempre dopo le visite dei soliti noti” parlando di una rivolta avvenuta nel carcere romano di Regina Coeli. “Intanto, credo che la politica si debba fare con la politica e non con la magistratura - ha detto Castelli -. Io ero lì come ministro a cercare di sedare una rivolta... e poi non ho affatto citato i radicali, i quali “excusatio non petita” hanno detto di sentirsi offesi. Mi sembra una iniziativa classica per dare fastidio a chi cerca di governare al meglio possibile”.
La Spezia: i detenuti scrivono al vescovo in visita al carcere
Secolo XIX, 10 febbraio 2006
"Per noi George Bush è il magistrato di sorveglianza. Kennedy è la direttrice Cristina Bigi. Il nostro Papa è padre Mansueto, che ci confessa. È un problema, parlare della pace: è più grande di noi. Tutti parlano di amnistia e di sovraffollamento delle carceri, ma noi qui siamo soli. Stretti e soli. La solitudine ci fa male. L’opera di chi ci aiuta è la cosa più grande alla quale sappiamo pensare. Vedo di più i professori di mia moglie: una volta a settimana". Davanti al Vescovo monsignor Bassano Staffieri, che parlava di pace universale, i detenuti del carcere spezzino non hanno nascosto la sofferenza della quotidianità fra le strette mura della casa circondariale: stretta, sovraccarica, ridotta ancora negli spazi a causa dei lavori partiti e poi sospesi, e ancora ripartiti ma a rilento. Lavori che comunque dureranno anni, prima di concludersi. "Non perdete mai la speranza - ha risposto il vescovo - chi di voi ha una famiglia la tenga cara: siano genitori, mogli, figli. Mantenetevi persone libere, anche se private della libertà, che è un possesso nostro, anche con le catene. Considerate questo momento di "sosta" come un arricchimento della vostra libertà personale. Io chiedo al dio della pace in cui tutti crediamo di concedervi di vivere questa fatica e questa privazione come un arricchimento". Il tema era la pace. Ma i problemi dell’istituto di pena sono emersi lo stesso. E non poteva non essere così. "Anche per noi amministrazione penitenziaria non è facile - ha ammesso la direttrice, Maria Cristina Bigi - anche noi siamo passati da un numero inferiore di detenuti solo italiani a questa realtà diversa, di un numero maggiore di persone, di culture diverse. A volte basta un gesto o un atteggiamento che a una persona può sembrare normale, ed ecco che ad un’altra appare diverso". Il carcere spezzino, che quest’anno ha vissuto - lo ha ammesso la stessa Bigi - un "periodo complesso", ha voluto con l’iniziativa di ieri dimostrare che comunque, malgrado le difficoltà determinate dagli spazi angusti, la volontà di pacifica convivenza c’è tutta. "Una volta si diceva se vuoi la pace prepara la guerra - ha ricordato Padre Mansueto - le guerre ci sono sempre state e ci saranno sempre, così le carceri, e la detenzione. Possiamo solo pregare in tutte le nostre lingue che si riducano i flagelli sulla terra, e fare come l’ape sul fiore. Non tocca il veleno, prende solo il nettare". All’incontro hanno preso parte la dirigente dell’istituto Einaudi, che cura i corsi di diploma per i detenuti, e le insegnanti della scuola Fontana, che provvede all’alfabetizzazione elementare e media: e, naturalmente, il personale della polizia penitenziaria. A tutti è andato il ringraziamento del Vescovo Staffieri. Castelli: il carcere di Is Arenas rimane al Ministero della Giustizia
Ansa, 10 febbraio 2006
Is Arenas, "colonia penale modello", resta al ministero della Giustizia. Lo afferma il ministro Roberto Castelli, a proposito delle notizie sulla possibilità che la struttura sia restituita alla Regione Sardegna. "Vedo in giro in Sardegna troppi lupi speculatori travestiti da agnelli ambientalisti - spiega il ministro -. Di essi non mi fido, non vorrei mai vedere un gioiello di questa natura deturpato da speculazioni che andrebbero a vantaggio di pochi". "La colonia penale di Is Arenas non tornerà alla Regione Sardegna. Smentisco le notizie che vi siano accordi in tal senso - dice il Guardasigilli -. Finché sarò Ministro io, Is Arenas non si tocca. Come ho avuto modo di dichiarare più volte". Castelli dice di essersi chiarito con il sottosegretario Luigi Vitali che, "sia pure in buona fede, non ha correttamente interpretato la posizione del Ministro". Is Arenas, sottolinea il ministro, "è una colonia penale modello che garantisce condizioni di vivibilità ai detenuti nettamente superiori alla media, insegna loro un lavoro e li prepara per un reinserimento nella società. Questa colonia penale è un vero gioiello ambientale, alienarla andrebbe contro corrente rispetto all’unanime volontà di migliorare le condizioni ambientali dei nostri penitenziari". Roma: formazione dei detenuti nel settore dell’edilizia
Comunicato stampa, 10 febbraio 2006
Favorire il reinserimento sociale dei detenuti migliorando le proprie capacità lavorative - attraverso specifici corsi di formazione - nel settore dell’edilizia. E questo uno degli scopi principali del Protocollo d’Intesa siglato nei giorni scorsi tra il Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni e il Formedil Regionale Lazio. Il Formedil è l’Ente bilaterale paritetico nel campo della formazione professionale, costituito dalle parti sociali del settore edile regionale - in particolare dell’Unione Regionale dei Costruttori Edili Regionali (U.R.C.E.L.) e da Fillea-Cgil, Filca-Cisl e Feneal-Uil - con il compito di coordinare le attività delle scuole edili provinciali. "È di indubbia utilità mettere in atto forme di collaborazione istituzionale per raggiungere l’obiettivo del recupero, della reintegrazione e del reinserimento dei detenuti - ha detto il Garante regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni - e la formazione professionale può essere un elemento strategico per il raggiungimento di questo obiettivo soprattutto nell’edilizia, uno dei settori trainanti dell’economia della Regione, dove continua è la richiesta di manodopera qualificata e specializzata da parte delle imprese". Il Protocollo d’Intesa prevede che Formedil e Garante Regionale dei diritti dei detenuti elaborino progetti congiunti per proporre un catalogo di possibili attività formative nel settore edile alle persone detenute, comprese quelle in regime di pena alternativa, nonché agli ex-detenuti. Il Formedil si impegna anche a mettere a disposizione i propri canali informativi per segnalare alle imprese gli allievi che hanno preso parte ai percorsi formativi per offrire loro delle occasioni lavorative. Avellino: un maggior sovraffollamento dietro le sbarre…
Il Mattino, 10 febbraio 2006
La casa circondariale di Lauro è un carcere a custodia attenuata. Unica in provincia di Avellino ad ospitare detenuti con problemi certificati di tossicodipendenza che cercano però una strada verso la riabilitazione sociale. Per loro c’è sia il sostegno psicologico che la formazione professionale. A dirigerlo è Maria Luisa Palma, nell’amministrazione penitenziaria da 20 anni, che ha fatto di questa struttura un punto di riferimento positivo nel sistema carcerario italiano. Corsi per cuoco, pizzaiolo, vivaista, musica, teatro, falegnameria e fabbro. "I Liberanti", la compagnia teatrale formata da detenuti, gira per i teatri campani tanto da essere stata un’attrattiva della notte bianca di Napoli. Tanti ospiti insomma che s’impegnano per imparare un lavoro che li porterà poi lontano da strade sbagliate. Sembra un grande centro di formazione professionale con le sbarre alle finestre o come lo intende la dottoressa Palma, un centro di "riappropriazione del proprio io". Significa che le cose vanno bene e che se si individuano soggetti specifici, la riabilitazione in carcere è possibile. "Nel 2004 su 28 detenuti che sono usciti 19 non hanno commesso nessun reato - snocciola fiera i dati la direttrice - e per il 2005 la percentuale è buona". Ma alla luce della nuova normativa quali possono essere le conseguenze? "Non entro nel merito della normativa - spiega la direttrice - ma sicuramente salta all’occhio un problema di sovraffollamento. Poi si pensi che comunque il carcere, non questo di Lauro, è pur sempre un luogo pieno di persone che hanno commesso reati, dove è difficile convivere specialmente se super affollato e dove molte volte tra i detenuti si commettono soprusi. Un ambiente particolare, complesso, difficile". E le ripercussioni da sovraffollamento nell’attività della struttura che lei dirige? "Niente di particolare - continua - perché la capienza della struttura che io dirigo è di 58 detenuti e non si può aumentare per limiti normativi. Quindi tutte le attività che svolgiamo quotidianamente, dai colloqui con gli psicologici ai corsi per insegnare un lavoro ai detenuti, continueranno senza interruzioni. Oggi ne ospitiamo 54 e tutto procede al meglio". Belluno: "I Pescecani" di Armando Punzo al Teatro Comunale
Adnkronos, 10 febbraio 2006
La stagione di prosa del Teatro Comunale di Belluno, organizzata dalla fondazione Teatri delle Dolomiti diretta da Daniela Nicosia, presenta un evento eccezionale: la Compagnia della Fortezza di Armando Punzo nello spettacolo "I Pescecani, ovvero quel che resta di Bertold Brecht", in scena domani e il 12 febbraio alle ore 20.45. Per l’occasione, avrà luogo l’incontro "Umani Invisibili. L’esperienza di Armando Punzo e della Compagnia della Fortezza all’interno del carcere di Volterra" (11 febbraio, ore 16.30, Auditorium Comunale). Premio Ubu 2004 come miglior spettacolo, "I pescecani, ovvero quello che resta di Bertolt Brecht" è un cabaret ricco di immagini, suoni, gesti e parole, interpretato da oltre cinquanta persone fra attori e musicisti. Sulla scena, uomini si affollano recando cartelli sui quali è segnata la temperatura di un tipico pomeriggio estivo all’interno del carcere: 38°. Gli attori-detenuti compongono un enorme tableau vivant in un’atmosfera a luci rosse in cui sfilano ballerine, ballerini, assassini, barboni, prostitute, travestiti, ladri, preti, giocatori, musicisti, simbolo di una società di "pescecani" assetati di denaro e potere. Se la messa in scena rimanda allo straniamento attraverso l’uso dei cartelli, la perizia mimica e gestuale degli attori ricorda, invece, Cieslak e Decroux; il testo di Armando Punzo è liberamente ispirato al teatro di Bertolt Brecht; le musiche originali sono eseguite dal vivo da Ceramiche Lineari con la partecipazione straordinaria del Complesso Bandistico Città di Belluno, arrangiamenti e direzione musicale di Giacomo Brunetti. Legge sulla droga, la doppia morale del centrodestra di Katia Zanotti (deputato DS, Commissione Affari Sociali della Camera)
Aprile online, 10 febbraio 2006
Alla Camera dei Deputati si è consumata mercoledì 8 febbraio l’ennesima vergogna: sono state approvate con il voto di fiducia le nuove norme sulla droga agganciate ad un decreto sulle Olimpiadi e sul terrorismo. Queste norme confermano l’attacco del centro-destra ai diritti e alle libertà delle persone all’insegna delle parole d’ordine "proibire", "reprimere", "punire". Le nuove norme, infatti, considerano le droghe tutte uguali, senza più differenza alcuna fra leggere e pesanti. Si mette tutto sullo stesso piano e si prevede il carcere da 6 a 20 anni sia per chi spaccia, sia per chi detiene sostanze per uso personale. La distinzione tra uso personale e spaccio sarà definita da una tabella che sarà elaborata dal Ministero della Sanità e su cui il Parlamento non potrà fare verifiche. Alla fine, un decreto ministeriale stabilirà chi è spacciatore e chi è solo consumatore. Al giudice sarà data la discrezionalità di stabilire se si tratta di consumo o spaccio non solo sulla base della quantità, ma di altri opinabili elementi giudiziari. È assurdo che il carcere sia l’unica prospettiva, la più disperata, la più cupa, la più definitiva, che offre questo famigerato provvedimento a chi consuma sostanze, sia occasionalmente che abitualmente. Punire allo stesso modo droghe leggere e pesanti comporta che gli spacciatori, rischiando la stessa pena, faranno sparire le droghe leggere. Per i giovani ciò significherà il passaggio, con molta più facilità, dallo spinello alla cocaina, il bisogno perciò di più soldi a disposizione e l’ingresso assai più prevedibile nel circuito criminale. La lotta alla droga è un problema sociale molto serio che richiederebbe grande rigore nell’affrontarlo, mentre in questo decreto non c’è alcuna strategia preventiva: di recupero o di riabilitazione. Con questo decreto viene dissipato una grande patrimonio costituito dall’ impegno di tanti operatori dei Sert, dei servizi sociali e dall’esperienza importante di tante comunità terapeutiche. Intorno ai servizi, in questi anni, si è prodotta cultura, si sono espressi saperi, si è praticata solidarietà, si sono accumulate competenze che hanno resistito contro un Governo che ha brutalmente abbandonato le politiche di contrasto alla droga e di sostegno alle persone tossicodipendenti. In altri paesi come Francia, Regno Unito, Germania, Portogallo, Olanda, Belgio, Irlanda e Svizzera, le politiche di riduzione del danno seguite hanno dato risultati positivi offrendo supporti di carattere sociale, sanitario e psicologico anche grazie al rapporto di fiducia che si è costruito fra operatori e consumatori di sostanze. Attualmente, sono circa 17.000 i detenuti tossicodipendenti a cui rischiano di aggiungersene, sull’onda di queste nuove norme, alcune altre decine di migliaia. Ed è ben nota la situazione drammatica delle carceri e lo stato di abbandono in cui versa la sanità penitenziaria. Purtroppo, anche nell’agenda politica del centro sinistra fa molta fatica ad emergere la situazione incivile delle carceri di questo Paese. Non bisogna dimenticare che è giusto garantire anche alle persone detenute il diritto alla salute, alla pari di tutti gli altri. Questo del Governo è un provvedimento che, in spregio alla comunità scientifica internazionale che converge nel considerare i derivati della "cannabis indica" quali potenti ausili terapeutici in molte gravi patologie, ha inserito il suo principio attivo nella tabella delle sostanze di cui è proibita l’assunzione e il consumo. Non contano nulla per questi governanti nostrani, miseramente chiusi nel bozzolo dei loro pregiudizi, le sperimentazioni e i pronunciamenti favorevoli di numerosi Governi stranieri e dell’International Control Board dell’Onu. Il centrodestra ha voluto immettere in una campagna elettorale già molto difficile, un cupo manifesto simbolico all’insegna dell’attacco alla libertà delle persone. D’ora in poi chiunque sarà sorpreso a fumare avrà l’obbligo - in ordine e fra gli altri - di rientrare a casa entro una certa ora, di comparire in un ufficio di polizia, di non frequentare certi locali; avrà il divieto di guidare, gli potrà essere sequestrato il passaporto, fino ad arrivare alla privazione della libertà personale con la condanna al carcere. Tutte le forze politiche dell’opposizione si sono espresse radicalmente contro questo provvedimento assumendosi l’impegno di cancellarlo non appena - auspicabilmente - sarà l’Unione a governare. Sarebbe ingiustificabile ogni altro comportamento. Droghe: don Gelmini festeggia la nuova legge con il governo
Ansa, 10 febbraio 2006
Un grande falò sulla collina e tanti fuochi d’artificio: così don Pierino Gelmini, il leader della comunità Incontro di Amelia, ha voluto festeggiare questa sera, insieme al ministro Carlo Giovanardi e ad altri esponenti politici, l’approvazione definitiva delle nuove norme in materia di tossicodipendenza. "Questa pira - ha spiegato il carismatico sacerdote, classe 1925 - simboleggia la luce che si accende nella notte della droga". Don Gelmini ha ribadito il suo credo, che ha trovato sostanza nella nuova legge: "Non c’è droga pesante e droga leggera - ha detto - ma droga e basta. Quando sento persone come Emma Bonino o altri che rifiutano questo concetto, penso che sono degli analfabeti". La droga, secondo il fondatore della comunità Incontro, è "un male fisico ma soprattutto mentale" e "gli anticorpi psicologici e spirituali" a questo sono - ha spiegato - in questo altolà contenuto nella legge: attenti, se usate queste sostanze vi fate male". "Non vi preoccupate - ha quindi detto rivolto ai politici presenti - delle critiche che sono giunte da alcune comunità: si arrenderanno ai risultati". Tra le persone intervenute alla festa anche l’attore Luca Barbareschi, che ha confessato il suo percorso di avvicinamento alle sostanze stupefacenti, "cominciato - quando era un adolescente - con gli spinelli e proseguito con la cocaina e l’eroina. A 14 anni c’erano con me tanti amici che oggi non ci sono più. Io ce l’ho fatta, perché sono stato aiutato". Arrivato espressamente da Roma, il ministro Carlo Giovanardi, che ha la delega alle politiche antidroga, ha sottolineato "gli anni di battaglie" per arrivare a questa legge, rivendicando di non avere "nessun interesse da difendere. Mi hanno accusato, e mi ha fatto molto male - ha detto - di voler utilizzare questa legge come spot elettorale, invece è una svolta culturale". Un’altra cosa che, ha aggiunto il ministro riferendosi a quei parlamentari che hanno fumato uno spinello in segno di protesta, gli ha fatto male, è stato "lo show disgustoso fatto ieri in piazza Montecitorio da alcuni colleghi parlamentari, cattivi maestri, che incitavano i ragazzi alla perdizione. Questa legge - ha ribadito Giovanardi - non è repressiva, ma afferma che chiunque entri nel tunnel della droga ne può uscire. È una legge che vede i tossicodipendenti come vittime, persone da recuperare". Certo, ha aggiunto, "c’è un limite tra vittima e carnefice, tra chi usa e chi spaccia alimentando così un circuito malvagio". Il sottosegretario Alfredo Mantovano, anche lui arrivato direttamente da Roma, ha respinto al mittente l’accusa, giunta da più parti alla legge, di affollare ulteriormente le carceri: "Scommetto - ha detto - che tra due anni ci saranno meno persone di oggi in carcere. Ci hanno dato degli ignoranti perché confondiamo droghe leggere e pesanti: cosa c’è di leggero in una canna che contiene il 25% di principio attivo?". "Noi non ci mettiamo contro le comunità - ha detto ancora Mantovano - lo dimostra questa serata. Chi oggi si impegna per il recupero deve avere strumenti efficaci in mano". Sul palco, davanti alla platea di autorità e dei tanti ragazzi della comunità, è intervenuto anche Maurizio Gasparri, che ha sottolineato come la nuova legge qualifichi e dia un riconoscimento alle comunità terapeutiche, anche se il parlamentare di An ha espresso "amarezza" per il fatto che "qualche comunità negli ultimi giorni si è espressa contro la legge". Prima dei politici ci sono state le testimonianze di alcuni membri della comunità Incontro, ex tossicodipendenti o genitori di tossicodipendenti. Tutti hanno convenuto sulla bontà delle nuove norme. Uno di loro, padre di un giovane tossicomane romano, ha espresso l’auspicio che la legge preveda la nomina di un tutore se il tossicodipendente è maggiorenne, in modo da costringerlo ad entrare in comunità. Suo figlio, infatti, dopo tre mesi ad Amelia, è voluto uscire a tutti i costi e ora la famiglia non sa più dove si trovi. Droghe: Saletti (Saman); una legge contro la persona e la famiglia
Redattore Sociale, 10 febbraio 2006
"Per quanto possa servire, l’associazione Saman ribadisce la propria assoluta contrarietà allo stralcio Giovanardi ,degno epigono della legge Fini in tema di droghe. Porre la fiducia su norme che impongono la galera è di per se un valido indicatore della involuzione democratica di questo paese, delle ossessioni autoritarie e repressive della maggioranza e di come, sempre più, la non comprensione di fenomeni radicati nella società releghi la politica a soluzioni bislacche e pericolose". Così Achille Saletti, presidente delle Comunità terapeutiche Saman, secondo il quale "non per la famiglia ma contro la famiglia è diretta questa legge. Contro la persona è diretta questa pedagogia carceraria che rappresenta il vero pensiero vitale di questa destra di governo". "Si avvertiva, in questo paese, il bisogno di una seria politica di prevenzione e informazione sulle droghe legali e illegali - continua Saletti -. Si avvertiva, in questo paese la necessità di dotarsi di strategie vere di governo di un fenomeno sempre più complesso da leggere e si avvertiva, per ultimo in questo paese, il dovere di avvicinarsi all’Europa in tema di lotta vera al narcotraffico (comprese le verifiche sui canali finanziari ) e di adeguamento reale delle politiche sociali inclusive nei confronti dei tossicodipendenti. In cinque anni non si è fatto nulla su questo ed oggi, in zona cesarini, si pensa di colpire solo i consumatori ed aggravare lo status dei tossicodipendenti". Conclude Saletti: "Abbiamo già provato, sulla pelle di uomini e donne, cosa significhi curare chi non vuole essere curato. Alcune comunità hanno ammazzato per curare. La novità, oggi, risiede nel fatto che si chiede alle comunità di curare e guarire chi non presenta uno stato di dipendenza. Studieremo per diventare obiettori totali, per svuotare i contenuti repressivi di questa legge che trasforma i servizi per le dipendenze in carceri e gli operatori in carcerieri. Disobbedire a una legge profondamente iniqua diventa per gli spazi di cura e libertà, le comunità terapeutiche, un dovere e un obbligo morale". Droghe: carcere Castelfranco Emilia, 60 detenuti entro il 2006
Modena 2000, 10 febbraio 2006
A meno di un anno dalla sua inaugurazione, era il 21 marzo 2005, la Casa circondariale a custodia attenuata per detenuti tossicodipendenti di Castelfranco Emilia, è pronta a licenziare uno dei più importanti progetti di recupero e reinserimento mai realizzati nelle strutture italiane e ad accogliere, entro la fine del 2006, 60 detenuti. "Un lavoro immenso - ha spiegato il direttore del carcere Francesco D’Anselmo - che ha inteso coinvolgere tutti gli enti locali del territorio, dalla Regione Emilia Romagna alla Provincia di Modena, dal Sert di Modena al magistrato di sorveglianza". Si chiama "Programma riabilitativo dei soggetti ristretti presso la Casa di reclusione a custodia attenuata per detenuti tossicodipendenti di Castelfranco Emilia" e verrà presentato il 21 febbraio agli enti regionali. "Dopo l’inaugurazione - ha spiegato il direttore - è sorta l’istanza di realizzare un progetto con gli enti territoriali, il Sert di Modena e il magistrato di sorveglianza, secondo una logica istituzionale e pluralistica. Questo ha comportato un lavoro enorme". Attualmente si trovano nel carcere 12 detenuti tossicodipendenti e 40 internati, per la maggioranza tossicodipendenti, secondo una percentuale, ha ricordato D’Anselmo, che corrisponde alla media delle carceri italiane (su 60mila detenuti, 19mila sono tossicodipendenti). Dossier: droghe e minori, Imperia ora s’interroga…
La Stampa, 10 febbraio 2006
Droga, alcol, fumo. Paradisi comprati per strada e costruiti artificialmente, dolci sostanze chimiche che aprono le porte ai meandri più oscuri della mente, voragini che sprofondano e trascinano i più giovani in una realtà fittizia e deleteria. Qualche volta mortale. Sono decine, forse centinaia i minori (da soli rappresentano il 15 per cento della popolazione imperiese) che fanno uso di sostanze stupefacenti, una forbice che si allarga ogni giorno di più. E se non bastassero i numeri, spesso sterili ma in questo preciso ambito estremamente significativi, la conferma arriva dalla notizia di appena 24 ore fa: cinque spacciatori arrestati dai carabinieri che avevano come clienti fissi una quarantina di ragazzi. Tutti, rigorosamente, liceali. O almeno di quell’età in cui si va o si dovrebbe andare a scuola. E non soltanto fornivano loro cocaina, hashish, marjiuana, ecstasy. Ma addirittura, in mancanza di droga vera, offrivano, senza dirlo, pastiglie di scopolamina, una sostanza medicinale alcaloide con effetto narcotico e sedativo che ha forti conseguenze tropiche sul sistema nervoso centrale. Tutto veniva comprato senza battere ciglio. Sostanze da usare durante le feste in casa, in incontri con i loro coetanei, in discoteca: al divertimento più innocente, c’è evidentemente l’esigenza di aggiungere l’artificialità, il falso. Perché? "Probabilmente non ci sono risposte esaurienti che possano spiegare univocamente ed esaustivamente il problema", spiega il dottor Giancarlo Ardissone, primario del Dipartimento delle dipendenze di Imperia. Prosegue: "È fuori da ogni dubbio che i nostri ragazzi sono più disorientati dei loro padri, vivono una condizione di disagio maggiore. Mancano le certezze. Il lavoro, la famiglia, persino lo sport dove la droga spesso fa capolino. Subiscono pressioni di ogni tipo, dai mass media al gruppo di appartenenza. Spesso si parla di omologazione: non fare uso di certe sostanze fa sentire out, cioè fuori. E poi c’è l’alcolismo, un problema grave ed emergente che, associato ad altre sostanze, crea danni enormi. Insomma, i giovani vivono una situazione di angoscia e per contenere questi marcati sentimenti d’ansia, fanno uso di sostanze tossiche. La prima è appunto l’alcol. Poi non basta più e passano ad altro. Come un motore: da normale a turbo". Attualmente al Sert sono seguite 619 persone; di queste molte sono giovani. Per le tossicodipendenze i pazienti sono 166, di cui 137 maschi e 29 femmine. Ottantanove gli alcolisti. Il Sert offre l’assistenza anche in carcere dove sono seguite 54 soggetti. Sessantasei sono gli utenti che si appoggiano da esterni al Dipartimento. E ben 244 sono quelli che, con obbligo di revisione di patente, dopo essere stati sorpresi alla guida sotto l’effetto di sostanze varie. Per avere una panoramica provinciale, basti pensare che a Sanremo gli assistiti sono 701, 435 a Ventimiglia. Cifre che cambiano di continuo. Basti pensare che tutto questo esercito di soggetti, rappresenta probabilmente la punta dell’iceberg: si tratta, infatti, di persone con problemi conclamati. Ma quanti sono, invece, quelli che non si rivolgono ai centri di assistenza? "Molti e insospettabili", osserva il dottor Luigi Muscio, medico della polizia di Stato. "Spesso quando facciamo i controlli fuori delle discoteche, oppure in altri locali frequentati dai giovani, nella rete spesso cadono ragazzi per i quali mai si ipotizzerebbe un uso di droghe oppure di alcol. E molti sono minorenni. È evidente che per loro assumere sostanze stimolanti è un assurdo modo di favorire la socializzazione. E poi è anche una forma di omologazione, così come avviene per il fumo di sigaretta". Tutti questi giovani vengono poi segnalati alla Prefettura. Per alcuni di loro, le cronache lo dimostrano tristemente, si aprono in futuro le porte del carcere: l’uso di sostanze stupefacenti, spesso, è una spirale senza via d’uscita. Eppure a giudicare dalle iniziative mirate a prevenire tutto questo, non ci si dovrebbe trovare di fronte a una situazione, vista soprattutto in prospettiva, così pesante e angosciante: si parla dei nostri figli, che un giorno dovranno sedere ai nostri posti e in qualche misura influenzare i parametri su cui si basa il nostro modello di società. Una delle contromisure viene presa a scuola. L’Istituto tecnico Ruffini è un esempio. La preside Annamaria Giuganino, che è anche consigliere comunale, da oltre 15 anni si batte per la prevenzione. "Noi informiamo costantemente i ragazzi sui danni provocati da fumo, alcol e droga. Apparentemente si tratta di semplici nozioni ma che nel tempo sono diventate sempre più funzionali. Tant’è vero che prima l’iniziativa si chiamava Educazione alla salute, oggi ha cambiato nome e si è tramutata in Educazione all’agio, nel senso più ampio del benessere. Ciò vuol dire insegnare a stare bene con se stessi, stare bene con gli altri: nella società, nel rispetto delle istituzioni, nei rapporti interculturali. Noi lavoriamo sulla stabilità interiore, sulla formazione di personalità il più possibile equilibrate. Tutto questo negli anni ha accompagnto il dibattito pedagogico e didattico all’interno della scuola e ha fatto sì che venissero cercate nuove tecniche e stragegie metodologiche e anche nuovi modi di fare didattica. Soltanto ottendendo personalità armoniche si allontanano i pericoli anche fuori dalla scuola. Noi cerchiamo di valorizzare ciò che di migliore è nella personalità dei ragazzi, sollecitandoli a scegliere senza indugi tra comportamenti legali e illegali. Quindi, in definitiva, all’agio e alla salute". E notevole è anche l’apporto che dà il Comune. Afferma l’assessore ai Servizi sociali e alla Sanità, Nicola Falciola: "Grazie al Progetto famiglia della Regione, interveniamo dagli 0 fino a 18 anni: per ogni settore abbiamo fatto interventi mirati su formazione e informazione". Il campo è davvero vastissimo. Tralasciando gli asili nido e le strutture per la prima infanzia, e avvicinandosi verso le età a rischio, si scopre che il Comune di Imperia ha istituito il Centro socio-educativo "Delfini" che segue i ragazzi sino alla terza Media. "Ma abbiamo anche il primo Centro di integrazione giovanile Il Melograno, a San Sebastiano, in collaborazione con l’Anspi. Poi, abbiamo istituito lo Sportello di ascolto dove vengono sentiti i minori con problematiche familiari e di studio, spesso cause di cadute verso l’uso della droga. Per cercare di venire incontro a queste esigenze, compiamo anche interventi sulle famiglie. E, in ultimo, con il Censim abbiamo creato corsi di formazione. Senza dimenticare il convegno organizzato con la Prefettura intitolato Il silenzio dei passerotti".
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