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Giustizia: dal rapporto Ue un quadro allarmante sulle carceri
Ansa, 27 aprile 2006
"Si tratta di un rapporto che conferma un quadro allarmante della condizione di vita nelle carceri e dello stato dei diritti umani nel nostro paese". Così il presidente dell’associazione Antigone Patrizio Gonnella commenta il rapporto del comitato europeo per la prevenzione della tortura, sulla situazione delle carceri italiane. "Ora - prosegue - si tratta di voltare pagina. Dal comitato europeo arriva una prima indicazione: istituire una figura indipendente di controllo dei luoghi di detenzione. Confidiamo nel nuovo Parlamento". E proprio Gonnella presenterà domani i risultati di una ricerca europea sul garante dei detenuti, nel corso di un convegno promosso dall’ufficio del Garante dei diritti delle persone private della libertà del comune di Roma e organizzato in collaborazione con Antigone. Si tratta del progetto Agis 2004 "Libertà in carcere", che sarà presentato nella sala santa Rita dell’assessorato alla cultura del comune di Roma. Al convegno, moderato da Stefano Anastasia, direttore dell’ufficio del garante delle persone private delle libertà del comune di Roma, oltre a Gonnella, il vice direttore del Dap Emilio Di Somma, l’ex sottosegretario Franco Corleone, Garante dei diritti delle persone private della libertà del comune di Firenze e il vice presidente del comitato europeo per la prevenzione della tortura Mauro Palma. Giustizia: Castelli; con le nostre riforme processi più rapidi
Il Giornale, 27 aprile 2006
"La giustizia è lenta da almeno 30 anni - ha affermato Castelli in merito al "rammarico" del presidente Ciampi per la giustizia "lumaca" -. Ma oggi lo è un po’ meno rispetto al 2001. Noi della Casa delle libertà siamo riusciti, comunque, a invertire il trend. Ho sempre sostenuto che la questione vada affrontata nello stesso modo in cui si tratta il debito finanziario. Le novità introdotte dalle riforme del codice di procedura civile, del diritto fallimentare e dell’ordinamento giudiziario - ha concluso il guardasigilli - renderanno meno lenta la giustizia nei prossimi due anni, quando le riforme del centrodestra entreranno definitivamente a regime". Il ministro Castelli ha anche commentato le parole di Ciampi sulle correnti all’interno della magistratura: "Il monito del presidente della Repubblica - ha detto il ministro - è destinato purtroppo a cadere nel vuoto" perché le "logiche correntizie ci sono sempre state, a negare la loro esistenza restano soltanto gli stessi magistrati". Sconsolato il giudizio del guardasigilli, nonostante la "bacchettata" del capo dello Stato: "Di questo monito, così come di altri - ha affermato Castelli - i magistrati non ne hanno tenuto conto in passato e non ne terranno conto neanche in futuro". Ancona: la denuncia del Sappe; troppi agenti aggrediti
Il Messaggero, 27 aprile 2006
"In soli sette giorni le guardie hanno subito già due aggressioni da parte dei detenuti. In sei sono stati medicati e tenuti a casa con dieci giorni di prognosi. È chiaro che il carcere è insicuro. Per i detenuti e per chi ci lavora. Prima o poi ci scapperà una tragedia o qualcuno riuscirà ad evadere". Continua la denuncia del Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria, sulle carenze del personale organico in dotazione alla casa circondariale di Montacuto. Ad incalzare la battaglia relativa al sotto numero della polizia penitenziaria di cui è dotato il carcere anconetano è segretario regionale del Sappe, Aldo Di Giacomo. I fatti risalirebbero alla settimana scorsa. Durante l’apertura delle celle e l’ora d’aria ai detenuti ben due di questi si sarebbero avventati su sei guardie. Una rivolta subito sedata con i poliziotti che ne avrebbero fatte le spese. Troppo, secondo il sindacato, per la sicurezza dei lavoratori. "Non sappiamo più a chi appellarci - ribadisce Di Giacomo - sono intervenuti i prefetti di due province, il sindaco di Fabio Sturani e perfino il presidente della Provincia Enzo Giancarli che hanno scritto lettere inviate al nostro dipartimento per appoggiare la nostra battaglia ma la situazione è rimasta invariata. Dei 205 poliziotti previsti come pianta organica, a Montacuto ne lavorano solo 149. La situazione diventa ogni giorno più critica. Ne è la riprova le due aggressioni subite da tre agenti da parte di detenuti che hanno perso il controllo inveendo contro i lavoratori. Non accettiamo più una condizione lavorativa di questo livello. Entro il prossimo mese organizzeremo una manifestazione nazionale a Roma. Speriamo che almeno in quel caso saremo notati da chi comanda e decide". Biella: i libri entrano in carcere... a parlare tutte le lingue
Anarcotico.net, 27 aprile 2006
La Rete Sprigioniamo Diritti è un gruppo di cittadine e cittadini che si occupano e preoccupano dei diritti delle cittadine e cittadini detenuti nel carcere di Biella. Il nostro obiettivo è di informare la società biellese sulle condizioni di vita interne al carcere, istituzione totale generatrice di sofferenze, sempre più contenitore di "emergenze sociali". A Biella, così come in tutta Italia, i dati indicano come la popolazione carceraria sia costituita, per almeno un terzo, da persone collegate alle tossicodipendenze e per un altro terzo da detenuti migranti di varie nazionalità. L’anno scorso la Rete aveva sostenuto la giusta rivendicazione dei detenuti ad avere in cella più libri a disposizione, contro un regolamento assurdamente restrittivo. In piazza si era organizzata una prima raccolta di libri e quest’ anno si intende ripetere l’esperienza, con particolare attenzione a libri e riviste in lingua araba, francese, rumena ed albanese, più difficili da reperire. Questo progetto-raccolta ha lo scopo di rendere fruibile la biblioteca del carcere anche ai migranti detenuti con libri in lingua madre. A questo scopo chiediamo a singoli cittadini, associazioni, biblioteche pubbliche e fondazioni private, alle librerie di contribuire con libri ed idee. Chi volesse sostenere la campagna Liberi Libri Entrano In Carcere può farlo portando le pubblicazioni presso il comitato interprovinciale Arci di strada alla fornace 8/B di Biella (dietro la centrale Enel di via Rigola) o contattando: Giuseppina Falcone, e-mail giuseppina.falcone@tiscali.it Simona Pisciotta, e-mail simoneide76@yahoo.it Piero d’Andrea, e-mail pierodandrea@yahoo.it Roma: in carcere 10 anni dopo la sentenza, colpito da ictus
Il Messaggero, 27 aprile 2006
Dopo 16 giorni di carcere è stato colpito da un ictus, Aldo M., 64 anni, riconosciuto totalmente invalido e detenuto nel carcere di Velletri per scontare una condanna di 9 mesi emessa oltre dieci anni fa. Un epilogo drammatico ma, forse, evitabile. L’uomo era finito in carcere l’8 aprile scorso per espiare una condanna pronunciata nel ‘95 dal Tribunale di Velletri, per un abuso edilizio. A quell’epoca, però, le sue condizioni di salute non destavano preoccupazione. Successivamente Aldo M. è incappato in altri infortuni con la giustizia e nel settembre del 2005 è arrivata l’esecuzione della pena. Nel frattempo la sua salute è peggiorata in modo irreversibile: è stato colpito da un deficit dovuto a una vasculopatia celebrale. Considerata la gravità della situazione, il difensore ha chiesto al Tribunale di sorveglianza la fissazione di un’udienza per stabilire una misura alternativa della pena. Ma quando doveva svolgersi la discussione del caso, il difensore non si è presentato. La famiglia ha nominato un altro legale, l’avvocato Giovanni Marcellitti, che il 12 aprile ha presentato una nuova richiesta di misura alternativa al carcere. Ma prima che il magistrato di sorveglianza potesse occuparsi del caso, la situazione è precipitata e Aldo M. ha avuto l’ictus. Catanzaro: trovata droga nelle celle del carcere di Siano
Quotidiano di Calabria, 27 aprile 2006
Non c’è pace per la Casa circondariale di Siano dove, in pochi giorni, sono stati rinvenuti due involucri contenenti cocaina. In due celle distinte, prima in un contenitore di un cosmetico nel borsone con gli effetti personali di Vincenzo Bari, presunto affiliato alla camorra, trasferito da poco tempo da un altro istituto di pena; poi in un barattolo di magnesia di Domenico Cantalice, 33 anni, di Bari, anch’egli giunto da poco a Siano con alle spalle un proficuo curriculum penale. E se il presunto boss siciliano Santi Timpani, avrebbe controllato il mercato delle estorsioni, nella sua terra, via sms e con l’ausilio di un personal computer, questa volta è la droga a penetrare tra le mura blindate di Siano, se non fosse stato per il pronto intervento della polizia penitenziaria. Per Vincenzo Bari la scoperta è venuta durante un controllo di routine, effettuato dagli agenti di polizia penitenziaria. Immediato il provvedimento di custodia cautelare in carcere e la successiva conferma della misura cautelare avvenuta ieri. Per Domenico Cantalice, al quale sono stati trovati 2,2 grammi di cocaina, bisognerà attendere questa mattina per conoscere la decisione del gip. Il controllo degli agenti penitenziari, nei confronti di quest’ultimo, era scattato in via straordinaria dopo la scoperta nel borsone dell’altro detenuto. I due sembra provenissero insieme dalla stessa Casa circondariale, presumibilmente quella di Bari, dalla quale sarebbero giunti con la cocaina. Rovigo: la vita nel carcere nelle parole di un ex cappellano
Il Gazzettino, 27 aprile 2006
Che cosa può mai venire di buono dall’esperienza del carcere? L’interrogativo sarà al centro dell’incontro che si terrà questa sera alle 21 presso il Caffè Grande, e sarà esaminato da don Luciano Ferrari, ex cappellano del carcere di Montorio. Dopo il saluto del sindaco Alessandro Ferlin, oltre al sacerdote interverranno l’assessore alle Politiche sociali Rodolfo Gasparetto, l’assessore alle Attività promozionali Fabrizio Pavan e don Valentino Tonin, presidente provinciale dell’associazione Migrantes. La serata verte sul libro "Il Vangelo secondo noi: i detenuti di Montorio e don Luciano Ferrari dialogano sulla buona notizia", nel quale sono state messe su carta le riflessioni che il sacerdote ha raccolto grazie alla sua pluriennale esperienza. Il progetto è nato quando don Ferrari ha proposto ad alcuni detenuti e detenute di leggere testi del Vangelo e di fare un commento in cui il testo di partenza fosse interpretato in relazione all’esperienza carceraria e al successivo reinserimento sociale. Pagine che testimoniano un cammino interiore utile a tutti, nelle quali le riflessioni dei detenuti sono intercalate da poesie di Tagore e salmi di David Maria Turoldo, e da citazioni di brani del Nuovo Testamento, come la parabola del Figliol prodigo. Milano: a San Vittore il libro più letto è il Vangelo…
ICN News, 27 aprile 2006
Don Alberto Barin vive da 9 anni nella casa circondariale di piazza Filangeri a Milano. Ogni giorno incontra i detenuti, con loro parla e prega. Crede profondamente alla possibilità che nell’uomo il bene prevalga sul male e forse anche per questo riesce a cogliere ogni piccolo segno di speranza che può nascere anche dietro le sbarre. Con il canto "The kingdom of God" inizia alle 8.30 nella cripta di San Vittore al Corpo la preghiera dei giovani ospitati nella parrocchia. Sono 20 polacchi, 10 russi, 10 tedeschi e 10 serbi del Montenegro. Subito dopo incontreranno don Alberto Barin, il cappellano del carcere milanese di piazza Filangeri. Per tutti i ragazzi che partecipano al meeting di Taizé la mattinata prevede l’incontro con un testimone di "Segni di speranza". "Per questo", spiega la coordinatrice Anna Boccardi, "abbiamo invitato il cappellano di San Vittore, perché cerca di portare in carcere la speranza". Poi aggiunge: "Durante la preghiera abbiamo letto: "Nessuno è escluso dal tuo amore e dal tuo perdono, Dio di misericordia" e credo sia naturale pensare che anche all’interno del carcere si debba vivere questa parola". Don Alberto vive a San Vittore da 9 anni, con lui collabora anche un altro prete e 5 suore. Quando inizia a raccontare gli occhi dei ragazzi sono tutti puntati su di lui e sull’interprete (Gloria), che traduce ogni parola in un inglese chiaro e comprensibile. Il cappellano porta il saluto dei "suoi" amici, i 1400 detenuti che a pochi metri da lì stanno scontando le loro pene. "C’è speranza in un carcere?", si chiede provocatoriamente il cappellano, "c’è fiducia in queste persone inquiete?". Il suo intervento è lungo e toccante, non capita tutti i giorni di sentir parlare della situazione dei reclusi, tanto meno in una città straniera. "La parola "carcere" deriva dal termine ebraico tumulare, seppellire", spiega don Barin, "per la società la prigione è una "discarica" dove si mettono le persone che hanno sbagliato". Poi racconta delle proteste che ci sono state a Milano perché la gente vuole chiudere il carcere che sorge in centro città, "ma il nostro Vescovo ha molto combattuto perché rimanesse aperto". La prigione è una struttura di male, addirittura pericolosa. Nei giorni scorsi, racconta don Alberto, "Roberto, di 33 anni, si è suicidato a San Vittore, mentre il giorno di Natale quattro donne si sono gravemente ustionate a causa dello scoppio di una bombola a gas e il loro volto è sfigurato". Ogni mattina il cappellano riceve un foglio con l’elenco dei nuovi arrestati, solo ieri per esempio sono entrati polacchi, rumeni, marocchini, jugoslavi, algerini, nigeriani, cileni, egiziani, bosniaci, italiani e cinesi. "San Vittore è come l’Onu", scherza il sacerdote. Ma nell’elenco, dice, "io scriverei un nome in più: Gesù Cristo", perché "nel Vangelo è annoverato tra i peccatori, tra i condannati". In una cella di tre metri per quattro vivono 5-6 detenuti: più si riduce lo spazio vitale e più si dilata il tempo, che sembra non passare mai.. Per 22 ore gli ospiti di San Vittore rimangono in cella, "per le altre due possono andare a passeggio". Ma non possono uscire tutti insieme, perché non c’è posto. Attualmente i reclusi sono 1400, ma la struttura dovrebbe tenerne 800 (ora solo 500 perché una sezione è chiusa). Col trascorrere delle ore, dei giorni e degli anni cresce "l’angoscia, la sofferenza, la disperazione, la solitudine e la tristezza". Ma "è importante riflettere sulle codizioni del carcere perché questo provoca la società e la Chiesa". Quella che vive don Barin è un’esperienza "molto forte", spiega, "perché permette di conoscere l’uomo e me stesso. Il detenuto che prova angoscia e solitudine è specchio per ciascuno di noi". Non solo. "Il carcere ci dovrebbe far pensare che ogni uomo è recuperabile". "Se io entro tutti i giorni a San Vittore è perché credo nell’uomo e nelle sue possibilità", dice il cappellano, "dal mattino alla sera parlo con i detenuti e in ognuno di loro trovo estremi confini di male, ma anche estremi confini di bene. Il bene rimane, anzi, a volte fa riemergere il bene". Ogni domenica nella casa circondariale di piazza Filangeri si celebra la messa. Sull’altare, che è esattamente al centro della struttura a raggiera, viene posta "una "bellissima croce" e ognuno, guardando il crocifisso, "riscopre il bene che ha dentro di sé" e molti detenuti durante la preghiera piangono. Ma la celebrazione eucaristica non è l’unica occasione di incontro con il Signore. Nella cappella interna per esempio "una volta al mese togliamo tutte le panche, mettiamo i tappeti per terra, i lumini, gli sgabelli e facciamo anche noi la preghiera di Taizé", racconta don Alberto. "Molto spesso i detenuti vengono a chiedermi il Vangelo", continua il sacerdote, "a San Vittore è il libro più letto, in tutte le lingue, e se lo passano di mano in mano". Anche nella sezione di massima sicurezza, è capitato che un compagno lo passasse a un altro dicendo: "Prendi, a me ha fatto bene, può fare bene anche a te". Ora, dietro le sbarre, esiste anche una "scuola del Vangelo" e "credo che la fame, la sete e il bisogno di Dio siano un grande segno di speranza", dice il cappellano. Solo l’amore di Dio e dei fratelli può salvare l’uomo. Come nel caso di quel detenuto che aveva ucciso molte persone, ma non aveva mai confessato nessun reato. Poi un giorno, durante il colloquio, la figlia che aveva da poco imparato a parlare gli ha chiesto: "Papà, quando vieni a casa?". Da quel giorno, racconta don Barin, "ha iniziato a fare una revisione profonda della sua vita e ad assumersi le responsabilità". Non è stata la massima sicurezza, la segregazione, la punizione a far crescere quest’uomo, commenta, "ma il suo cuore lo ha aperto la sua bambina". E "questa è l’esperienza che faccio tutti i giorni: solo il bene guarisce dal male. Solo l’amore salva, redime, recupera e dà alla persona la possibilità di un futuro". Molti ospiti di San Vittore si chiedono: "Che senso ha stare in cella senza fare nulla? Serve a riparare il male che ho commesso? La società non dovrebbe aiutarmi a fare del bene?". Ma la giustizia, per don Alberto, è "cieca e sorda" in questo. È invece una giustizia che "separa e punisce", che "non difende la dignità dell’uomo". Lodi: personale del carcere in agitazione, detenuti solidali
Agenda Lodi, 27 aprile 2006
Prosegue lo stato d’agitazione del personale della casa circondariale di Lodi. "È la prima iniziativa di lotta - spiega Eugenio Vicini, segretario generale della Funzione Pubblica della Cgil - per portare all’attenzione di tutti i soggetti, a partire dai vari livelli del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, la grave situazione presente all’interno del carcere di Lodi, la cui soluzione è assolutamente urgente". L’avvento dell’attuale direttrice, Caterina Ciampoli, risalente ad un anno fa, ha senza dubbio prodotto un peggioramento dei rapporti tra la direzione e tutto coloro che, a vario titolo e nel rispetto delle proprie prerogative, dovrebbero concorrere a garantire l’adeguato funzionamento di un servizio delicato come quello svolto nell’ambito carcerario. "Sono peggiorate in modo spesso ingiustificato le condizioni dei detenuti – dice Vicini - Si sono ridotte le occasioni di apertura all’esterno della struttura e le collaborazioni con le realtà del volontariato locale. Infine si è determinato un clima di esasperazione tra il personale della polizia penitenziaria". Il sindacato ricorda poi che viene costantemente negato il diritto allo svolgimento dell’attività sindacale, sono continuamente negate ferie e permessi, è del tutto assente un piano ferie, le restrizioni attuate nei confronti dei detenuti si traducono in ulteriori tensioni che gravano sul lavoro quotidiano degli operatori. "Inoltre – continua Vicini - manca una programmazione mensile dei turni di servizio del personale. In certi casi sono state anche effettuate in modo del tutto arbitrario delle decurtazioni sugli stipendi di alcuni operatori. Nel rapporto con il personale la considerazione e la fiducia da parte della direzione sono pressoché nulle. Viene privilegiato invece lo strumento disciplinare usato in modo intimidatorio, distorto ed eccessivo". Sindacati ed operatori hanno sperato che le prime difficoltà sorte con la direzione si potessero superare con il passare del tempo e con la reciproca conoscenza. "Invece – dicono - dobbiamo constatare che, dopo un anno, la situazione è solo peggiorata". Il Sindacato ribadisce la massima disponibilità al confronto con tutte le controparti "ma è evidente che, con una direzione che nega gli elementari diritti sindacali dei lavoratori, questa interlocuzione non è oggi praticabile". Intanto anche i detenuti stanno esprimendo la loro solidarietà all’agitazione del personale. Dallo scorso fine settimana, infatti, ad intervalli regolari, quattro volte al giorno manifestano e protestano sbattendo posate ed oggetti metallici contro le sbarre delle celle. "La situazione è grave e si va incancrenendo sempre di più - ammette Andrea Ferrari, assessore alla cultura del Comune di Lodi che fa parte del gruppo dei volontari del carcere -. Ai primi di maggio dovremmo avere un incontro con il Provveditore regionale alle carceri. Speriamo che finalmente la situazione si possa sbloccare e si avvii a soluzione". Nei mesi scorsi anche i volontari avevano avuti momenti di tensione e duri scontri con la direttrice Caterina Ciampoli. In particolare, nel periodo di Natale, era stato loro addirittura vietato il tradizionale accesso al carcere per l’incontro e gli auguri di fine anno con i detenuti. Una "espulsione" dal carcere che aveva portato i volontari ad autosospendersi per alcuni mesi. Immigrazione: Bologna; rivolte dei detenuti nel "Cpt modello"
Melting Pot, 27 aprile 2006
Nuova rivolta nel Cpt di Via Mattei a Bologna. Mentre la Confraternita della Misericordia è impegnata a promuovere i propri servizi nel campo della detenzione etnica, la stampa riporta un episodio di violenza ai danni degli agenti delle forze dell’ordine chiamati dagli operatori del Cpt per sedare una protesta. Il presidente della Confraternita Daniele Giovanardi ha di recente avviato una campagna pubblicitaria - con tanto di distribuzione di cataloghi policromi e patinati - sulla buona gestione dei Cpt di Bologna e Modena. Il CPT a marchio Misericordia viene presentato come "risorsa nel territorio", struttura all’avanguardia nel rispetto dei diritti umani delle persone "ospitate", che ricevono accoglienza, cure, istruzione e addirittura fraterno affetto. Le trenta pagine fungono da catalogo dei servizi offerti dalla Misericordia nel settore Detenzione Immigrati (assistenza sanitaria, assistenza legale, mediazione, culturale, mediateca) e sostengono che grazie a Misericordia è possibile coniugare rispetto dei diritti ed accoglienza con detenzione e privazione della libertà personale, integrazione con espulsione. Necessità di difendersi dall’accusa di "carcerieri" e "mercenari", proveniente da movimenti e da cittadini o urgenza di difendersi dalla concorrenza di altre cooperative che ugualmente si dichiarano umanitarie? Da un lato le contestazioni e le iniziative dirette contro i gestori dei CPT sono aumentate e si sono moltiplicate in territori diversi (l’ultima contro la Misericordia risale allo scorso 4 dicembre), dall’altro la gestione delle strutture di detenzione dei migranti è un business destinato ad essere sempre più consistente, nonostante la vittoria elettorale dell’Unione. Infatti sono almeno sette gli esistenti CPT che a breve dovranno allestire servizi ed infrastrutture per l’identificazione dei richiedenti asilo, senza contare i costi aggiuntivi del processo di "superamento" dei Cpt promesso dal centro sinistra nel proprio programma di Governo, un vero mistero la cui unica certezza è la non chiusura dei CPT. Quale che sia l’obiettivo della divulgazione della brochure promozionale sui Cpt modello, certamente la rivolta di ieri ridicolizza gli sforzi di immagine di Misericordia, che si è detta disponibile anche ad "aprire le porte per ogni verifica da parte della libera stampa". Tra le altre cose, la vicenda di ieri al Cpt di Bologna evidenzia proprio l’assoluta mancanza di informazione libera: come spesso accade rispetto all’argomento dell’immigrazione, le notizie riportate dai media sono basate su dispacci di Questura e di Prefettura, in base ai quali si ricostruiscono i fatti. Nello specifico si legge quindi di 10 poliziotti feriti, vittime di un’aggressione definita "pestaggio". I detenuti, su alcuna stampa sempre definiti "clandestini", sono ritratti nel gesto di brandire spranghe e sfasciare la mobilia. La versione dei migranti non si conosce mai, in primo luogo perché i Cpt sono vietati alla stampa e sono impermeabili ad inchieste, in secondo perché quei migranti sono clandestini e come tali sono colpevoli a priori. Da alcune ricostruzioni il tentativo di fuga sembra essere la motivazione che ha scatenato la rivolta, in altre la contestazione del regolamento. Ancora una volta, nella verità oggettivata degli articoli di cronaca, il desiderio di fuga di queste persone è equiparato ad un reato, mentre la protesta e la rivolta diventa mancanza di disciplina, capriccio e cattiva condotta, tutti atteggiamenti violenti che non solo giustificano la repressione, ma la meritano. Contro di loro si scatenerà ora la repressione più dura, dieci detenuti sono stati già arrestati e rinchiusi nel carcere di Bologna. Per loro chiediamo amnistia e documenti, perché dopo la clandestinità forzata dalla legge, la reclusione nel centro di permanenza temporanea è la violenza che hanno subito, mentre quella che forse hanno dovuto praticare è l’unico mezzo che questo sistema ha lasciato loro per esprimere bisogni, volontà e verità nel giorno della Festa della Liberazione dell’Italia dalla dittatura nazi-fascista.
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