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Giustizia: Croce Rossa da Provenzano; controllo su trattamento
Corriere della Sera, 26 aprile 2006
La Croce rossa italiana vuole accertare che "il trattamento del detenuto Provenzano sia rispettoso dei diritti umani". E, per questo, nei prossimi giorni il presidente della Cri dell’Umbria si recherà nel carcere di Terni dove è rinchiuso il capomafia arrestato l’11 aprile scorso. Lo stesso carcere dove ieri, per la prima volta, la compagna e i due figli del boss hanno potuto parlargli da dietro un vetro, mentre a Corleone la polizia è tornata al lavoro attorno al covo, svuotando la masseria e preparandosi a scavare all’interno. A sollecitare l’intervento della Cri è stato Francesco Provenzano, che si è qualificato come "cugino" del boss. Dagli Usa, dove si sarebbe trasferito da Corleone quando era bambino, l’uomo ha telefonato a Massimo Barra, presidente nazionale della Croce Rossa, al quale ha poi spedito una e-mail: "Bernardo - ha scritto il cugino - ha 73 anni ed è in condizioni fisiche preoccupanti. Come tutti gli esseri umani dovrebbe essere trattato con dignità e cure mediche. Temo che possa anche perdere la vita nel corso del processo". Barra ha commentato la lettera affermando che "tutti i detenuti hanno il diritto ad un trattamento umano e non degradante" e che intende "rivolgersi alle autorità affinchè il trattamento del detenuto Provenzano sia rispettoso dei diritti umani". Ha quindi incaricato il presidente regionale della Cri dell’Umbria, Dante Siena, di recarsi presso il carcere di Terni per "presentare queste istanze alle autorità competenti". Lo stesso Siena ha spiegato che si metterà in contatto "nelle prossime ore" con la direzione del carcere. Sarà una visita, tiene a ribadire il dirigente Cri, "che rientra nell’ambito delle normali attività che la Croce rossa svolge all’interno delle carceri italiane. Servirà a ribadire principi universali di rispetto per ogni cittadino che si trova a vivere le condizioni di recluso: una visita come tante altre, senza particolari riferimenti alle condizioni di un singolo recluso". In carcere il boss ha ricevuto ieri la prima visita dei familiari. La compagna del capomafia, Saveria Palazzolo, e i figli Angelo e Francesco Paolo, si sono presentati in taxi all’ingresso del penitenziario dove il vecchio padrino è rinchiuso al 41 bis. Il colloquio è durato circa un’ora. La visita è cominciata alle 12,30 e si è svolta in una saletta separata rispetto alle altre aule colloqui del carcere. Provenzano non ha potuto abbracciare la compagna e i figli: il colloquio si è svolto infatti attraverso un vetro divisorio, così come previsto per i detenuti in regime di "carcere duro". Jeans, camicetta scura, giubbetto blu e occhiali da vista, Saveria Palazzolo, 65 anni, ha visto il compagno senza - almeno apparentemente - tradire alcuna emozione. I detenuti in 41 bis hanno diritto ad un solo colloquio al mese con i propri familiari: Provenzano, subito dopo l’arresto, aveva fatto richiesta di incontrare i familiari e il permesso gli è stato accordato qualche giorno fa. Gli agenti della polizia scientifica dell’Ert hanno ripreso ieri mattina il proprio lavoro nella masseria di contrada Montagna dei cavalli, a Corleone. I poliziotti stanno svuotando la casa per prepararsi ad eventuali scavi all’interno. Su un furgone sono state caricate due poltroncine, un divano di vimini, un armadio, una specchiera, due reti da letto. Davanti alla casa i poliziotti hanno squarciato un materasso e ispezionato con sonde anche il pozzo fuori dalla masseria. Giustizia: così i pirati della strada evitano di finire in cella…
Il Giornale, 26 aprile 2006
Da un’accusa di omicidio colposo a una condanna che raramente viene scontata. Dodici anni di carcere che rimangono un’ipotesi, fino ad evitare del tutto la reclusione. La "via di fuga" per un pirata della strada, che sta nelle pieghe del codice penale. E nell’atteggiamento di chi deve applicarlo. Una situazione "determinata da due fattori", spiega Carlo Nordio, pubblico ministero veneziano e presidente della Commissione per la riforma del codice penale. Primo, "il nostro sistema sanzionatorio è calibrato in maniera tale che le attenuanti generiche prevalgano sulle aggravanti", facendo sì che "la pena base si collochi nell’ambito della sospensione condizionale". Secondo, "il codice è strutturato su una forcella tra minimo e massimo della pena molto ampia. E poiché le pene massime sono molto elevate, i giudici - quasi per reazione psicologica - tendono ad orientarsi verso i minimi". In altre parole, se il calcolo della pena viene fatto a partire da una soglia inferiore a quella massima, e a questo si aggiungono le attenuanti generiche e quelle specifiche, è facile che la condanna per l’imputato arrivi a essere inferiore ai due anni. E la pena viene sospesa". "Per questo - sostiene Nordio - una pena eccessivamente alta non serve a orientare il cittadino. Anzi, più è severa, più è percepita come poco seria, e quindi violata. Il vero deterrente è una pena equilibrata e, soprattutto, erogata concretamente". In sostanza, "meglio il ritiro della patente per cinque anni, e senza sconti, piuttosto che tre mesi con la condizionale, o processi che durano anni". Ma accade anche quanto successo a Verona. Al volante, due romeni ubriachi, che procedono contromano. Travolgono e uccidono una coppia di fidanzati. Vengono denunciati, quindi rilasciati. "La ragione - spiega Vito Dattolico, coordinatore dei giudici di pace di Milano - sta nel fatto che il giudice ha la facoltà, in assenza di un’ipotesi di reiterazione del reato, di rimettere in libertà il responsabile dell’incidente stradale. E paradossalmente, è quello che accade in questi casi". Il sinistro, in altre parole, verrebbe considerato "come un fatto "una tantum", a cui vanno ad aggiungersi altri fattori attenuanti previsti dalla legge, oltre alla discrezionalità del giudice, che può decidere contro la carcerazione preventiva". Infine, a contribuire alla sensibile riduzione della pena, concorrono i riti alternativi. "Innanzitutto il patteggiamento - prosegue Dattolico -, che è stato introdotto come un’operazione di "deflazione" carceraria. È utile per accelerare l’iter giudiziario, e garantisce uno sconto di un terzo della pena". Le pieghe del codice, dunque, e la psicologia di che deve applicarlo. "Le leggi ci sono - conclude il magistrato milanese -, ma non ho mai visto nessuno finire in carcere per un incidente stradale". Piacenza: polizia penitenziaria in agitazione, manca il personale
Libertà, 26 aprile 2006
Tensione tra gli agenti di polizia penitenziaria del Carcere di Piacenza sottoposti a pesanti turni di lavoro e a molte ore di straordinario. "La nostra pazienza è esaurita, la misura è colma..." recita un comunicato diffuso dalla Funzione Pubblica della Cgil e firmato da Giuseppe Genesi. Gli agenti aderenti al sindacato non escludono di passare ad azioni legali per porre fine alle "continue violazioni contrattuali", e il riferimento va all’accordo sottoscritto a febbraio, dopo diciotto mesi di "estenuanti" trattative, tra sindacati e la direzione della Casa Circondariale. Un accordo che disciplina l’organizzazione del lavoro anche con riguardo alle pari opportunità, e che avrebbe dovuto risolvere dei problemi storici. Così non è stato, dice la Cgil, che fa pressione soprattutto sulla amministrazione penitenziaria per veder ottemperati gli impegni. "I poliziotti penitenziari continuano a subire variazioni sul servizio con l’impossibilità di potersi organizzare la propria vita privata e familiare". Sotto accusa l’eccesso di lavoro straordinario, l’imposizione di dover espletare anche dieci ore di lavoro giornaliere in un ambiente che richiede una costante vigilanza (ad esempio i trasferimenti dei detenuti) e che perciò richiede la massima concentrazione e attenzione, pena gravi conseguenze anche di natura penale. Non solo, il personale maschile - si fa notare - "è spesso impiegato al posto di quello femminile nelle vigilanza delle detenute, in aperta violazione delle norme, anche solo per permettere alle colleghe la fruizione della mensa di servizio". Peraltro la realtà del carcere piacentino gode di ottima considerazione da parte dell’amministrazione regionale e nazionale e i provvedimenti adottati finiscono per peggiorare la situazione anziché migliorarla. La popolazione dei detenuti è in continuo aumento e conta oggi 330 unità, a fronte di una capienza di 175 persone. E intanto il personale si assottiglia sempre di più, necessarie almeno altre 20-25 persone. Attualmente sono 175 gli agenti. Manca personale femminile, mancano almeno 7-8 ispettori e altrettanti soprintendenti, e chi riveste il ruolo deve sobbarcarsi anche compiti esecutivi che non gli competono. "A maggior prova che la situazione è ormai al limite del collasso, il personale dei quadri di concetto - è scritto infatti nella nota Cgil - è costretto a svolgere compiti di livello inferiore, invece del personale dei quadri esecutivi, ma l’amministrazione penitenziaria insiste nel dire che esiste un esubero del personale dei quadri esecutivi". Opera: i detenuti per protesta "arrestano" il campionato...
Il Giornale, 26 aprile 2006
L’ormai ex direttore la prende con filosofia. E con un filo di perfidia: "Io sto sulla riva del fiume ad aspettare". Per ora Alberto Fragomeni, numero uno detronizzato del carcere di Opera, si gode lo spettacolo. Davvero curioso: agli agenti, almeno un centinaio, che hanno organizzato un sit-in per spedirlo via, si oppongono i detenuti calciatori che hanno improvvisato uno sciopero del campionato tutto per lui. Sì, gli undici del Free Opera, la formazione inventata e di fatto commissariata dal vulcanico Fragomeni, domenica non è scesa in campo per solidarietà con il presidente defenestrato. Attenzione: non stiamo parlando di una partita amatoriale o benefica, ma del campionato di seconda categoria. In calendario c’era il match fra il Leone XIII, penultimo in classifica, e la formazione di Fragomeni che naviga in acque più tranquille. I ragazzi sono rimasti in cella e ora andranno incontro all’inevitabile 3 a 0 a tavolino. Insomma, nel penitenziario che ospita circa 1500 detenuti, compreso il boss Totò Riina, tira una strana aria. E sembrano invertite le parti: le guardie tifano contro Fragomeni, i reclusi sono per lui. Certo, è impossibile dare dati certi ma questo è il messaggio che filtra dalle mura della fortezza costruita in fondo a via Ripamonti, a poca distanza dallo Ieo di Umberto Veronesi. Qualcuno maligna che a protestare siano solo i ragazzi del Free Opera, una casta ultraprivilegiata all’interno di Opera e può anche essere che sia così. Ma il clima surreale rimane e del resto il Free Opera, che in terza categoria aveva addirittura una deroga per poter disputare tutte le partite in casa, è solo il fiore all’occhiello di una gestione forse sopra le righe ma per molti aspetti positiva e innovativa. Fragomeni ricorda solo un dato: "Negli ultimi due anni non si è registrato nemmeno un suicidio". Gli agenti rispondono citando la deregulation imperante: incontri ad alto livello erotico fra detenuti, cellulari in cella, favoritismi. Il provveditore regionale Luigi Pagano cerca però di circoscrivere l’incendio: "È esplosa una crisi di incompatibilità fra il direttore e gli agenti, ma ora la situazione sta tornando verso la normalità". Fragomeni aspetta. Roma: presentazione ricerca europea sul Garante dei detenuti
Comunicato stampa, 26 aprile 2006
Venerdì 28 aprile, a partire dalle ore 9,30, presso la Sala Santa Rita dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma (via Montanara 8, angolo via del Teatro Marcello), saranno presentati e discussi i risultati del Progetto europeo Agis 2004 "Libertà in carcere" sulla figura del Garante dei diritti delle persone private della libertà nei Paesi continentali. Promosso dall’Ufficio del Garante dei diritti delle persone private della libertà nel Comune di Roma, in collaborazione con l’Associazione Antigone, l’Università di Barcellona (Spagna), l’Associazione Culture et Liberté (Francia), le Province di Reggio Calabria e Bari e i Comuni di Firenze e Reggio Calabria, il Progetto (oltre allo scambio di esperienze e alla diffusione delle best practices in materia) ha consentito di portare a termine il primo, completo censimento delle forme di tutela dei diritti delle persone private della libertà in Europa, al fine di valutare l’impatto - tra esse - della emergente figura del Garante (o Difensore civico) delle persone private della libertà. Il Convegno, coordinato da Stefano Anastasia, Direttore dell’Ufficio del Garante delle persone private della libertà del Comune di Roma, dopo i saluti dell’Assessore Paolo Carrazza, sarà introdotto dal Presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, che illustrerà i risultati della ricerca effettuata nell’ambito del Progetto. Con i partner della ricerca Nicola Occhiofino (Assessore alla Solidarietà sociale della Provincia di Bari), Tilde Minasi (Assessore ai servizi sociali del Comune di Reggio Calabria), Franco Corleone (Garante dei detenuti del Comune di Firenze), Gemma Ubasart (Università di Barcellona), Antoine Sainz (Associazione Culture et Liberté), ne discuteranno il Vice Direttore generale del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Emilio Di Somma, la dott.a Laura Longo, giudice presso il Tribunale di sorveglianza di Roma, il Vice Presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura, Mauro Palma, Angiolo Marroni (Garante dei detenuti della Regione Lazio) e Luigi Di Mauro (Presidente della Consulta per i problemi penitenziari del Comune di Roma). I lavori saranno conclusi da Luigi Manconi, Garante dei diritti delle persone private della libertà nel Comune di Roma.
Per informazioni e contatti Simona Filippi 06.6710.6344 - 339.5808434 Roma: assistenza religiosa ai detenuti di fede musulmana
Garante regionale dei detenuti, 26 aprile 2006
Ministri del culto islamico e volontari indicati dal Centro Islamico Culturale d’Italia e dall’Ufficio del Garante Regionale dei Diritti dei detenuti potrebbero presto garantire un sostegno pratico, morale e religioso alle centinaia di reclusi di fede musulmana nelle carceri del Lazio. Lo prevede un Protocollo d’Intesa firmato dal Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni e dal Segretario Generale del Centro Islamico Culturale d’Italia Abdellah Redouane. Nel Protocollo è infatti previsto che il Garante intervenga presso l’Amministrazione penitenziaria per permettere l’ingresso in carcere di volontari musulmani e ministri del culto islamico. Nella loro attività nei 14 istituti di pena del Lazio i collaboratori del Garante dei detenuti hanno riscontrato che fra gli oltre seimila reclusi della regione ci sono diverse centinaia di stranieri di fede e cultura islamica, in gran parte soggette a pene di lieve entità, che hanno scarsi o nulli rapporti con le famiglie e con le loro autorità consolari e vivono in condizioni di disagio materiale e spirituale. "Spesso queste persone - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - per la loro condizione di immigrati e detenuti, non hanno la minima possibilità economica nemmeno per le esigenze più elementari, non hanno familiari che possano sostenerli, né altre persone cui rivolgersi. Non hanno, per difficoltà linguistiche e per non conoscenza di leggi e regolamenti penitenziari, la possibilità di far valere i loro diritti, tra i quali in circa due terzi dei casi, la concessione di pene alternative al carcere". Il Garante dovrà promuovere la formazione di studenti e laureati musulmani che vogliono iniziare la carriera forense, favorendone l’inserimento in studi legali per assistere detenuti della loro lingua e cultura. Il Garante dovrà anche sostenere il Centro Islamico Culturale nella creazione di associazioni e cooperative senza fini di lucro per l’assistenza a detenuti ed ex detenuti e dovrà intervenire sulla magistratura perché ai detenuti musulmani siano concessi i benefici di legge. Con il Protocollo, il Centro Islamico Culturale si impegna ad entrare nelle carceri, dando sostegno ai detenuti e orientandoli perché possano reinserirsi nella società; a sensibilizzare la comunità islamica sui problemi e le necessità dei detenuti con iniziative finalizzate alla ricerca di alloggi e posti di lavoro e alla raccolta di cose utili per il carcere. Il Centro Islamico interverrà anche su ambasciate e consolati di Paesi islamici perché non dimentichino i loro connazionali in carcere. Lodi: dietro le sbarre monta la contestazione dei detenuti
Il Cittadino, 26 aprile 2006
Si allarga la protesta delle forchette. L’iniziativa di contestazione avviata nei giorni scorsi dai carcerati assume contorni sempre più consistenti. La scorsa settimana, in tarda serata, i detenuti avevano fatto risuonare posate e oggetti dietro le sbarre, per attirare l’attenzione sulla situazione all’interno del carcere. L’iniziativa è continuata anche la settimana seguente: 3 o 4 volte al giorno i carcerati fanno risuonare forchette e barattoli contro le sbarre, emettendo urla e grida. Questo in solidarietà con gli agenti, i volontari e i compagni ai quali la direzione avrebbe limitato, anche a detta dei sindacati, i colloqui con i parenti, le telefonate e il libero accesso alla posta. "In questo periodo - annota il segretario della Funzione pubblica Cgil, Eugenio Vicini - c’è stato un incremento notevole di iscritti da parte del personale carcerario alla Cgil. Questo sulla scorta di ciò che abbiamo fatto in questo settore e in altre realtà. Faremo ricorso, appellandoci all’articolo 28 per azione antisindacale, nei confronti della direttrice Caterina Ciampoli. Sotto accusa la mancata concessione di permessi sindacali. Ultimamente si è rincarata la dose. Giovedì scorso avevamo chiesto, con largo anticipo, la possibilità di convocare un’assemblea dalle 17 alle 19 e poi avevamo preannunciato delle visite di rappresentanti sindacali all’interno della casa circondariale, dalle 16 alle 17. Erano venuti a Lodi il rappresentante nazionale e regionale della Cgil. All’ultimo non ci è stato dato l’assenso alla visita, mentre l’assemblea è stata relegata nelle sala mensa dalle 17 alle 17.30. Il tutto senza informare il sindacato che aveva organizzato l’assemblea". La situazione, aggiunge Vicini "si è incancrenita. Se la direttrice intende adottare verso i detenuti e il personale un comportamento di reciproca collaborazione è un conto, altrimenti ci attiveremo in tutte le sedi per cambiare la direzione. Sulla prima possibilità il personale aveva molto contato, sperava che si potesse trovare un minimo di intesa, ma questo non è successo, anzi si è verificato l’esatto contrario. Se la situazione peggiora ulteriormente - continua Vicini - coinvolgeremo l’intervento del ministero, non so in che modo, ma l’obiettivo è che si ripristini il clima sereno antecedente l’arrivo della nuova direttrice". Risulta, continua il segretario, "che ci siano immotivate restrizioni sui detenuti, con il risultato che le tensioni aumentano e alla fine finiscono per ripercuotersi sui rapporti tra detenuti e polizia penitenziaria. Si spera che la situazione non degeneri e che continui il rapporto di stima tra detenuti e personale, perché sono tutti nella stessa barca. Mi hanno riferito anche di casi di foto di parenti negate e di detenuti fatti trasferire in altre carceri dai parenti perché non riuscivano a incontrare facilmente il loro caro dietro le sbarre. Credo che questi casi siano solo la punta di un iceberg che denota una determinata situazione". Il provveditore regionale delle carceri non vuole fare nessun commento, né confermare la situazione che si è creata. Nei mesi scorsi lo stesso Luigi Pagano era stato a Lodi per visitare la struttura carceraria e incontrare le parti coinvolte: la direttrice, l’educatrice, i volontari, i detenuti e il personale. L’esito della relazione non era trapelato, ma nei giorni seguenti, a metà febbraio, era uscita una lettera aperta sulla stampa locale, indirizzata dall’assessore Andrea Ferrari, referente dei volontari, alla direttrice. In questo documento si prendeva atto degli incontri chiarificatori avuti con l’intermediazione del dottor Pagano. Si auspicava perciò che i rapporti riprendessero, mentre la direzione del Cittadino si rendeva contemporaneamente disponibile a continuare la pubblicazione del mensile "Uomini liberi", che si era interrotta. La protesta in carcere ha avuto il suo apice con la manifestazione pubblica davanti a via Cagnola, la vigilia di Natale. Adesso, secondo indiscrezioni, trapelate in questi giorni, la direttrice sarebbe stata oggetto di provvedimenti disciplinari. La dottoressa Ciampoli, da noi ripetutamente contatta, anche ieri sera non era raggiungibile. Prima di diventare direttrice a Lodi, nel 2005, la Ciampoli era alla guida del carcere di Busto Arsizio. In quell’occasione si era scontrata anche con i radicali: in consiglio regionale, il capo gruppo aveva rivolto un appello al ministro della giustizia Roberto Castelli, lamentando episodi simili a quelli contestati a Lodi, relativi ai colloqui dei detenuti con gli avvocati difensori. Roma: Anna Falchi entra a Regina Coeli per fare visita a Ricucci
Il Mattino, 26 aprile 2006
Anna Falchi come Valeria Marini. Tre anni e mezzo fa, quando Vittorio Cecchi Gori fu arrestato per bancarotta fraudolenta, la statuaria showgirl non abbandonò la barca che affondava: difese a spada tratta il marito e restò al suo fianco. Due anni ancora insieme, poi un anno di tira e molla fino alla definitiva separazione ufficializzata con separate interviste sui giornali. Anna Falchi, dopo l’arresto del marito Stefano Ricucci accusato di aggiotaggio nell’inchiesta sulla scalata Rcs, è rimasta per una settimana in silenzio. Poi in un’intervista a "Chi" ha confessato che il loro matrimonio era in crisi, che vivevano separati in casa ma ha anche voluto far sapere che "in questo momento è importante che io rimanga al fianco di Stefano". Detto fatto. Ieri per la prima volta l’attrice si è recata in carcere per fare visita al marito. Niente giornalisti né fotografi. Anna Falchi di buon mattino (erano circa le nove) è entrata con la sua auto dalla porta carraia di Via San Francesco di Sales, un ingresso laterale del carcere di Regina Coeli. Fuori del carcere sono rimasti il fratello di Ricucci e il manager dell’attrice, ai quali poco un agente di polizia penitenziaria ha riconsegnato l’autovettura. L’incontro tra la Falchi e Ricucci è avvenuto non nel raparto colloqui del carcere ma in una saletta separata messa a disposizione dei due dall’amministrazione penitenziaria. Tre quarti d’ora dopo, terminato il colloquio, l’attrice è uscita da Via della Lungara, da dove abitualmente i familiari entrano per avere colloqui con i detenuti. Se Anna Falchi, dopo l’intervista a "Chi", ha scelto per ora di spegnere i riflettori sulla sua vicenda familiare, cercando di schivare giornalisti e fotografi, Linda Maria Imperatori, la prima moglie di Stefano Ricucci non esita a raccontare i risvolti che ha avuto nella sua famiglia l’arresto del suo ex marito e padre di suo figlio Edoardo. Lo ha fatto attraverso un’intervista al settimanele "Gente", in edicola da oggi. Racconta Linda Maria Imperatori: "Ho acceso la televisione e ho sentito il giornalista che diceva: "In manette il marito di Anna Falchi". Mi è sembrata una cosa assurda e ho pensato subito a mio figlio Edoardo, di tredici anni, che era in camera a giocare". "Ho avuto solo due minuti per riflettere cosa fosse più giusto fare - dice la Imperatori - spegnere la tv, far sparire i giornali o andare di là e affrontare la realtà. Poi sono andata nella stanza del bimbo e gli ho detto la verità nel modo più equilibrato. Mio figlio ha ascoltato in silenzio e poi è scoppiato in un pianto a dirotto". Linda Maria Imperatori dichiara, inoltre, che non porterà Edoardo a colloquio col padre nel parlatorio del carcere, ma ha chiesto ai legali dell’ex marito che Ricucci e il figlio si possano parlare al telefono. "Sono preoccupata per il grande dolore che sta facendo profondamente soffrire Edoardo. Per lui, suo padre è una specie di Superman, un eroe". Intanto, secondo "Gente" Anna Falchi avrebbe smentito la crisi con l’immobiliarista: "Dicono che siamo in crisi, addirittura che ci stiamo separando. Ma io e Stefano siamo qui. È ancora presto per un figlio, ma siamo insieme, ci vogliamo bene. E non lo lascio!", ha assicurato Anna Falchi. Agrigento: due iniziative per il reinserimento dei detenuti
La Sicilia, 26 aprile 2006
Il nome scelto per caratterizzare il prodotto (L’altra cella) ricorda immediatamente il complesso di "cellette" di cera e di altre sostanze a forma esagonale, costruite laboriosamente dalle api per deporre il miele. Solo dopo qualche secondo però, leggendo meglio l’etichetta del nuovo miele in circolazione, ci si accorge che quel nome è anche molto significativo della particolare condizione in cui si trovano i neo apicultori, tutti reclusi per reati vari presso il carcere giudiziario di contrada "Petrusa". "Storia" di un gruppo di detenuti che, in attesa di finire di scontare la loro pena (relativa soprattutto a condanne per violazione della legge sugli stupefacenti o per altre devianze) e per cercare di rendere un po’ più "dolce" la permanenza nel penitenziario, hanno dato vita al progetto lavorativo in questione. Nei mesi scorsi questi reclusi sono stati formati dall’esperto apistico, Calogero Tragna di Favara e adesso i campioni del primo miele, in barattoli di vetro da 400 grammi, con tanto di etichetta giallo-oro come il prodotto contenuto all’interno sono stati recapitati, per la degustazione, ad alcuni appassionati del settore per sondare il livello di gradimento dei consumatori. Così ad esempio, un barattolo di miele giallo da qualche giorno fa bella mostra di se sul tavolo, ingombro di scartoffie, del procuratore della Repubblica di Agrigento, Ignazio De Francisci ma anche di una decina di altri esperti. Se il prodotto, così com’è probabile, supererà il test, la prima "partita" di miele "L’altra cella" verrà presto immessa sul mercato per la delizia dei golosi. L’unico rammarico di questi neo produttori (forse sarebbe più giusto definirla invidia) è il fatto che, a differenza delle api che sono libere di volare ovunque, per loro sarà necessario rimanere dietro le sbarre ancora un altro po’. Almeno fino a quando non avranno ultimato di scontare le loro condanne!
Alla Casa circondariale di Sciacca
La Casa circondariale di Sciacca istituto pilota per un progetto di reinserimento nella società dei detenuti. Il ministero della Giustizia intende creare, dopo una serie di corsi di formazione, nuovi orafi e corallai. La scelta di Sciacca per imparare la lavorazione del corallo non è casuale, ma fa riferimento all’antica tradizione della pesca del corallo e della sua lavorazione e commercializzazione nel mondo. Oltre 100 anni fa Sciacca ebbe notorietà mondiale per la scoperta di un banco di corallo, ed oggi molti gioiellieri locali lavorano ancora il corallo per produrre gioielli. Il corallo di Sciacca è esclusivo: ha una conformazione a rami lunghi e affusolati dello spessore di 8 millimetri e venne scoperto in tre grossi banchi, a trenta miglia dalla costa nel 1875. Il banco corallino era così grande che giaceva ammassato in enorme quantità sul fondo fangoso. Ma di tutto quel corallo oggi rimane ben poco e sebbene sia quasi completamente esaurito, continua ad essere raccolto. Il progetto del ministero nasce dalle direttive per promuovere il trattamento ed il reinserimento dei detenuti nella società, da una insistente richiesta del mercato e dalla necessità di una nuova apertura verso il recupero delle tradizioni storiche siciliane. L’obiettivo finale è cerare nuovi orafi-corallai e nello stesso tempo salvaguardare quei vecchi mestieri della Sicilia che rischiano di scomparire sebbene ci sia una grande richiesta di mercato. L’iniziativa verrà presentata il prossimo 5 maggio a Sciacca nel corso di una manifestazione organizzata dal Dipartimento regionale dell’amministrazione penitenziaria. Catania: polizia penitenziaria in protesta contro le carenze
La Sicilia, 26 aprile 2006
Si autoconsegneranno in caserma per trenta minuti alla fine di ogni turno di servizio, diserteranno le mense obbligatorie di servizio, effettueranno un volantinaggio per i cittadini, installeranno dei gazebo informativi . È la protesta indetta in tutti gli istituti penitenziari della Sicilia che a Catania, secondo un fitto calendario che tocca tutte le province, verrà messa in pratica il 19 maggio. Il calendario è stato reso noto ieri dalle organizzazioni sindacali, Cgil Fp, Cisl Fp Penitenziario, Uilpa Penitenziari, Fsa-Cnpp, Sialpe-Asia. Al centro della protesta la carenza di organico (500 unità in tutte le carceri siciliane) a fronte - dicono i sindacati - di una "promessa" che il capo dipartimento del Dap, Giovanni Tinebra aveva fatto nel settembre 2005. "Invece dopo sei mesi - dicono i sindacati - registriamo solo il silenzio e l’indifferenza da parte di chi aveva promesso il miglioramento delle condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari siciliani. Fino ad oggi hanno ridotto gli organici e invece aprono nuove carceri, hanno tagliato i fondi dello straordinario, non finanziano i servizi di missione fuori sede, disattendono all’ammodernamento delle strutture, cancellano le norme di tutela ai dirigenti sindacali". Avezzano: trasferiti ultimi detenuti, rimane solo il personale
Il Messaggero, 26 aprile 2006
Sono partiti, ieri mattina, gli ultimi detenuti che erano rinchiusi nella casa circondariale di Avezzano. In pochi giorni il ministero di Grazia e giustizia ha svuotato il carcere del capoluogo marsicano e così ora è rimasto il personale di polizia giudiziaria e quello civile. A giorni anche costoro lasceranno il carcere e così la struttura sarà completamente vuota in attesa dell’inizio dei lavori di ristrutturazione. Sui lavori però non c’è certezza. Anzi sono in molti a dubitare che il Ministero abbia a disposizione le somme per avviare tutti quegli interventi che i tecnici del Ministero hanno evidenziato nei vari sopralluoghi effettuati negli anni precedenti. Addirittura in qualche perizia sarebbe stato rilevato che le colonne della casa circondariale non sarebbero più a norma da un punto di vista sismico e che quindi la struttura è a rischio crollo. I costi sarebbero così elevati che forse sarebbe meglio costruirne uno nuovo. L’amministrazione comunale di Avezzano, più volte, si è resa disponibile a sostenere i costi economici per una eventuale ristrutturazione. Ma la Direzione penitenziaria dopo gli incontri avuti con il sindaco, Antonello Floris, ha deciso di chiudere il carcere senza dare nessuna risposta. Non c’è stata, fino ad oggi, risposta alla lettera inviata dal sindaco al ministro di Grazia e giustizia. Evidentemente il Ministero ha deciso di togliere il carcere in un comprensorio che fa registrare circa 250 arresti all’anno, così come evidenziato in un comunicato dell’Ordine degli avvocati di Avezzano. Inutili sono risultati i tentativi dell’onorevole Rodolfo De Laurentis. Più volte ha incontrato il dottor Tinebra, direttore del Dipartimento penitenziario, nel tentativo di scongiurare la chiusura del carcere di Avezzano. Forse rimane la strada della costruzione del nuovo carcere. Il sindaco di Avezzano nell’ultima nota inviata al ministro ha ribadito che il terreno dove dovrebbe sorgere il nuovo carcere è stato già individuato da qualche anno. Era stato espresso anche il parere favorevole da parte di una commissione del Ministero. Ma da allora, forse per dimenticanza, nessuno si è interessato alla nuova realizzazione e così il nuovo carcere di Avezzano è stato definitivamente cancellato anche per mancanza di fondi. Rimane ora di attendere per vedere la fine del personale di polizia giudiziaria e civile. Rischia di essere utilizzato in strutture che si trovano a centinaia di chilometri dal luogo di residenza delle famiglie. Intanto per il comprensorio marsicano rappresenta un altro grosso colpo per la perdita di posti di lavoro. Non bisogna dimenticare che la casa circondariale dava lavoro anche a cooperative che svolgevano attività di reinserimento dei detenuti. Qualcuno per fortuna resterà nel presidio che il Comune ha messo a disposizione. Sono locali dove verrà trasferita tutta la documentazione e le attrezzature. Si spera che un giorno questo materiale venga di nuovo utilizzato nel carcere ristrutturato. Pordenone: arrivano "pagine gialle" delle cooperative sociali
Redattore sociale, 26 aprile 2006
A Pordenone arrivano le "pagine gialle" delle cooperative sociali di tipo b presenti sul territorio provinciale. È questo il risultato finale del progetto "Impresa e solidarietà", realizzato dall'associazione "Altra Impresa" di Pordenone, che in un recente studio ha analizzato e catalogato una per una tutte le cooperative di inserimento lavorativo, una decina sul territorio provinciale. Lo studio ha messo in luce l’importanza socio-economica di un settore che occupa oltre un migliaio di addetti (1052 in totale), quantità non trascurabile per la provincia di Pordenone, il 29 per cento dei quali (oltre 300 persone) sono soggetti svantaggiati appartenenti a diversi tipologie: invalidi fisici, psichici e sensoriali, disabili psichiatrici, tossicodipendenti, alcoolisti, detenuti o ex detenuti. La pubblicazione relativa allo studio, con l’elenco dettagliato di tutte le cooperative di tipo b e delle informazioni sul loro conto, grazie alla collaborazione della Camera di Commercio di Pordenone verrà ora distribuita a circa 500 imprese profit del territorio provinciale, allo scopo di far conoscere le attività e le produzioni delle cooperative di tipo b alle aziende locali che vogliano affidare loro lavori in subfornitura. Lo studio ha messo in luce come la maggior parte dei ricavi delle cooperative di tipo b provenga da commesse provenienti da enti pubblici, ben il 64,47 per cento, mentre solo il 25,50 per cento deriva da clienti profit, cioè dalle aziende del territorio, segno che ci sono molte altre opportunità di ottenere lavori che non vengono ancora adeguatamente sfruttate. A condurre lo studio sulle cooperative di tipo b è stata, non a caso, Altra Impresa Pn, associazione che fa parte del network Sodalitas fondata da manager e professionisti che hanno maturato lunghe esperienze in aziende nazionali ed internazionali e che offrono il loro contributo volontario di consulenza e accompagnamento al mondo non profit provinciale ed in particolare alle imprese sociali, impegnandosi a fornire gratuitamente la loro attività. Come passo successivo all’analisi e allo studio sulla situazione delle cooperative sociali di tipo b del territorio, i volontari di Altra Impresa prenderanno contatto con le aziende locali dei diversi settori produttivi (dal legno al commercio al metallo ecc.) per verificare i bisogni attuali e futuri di sottofornitura, in modo da individuare nuove produzioni o mansioni possibili per le cooperative sociali di tipo b e dunque nuovi spazi di mercato. Altra Impresa si metterà a disposizione delle singole cooperative per accompagnarle nel percorso verso l’apertura di nuove produzioni o mansioni che possano essere proposte sul mercato. "La scelta di effettuare una ricerca sulle cooperative sociali di tipo b del nostro territorio" spiega Carlo Fiore, presidente di Altra Impresa Pordenone "è stata dettata dall’evidenza che, in una situazione di crisi economica come quella attuale, le cooperative di tipo b, che sono in sofferenza come tutte le altre imprese, costituiscono l’anello più debole della catena e dunque maggiormente a rischio. Una situazione difficile e inaccettabile, dal momento che le persone svantaggiate impiegate, nella maggior parte dei casi non hanno opportunità lavorative alternative alla cooperativa sociale di tipo B. Ma allargando ancora di più la questione va detto che progetto che abbiamo deciso di portare avanti nasce sull’onda di una riflessione ormai condivisa, ancorché in modi diversi, dalla società odierna: il welfare state che l’Europa ha sviluppato durante il secolo scorso deve, in qualche modo, essere ripensato, poiché la globalizzazione dell’economia non permette più agli Stati nazionali di mantenere i livelli di ridistribuzione delle risorse fin qui realizzati. È dunque ragionevole accettare l’ipotesi, da molti condivisa, che una parte della soluzione si trovi in un auspicabile maggior sviluppo delle imprese sociali". Giustizia: Grecia ha confermato carcere per Zappaterra
Emilianet, 26 aprile 2006
È arrivata questa mattina al Sindaco Gianluca Marconi la risposta alla lettera inviata ormai alcune settimane fa al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi sul caso del sub castelnovese Roberto Zappaterra, detenuto in carcere in Grecia dal 24 febbraio per aver raccolto nel corso di immersioni subacquee alcuni frammenti vi antichi vasi greci. A rispondere è stato il Direttore Generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie del Ministero degli Affari Esteri, Adriano Benedetti. Scrive Benedetti: "Gentile Sindaco Marconi, rispondo all’istanza da Lei rivolta al Capo dello Stato il 15 marzo e relativa al Signor Roberto Zappaterra, detenuto in Grecia nel carcere di Amfissa. Devo purtroppo informarLa che il competente Tribunale di Igoumenitsa ha confermato per il Signor Zappaterra il regime di carcerazione preventiva motivando tale decisione con il sospetto che il connazionale possa altrimenti rendersi contumace nel prossimo dibattito processuale. Il provvedimento di carcerazione adottato dalla Corte, che ai sensi della legislazione greca può avere una durata non superiore ai diciotto mesi, è soggetto a revisione ogni sei mesi. Le assicuro che il caso del Signor Zappaterra continua comunque ad essere seguito con la massima attenzione da questo Ministero e dal Consolato Generale ad Atene, che si mantiene in costante contatto con i familiari e con il legale del connazionale. Al momento si sta anche valutando la possibilità di presentare una nuova istanza di scarcerazione. Nell’auspicio che la vicenda giudiziaria possa evolvere in senso favorevole al Signor Zappaterra Le invio il più cordiale saluto". Afferma Marconi: "Ci fa piacere che il Ministero degli Affari Esteri stia seguendo da vicino la questione: anche da parte nostra prosegue l’impegno diretto in azioni di sensibilizzazione sul caso di Roberto Zappaterra. Siamo in contatto con il Consolato, ed anche con associazioni umanitarie come la Croce Rossa e Amnesty International che sono al lavoro per la tutela dei diritti del nostro concittadino. Certo non è molto consolante sapere che la carcerazione preventiva in Grecia può durare fino a 18 mesi: Zappaterra ha già sulle spalle quasi due mesi di carcere, che appaiono una punizione non commisurata all’errore che ha commesso e che lui stesso tra l’altro ammette. A questo punto auspichiamo che la data del processo sia fissata al più presto". Gran Bretagna: 1.023 detenuti stranieri rilasciati senza espulsione
Euro News, 26 aprile 2006
Oltre mille detenuti stranieri sono stati scarcerati in Gran Bretagna senza che fosse intrapresa alcuna procedura d’espulsione dal Paese. Tra i 1.023 stranieri, rilasciati negli ultimi sette anni, figurano anche assassini, stupratori, pedofili e trafficanti di droga. In alcuni casi si sono rivelati recidivi. L’opportunità di eventuali espulsioni, secondo la legge, avrebbe dovuto essere valutata prima dell’uscita dal carcere. In 160 casi la misura casi l’espulsione era stata addirittura raccomandata dai giudici già al momento della condanna. Il ministro dell’interno Charles Clarke ha escluso di dimettersi: "Assumo la responsabilità per quanto accaduto ma mi assumo anche la responsabilità di adottare le misure necessarie per risolvere i problemi creati". Il governo tenterà di rintracciare gli ex detenuti. David Davis, ministro dell’interno ombra per l’opposizione conservatrice attacca: "Non ci sono scusanti. Primo compito del governo è garantire la sicurezza dei cittadini. Ma quanto abbiamo visto, invece, è incompetenza e fallimento". Lo scandalo ha investito il governo di Tony Blair a dieci giorni dalle elezioni amministrative, proprio mentre il Partito laburista è ai minimi di popolarità degli ultimi 19 anni. Gran Bretagna: centri di prova per ex detenuti reati sessuali
Euro News, 26 aprile 2006
Maxi-centri per ex detenuti condannati per reati sessuali. Secondo la Bbc il governo britannico vorrebbe creare, in Inghilterra e nel Galles, strutture per fare passare un periodo di prova a chi ha scontato una pena per un reato sessuale. Centri di questo tipo esistono già, ma sono più piccoli e ospitano al massimo una trentina di persone. Nelle nuove strutture potrebbero essere rinchiuse un centinaio di ex detenuti.
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