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Torino: 47enne muore in carcere, denuncia dei famigliari
La Stampa, 18 aprile 2006
Cure inadeguate: è questo il sospetto dei parenti di Leonardo Marasco, 47 anni, morto in una cella del carcere Lorusso e Cotugno. Hanno affidato all’avvocato Davide Diana l’incarico di presentare un esposto alla procura, chiedendo l’autopsia. Marasco era in carcere per scontare una condanna a 2 anni e 11 mesi per traffico di droga tra l’Italia e il Venezuela. Il suo cuore si è fermato lunedì 11 marzo poco dopo le 2. È stato il suo compagno di cella a chiedere l’intervento della polizia penitenziaria e del medico. Sono arrivati anche i medici del "118", ma non hanno potuto salvare Marasco. L’uomo era in carcere da poco più di un mese. Prima dell’arresto era rimasto coinvolto in un incidente stradale: il ginocchio destro era malconcio, poteva camminare soltanto con l’aiuto di una stampella e per i lunghi tratti era costretto a utilizzare una sedia a rotelle. I familiari volevano che Marasco fosse operato in una struttura sanitaria esterna al carcere. La madre e la convivente di Leonardo avevano anche avviato la raccolta della documentazione necessaria per la richiesta. Troppo tardi. "Possibile che sia morto così? Vogliamo fare chiarezza" hanno detto all’avvocato Diana. Pensano che le cure in carcere non siano state adeguate. Marasco, però, non aveva mai chiesto un trattamento particolare. Anche questo farà parte degli accertamenti della procura. Giustizia: carceri strangolate dal sovraffollamento e dall'incuria
Il Tempo, 18 aprile 2006
Ogni tanto qualche politico si sveglia e chiede o l’amnistia e l’indulto (come ha recentemente fatto il verde Paolo Cento) oppure la costruzione di nuovi istituti, come se ciò bastasse a risolvere una situazione che si fa di giorno in giorno sempre più pesante. A ingarbugliare ancora di più le cose ci si sono messi, poi, anche gli "scoop" di "Striscia la notizia" e, in seguito, anche del Tg3. Le virgolette sono d’obbligo, perché andando a scavare proprio "dentro la notizia" il tutto si è rivelato un piccolo flop. Eh sì, sembra proprio che stavolta il "Tapiro d’oro" potrebbe toccare alla simpatica banda di Antonio Ricci, perché se è vero che in Italia ci sono delle strutture adibite a carcere ora dimesse, è anche vero che i motivi di questo abbandono ci sono e sembrano essere anche validi. Solo che "Striscia" ha "dimenticato" di menzionarli. Per cercare di saperne qualcosa di più abbiamo provato ad addentrarci nei meandri dell’amministrazione penitenziaria e di cose ne sono venute a galla parecchie. Talmente tante da far passare in secondo ordine gli "scoop" di "Striscia". Ad esempio, un modo per tamponare una situazione che al momento attuale vede una popolazione carceraria di circa 60.500 detenuti distribuiti in 209 istituti (escluse le case mandamentali) con una media matematica di circa 290 ospiti a struttura non sarebbe tanto costruire nuovi complessi, quanto, ragionando in termini di economicità, ampliare quelle già esistenti costruendo nuovi padiglioni. Non è certo l’uovo di Colombo, ma il frutto di uno studio svolto dagli uffici tecnici del dipartimento di amministrazione penitenziaria (il Dap). Dunque, secondo quanto ci fanno sapere dal Dap costruire un padiglione nuovo da 200 posti in una struttura carceraria costerebbe all’incirca, euro più euro meno, 9 milioni contro i 45 di una struttura nuova con la medesima capienza. Per non parlare, poi, dei tempi di costruzione che oggi, per una nuova struttura, vanno dai 7 ai 10 anni. Quando, invece, non dovrebbero superare i tre anni, viste le necessità. Vista in cifre, per coprire una carenza di 20 mila posti occorrerebbe uno stanziamento di circa 3,5 miliardi di euro. Ma per cercare di far capire bene i termini della questione bisogna andare con ordine e sviscerare le varie questioni passando attraverso tre punti fondamentali: la capienza, le strutture e i fondi a disposizione. La capienza - Esistono due tipi di capienza: quella regolamentare e quella definita tollerabile, ossia la straordinaria, il tetto limite al quale possono arrivare le strutture. Attualmente i posti regolamentari sono 43 mila e la capienza tollerabile dovrebbe essere di 62.800 posti. Il tutto a fronte di una presenza, stimata al 2 aprile, di 60.500 detenuti. Mancano, quindi, circa 20 mila posti all’appello. Secondo i tecnici si potrebbero ricavare 8 mila posti dalla costruzione di nuovi padiglioni nelle strutture esistenti e gli altri 12 mila si potrebbero ricavare dalla sostituzione di 60 istituti ormai diventati fatiscenti ampliandone la capienza. Un modo utile, comunque, per dare una mano a risolvere la situazione potrebbe anche essere uno studio riguardante la previsione dei flussi carcerari. Le strutture - In totale sono 209 (escluse le case mandamentali) e si suddividono perlopiù in case circondariali (dove soggiornano i detenuti in attesa di giudizio), case di reclusione (che ospitano quelli già condannati) e case mandamentali (istituti di minima sicurezza). Dal ‘99, con la soppressione delle preture, di queste case mandamentali 65 sono state chiuse e 25 sono rimaste. Fra il 2000 e il 2002 le varie Finanziarie hanno stanziato circa 450 milioni di euro per la costruzione di nuove carceri. Le prime quattro sono state appaltate a dicembre 2005 e le stanno costruendo tutte in Sardegna: a Oristano, Cagliari, Tempio Pausania e Sassari. Altre due, Marsala e Reggio Calabria, sono da completare ma sono ferme per inerzia burocratica. A Savona e Rovigo i progetti sono stati approvati, mentre Forlì è ancora in fase di progettazione. Con un finanziamento straordinario del 2002 sono state avviate le procedure per l’acquisizione in leasing delle nuove carceri di Varese e Pordenone. Da ricordare che la costruzione delle nuove carceri è di competenza del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Dal ‘95 è iniziata una politica di riqualificazione del patrimonio penitenziario. Secondo le informazioni fornite dal Dap, sarebbero circa 60 gli istituti fatiscenti che andrebbero sostituiti. È stato approvato un programma per la sostituzione di 24 istituti, ma solamente 12 sono stati finanziati. Ovviamente le priorità e gli stanziamenti cambiano da governo a governo e, quindi, i programmi e gli obiettivi sono soggetti a cambiamenti. I fondi - C’è da fare una "piccola" premessa: solo per le piccole manutenzioni l’amministrazione penitenziaria avrebbe già contratto debiti per circa 600 mila euro. A disposizione ci sono due tipi di finanziamento: quello di parte corrente e l’altro di investimento o conto capitale. Il finanziamento di parte corrente deve essere impiegato per la manutenzione ordinaria, straordinaria e la conduzione degli istituti. E deve essere impiegato entro l’anno. Il fondo di investimento o conto capitale, invece, serve per la manutenzione straordinaria, gli ampliamenti e le ristrutturazioni e non ha limiti temporali di utilizzo. Per i fondi correnti, dallo stanziamento di 40 milioni deliberato nel 2000 si è passati ai 17 del 2006 mentre nei fondi di investimento i 90 milioni deliberati nel 2005 non sono stati assegnati e per il 2006 non sono stati ancora ripartiti. Da tenere presente che già i 40 milioni, picco più alto degli stanziamenti di fondo corrente, previsti nel 2000 non furono sufficienti alla gestione ordinaria degli istituti. Ecco spiegato, quindi, perché man mano che passa il tempo le carceri vanno in malora. "Ogni anno arrivano sui nostri tavoli richieste di fondi dieci volte superiori rispetto agli stanziamenti - ci dicono dal Dap - solo per le manutenzioni ordinarie". C’è veramente da chiedersi come facciano a tirare avanti le amministrazioni dei singoli istituti. A fronte della famosa carenza di 20 mila posti, parlando di costi il "buco" si potrebbe colmare solo stanziando qualcosa come oltre 3 miliardi di euro per 12 mila posti in istituti da costruire ex novo più altri 360 milioni per gli 8 mila posti ricavabili con i nuovi padiglioni da erigere elle strutture esistenti. E stiamo parlando, badate bene, solo dei costi di edilizia, tralasciando quelli relativi al personale e a ad altre voci. La vediamo veramente dura... Giustizia: con la "Cirielli" le sbarre sono diventate più strette
Gente Veneta, 18 aprile 2006
Si stringono le sbarre del carcere. Non è un problema veneziano: è che le leggi che si sono succedute in questi ultimi anni hanno dato un giro di vite. Prima la Bossi-Fini, ora la Cirielli. L’esigenza di sicurezza cui si devono è sacrosanta, gli esiti non sono tutti positivi. Succede in questi mesi, in cui si comincia ad applicare la legge Cirielli. I risultati: è sempre più difficile e incerto ottenere un permesso. Altrettanto dicasi per altri benefici, come la semilibertà e la possibilità di uscire dal carcere per andare a lavorare. Per non dire delle mamme detenute. Possono tenersi in carcere i figli finché questi compiono 3 anni, ma poi diventa sempre più difficile o quasi impossibile che li possano accudire fuori dal penitenziario. Un problema che riguarda soprattutto le nomadi. Giri di vite, tutti questi, che si aggiungono all’annoso problema del sovraffollamento. Ma le sbarre si fanno ancora più strette se si volge lo sguardo a certe carenze delle carceri veneziane. Quello femminile della Giudecca, per esempio, per certi versi è un modello di buon funzionamento. Qualcuno l’ha paragonato ad un collegio svizzero cui manchino solo le collegiali. Però in un collegio svizzero avrebbero già riparato le due docce che da anni non funzionano. Soprattutto quando di docce alternative le 108 attuali carcerate ne hanno solo altre due. E per fortuna che Venezia, probabilmente più di altre città, può godere della presenza di due cooperative - la Rio Terà dei Pensieri e Il Cerchio - che da anni promuovono corsi di formazione, laboratori e attività lavorative. Tutte cose che, sia pure tra mille difficoltà, consentono a uomini e donne del carcere di schiodarsi dalla branda e di avere qualcosa da fare per alcune ore al giorno. Ma dopo? Che succede dopo, quando si esce dalla casa di reclusione e si tenta il reinserimento nella società? Chi opera nel carcere con i detenuti ha visto troppi insuccessi per non porsi fortemente il problema. Troppe persone sembrano aver ritrovato una loro strada ma poco dopo si perdono di nuovo. E ritornano dentro. O si ammalano. O muoiono. Si fa sempre più pressante l’esigenza di un’assistenza continua - magari leggera ma continua - di persone che hanno scontato la pena, ma non hanno perso la loro fragilità. Venezia: profumi fatti in carcere conquistano gli hotel 5 stelle
Gente Veneta, 18 aprile 2006
Hanno conquistato gli hotel di lusso di Venezia, ma faticano a trovare una "casa"; anzi, un locale dove possano essere stabilmente venduti al pubblico. Parliamo dei prodotti del laboratorio di cosmetica aperto ormai da qualche anno nel carcere femminile della Giudecca. È la cooperativa Rio Terà dei Pensieri, sorta quasi dodici anni fa (settembre 1994) ad aver promosso l’iniziativa. Alcuni locali del penitenziario giudecchino sono stati destinati a questo scopo, sono stati acquistati dei macchinari e si è potuto contare sulla consulenza di un esperto, il chimico Fabrizio Longo. Da essenze coltivate nell’orto. Da allora saponi, shampoo, profumi e creme vengono sfornati regolarmente dal laboratorio, grazie al lavoro di alcune detenute. Il tutto sotto un marchio che sa di antico e di spirituale, "Santa Maria degli Angeli", e con l’indicazione "dall’Orto delle Meraviglie", che dice come le componenti base vengano dall’orto del carcere stesso, coltivato da altre donne ristrette. La scommessa ha avuto buon esito, tant’è vero che anche alcuni importanti alberghi veneziani hanno deciso di dotarsi, per le proprie confezioni di cortesia per i clienti, dei cosmetici realizzati in carcere. Capofila è l’hotel Bauer, uno dei più prestigiosi di Venezia. La proprietaria, Francesca Bortolotto, che ha apprezzato la qualità dei prodotti e, insieme, la motivazione dell’iniziativa, ha di recente adottato i prodotti delle detenute anche per le profumazioni d’ambiente: quattro diverse fragranze, per ciascuna stagione, per rendere ancora più gradevole il soggiorno nelle stanze dell’hotel. E al Bauer si sono in questi mesi aggiunti gli hotel Quattro Fontane, Al Sole, Saturnia... Quando la porta è chiusa... Non ci sono, però, solo storie di successi. Ci sono anche le fatiche quotidiane del "far girare la macchina". Fatiche di produzione, intanto: il carcere ha tempi lunghi e un sacco di porte (chiuse). Significa che per fare entrare o uscire i prodotti bisogna passare per ispezioni e controlli (che comportano attese); o che basta una porta chiusa - e un agente di polizia penitenziaria impegnato altrove - perché la produzione abbia lunghe pause. E stiamo parlando della casa di reclusione per le donne, che è un fiorellino a confronto con il carcere maschile di Santa Maria Maggiore. Già, perché la cooperativa Rio Terà dei Pensieri è fortemente attiva anche al maschile, dove ha avviato sette laboratori. Ma il turn-over veloce dei detenuti (a S. Maria Maggiore si resta perlopiù pochi mesi, in attesa di processo e di una collocazione definitiva) fa sì che lavorare e produrre diventa molto problematico. Insegni ad uno a fare qualcosa e, appena ha imparato, se ne va via e arriva un altro detenuto. La legge Smuraglia non va. In questo senso - nota Raffaele Levorato, storico fondatore e anima appassionata della coop - anche la legge Smuraglia non funziona. La legge, che dà agevolazioni fiscali alle aziende che commissionano produzioni ai carcerati, non è sufficiente a equilibrare i sovraccosti derivanti dai tempi lunghi di lavorazione. E tanto più oggi, che Rio Terà dei Pensieri si è strutturata, assumendo a tempo indeterminato quattro donne, incaricate dell’amministrazione e del coordinamento della produzione, c’è bisogno di dare continuità al lavoro e tranquillità ai conti. Ma per i prodotti del carcere femminile e di quello maschile c’è anche un secondo problema: farsi trovare. Cioè poter disporre di un luogo che sia punto vendita per tutti i prodotti dell’artigianato penitenziario. Per qualche anno Rio Terà dei Pensieri ha potuto disporre di un negozio davanti alla Fenice. Poi, rinato il teatro, quello spazio è scomparso. Da più di un anno l’agenzia di viaggi Kele & Teo, al Ponte dei Bareteri, mette a disposizione la vetrina in cui viene esposto (non venduto) un campionario degli oggetti creati dai detenuti. C’è il magazzino di fondamenta Santa Chiara (al civico 495/b) che funge anche da punto vendita. Ma un negozio vero e proprio non c’è. "E noi - sottolinea Levorato - non siamo in grado di reggere i costi di un locale in affitto e di commesse". Ma la necessità aguzza l’ingegno e fa sgorgare proposte nuove. In campo S. Stefano e in campo S. Angelo ci sono due vecchie e pregevoli edicole, non più utilizzate da quando sono state sostituite da nuove e più confortevoli rivendite di giornali. Il Comune ha fatto però restaurare le due vecchie edicole: "E noi - dice Levorato - abbiamo chiesto al Comune che una di esse, quella di campo S. Stefano, ci venga data in comodato gratuito, proprio per il valore sociale della nostra attività". Roma: intesa sull’assistenza sanitaria ai detenuti stranieri
Garante Regionale dei Detenuti, 18 aprile 2006
Collaborare affinché il Servizio Sanitario Nazionale sia uno strumento utile per garantire ai detenuti stranieri il diritto alla salute, anche attraverso attività di formazione ed educazione sanitaria, tenendo conto della L. 230/99 sul passaggio di competenze dal Ministero di Giustizia alle Regioni. Sono questi gli obiettivi del Protocollo d’Intesa siglato tra il Garante dei Diritti dei Detenuti della Regione Lazio e l’Istituto San Gallicano (IRCCS) di Roma. Il protocollo è stato firmato dal Garante Angiolo Marroni e dal dottor Aldo Morrone, direttore della Struttura Complessa di Medicina Preventiva delle Migrazioni, del Turismo e di Dermatologia Tropicale del "San Gallicano". Fra gli obiettivi previsti dal Protocollo, in un’ottica di collaborazione reciproca, il "San Gallicano" si adopererà per garantire consulenza e informazione specialistica in ambito dermatologico ed infettivologico a detenuti, soprattutto stranieri, e operatori per migliorare i servizi sanitari loro erogati. La firma del Protocollo nasce dal fatto che, dopo l’istituzione del Garante Regionale dei diritti dei detenuti e la presenza stabile dei suoi collaboratori nelle carceri della regione, si sono affrontate le condizioni e la qualità di vita di una parte degli oltre 6.000 detenuti fin qui incontrati. In particolare, si è posta l’attenzione alla promozione dello stato di salute in questi gruppi di popolazione particolarmente fragili e socialmente svantaggiati. "Fra le priorità di questo Ufficio c’è la tutela del Diritto alla salute degli oltre seimila detenuti reclusi nelle carceri di tutto il Lazio - ha detto il Garante regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni - Quello alla Salute è uno dei diritti più violati in carcere, ed è per questo che siamo continuamente alla ricerca di collaborazioni che possano migliorare questo aspetto fondamentale e cruciale della vita carceraria le cui carenze pesano, in misura ancora maggiore, sulle persone che provengono da Paesi e territori in cui proliferano malattie, specie quelle infettive, verso le quali non è adottata alcuna misura terapeutica, di cura e di prevenzione". Terni: Provenzano non può incontrare il cappellano del carcere
La Repubblica, 18 aprile 2006
Mentre nel supercarcere di Terni Bernardo Provenzano continua a rimanere in regime di rigidissimo isolamento (nel giorno di Pasqua gli è stato negato il permesso di incontrare il cappellano), i magistrati palermitani non hanno ancora fissato il suo primo interrogatorio davanti al gip. In procura stanno esaminando l’ordine temporale dei provvedimenti cautelari - oltre dieci - ancora in corso di notifica al padrino di Corleone. Una volta accertata la misura restrittiva più datata, verrà individuato il giudice delle indagini preliminari competente per il primo interrogatorio. Certo, invece, il primo appuntamento processuale del padrino: il 2 maggio, davanti alla corte d’assise di Palermo, nel dibattimento per alcuni omicidi commessi durante la guerra di mafia degli anni ‘80. Il legale del capomafia, l’avvocato Franco Marasà, però, ha fatto sapere che il boss non ha ancora deciso se parteciperà in videoconferenza. Intanto il boss dei boss di Cosa Nostra resta in isolamento. E, in base a queste disposizioni, non è stato consentito al cappellano del carcere di fargli visita il giorno di Pasqua. Rispetto ai giorni precedenti, però, il pranzo di Pasqua del boss è stato più ricco: ravioli, un po’ di pollo e un po’ di coniglio, una banana. Per motivi di sicurezza il pasto - come sempre - gli è stato preparato non nella mensa comune a quella degli altri detenuti. Video sorvegliato 24 ore su 24, Provenzano resta in isolamento senza la possibilità di vedere nessuno ad eccezione del suo avvocato, incontrato per la prima volta venerdì scorso. Nonostante abbia un apparecchio televisivo in cella, non gli è consentito guardare la tv né sentire la radio, così come gli è vietato leggere riviste o giornali. L’unico beneficio - peraltro previsto per tutti i detenuti in 41 bis (il carcere duro) - è quello dell’ora d’aria. Roma: Regina Coeli; "La città scomoda interpella la città"
Redattore Sociale, 18 aprile 2006
"La città scomoda interpella la città": questo lo slogan dell’iniziativa svoltasi questa mattina davanti al carcere giudiziario di Regina Coeli, promossa dalle associazioni Vo.Re.Co (Volontari Regina Coeli) e Gisca (Gruppo Italiano Scuola Carceraria), dalla cooperativa sociale Infocarcere, dall’azienda I.P.I (Informazione Promozione Immagine), in collaborazione con l’Ufficio del Garante dei Detenuti Regione Lazio presieduto dall’Onorevole Angiolo Marroni. Presenti numerose personalità civili e religiose, tra cui padre Vittorio Trani e Mauro Mariani, rispettivamente Cappellano e Direttore della casa circondariale "Regina Coeli"; Giuseppe D’Agostino dell’Ufficio Garante dei Detenuti della Regione Lazio; il presidente dell’Upter Francesco Florenzano; Alessandra Luciani, capogruppo della Margherita al municipio Roma I - centro storico. Diversi anche gli interventi da parte dei passanti incuriositi dagli stand e dai tanti prodotti realizzati dai detenuti e in vendita nel corso dell’iniziativa: dalle confetture alle piante aromatiche, dai vini al miele, dai disegni ai quadri. Non meno significativa la vendita di opere letterarie realizzate dalla Herald Editore, che ha messo a disposizione la propria collana "Quaderni dal carcere". Una piccola manifestazione con un grande progetto: quello di realizzare in tutte le piazze d’Italia altrettanti incontri di dialogo, cultura e solidarietà. "Mai come in questa occasione emerge la necessità di un dialogo, tra gli istituti preposti alla tutela dei diritti dei detenuti - ha rilevato D’Agostino -. Numerosi i casi trattati nel primo anno di vita del nostro ufficio, molti dei quali hanno garantito quei diritti fondamentali che ogni detenuto dovrebbe avere garantiti. Iniziative come questa ci permettono di verificare il grado di attenzione dell’opinione pubblica, spesso distratta, verso le diverse problematiche legate al mondo penitenziario". Fiorenzano ha commentato così l’incontro: "Gli ottimi rapporti di collaborazione instaurati con il Gisca hanno portato alla promozione di corsi di educazione in carcere che hanno visto la partecipazione di un elevato numero di detenuti. Tali esperienze formative hanno evidenziato come l’apprendimento dipenda non solo dal docente bensì dalle motivazioni rappresentate dal Gruppo Educazione che permette al detenuto di dimostrare la propria volontà di riscatto e di riabilitazione". Padova: "Ragazzini e ragazzacci" studenti e detenuti a confronto
Il Gazzettino, 18 aprile 2006
"Ragazzini e ragazzacci", il nuovo volumetto edito da Ristretti Orizzonti in collaborazione con il Comune, verrà a breve presentato nelle scuole per educare i ragazzi alla legalità. Lo ha detto l’assessore Claudio Piron, sottolineando il valore della prima pubblicazione che mette gli studenti delle scuole medie a confronto con giovani detenuti sul tema della devianza e dell’illegalità. "E questo - ha aggiunto - in una particolare forma di relazione e di scambio tra i ragazzi di ieri e quelli di oggi, tra chi ha avuto un rapporto difficile con la scuola e chi la scuola la sta frequentando. I nostri ragazzi rischiano di vivere una realtà virtuale, colpa anche della società che spesso corre troppo in fretta dimenticando i tempi, i passaggi obbligati che l’adolescenza pone ai genitori e figli, ad insegnanti e alunni". "Il significato del libro - ha aggiunto Piron - ha lo scopo di condurre i ragazzi di oggi dentro la vita reale offrendo loro di conoscere da vicino le storie di ha commesso errori che vanno pagati con la reclusione". L’edizione "Ragazzini e ragazzacci" è il punto di partenza di un progetto più ampio. "C’è bisogno di prevenzione", dice Francesco Morelli. "Per questo - sostiene Ornella Favero, direttrice di "Ristretti Orizzonti" e volontaria nel carcere - mi auguro che molti ragazzi delle scuole possano andare in visita al carcere, un’esperienza che farà dialogare, come nel nostro volumetto, i giovani fuori con quelli che stanno dentro. Il carcere non è una realtà altra, estranea alla vita della città. Bisogna pensare ed organizzare momenti di incontro nei quali le persone detenute imparino a raccontarsi perché il loro racconto può servire a chi sta fuori". Il libro presenta una serie di racconti di detenuti che spiegano perché sono arrivati a commettere un reato e, di seguito, i pensieri degli alunni delle scuole che li hanno incontrati e che raccontano le loro impressioni. Udine: nuovi volontari per portare in carcere la speranza
Il Gazzettino, 18 aprile 2006
C’è ancora tempo fino a sabato per partecipare al corso per assistenti volontari penitenziari proposto dalle associazioni di volontariato "Speranza" e "Icaro" in collaborazione con la direzione della Casa circondariale di Udine e la direzione dell’Ufficio di esecuzione penale esterna. L’attività formativa si articolerà in dieci moduli tematici e tramite questi momenti si cercherà di preparare le persone descrivendo la realtà del carcere e i problemi che racchiude. Sono previsti otto incontri teorici tenuti da esperti e due visite a strutture comunitarie e di accoglienza. La parte didattica tratterà argomenti di natura giuridica, psicologica, pedagogica e sociale. Attraverso questo corso si mira a sensibilizzare l’opinione pubblica su quanto che sta oltre i portoni e le mura e favorire lo sviluppo di contatti concreti tra mondo penitenziario e società libera in modo che sia possibile lavorare al reinserimento dei detenuti. Chi ha voglia di mettersi in gioco deve poter comprendere fino in fondo l’importanza che questa esperienza così coinvolgente e significativa può avere per tanti detenuti. Chi intenda farsi avanti per cercare di dare una mano può rivolgersi alle associazioni di volontariato "Speranza" (338.2959438) o "Icaro" (334.3955983) o all’Uepe (0432.584611 il venerdì 9-12 e il sabato 10-12). Le iscrizioni possono essere consegnate personalmente o spedite tramite servizio postale. Le lezioni si terranno nella caserma agenti di via Spalato 38 ogni venerdì a partire dal 21 aprile e fino al 23 giugno dalle 17.30 alle 20. Minori: ha 20 anni, all’uscita dall'Ipm di Nisida farà l’imbianchino
Il Mattino, 18 aprile 2006
Adesso i suoi occhi di ventenne sono sgranati sul futuro, e per lui prima di tutto c’è "la patente". Ma stampati nella testa di S. resteranno sempre il prima e il dopo: prima, due anni e mezzo trascorsi nel carcere di Nisida, dove ha scontato una serie di rapine commesse a partire dai 15 anni. Il "dopo" è arrivato martedì, quando l’ex baby gangster ha iniziato uno stage di formazione come imbianchino in una ditta di costruzione a Napoli. Inizia con lui il progetto della fondazione "Il meglio di te" dedicato ai ragazzi del carcere minorile, perché una volta usciti, gli ex detenuti trovino subito un lavoro. L’associazione individua un’impresa disponibile a testare il ragazzo e sostiene le spese del "tirocinio". A S. a Nisida era piaciuto "fare il pittore", e questo forse un giorno sarà il suo mestiere: sei mesi di stage per ora gli frutteranno 450 euro al mese; per i 18 successivi, con un contratto, ne guadagnerà 650. E la ditta Carrannante, che ha accettato di metterlo alla prova, potrà conoscere e formare gratuitamente l’eventuale dipendente. Il progetto è partito. Prossimo passo per ‘Il meglio di tè, istituire la prassi di iscrivere i ragazzi all’ufficio di collocamento, nel momento in cui entrano in carcere: "Oggi sono penalizzati, quando escono partono praticamente da zero". La missione avviata con S. è stata vissuta effettivamente da tutti, e innanzitutto da lui, come una corsa contro il tempo. Il ragazzo voleva lavorare il prima possibile, per non incorrere nelle vecchie tentazioni. "Una volta fuori - conferma il direttore di Nisida Gianluca Guida - questi giovani tornano nel luogo da cui sono venuti, con tutti i rischi che questo comporta". Reinserire i ragazzi di Nisida non è affatto semplice. Fulvia Russo, Edoardo Gravina, e Domenico Fusella, raccontano quanto lavoro ci sia dietro lo stage di S.: decine di telefonate, centinaia di mail, mesi di contatti, "tentativi finiti nel nulla a causa dei pregiudizi e dei timori della gente". "Siamo tutti responsabili in questa città se poi i ragazzi ci ricadono", conclude Fusella, che da promotore del fondo speciale per Nisida rivolge un appello agli imprenditori: "Ci aiutino". "Salvatore ci chiama quasi ogni giorno - continua - uscito da qui si è trovato privo di punti di riferimento. Lo abbiamo iscritto alla motorizzazione: si sentiva perso all’idea di dover presentare dei documenti". Il paradosso è che Nisida gli manca: "Lavorare per lui è indispensabile. Ma va aiutato da solo non può farlo". "È comprensibile che vi siano perplessità nel dare un impiego a un ragazzo difficile - aggiunge Guida - Per questo è utile che vi sia qualcuno che faccia da garante: che affianchi l’imprenditore disponibile, intervenendo se ve ne fosse bisogno. Le istituzioni dovrebbero agevolare questo percorso, procurando, come accade altrove, un tutor a chi esce da Nisida". Una figura del genere servirebbe per 3, 4 casi all’anno. Ricordando un progetto avviato con il Comune di Napoli, e con l’ippodromo di Agnano, dove un ex detenuto straniero ha trovato lavoro, Guida conclude:"Sono esperienze che fanno bene anche a chi resta dentro: i ragazzi seguono quello che succede ai compagni, e sperano di poter fare altrettanto". Gli interventi però dovrebbero essere sistematici: si deve costruire una rete, fra chi sta "dentro" e ciò che attende i ragazzi fuori dall’isola. Che ne pensa S., che è di nuovo libero da 3 settimane? "La cosa più bella adesso è il fatto di poter aprire la porta e scendere". Il verbo è quello preferito dai napoletani che ‘escono di casà, magari senza meta. "Uscire però è anche una brutta sensazione - aggiunge - Finché sei dentro hai sempre qualcosa da fare, laboratori, studio, calcio, fai pure troppo. E non ti serve niente. Da quando sono fuori ho troppo tempo, e non so che fare e tutto è difficile". Difficile è superare i quiz della patente: "Per questo non volevo prendere la terza media - conclude tormentandosi col sogno proibito di guidare - prima me la sarei cavata con un colloquio orale". Livorno: un nuovo campo di calcio per "Le Sughere"
Ansa, 18 aprile 2006
La Casa Circondariale "Le Sughere" avrà un nuovo campo di calcio, o meglio, uno spazio all’aperto polivalente per fare "cultura" e sport. Contribuiranno alla realizzazione di questa nuova area attrezzata, sia il Comune che la Provincia di Livorno, oltre naturalmente la Casa Circondariale che interverrà per i lavori di adeguamento infrastrutturale. Atteso da tempo e sollecitato più volte dagli stessi detenuti, anche in occasione della seduta del Consiglio Comunale all’interno del carcere, il campo sportivo oggi fa un passo in avanti. Nella sua ultima seduta la Giunta Municipale ha approvato infatti un protocollo d’intesa da sottoscrivere con la Provincia e la Casa Circondariale per la realizzazione di un progetto integrato di promozione alle attività riabilitative all’interno del carcere; progetto che prevede appunto la costruzione del campo di calcio. Il Comune concorrerà al progetto con un contributo di 60 mila euro destinato alla progettazione dell’opera, alla direzione tecnica dei lavori e alla posa in opera del manto sintetico di copertura; mentre la Provincia interverrà con un contributo economico di 25 mila euro destinato alla preparazione del sottofondo in cemento; la direzione della Casa Circondariale , oltre che a farsi carico dei lavori di adeguamento, dovrà impegnarsi nella programmazione di tutte le attività che qui si terranno, aperte anche alla città. Il futuro campo di calcio non sarà solo un’area attrezzata per le attività sportive dei detenuti, ma dovrà essere anche luogo di incontro tra detenuti e liberi cittadini. Qui si terranno iniziative di interscambio con tutte le componenti del territorio, competizioni sportive incrociate e manifestazioni varie con soggetti che operano in ambito sociale e culturale. Il campo di calcio diverrà in questa ottica – sostiene l’assessore alle politiche sociali Alfio Baldi- un luogo simbolo, una sorta di spazio comune che consentirà di ridurre quelle distanze che separano il penitenziario dalla città. Del resto - sottolinea Baldi - vogliamo che le Sughere siano considerate come uno dei quartieri della città , non isolato dal contesto cittadino. Pescara: così gli ex detenuti cercano un ruolo nella società
Il Messaggero, 18 aprile 2006
È positivo il bilancio tracciato, nei primi settanta giorni di vita, dal centro di seconda accoglienza e promozione umana, realizzato nei locali dell’ex mattatoio di via Gran Sasso grazie ad un accordo tra la Provincia e il Comune di Pescara. A tracciarlo è Valeria Pelliciaro, responsabile per conto della cooperativa sociale "Alchimia" del centro di accoglienza. "Abbiamo ospitato - ha commentato la Pelliciaro - nove persone, anche se la struttura a pieno regine ne può ospitare comodamente quindici. I nostri ospiti sono uomini e donne dai 20 ai 65 anni, senza fissa dimora, italiani, con alle spalle problemi di tossicodipendenza, dipendenza dal gioco ed ex-detenuti. C’è insomma tutta l’area del disagio metropolitano. Sono tutte persone alla riconquista di un posto in società, per le quali il supporto di una struttura di accoglienza e reinserimento risulta decisivo". La struttura non è pensata come un dormitorio, e questa è il principale tratto distintivo del centro di via Gran Sasso. Per accedere alla casa, spiegano gli operatori, bisogna aver superato una fase di prima accoglienza e dimostrarsi pronti ad affrontare un programma di recupero avviato dalle istituzioni. La permanenza nell’istituto può durare anche tre mesi e durante questo periodo gli "ospiti" vengono aiutati a reinserisrsi in società e a trovare lavoro. "La differenza con un dormitorio - racconta Rossana Tiboni, l’assistente sociale che, insieme a uno staff di volontari, si occupa degli incontri individuali con gli ospiti - sta nei servizi che offriamo, a partire dalla presenza tutto il giorno di un operatore a cui potersi rivolgere, oltre all’aiuto preziosissimo dei volontari". Una macchina ben oliata in tutti i meccanismo, anche se gestire questi individui, abituati a vivere per strada senza regole, non è affatto semplice. Gli imprevisti sono all’ordine del giorno. "Abbiamo avuto in questa prima fase, diverse difficoltà - continua infatti la responsabile del centro Valeria Pellicciaro -. Prima fra tutte quella di abituare gli "ospiti" a convivere in modo civile e a gestire secondo regole spazi e momenti di vita in comunità. È un passaggio delicato per il reinserimento sociale, per affrontare il quale è stato ed è fondamentale l’aiuto dei nostri operatori". Caltanissetta: studenti solidali con i detenuti del "Malaspina"
La Sicilia, 18 aprile 2006
Singolare ed assai significativo momento di solidarietà quello vissuto, mercoledì scorso, da una rappresentanza degli alunni delle seconde e terze classi della scuola media "Pietro Leone". I ragazzi, infatti, si sono recati alla Casa circondariale "Malaspina" e qui sono stati ricevuti dal direttore del carcere dott. Angelo Belfiore e dall’educatore dott. Beatrice Sciarrone. Si è trattata di una interessantissima esperienza ispirata al tema "La giornata della donazione e della solidarietà", iniziativa promossa dal prof. Aurelio Armatore e fortemente caldeggiata dal dirigente scolastico prof. Paolo Andolina. Per la visita, gli alunni, che hanno fatto delle festività pasquali non solo un momento di festa ma un’occasione di apertura verso coloro i quali hanno sbagliato e stanno pagando il debito verso la società, sono stati accompagnati dagli insegnanti Aurelio Armatore, Maria Adamo, Pompea Longo (vicepreside) e Franca Mulè. "Il direttore della Casa circondariale - dice il prof. Armatore - ha ringraziato i ragazzi per il loro gesto di solidarietà nei riguardi di chi ha violato le regole, insistendo molto sul valore del mondi della scuola e della cultura come elemento fondante della società". Momento culminate dell’incontro è stata la lettura del messaggio formulato da tutti gli ospiti dell’Istituto: i detenuti hanno così ringraziato i ragazzi per la disponibilità morale e sociale vista come elemento positivo per le future generazioni. I reclusi del "Malaspina" hanno poi formulato gli auguri di buona Pasqua agli alunni, alle loro famiglie, ai loro amici, al preside, agli insegnanti e, molto significativamente "a tutti coloro che a Pasqua vivranno la Resurrezione ed a quanti ancora la rincorrono". "Nel corso dell’incontro - continua il prof. Armatore - è stato, altresì, evidenziato un ruolo della cultura senza la quale si è destinati ad essere succubi dell’ingiustizia e mai protagonisti della società". La solidarietà degli alunni della "Pietro Leone" verso i detenuti è stata suggellata dalla raccolta di fondi da destinare all’acquisto di libri per la biblioteca in allestimento alla Casa circondariale e dei palloni per l’attività sportiva. L’iniziativa, nella fattispecie, rientra nell’ambito dei progetti "legalità" e "Con lo sport e oltre lo sport", mentre altre iniziative saranno estese in futuro al I e II padiglione. "I ragazzi - ha dichiarato il preside dell’istituto comprensivo Paolo Andolina - in questo modo, sono venuti a contatto con una realtà completamente sconosciuta, che mira alla riabilitazione, indispensabile per la ricostruzione della propria vita da parte di chi ha sbagliato". Tommaso Onofri: il papà; perdono? riparliamone tra 10 anni
Corriere della Sera, 18 aprile 2006
"La lettera di Raimondi? Quando arriverà, la leggerò come tutte le altre. Ma di perdonare non se ne parla neanche: di fronte a tali crudeltà e atrocità solo Dio può farlo". Non ha dubbi Paolo Onofri, all’indomani della preghiera scritta dal carcere da uno dei rapitori di suo figlio, Salvatore Raimondi. Poche righe in stampatello, per chiedere scusa a Paolo e Paola Onofri "per aver preso il piccolo Tommaso, ma doveva durare lo spazio di una notte". "Mi dissocio da quanto avvenuto successivamente" ha aggiunto. Un sequestro lampo, frutto di un piano delirante, finito nel peggiore dei modi: un bambino di 17 mesi ucciso e sepolto sotto fango e paglia, sul greto di un torrente. Di fronte a tanto orrore, Raimondi chiede perdono. Onofri non accetta. Non solo: "È impossibile" precisa il papà di Tommy. Quanto al rancore che il tempo potrebbe stemperare, "ne riparliamo fra dieci anni". Il perdono è stato il tema della giornata precedente la Pasqua. Padre Celso, cappellano del carcere di via Burla, ha parlato con gli altri reclusi del penitenziario: "Li ho invitati ad andare oltre il momento della disgrazia e a pensare al nuovo, al domani. Mi hanno ascoltato, si sono uniti nella preghiera, li ho trovati consenzienti. L’esasperazione è passata, la tensione contro i tre arrestati è rientrata". Per adesso nessuno dei sequestratori di Tommaso, Salvatore Raimondi, Mario Alessi e Antonella Conserva (che ieri attraverso i loro legali hanno presentato istanza al Tribunale del Riesame di Bologna contro la misura provvisoria di custodia cautelare in carcere decisa dal gip), ha accettato la proposta del cappellano di essere ricevuto. Lui potrebbe incontrarli oggi, in occasione della tradizionale visita pasquale: "Non so che cosa dirò loro, per ora li immagino ognuno solo con la propria coscienza nel silenzio della cella. Li vedo schiacciati dal delitto, ma anche in fase di ripensamento, sotto il peso di una collettività che li respinge". Per loro padre Celso intravede una possibilità di un recupero: "Noi siamo per il recupero, altrimenti andremmo alla pena di morte. La soddisfazione più grande non sarà sapere che hanno ricevuto una bastonata o un ergastolo, ma che torneranno a essere uomini". Speranza anche per don Umberto Cocconi, ex direttore dell’ufficio catechistico, ogni lunedì a colloquio con i detenuti: "La richiesta di Raimondi? È l’inizio di una luce che sta entrando in lui, di una voglia di ricominciare. Dobbiamo riflettere su questo inizio, con tutti i dubbi che possono sorgere. Il presupposto del perdono è riconoscere il male che si è fatto, ci deve essere rimorso, contrizione. Ma chi può perdonare un atto così atroce? Dico che si può, se dall’altra parte si avverte il bisogno di giustizia e se c’è una presa di coscienza. Solo così si diventa uomini, altrimenti si resta bestie". Discorsi lontani dal dolore di casa Onofri. Mamma Paola va avanti con i tranquillanti, idem per suo marito. Impossibile immaginare il futuro. "L’unica realtà è che domani è Pasqua e mio figlio non c’è - spiega Paolo -. Sapeste quanta fatica mi costa andarlo a trovare al camposanto. Eppure non riesco a non farlo: è più forte il desiderio di stargli vicino". Napoli: carcere Poggioreale sarà intitolato a vicedirettore ucciso
Il Mattino, 18 aprile 2006
Il carcere di Poggioreale cambierà nome. Sarà intitolato a Giuseppe Salvia, vicedirettore dello stesso istituto di pena ucciso il 14 aprile 1981. La notizia è arrivata proprio nel giorno del 25 anniversario della tragica morte di Salvia. La procedura è stata attivata dal direttore regionale dell’amministrazione penitenziaria in Campania, Tommaso Contestabile, che ha accolto la proposta dei direttori di tutti gli istituti di pena campani "per dare un senso alla morte di un onesto funzionario dello Stato". "È la frase più bella che ho sentito - dice Antonino Salvia, 29 anni, funzionario dell’amministrazione penitenziaria come il padre - È la sintesi della nostra attività: abbiamo costituito un’associazione, una onlus, che porta il nome di mio padre, e che opera essenzialmente per la promozione di legalità e solidarietà applicando un teorema che reputo fondamentale, e cioè l’osservanza del principio della legalità come regola del vantaggio sociale. E voglio ringraziare il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria per l’iniziativa assunta per onorare la memoria di mio padre". La procedura - ci spiegano - non è lunga e riprende analoghe iniziative adottate per altri istituti di pena. L’obiettivo è dare il all’intero complesso penitenziario napoletano il nome dell’uomo che tra il 1976 e il 1981 ne fu vicedirettore. E che fu ammazzato, su ordine di Raffaele Cutolo, allora numero uno della "nuova camorra organizzata". Erano i tempi in cui il boss comandava dall’interno delle patrie galere e dove nessuno osava contraddirlo. Il 7 novembre 1980, per esempio, pretendeva di non essere sottoposto a perquisizione personale, una volta rientrato da un’udienza dibattimentale. Gli agenti penitenziari di scorta, invece di applicare il regolamento, chiamarono il vicedirettore Salvia che, nonostante lo schiaffo che ricevette da Cutolo, impose l’osservanza della regola, ben conscio dei rischi cui andava incontro. Morì pochi mesi dopo a 38 anni: Cutolo per quel delitto è stato condannato all’ergastolo. "La prossima settimana sarà celebrata una messa commemorativa. E da Capri, dove nacque mio padre - conclude Antonino Salvia - arriva la richiesta, grazie alla sensibilità del sindaco Lembo, di iniziare dei percorsi di legalità in tutte le scuole dell’isola". San Marino: presto al via i lavori di ristrutturazione per il carcere
Corriere Adriatico, 18 aprile 2006
Subito dopo l’estate partiranno i lavori per la ristrutturazione interna del carcere dei Cappuccini e gli altri lavori di ampliamento per adeguare la struttura alle direttive impartite dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Come si ricorderà, la Commissione aveva compiuto più visite in Repubblica ed ogni ricognizione al carcere si era tradotta in altrettante bacchettate per le condizioni in cui verteva. Non tutte le celle sono infatti dotate di servizi igienici, gli spazi sono esigui, e non esistono ambienti alternativi, come i laboratori, per far svolgere qualche attività ai detenuti. La delibera che autorizza il Segretario al territorio a sottoscrivere la necessaria concessione edilizia è stata adottata dal Congresso di Stato qualche settimana fa: già si ipotizza una spesa finale non inferiore ai 300mila euro, anche se i costi veri e propri si sapranno quando l’Azienda di Produzione avrà indetto la gara d’appalto ed aggiudicato poi i lavori. Per predisporla servirà almeno un mese, per cui si ipotizza che i lavori possano iniziare a settembre, o comunque subito dopo l’estate. La prima fase di ristrutturazione riguarderà proprio le celle, che verranno tutte ampliate, dotate di servizi igienici, comprese le docce, ma anche di piccoli vani cucina, con tanto di fornellini per riscaldare le pietanze. All’interno del carcere verrà poi realizzato anche il laboratorio, con spazi adeguati per le attività ricreative dei detenuti. Ai Cappuccini non viene comunque ospitato un gran numero di carcerati: recentemente, San Marino si è anche liberato del suo detenuto eccellente, il super latitante Giovanni Lentini, che dopo aver trascorso circa 9 mesi sul Titano, è stato estradato e riconsegnato all’autorità giudiziaria italiana. "Il cantiere verrà comunque organizzato compatibilmente con la detenzione dei carcerati - spiega il Segretario al territorio Giancarlo Venturini - saranno Gendarmeria e giudice ad impartire le direttive. Va da sé che si dovrà attendere per eseguire i lavori in quelle celle che, nel frattempo, dovessero ospitare qualcuno". Usa: a Los Angeles piano per risolvere problema dei senzatetto
Peace Reporter, 18 aprile 2006
Los Angeles è la città statunitense dove vive il più alto numero di senzatetto, che sono addirittura il doppio di quelli di New York. E così la contea ha recentemente stanziato 100 milioni di dollari per la costruzione di cinque centri di accoglienza per offrire una sistemazione a coloro che non hanno un alloggio. "Non saremo più la città con la cattiva nomea di capitale americana dei senzatetto", ha orgogliosamente affermato Antonio Villaraigosa, sindaco della metropoli. Un problema diffuso. La delinquenza, le prigioni sovraffollate, studenti che non terminano la scuola, un inadeguato sistema dei trasporti, lavori sottopagati, un sistema sanitario vicino al collasso: in questa delicata situazione si trovano a vivere circa 88mila senzatetto, che hanno molte difficoltà a reinserirsi nella società. Inoltre, ogni anno, più di 12 mila persone escono dalle prigioni della contea e, non avendo altra possibilità, si trovano a vivere per strada. Una stima del Dipartimento dello sceriffo afferma che ogni anno la polizia spende 32 milioni di dollari per i senzatetto. E aggiunge che il costo per tenere in carcere un homeless è il doppio di quello necessario a fornirgli una casa. Questo rapporto aumenta vertiginosamente se si considerano le spese mediche: ospedalizzare un indigente è 39 volte più dispendioso. Il costo di un mese di ricovero in ospedale può pagare venti mesi in un centro di assistenza. Attualmente, la spesa annuale della contea per aiutare gli homeless supera i 500 milioni di dollari, che vengono ricavati dalle tasse pagate dai cittadini. Il piano. Per ridurre il numero degli indigenti e, di conseguenza, alleggerire il bilancio, la contea ha approvato un piano che prevede lo stanziamento di 100 milioni di dollari. Verranno così forniti asili temporanei e servizi sociali agli indigenti, spostando verso la periferia i senzatetto che vivono a Los Angeles. Il piano coincide, inoltre, con uno sforzo messo in atto dalle autorità per affrontare il crimine e ripulire il centro città. Zev Yaroslavsky, uno dei supervisori che hanno approvato lo stanziamento dei fondi, ha affermato che "è un investimento storico per la contea. Siamo in un momento politico in cui possiamo farlo e abbiamo i soldi necessari. È un’opportunità che potrebbe non capitarci più". Dopo la costruzione dei nuovi centri, le autorità potranno portarvi i senzatetto con problemi mentali o di droga invece di rinchiuderli in una prigione. E questi asili serviranno anche come ricovero temporaneo per gli ex-detenuti che non hanno altri posti dove andare, con lo scopo di fornire successivamente un alloggio stabile. Diverse vedute. Il dibattito è ancora aperto. Coloro che si oppongono al piano sostengono che i nuovi ricoveri saranno solo un modo per ripulire il centro di Los Angeles, spostando il problema in periferia. Inoltre, probabilmente, i residenti non vorranno i centri di accoglienza vicino alle loro case. Una versione emendata del piano afferma che i ricoveri dovranno essere costruiti "in cooperazione con" i governi locali. Si aggiungono a questa situazione i risultati di una ricerca durata tre anni che afferma che fornire un alloggio a tutti i senzatetto di Los Angeles costerà 12 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni. Ma le autorità ricordano che un programma per fornire una casa sarà comunque meno impegnativo per la contea che sostenere i costi di migliaia di indigenti che vagano per le strade. "Questo è un investimento, non dimentichiamolo. Ci saranno tensioni, ma alla fine ci stiamo muovendo per porre fine al problema dei senzatetto", ha affermato il sindaco Villaraigosa. Libreria "Majakovski" e Gruppo "Dentro e Fuori le Mura" presentano Ergastolo e manicomio giudiziario: due istituzioni da abolire Firenze, mercoledì 19 aprile ore 21.15 - Comunità Le Piagge
Nel corso dell’incontro verranno presentati i libri:
Interverranno:
L’incontro sarà preceduto, alle ore 20.15, da una cena sociale
Centro Popolare Autogestito Firenze Sud Via Villamagna 27/a - Firenze Web: www.cpafisud.org Tel: 055.6580479 Mail: cpa@ecn.org libreria@cpafisud.org
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