Rassegna stampa 7 ottobre

 

Vicenza: un detenuto albanese di 36 anni muore suicida

 

Ansa, 7 ottobre 2005

 

Un albanese di 36 anni, clandestino, in carcere a Vicenza per spaccio di droga, si è suicidato in cella soffocandosi con un sacchetto. L’uomo, come riporta il Giornale di Vicenza, sarebbe tornato in libertà nel 2008. L’associazione "Utopie fattibili" parla di sovraffollamento, con 260 detenuti contro i 120-130 previsti per il penitenziario.

Civitavecchia: Prc; troppi morti in questo carcere, urge indagine

 

Il Messaggero, 7 ottobre 2005

 

Rifondazione comunista interviene sull’ennesima morte al carcere di Aurelia, la seconda in appena dieci giorni. "Una tragedia che - secondo l’ex consigliera Simona Ricotti - rappresenta l’ultimo segnale dei tanti rimasti inascoltati sul carcere di Aurelia. Segnali lanciati dai detenuti, dai loro parenti, dagli agenti di custodia e dalle loro organizzazioni sindacali" che quasi nessuno ha raccolto. L’esponente del Prc sottolinea che "la popolazione carceraria è doppia rispetto alla capienza della struttura, che c’è endemica carenza di personale, gravissima insufficienza di educatori, psicologi, mediatori culturali e di tutte quelle figure che consentono un reale percorso di recupero". Inoltre c’è "scarsità di attività lavorative, scolastiche e culturali, totale assenza di collegamenti con il tessuto sociale cittadino e gli spazi per il contatto con i parenti, che hanno gravi difficoltà a raggiungere il carcere, sono inadeguati".

In questo quadro, sostiene la Ricotti, si "inseriscono le tante, troppe morti avvenute fra quelle mura. Per questo riteniamo ormai inderogabile che Comune, Provincia e Regione chiedano un’accurata indagine amministrativa ed un’ispezione sulla qualità della vita dei detenuti di Aurelia, al fine di affrontare e risolvere le croniche e non più sopportabili insufficienze dell’istituto. Richiesta che il nostro partito solleciterà in ogni istanza istituzionale, compresa quella parlamentare".

Lodi: tensioni in carcere, tagli al giornale e scioperi della fame

 

Agenda Lodi, 7 ottobre 2005

 

Prima i tagli al giornale "Uomini Liberi". Poi la revoca dei permessi d’accesso ad alcuni volontari, il rifiuto a ripetere le giornate "Porte aperte in carcere". Fino al "no" alla Carovana antimafia. Ormai è scontro attorno al carcere di Lodi tra i volontari della casa circondariale e la nuova direttrice Caterina Ciampoli. Uno scontro sfociato ieri in una telefonata infuocata tra la direttrice e Andrea Ferrari, coordinatore e fondatore del giornale "Uomini Liberi" e da qualche tempo assessore comunale alla Cultura. Un incarico da cui Caterina Ciampoli l’ha invitato a dimettersi: "Non mi dimetto né da assessore né da volontario del carcere - replica il diretto interessato -: solo il ministero di Grazia e Giustizia, che mi ha rilasciato il tesserino, può chiedermi di farlo".

Intanto proprio ieri a Lodi è andata in scena la denuncia della situazione carceraria italiana. Un centinaio di lodigiani ha aderito allo sciopero della fame di un giorno, rispondendo così all’appello di Uomini Liberi, che a sua volta ha "adottato" la petizione di Sergio Segio, ex-brigatista, oggi impegnato nel Centro San Fedele dopo vent’anni di carcere.

Ma a Lodi la protesta ha valenza doppia: alle denunce lanciate a livello nazionale (sui "soliti" problemi del sovraffollamento carcerario, della mancanza di personale, delle carenze igienico-sanitarie) si aggiunge la situazione incandescente nei rapporti tra volontari e direttrice

 

Il carcere di Lodi

 

A casa circondariale di Lodi è una piccola struttura insediata in pieno centro città, in via Cagnola. I detenuti sono 80-90, rigorosamente divisi in due sezioni che non vengono mai in contatto tra loro: i detenuti "comuni" da una parte, dall’altra i detenuti "protetti", quelli della sezione speciale riservata a reati tra cui quelli a sfondo sessuale. Una sessantina gli agenti di polizia penitenziaria. Una decina invece gli addetti del personale sanitario e d’assistenza. Si aggiunge l’operato di una trentina di volontari, il filtro e il "collante" tra l’isolamento del carcere e il tessuto sociale della città.

 

La direzione

 

Dopo il pensionamento di Luigi Morsello, che ha lasciato l’incarico all’inizio del 2005, la struttura di via Cagnola è stata guidata pro tempore per alcuni mesi da Fabrizio Rinaldi, uno dei "vice" di San Vittore. "Con entrambi abbiamo avuto ottimi rapporti", spiega Andrea Ferrari. Non si può dire lo stesso dei rapporti con l’attuale direttore Caterina Ciampoli, assegnata a Lodi dopo un incarico a Busto Arsizio. "Sappiamo che a Busto Arsizio ha vissuto un periodo tumultuoso, ma qui a Lodi c’erano le condizioni per continuare ad impegnarci insieme nel migliore dei modi", dice Ferrari. Impossibile riportare le repliche della direttrice, che ieri non risultava raggiungibile.

 

Uomini Liberi

 

Le prime tensioni sono nate attorno alla redazione di "Uomini Liberi", il periodico creato tre anni fa da volontari e detenuti, le cui uniche spese (per la stampa) erano compartecipate fino a qualche mese fa dalla direzione e da un’impresa lodigiana, la Zucchetti.

Con la nuova gestione non solo sono stati tagliati i fondi per la stampa (il giornale comunque ha continuato ad uscire, ospitato mensilmente sulle pagine del quotidiano "Il Cittadino") ma sono intervenute pesanti censure sui contenuti della pubblicazione, tali – secondo i volontari – da ledere la libertà di stampa e di pensiero prevista dalla Costituzione italiana. "Tra i 60 giornali redatti nelle carceri italiane, questo era un caso unico nel suo genere - dice Andrea Ferrari -. Lo stesso Luciano Violante (capogruppo DS alla Camera, ndr) in una sua visita a Lodi l’aveva citato come modello positivo da esportare in altre realtà".

 

Situazione incandescente

 

Alle censure si sono aggiunti i tagli successivi: via il cavo dell’unica stampante, via le casse audio dal pc e i giochi installati sul computer. Revocati i permessi d’accesso ad alcuni volontari che si recavano in carcere da oltre dieci anni a distribuire indumenti usati.

Fino alla goccia che ha fatto traboccare il vaso: il rifiuto ad ospitare l’ormai tradizionale tappa lodigiana della Carovana antimafia. Un rifiuto che la direttrice ha giustificato nella sua lettera a Ferrari: il diniego sarebbe stato determinato dalle "impostazioni politiche e di parte dell’iniziativa, che offende la stessa memoria delle figure di Falcone e Borsellino". Inoltre, si legge nella lettera, "per non urtare la suscettibilità dei trafficanti di droga ristretti in questo istituto, si è omesso il contributo di Pino Arlacchi comunicato alla cittadinanza": un piccolo incidente diplomatico che si è trasformato in un casus belli, quello di Arlacchi, il cui nominativo era stato erroneamente stampato sul programma del dibattito, senza essere comunicato alla direzione del carcere (in realtà pare che Arlacchi non arriverà comunque a Lodi in tempo per presenziare al dibattito).

Non è tutto: la direzione avrebbe rifiutato di ripetere le esperienze (anche queste un appuntamento tradizionale di via Cagnola per due giorni all’anno) delle giornate "Porte aperte in carcere", che in passato avevano portato qualche decina di lodigiani a conoscere dal vivo la casa circondariale. La bocciatura sarebbe stata giustificata dal fatto che "le proposte sono state avanzate con un atteggiamento invadente".

E ora? "Non possiamo accettare oltre questo modo di lavorare", dicono i volontari (una trentina in tutto) che questa sera si riuniranno per stabilire una linea comune. Nei prossimi giorni cercheranno di mobilitare l’opinione pubblica, e di sensibilizzare parlamentari e rappresentanti istituzionali, anche oltre i confini del Lodigiano.

Giustizia: Gonnella; diritto voto ai detenuti, sentenza importante

 

Redattore Sociale, 7 ottobre 2005

 

"La sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani che riconosce, seppur in un caso inglese, il diritto di voto ai detenuti, è una sentenza importante e speriamo che apra uno spiraglio anche in Italia". È quanto dichiara Patrizio Gonnella, presidente nazionale dell’associazione Antigone.

"D’altronde esiste già un progetto di legge da noi elaborato e il cui primo firmatario è l’onorevole Giuliano Pisapia - continua Gonnella - che iniziava a muoversi in questa direzione. Ora è urgente prenderlo in esame, infatti non si vede perché l’Italia deve persistere nella anomalia di punire oltre la pena del carcere. Esiste ancora nel nostro codice penale un residuo di giustizia vendicativa e di logica dell’etichettamento quale è l’istituto della riabilitazione. Neanche dopo che ha finito di scontare la pena il detenuto può votare o essere eletto fino a quando non viene riabilitato dalla magistratura. Che senso ha allora parlare di rieducazione? Speriamo che l’Italia, almeno questa volta, rispetti le sentenze di un organismo giurisdizionale internazionale".

Lodi: sciopero della fame per il carcere, un centinaio di adesioni

 

Il Cittadino, 7 ottobre 2005

 

Un centinaio gli aderenti lodigiani allo sciopero della fame per protestare contro la drammatica situazione carceraria. Sovrappopolazione, malasanità e mancata applicazione delle leggi. Alcuni di questi si sono trovati ieri in due occasioni simboliche per un tè, l’unica bevanda concessa in questa giornata di astinenza dal cibo. Tutto è partito dall’appello di Sergio Segio, che per presentarlo ha scelto proprio la città di Lodi. Questo per riconoscere tutta l’attività positiva che è stata svolta in questi anni dentro e fuori dal carcere. Come sottolineato dallo stesso Segio. Ultimamente però la serenità dei rapporti tra tessuto sociale e carcerario è venuta meno. Gli articoli apparsi sulla stampa in questi giorni testimoniano delle tensioni tra volontari e direttrice. E lo sciopero ha assunto così anche una motivazione locale. "Sicuramente - spiega l’assessore provinciale Francesca Sanna, ormai una veterana nel campo dei digiuni - ho aderito all’appello relativo alla situazione italiana, ma quella che ci tocca più da vicino è la problematica di Lodi. Uno dei nostri progetti teso al reinserimento lavorativo dei detenuti non è stato accettato dalla direttrice". Sì, racconta un’altra scioperante e assessore provinciale Luisangela Salamina: "Avevamo presentato alla direttrice un progetto, prima di proporlo alla regione per il finanziamento - spiega -, ma lei era appena arrivata, non conosceva la situazione e quindi ha preferito non dare il suo parere in merito". Che si respiri aria di tensione lo testimoniano anche Sergio Pozzi dell’Arci e Andrea Viani, segretario provinciale di Rifondazione, al suo primo sciopero della fame. Insieme a lui, tra gli scioperanti illustri, oltre al senatore dell’Ulivo Gianni Piatti e al consigliere regionale Gianfranco Concordati anche il direttore della Caritas diocesana don Sergio Bruschi, molto sensibile sul tema delle carceri. Il 21 ottobre, infatti, parteciperà a un convegno a Brescia. "Uno dei problemi - spiega - è che i direttori hanno potere assoluto. Se uno ha idee diverse dalle persone che ruotano intorno al carcere nascono le difficoltà".

Giustizia: il Csm interverrà di nuovo sulla pdl ex-Cirielli

 

Adnkronos, 7 ottobre 2005

 

Il Csm tornerà a dire la sua sulla ex-Cirielli. A valutare l’impatto sull’organizzazione giudiziaria delle norme proposte che riducono i tempi della prescrizione sarà la Sesta Commissione, che ha sollecitato l’apertura di una nuova pratica alla luce degli ultimi dati sui processi a rischio, ottenendo stasera il via libera da parte dei vertici di Palazzo dei Marescialli per un’integrazione al parere già espresso qualche mese fa. Sotto la lente dei consiglieri dell’organo di autogoverno della magistratura finiranno anche le norme che vietano l’appello per il pm in caso di sentenza di assoluzione: il comitato di presidenza ha autorizzato infatti anche la pratica per una risoluzione.

Già lo scorso febbraio dal plenum era arrivata la bocciatura della ex Cirielli: avranno "ricadute devastanti" sul lavoro degli uffici giudiziari, aveva avvertito, e rischiano di essere in contrasto con alcuni principi costituzionali, a cominciare da quello della ragionevole durata del processo. Secondo il Csm, infatti, l’applicazione del regime proposto dalle norme in discussione ai processi in corso "comporterà la vanificazione di gran parte del lavoro svolto dall’intero sistema giudiziario nel corso di alcuni anni". Ci saranno, avevano messo in guardia allora i consiglieri di Palazzo dei Marescialli, "ricadute organizzative gravissime" all’interno di un sistema che "già oggi riesce con assoluta difficoltà a fronteggiare il numero elevatissimo di procedimenti". Ma soprattutto, aveva avvertito ancora il Csm, con quelle norme "a sicura prescrizione" sono destinati "quasi tutti" i processi per reati puniti al massimo con la reclusione tra i cinque e i sei anni, così come la "grande maggioranza" di quelli per i quali la pena massima è di otto anni di carcere.

Il centro elaborazione dati della Cassazione ha fatto i suoi conti ed ha constatato che con l’ex Cirielli in vigore andrebbero in prescrizione il 50 per cento dei 28mila processi pendenti. In particolare dalla verifica tecnica svolta dai giudici di Piazza Cavour e trasmessa al ministro della Giustizia è risultato che con l’approvazione della nuova normativa salterebbero molti dibattimenti, soprattutto quelli relativi ai reati per corruzione, che andrebbero estinti nell’88,8% dei casi. "Mi riservo di verificarli - aveva commentato oggi il Guardasigilli, Roberto Castelli -. Credo importante dare dati omogenei altrimenti si fa fatica a comprendere".

Giustizia: ex-Cirielli, ecco i processi che finiranno prescritti

 

La Repubblica, 7 ottobre 2005

 

Il dibattito sulla legge Cirielli, o "salva-Previti" che dir si voglia, viene raccontato come opinabile affare di numeri. E i numeri non hanno odore, voce, nome. Nei nostri tribunali, al contrario, quei segni statistici, oggi contesi tra Cassazione e ministro della giustizia sui processi destinati a non raggiungere un verdetto, quale che sia (di innocenza o colpevolezza), raccontano storie vive. Sono migliaia. In un "giro di cronaca" in alcuni dei principali uffici giudiziari del Paese, è stato possibile raccoglierne a piene mani. Si spegnerà, a Perugia, il processo alla seconda Tangentopoli. Non avranno giustizia, a Roma, i 23 adulti e i 4 bambini della strage di via di vigna Jacobini. Centinaia di famiglie vittime di truffe immobiliari riceveranno l’ultima beffa. I figli degli operai morti sul lavoro, nelle fabbriche di veleni a Pomezia, non vedranno risarcimenti.

Quello che trovate fotografato in questa pagina è un campione infinitesimale di storie terribilmente uguali in tutta Italia, ma forse utili a capire. Non vi si racconta (se non in un caso) di "imputati eccellenti". Ma di cittadini cui verrà spiegato che il "tempo è scaduto". Perché lo Stato ha deciso di dimezzare e ha dunque esaurito il tempo utile per l’accertamento delle responsabilità (questo significa "prescrizione").

O, nel migliore dei casi, si è lasciato un margine residuo che non consentirà di portare fino in fondo i processi già in corso. La Cirielli, infatti, nel dichiarare immediatamente estinta la materia del contendere almeno in un processo su due affiderà ciò che resta del carico processuale a rapida estinzione.

Valga un esempio. A Napoli, da settimane, i dibattimenti sono fermi. Il tribunale penale ha esaurito i fondi per pagare le trascrizioni dei verbali di udienza. I processi vengono rinviati sine die. È tempo che corre. Qui, la Cirielli farà più in fretta che altrove.

 

Appalti della Tav

 

Nel 1996, venne battezzata la "Seconda Tangentopoli". Un grumo di corruzione che aveva al centro del piatto gli appalti per l’Alta velocità ferroviaria (Tav) e annodava una vecchia conoscenza di Mani Pulite (Pacini Battaglia) a manager delle Fs (su tutti Lorenzo Necci) e magistrati di Roma. Cominciata a La Spezia, l’inchiesta passò a Perugia. L’istruttoria è oggi all’udienza preliminare. L’accusa si prepara a chiedere il rinvio a giudizio di 30 imputati per reati dalla corruzione alla ricettazione. Con le norme in vigore, il processo "vivrebbe" per i prossimi tre anni (dunque con possibilità già scarse di arrivare al verdetto finale in Cassazione). La Cirielli non consentirà neppure di celebrare il primo grado.

 

Morti sul lavoro

 

Per 40 anni gli stabilimenti "Siapa" di Pomezia (litorale sud di Roma) producono anticritto-gamici, antiparassitari e pesticidi che, lentamente, avvelenano e infine uccidono silenziosamente esseri umani. Muoiono 14 operai rimasti esposti al contatto con sostanze velenose. L’ultimo, nel 1998. La procura di Roma individua le cause dei decessi nelle condizioni cui gli operai sono stati obbligati a lavorare. Sono rinviati a giudizio e processati due ex dirigenti. Alla giustizia, oggi, restano poco più di due anni per raggiungere un verdetto conclusivo. Il processo è in primo grado. La Cirielli lo dichiarerà "estinto per intervenuta prescrizione".

 

Truffe immobiliari

 

Era il 1997 e la vita di almeno cento famiglie cambiò per sempre. A Roma, le immobiliari "Eurobusiness group" e "Gruppo Leonardi spa" promettevano una casa a prezzi d’affezione, battuta alle aste giudiziarie, dove le due società millantavano di avere canali preferenziali per l’aggiudicazione. A chi abboccava veniva chiesto un deposito cauzionale. Quasi sempre, i risparmi di una vita. La casa, va da sé, non arrivava e i soldi non tornavano. O, se tornavano, erano una miseria. Il processo, tra mille difficoltà, porta a dibattimento per truffa due degli ex amministratori delle società immobiliari. Oggi, è in appello. La Cirielli lo spegnerà prima che arrivi a sentenza definitiva.

 

Palazzo crollato

 

All’alba del 16 dicembre 1998, un palazzo di cinque piani in via di Vigna Jacobini, a Roma, si accartoccia su se stesso. I morti sono ventisette, 4 sono bambini. Le cause del crollo vengono individuate in un cedimento strutturale cui avrebbe contribuito il tipo di attività svolta dalla tipografia ospitata nel seminterrato. Due degli ex amministratori vengono processati e condannati in primo (2003) e secondo grado (2005) per disastro colposo. Il processo arriva in Cassazione. Le norme attuali dicono che c’è tempo fino all’estate del prossimo anno per la sentenza definitiva. La Cirielli dichiarerà il processo "estinto" perché fuori tempo limite. La strage non avrà responsabili.

 

Caserma Raniero

 

Nel marzo del 2001 a Napoli, dopo violenti disordini di piazza, cinquanta tra ragazzi e ragazze rastrellati dalla polizia in strada e nelle astanterie degli ospedali, vengono rinchiusi nella caserma "Raniero". Diciotto di loro vengono picchiati e umiliati. La Procura di Napoli chiede e ottiene il rinvio a giudizio di 35 tra agenti e funzionari di pubblica sicurezza per reati che vanno dal sequestro di persona, alle lesioni, al falso, alla violenza privata, all’abuso. Il processo di primo grado è stato sospeso non appena cominciato per mancanza di fondi. La Cirielli spegnerà il processo di qui a un anno e mezzo per quasi tutti i capi di imputazione, tranne, forse, il sequestro di persona.

 

Malasanità

 

Alla Procura di Napoli, ognuno dei dieci sostituti della sezione "omicidi colposi", impila ogni anno sulla propria scrivania una media di 25 casi di morte per "colpa professionale medica". Sono donne, uomini e bambini, entrati vivi nei grandi ospedali cittadini come il "Cardarelli" e usciti in una bara. Per un’anestesia sbagliata, per una sutura in camera operatoria che va in setticemia a causa di una distrazione. Dice Ida Frongillo, sostituto procuratore: "Già oggi, portare in Cassazione per una sentenza definitiva uno di questi casi è un miracolo. Con la Cirielli sarà impossibile. Quasi tutti i processi per queste morti colpose non andranno oltre l’appello".

Giustizia: Castelli; accuse della Corte dei Conti sono infondate

 

Adnkronos, 7 ottobre 2005

 

"Cercherò di dimostrare quanto queste accuse siano prive di fondamento e sono convinto che potrò manifestare ciò nel giudizio dinnanzi alla Corte dei Conti". Il ministro della Giustizia Roberto Castelli reagisce così alle anticipazioni dell’Espresso sulle contestazioni che gli vengono mosse dal procuratore della Corte dei Conti nel procedimento a suo carico per alcune consulenze, che si apre il 17 novembre. "Rilevo però - aggiunge il Guardasigilli - che L’Espresso, da quanto si apprende dalle agenzie, ha messo in evidenza solo il mio rinvio a giudizio e nulla ha detto sul fatto che per motivi analoghi sono stati rinviati a giudizio anche gli ex ministri della Giustizia Oliviero Diliberto e Piero Fassino".

Giustizia: Berlusconi; prescrizione non lasciata a arbitrio giudici

 

Adnkronos, 7 ottobre 2005

 

"Il periodo di prescrizione non può essere lasciato all’arbitrio del singolo giudice, in modo da creare differenze di trattamento tra cittadini dello stesso Paese". Lo ha affermato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, durante una conferenza stampa per la presentazione del nuovo movimento "Riformatori liberali", in un passaggio dedicato ai problemi della giustizia, senza fare riferimento ad un provvedimento in particolare.

Alessandria: seviziato dai compagni di cella perché pregava

 

La Stampa, 7 ottobre 2005

 

"Smettila di pregare, ci disturbi". "Non potete impedirmelo, chiamo una guardia". A questo scambio di parole fra tre detenuti e il loro compagno di cella, un musulmano di colore originario della Malesia, seguì un brutale pestaggio accompagnato da violenze sessuali. L’episodio risale alla sera del 6 febbraio ed è avvenuto al carcere di piazza don Soria. È stato rievocato ieri mattina davanti al gip Ferdinando Baldini (pm Marcello Maresca). In abbreviato, con l’accusa di concorso in lesioni personali aggravate e violenza sessuale, sono comparsi Giulio Carrabino, 26 anni, originario di Vittoria (Reggio Calabria), Gianni Schillaci, 22, di Asti, e il moldavo Daniel Cotoss, 19 anni. Tutti condannati: 7 anni di reclusione all’astigiano (il pm ne aveva chiesti 8), 5 anni e 4 mesi al moldavo (8 anni a giudizio della pubblica accusa), 3 anni e 10 giorni il calabrese (6 ne aveva chiesti Maresca). La causa avrà un seguito in Corte d’appello, a cui faranno ricorso i difensori Davide Bianchi, Sheila Foti e Roberto Moscato: secondo i legali, i tre dovevano essere assolti, al limite, è il caso di Cotoss, condannato al minimo della pena. "La vittima ha riferito che Carrabino (in carcere per furti; ndr) era presente, ma non partecipò all’azione punitiva" ha sostenuto Moscato. "La posizione di Cotoss (detenuto per reati non gravi; ndr) è stata marginale" è la tesi di Bianchi. "A carico di Schillaci (finito in carcere per detenzione d’arma) ci sono solo le dichiarazioni che la parte offesa ha reso in incidente probatorio e la denuncia presentata" ha detto Foti nella lunga arringa. Il musulmano, Tidiane Cisse, 24 anni, in attesa di giudizio per droga, non si è presentato al dibattimento né si è costituito parte civile. La sua denuncia, però, era stata molto dettagliata e precisa. Eloquenti le sue condizioni fisiche: "Si dovette portarlo in ospedale" ricorda la direttrice del "Don Soria", Claudia Clementi. E osserva che mai un episodio di tale gravità era avvenuto nel carcere, dove peraltro gli attriti non macano: "Il 70 per cento dei detenuti è extracomunitario e la maggior parte sono musulmani". Cinque ore durarono pestaggi e sevizie, si legge nel capo d’imputazione, e i particolari sono da brivido: Cisse "fu costretto a subire atti di violenza anche sessuale, umiliazioni e vessazioni. Fu trascinato in bagno, colpito a pugni e calci in tutto il corpo anche con un bastone. Gli venne lanciata una penna in un occhio, fu costretto a denudarsi, a masturbarsi davanti a loro, gli vennero spente sigarette sugli organi genitali, faccia e testa; gli venne posata sulla schiena una caffettiera bollente e, poiché urlava di dolore, prima gli fu immersa la testa nel water poi gli fu posta sul capo una pentola colpita a bastonate come fosse un tamburo". Tutti e quattro furono trasferiti in altre carceri, i picchiatori in strutture dove vige un regime di sorveglianza speciale.

Sanità: in sciopero della fame due infermieri penitenziari

 

Liberazione, 7 ottobre 2005

 

Senza mangiare e senza bere da ieri a domani, dormendo su un’utilitaria di fronte alla sede romana del Dap. È la drastica protesta di due infermieri penitenziari e dirigenti sindacali per sensibilizzare "chi già dovrebbe essere sensibile a certi temi: l’istituzione, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria", che finge di non vedere che gli infermieri penitenziari sono senza soldi, senza mezzi e senza direttive. I promotori del drastico sciopero di fame e sete - il bolognese Marco Poggi e Sandro Quaglia da Velletri, infermieri cinquantasettenni - sono rispettivamente il presidente e il vice del Sai, il sindacato autonomo che rappresenta il 17% della categoria: 800 parcellisti, prevalentemente nel centro-sud e 400 interni che, però, sono quasi tutti dirottati su mansioni amministrative. Un concorso per l’assunzione di 97 nuovi interni (la metà dei quali part-time) non riconosce alcun punteggio ai parcellisti. Già a febbraio avevano svolto una protesta analoga che si concluse con mille (vane) promesse del vicedirettore generale del Dap.

A conti fatti nelle celle - a medicare, somministrare farmaci e fare iniezioni - c’è solo un professionista ogni 300 dei 60mila detenuti, a volte sono sostituiti da secondini e medici o da cooperative che lavorano col sistema degli appalti al massimo ribasso. Vengono pagati molto meno delle tariffe stabilite dall’ordine - 15, 49 euro anziché 23 l’ora - e i soldi possono arrivare 3-4 volte l’anno vista la penuria di fondi di ciascun penitenziario. Il nuovo contratto dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, portare un euro di aumento ma è in atto una sorta di "furto di passato", ossia sono spariti gli arretrati di un intero anno. Dicono gli scioperanti che se accadesse lo stesso ad ogni categoria verrebbe quasi ripianato il deficit pubblico. "Da 6 anni chiediamo i "progetti-obiettivo" ma i tagli ripetuti e selvaggi delle finanziarie hanno trasformato le carceri in piccole repubbliche autarchiche", spiega a Liberazione, Marco Poggi, l’infermiere che ha avuto il coraggio di denunciare gli orrori di Bolzaneto nel 2001. Su 247 prigioni meno di una decina sarebbe in regola con i parametri sanitari. E gli infermieri sono pochissimi se si pensa che il carcere è "una fabbrica di malattie", dice Quaglia che lavora nella Casa circondariale di Velletri: la promiscuità, il sovraffollamento, le risse, l’autolesionismo, gli abusi, l’assenza di prevenzione, la presenza di bambini in carcere, insomma, la "normale" condizione carceraria del paese rischia di trasformare gli istituti di pena in "bombe epidemiologiche incontrollabili". "Incosciente" e "incompetente" sono solo due degli epiteti rivolti al guardasigilli quando rispose a un’interrogazione dell’opposizione sulle loro questioni. "Castelli si appella sempre e demagogicamente al popolo - riprende Poggi - ma anche i detenuti e gli infermieri fanno parte del popolo". Più che coerente con le sue fregole incostituzionali per la pena afflittiva, non si può dire che l’ingegnere leghista non si sia adoperato per rendere peggiore la vita in quelli che lui ritiene alberghi a 5 stelle. Anche il passaggio della medicina penitenziaria al sistema sanitario nazionale è stato stoppato da questo governo in omaggio alle resistenze dei medici interni (che avrebbero perduto il privilegio di fare altri lavori) e dei direttori di carcere che ne avallano i budget. A solidarizzare con Poggi e Quaglia, la leadership del Nursind, sindacato di infermieri "normali" che riconoscono nella battaglia del Sai quella più generale per il diritto delle persone - anche quelle detenute - alla qualità del servizio.

Immigrazione: soprusi e umiliazioni nel Cpt di Lampedusa

 

Asca, 7 ottobre 2005

 

Per i clandestini a Lampedusa rinchiusi nel cpt solo soprusi, umiliazioni e condizioni disumane. La denuncia viene da un servizio esclusivo dell’Espresso di un testimone di eccezione: un suo giornalista, Fabrizio Gatti, ne ha vissuto l’esperienza diretta per una settimana, da quando è stato ripescato in mare a quando ha ricevuto il foglio di via. "Dico di essere curdo: vengo messo a dormire sul pavimento, vedo decine di donne e bimbe accucciate per terra". "Ci obbligano a sedere in una pozza di urina. Se non obbedisci ti colpiscono". Musulmani sono costretti a vedere un film porno su un telefonino. "Gli immigrati appena sbarcati vengono fatti sfilare nudi tra i carabinieri che li schiaffegiano". Sono alcune delle testimonianze di Gatti che contesta direttamente quanto il Viminale fa credere alla Commissione europea e alla Corte europea sui diritti umani nei confronti degli immigrati clandestini. "In sette giorni di reclusione nel centro immigrati di Lampedusa - scrive il giornalista rinchiuso con passaporto curdo - la detenzione di Bilal Ibrahim el Habib (cioè di lui stesso)non è stata convalidata da nessun giudice: nonostante nessun cittadino possa essere privato della libertà senza il giudizio di un magistrato entro un tempo massimo di 48 ore. Gli immigrati rilasciati la sera di venerdì 30 settembre hanno ricevuto l’ordine di lasciare l’Italia entro 5 giorni firmato dal questore di Agrigento e il decreto di respingimento con accompagnamento alla frontiera. In realtà solo una formalità, perché nessuno è stato fisicamente accompagnato al confine.

Ma soprattutto in nessun documento consegnato dalla Questura risulta la detenzione degli immigrati per una settimana o più. La Prefettura ha invece pagato ai nove stranieri il biglietto ferroviario da Agrigento a Palermo. Il ministero dell’Interno ha recentemente confermato alla Commissione europea e alla Corte europea per i diritti umani il rispetto della dignità umana nelle procedure di identificazione degli stranieri: in particolare grazie alla sostituzione dell’inchiostro per le impronte digitali con i Visa Scanner che non sporcano le mani. Il Viminale ha anche assicurato alla UE che per ogni straniero detenuto a Lampedusa avviene un’udienza di convalida davanti a un giudice di pace. Nei casi di Bilal Ibrahim el Habib e degli stranieri detenuti tra il 24 e il 30 settembre nella gabbia del Centro per immigrati sull’isola questa affermazione è falsa". Il servizio dell’Espresso si compone in particolare di un diario del giornalista e di fotografie sui vari momenti della sua esperienza da clandestino detenuto.

Giustizia: ex-Cirielli; ministro fornisca dati su sovraffollamento

 

Ansa, 7 ottobre 2005

 

"Il Ministro Castelli oltre a fornire i dati sulle prescrizioni dovrebbe fornire anche quelli sull’aumento della popolazione detenuta determinato dalle norme durissime sulla recidiva". Lo sostengono Patrizio Gonnella, presidente di Antigone e Franco Corleone, Garante dei detenuti del Comune di Firenze. Il Ministro, ricordano Gonnella e Corleone, recentemente ha fornito delle cifre, prevedendo un aumento di 7 mila detenuti entro la fine del 2006 (dagli attuali 60 mila, passerebbero a 67 mila). "Noi -spiegano- pensiamo che siano molti ma molti di più. Prima che la legge sia discussa in Aula a Montecitorio sarebbe opportuno che gli uffici del Ministero di Via Arenula diano i dati al Parlamento e al Presidente della Camera riguardanti l’aumento della popolazione detenuta nei prossimi anni e riferiscano anche su come intendano fronteggiarlo".

Minori: 200 ragazzi detenuti che cercano un futuro nel teatro

 

Ansa, 7 ottobre 2005

 

Ripartire dal teatro. Dalle regole della scena, dalla disciplina, dal rapporto con gli altri, dalla libera espressione della propria fantasia per offrire un futuro anche professionale ai ragazzi detenuti negli istituti minorili. È lo scopo di due progetti, promossi dall’associazione Euro e finanziati dal fondo sociale europeo con 750 mila euro nell’ambito del programma di iniziativa comunitaria Equal. Il primo "Ipm di scena" è rivolto ai giovani detenuti, ragazzi dai 14 ai 21 anni, dell’istituto di pena di Palermo "Malaspina", di Milano "Cesare Beccaria" e di Bologna "Pietro Siciliani": è la prima volta che uno stesso progetto accomuna i detenuti di diversi istituti del territorio nazionale.

Il secondo "On Stage" coinvolge solo i ragazzi del "Malaspina" e quelli degli altri due istituti per minori della Sicilia: Acireale e Catania- Bicocca. Saranno oltre 200 i ragazzi impegnati, per due anni, in 25 laboratori: alcuni avranno anche più di un’edizione per un totale quindi di 42 corsi. I percorsi formativi saranno curati da quattro enti tra cooperative e associazioni: a Palermo la Piccola società cooperativa teatrale Dioniso diretta dall’autore e regista teatrale Claudio Collovà, a Catania e Acireale il Centro sperimentale Kerè, a Bologna e Milano rispettivamente le associazioni BloomCulture teatri e Punto Zero. I ragazzi, fino ad un massimo di otto per laboratorio, impareranno a realizzare scenografie e costumi, le tecniche del trucco cine-teatrale e dell’illuminazione di scena e frequenteranno lezioni di recitazione e di canto prima di mettere tutto in pratica in una kermesse finale ispirata alle opere di Shakespeare, il festival "Famiglie shakespeariane - una trilogia". Nei laboratori saranno coinvolti i centri di giustizia minorile delle tre regioni, il dipartimento del ministero della Giustizia che li coordina, dal ministero del Lavoro e l’assessorato regionale al lavoro e dal teatro Garibaldi di Palermo.

"Negli istituti penali per i minorenni - dice Michele Di Martino, direttore del centro di giustizia minorile della Sicilia - viene data notevole rilevanza alle attività professionali, scolastiche, di animazione culturale e ricreativa come lo sport e il teatro che pongono le basi per una realizzazione dei ragazzi in un contesto di attività lecite. Negli istituti penitenziari della Sicilia c’è in tutto una settantina di giovani che saranno selezionati da psicologi e di educatori sulla base di vari criteri tra cui la predisposizione, l’età e la realtà da cui proviene".

Il festival shakespeariano approfondirà il tema dei rapporti familiari nelle opere del celebre drammaturgo. "Un evento finale - dice Teresa Ambrosini, procuratore della Repubblica per i minori di Palermo - che sarà presentato nei teatri d’Europa in momenti distinti:ad aprile 2007 a Milano, tra aprile e maggio a Bologna e a maggio 2007 a Palermo al teatro Garibaldi e a Catania. Dalla rappresentazione teatrale nascerà anche un film-documentario". Il festival durerà tre giorni con spettacoli serali, dibattiti, incontri e la presentazione di un libro in cui saranno raccolti i contributi critici dei partner del progetto.

Giustizia: ex-Cirielli, prescritti il 67% dei maltrattamenti in famiglia

 

Ansa, 7 ottobre 2005

 

Con la ex-Cirielli c’è il "rischio prescrizione" per il 67,1 per cento dei processi pendenti per maltrattamenti in famiglia. "Si tratta di una legittimazione indotta ad usare violenze sui soggetti deboli (solitamente donne e bambini)". A lanciare l’allarme anche su questo effetto del provvedimento che interviene sulla prescrizione, alla luce dei dati forniti ieri dalla Corte di Cassazione, è Fabio Roia, segretario della sezione milanese di Unità per la Costituzione, la corrente di maggioranza dei magistrati. Secondo Roia, non solo la ex Cirielli con il suo "forte messaggio perdonistico rappresenta "un incentivo per gli imputati a non scegliere riti alternativi per raggiungere l’obiettivo della prescrizione dell’illecito"; ma ha soprattutto l’effetto di vanificare "tutto il lavoro delle forze di polizia, del personale amministrativo e di supporto".

"Alcuni settori di intervento, che hanno visto l’impegno non solo giudiziario di magistrati e avvocati ma anche sociale di servizi, operatori pubblici e privati, rischiano addirittura l’annullamento con una preoccupante valenza culturale di controtendenza" avverte il segretario di Unicost. Il riferimento è in particolare alle situazioni di violenza domestica, visto che "il reato di maltrattamenti in famiglia (che prevede una pena massima di cinque anni di reclusione) viene sottoposto ad un regime di prescrizione più breve rispetto a quello attuale".

Nel ribadire il "sospetto di incostituzionalità" della riforma, Roia sottolinea inoltre "la difficoltà di procedere alla contestazione della recidiva (che presuppone il passaggio in giudicato di sentenze di condanna) proprio nei confronti di una serie di soggetti (stranieri extracomunitari) di difficile identificazione anagrafica a causa dell’assenza di riferimenti documentali. L’invocato rigore - conclude - non troverebbe applicazione proprio in quel settore della media criminalità (contraffazione di documenti, immigrazione clandestina) che viene avvertito da taluni come particolarmente importante per la sicurezza dei cittadini".

Gorizia: il carcere apre le porte alla cultura e allo sport

 

Il Gazzettino, 7 ottobre 2005

 

Il carcere di Gorizia versa in una situazione critica: "Sì, e non solo la struttura ­ come ha spiegato l’assessore provinciale Silvano Buttignon -, ci sono dei problemi inerenti il numero del personale impiegato, troppo esiguo". Dopo una giornata trascorsa insieme ai detenuti, nell’ambito delle premiazioni di una serie di tornei che si sono disputati all’interno della casa circondariale di Gorizia nei mesi estivi, Buttignon fa il punto di questa delicata situazione: "Sono sette anni che la Provincia entra nelle carceri, anche grazie al direttore Giovanni Attinà, con il quale è possibile confrontarsi e parlare, ma soprattutto concretizzare i progetti. I problemi più evidenti, quelli che emergono sono senza dubbio le difficoltà comunicative con i detenuti e non per mancanza di buona volontà". In effetti sui 107 ospiti (ben 27 in più rispetto al numero massimo previsto) delle prigioni di via Barzellini oltre il 50 per cento sono extra comunitari. Questo crea un ostacolo notevole nei rapporti fra gli stessi detenuti e il personale di vigilanza. L’altro pomeriggio la giornata di festa ha visto testimonial d’eccezione il giornalista Bruno Pizzul, l’atleta Fiamme Azzurre Paolo Camosci e lo scrittore Pino Roveredo. In molti dei partecipanti hanno scambiato più d’una parola con gli ospiti condividendo con loro un momento di "libertà" che rende decisamente più umano un ambiente ostile come quello carcerario. Un contatto con la realtà attraverso lo sport, la cultura, la musica che la Provincia promuove nella casa circondariale con convinzione ed impegno.

Torino: alle Vallette apre uno sportello anagrafico del Comune

 

Agi, 7 ottobre 2005

 

Il carcere delle Vallette di Torino avrà al suo interno uno sportello dell’anagrafe. Lo ha annunciato oggi Gavino Olmeo, assessore ai servizi anagrafici del Comune, spiegando che lo sportello permetterà di rilasciare certificati e documenti direttamente ai detenuti che, precedentemente, dovevamo delegare a volontari tale pratica. Il servizio permetterà, tra l’altro, ai detenuti prossimi all’uscita dall’istituto, di avere già i documenti necessari per un reinserimento nella vita sociale meno difficoltoso. Lo sportello anagrafico sarà inaugurato nella prossima metà di novembre.

 

 

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