|
Como: si suicida un giovane detenuto di appena 23 anni
La Provincia di Como, 25 ottobre 2005
Un altro suicidio - il quarto dalla primavera dello scorso anno - scuote le mura del Bassone, dove dal 2004 sono mancati in circostanze drammatiche almeno sei detenuti. L’ultima disgrazia è quella avvenuta a inizio mese - ma di cui solo nelle ultime ore si è avuta conferma ufficiale - protagonista Patrick B., 23 anni, comasco, entrato otto mesi prima per l’ennesimo pasticcio (l’aggressione a scopo di rapina di una donna di Brunate) e uscito cadavere dopo aver inalato gas da due bombolette da campo - dotazione obbligatoria e inalienabile di ogni detenuto. Dell’episodio si è anche occupata la Procura della repubblica, che ha aperto un’inchiesta dovuta, ma che difficilmente potrà far luce sull’ennesimo caso di disperazione dietro le sbarre. Tra Patrick e la libertà c’erano altri 15 mesi di privazioni che il ragazzo, segnato da una vita tribolata e persa prima ancora di sbocciare, non si è sentito di sobbarcarsi. Lo hanno trovato riverso sul pavimento, due bombolette in mano, in condizioni disperate e tali da non lasciare spazio per il tentativo di rianimazione: il gas, spiegano i medici, si fissa agli alveoli polmonari bloccando la respirazione, Patrick come Mara, la 34enne di Barzanò che si era tolta la vita nel novembre scorso dopo 40 giorni al Bassone, e come Oscar - ventenne lui pure, e anche lui vittima di sniffing - e ancora come il muratore rumeno che in estate si era impiccato non riuscendo a reggere l’accusa (se non ancora la sentenza) di aver usato violenza sulla figlia. La situazione nell’ex carcere di sicurezza, inaugurato poco più di 20 anni fa come struttura modello ma afflitto ormai da sovraffollamento cronico, è finita così al centro dell’attenzione anche del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria. "Il dato dei suicidi a Como è obiettivamente preoccupante - dice il provveditore Luigi Pagano, per anni al vertice del penitenziario di San Vittore - e rende conto di una situazione strutturale molto difficile: il Bassone è una casa circondariale, dove il movimento di detenuti in entrata e uscita è elevatissimo (al contrario delle case di pena vere e proprie, dove stanno solo i "definitivi" ndr), e dove il dato della popolazione è abbondantemente sopra i limiti (500 invece di 200, ndr). In queste condizioni è di fatto impossibile sviluppare progetti di recupero e rieducazione che coinvolgano tutti i detenuti". Giustizia: alla Camera il pdl sul Garante dei diritti dei detenuti
Redattore Sociale, 25 ottobre 2005
Sarà presentato questa settimana alla Camera dei Deputati il testo unificato sull’Istituzione del Garante dei diritti delle persone detenute o private della liberta personale. La proposta di legge è stata illustrata stamani presso la sala stampa di Montecitorio dall’associazione Antigone e Franco Corleone (Garante delle persone private della libertà a Firenze). Le 3 proposte di legge Pisapia, Finocchiaro e Mazzoni sono state unificate in un testo approvato dalla Commissione Affari Costituzionali. Il "Garante dei diritti" dovrebbe essere istituito a partire dal 1° gennaio 2006 e "costituito in collegio, composto dal presidente, nominato con determinazione adottata d’intesa dai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, e da 4 membri eletti,a maggioranza assoluta dei componenti e con voto limitato, in numero di 2 dal Senato della Repubblica ed in numero di 2 dalla Camera dei deputati". Inoltre la pdl precisa che il Garante "rimane in carica per 4 anni non prorogabili, fatto salvo il regime di prorogatio". "Il primo disegno di legge diretto alla istituzione del Garante risale al 1998. Fu presentato alla Camera dei Deputati da Giuliano Pisapia (Prc) e al senato, fra gli altri da Ersilia Salvato, Luigi Manconi, Elvio Fassone e Francesca Scoppelliti", ha ricordato il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, delineando il profilo del Garante: "Si tratta di una figura già presente in molti Paesi europei, seppur con caratteristiche diverse da Stato a Stato. L’Italia ha firmato, seppur non ancora ratificato, il Protocollo Onu alla Convenzione sulla Tortura che impone la introduzione nel nostro sistema di una figura indipendente con poteri ispettivi dei luoghi privati della libertà personale". Inoltre le nuove Regole penitenziarie europee, che saranno approvate entro la fine del 2005, "prevedono al proprio interno che in ciascuno stato del Consiglio di Europa si istituisca un organismo con compiti ispettivi degli istituti di pena - ha riferito Gonnella -. La Regione Lazio, la Provincia di Milano, i Comuni di Roma, Bologna, Firenze, Torino, Nuoro hanno già istituito figure a livello territoriale con compiti di tutela dei diritti delle persone private della libertà. Tali figure, in assenza di una legge nazionale, sono prive dio poteri specifici". Cremona: più spazio alle associazioni che si occupano di detenuti
La Provincia di Cremona, 25 ottobre 2005
Il carcere di Cà del Ferro deve aprirsi finalmente all’esterno rimuovendo quegli ostacoli che ne fanno un luogo a parte e complicano l’attività dei volontari desiderosi di impegnarsi a favore dei detenuti. Con questa mozione presentata da quasi tutti i partiti del centrosinistra (prima firmataria Luciana Carini, Ds) la vicenda mai risolta del difficile rapporto tra casa circondariale e città arriva in consiglio comunale. Il documento prende le mosse "dalla presenza sul nostro territorio delle associazioni di volontariato e del terzo settore che hanno operato e sviluppato competenze specifiche nell’ambito penitenziario realizzando progetti significativi", dalla preparazione scolastica ai laboratori di teatro e musica, dall’assistenza a carcerati ed ex carcerati all’organizzazione di dibattiti e convegni nazionali. A uno di questi gruppi, l’associazione Zona franca, "non è stato più concesso dal 2003 di continuare nei progetti avviati e sono rimaste lettera morta ulteriori proposte". Anche "altri soggetti istituzionali tradizionalmente attivi all’interno di Cà del Ferro vedono ristretti i propri spazi di intervento". Nella mozione si ricorda poi "che è stato istituito a Cremona un tavolo di coordinamento e programmazione delle attività a sostegno dei detenuti denominato "Comitato carcere territorio", il cui coordinamento è affidato al Comune". Ma questo organismo "non ha potuto avvantaggiarsi, come auspicabile, della collaborazione da parte della direzione della casa circondariale". Dopo l’analisi, la proposta che il consiglio comunale impegni il sindaco e la giunta "a sollecitare una maggior partecipazione della direzione di Cà del Ferro all’attività del Comitato carcere territorio". E questo "affinché sia possibile il pieno funzionamento del Comitato stesso; vengano rimossi gli ostacoli che impediscono una piena partecipazione della comunità esterna, nelle sue diverse espressioni, all’opera di risocializzazione dei detenuti; non vada persa ma possa essere adeguatamente spesa all’interno del carcere la ricchezza dell’offerta che arriva dal territorio", dagli enti istituzionali come dal volontariato. Nella mozione si sottolinea che in Cà del Ferro ci sono trecento detenuti, oltre a circa 150 agenti di polizia penitenziaria ("Una realtà che si configura come un quartiere della città"), e si sottolinea che il carcere "è il luogo in cui si scontano le pene il cui fine, come prevede il dettato costituzionale, deve tendere alla risocializzazione". La mozione - se ne discuterà in uno dei prossimi consigli comunali - è stata firmata, come detto, da vari esponenti del centrosinistra, la coalizione al governo della città, e tutto lascia prevedere che sarà approvata. Cosa risponderà a quel punto la direzione del carcere? Teramo: dieci detenuti puliranno le aree verdi del cimitero
Il Quotidiano, 25 ottobre 2005
Due giornate di permesso premio per pulire le aree verdi lungo i viali cimiteriali saranno concesse a dieci detenuti del carcere di Teramo, nell’ambito di un progetto per il recupero del patrimonio ambientale, stipulato dalla direzione della casa circondariale con il Comune e con la società Teramo Ambiente. La pulizia della zona verde e dei viali dei cimiteri comunali - in città e nelle frazioni di San Nicolò a Tordino e Forcella - sarà effettuata mercoledì e giovedì prossimi, dalle ore 8 alle 20. All’iniziativa parteciperanno detenuti, autorizzati dal magistrato di sorveglianza di Pescara, che aderiscono a titolo volontario e gratuito. Obiettivo del progetto è consentire ai partecipanti di espletare un’attività utile alla collettività, nel rispetto del più ampio concetto di giustizia come mezzo per riparare al danno compiuto, volto anche al riscatto sociale e a dare un’immagine positiva di coloro che, pur avendo sbagliato, intendono programmare uno stile di vita rispondente alle regole sociali. Milano: a proposito dell’intervista alla direttrice di S. Vittore...
Comunicato Stampa, 25 ottobre 2005
Ai Sigg Franco Corleone, Nando Dalla Chiesa, Giovanna Fratantonio, Luigi Manconi, Alessandro Margara, Giuliano Pisapia, Sergio Segio, e alla Federazione Nazionale dell’Informazione dal carcere e sul carcere.
Vi segnaliamo l’intervista alla direttrice di San Vittore Gloria Manzelli pubblicata sulla Padania il 4 ottobre scorso. Le affermazioni della direttrice sul buon andamento della gestione di San Vittore contrastano con la realtà quale risulta dall’osservazione quotidiana dei frequentatori esterni abituali del carcere. Naturalmente per avere un quadro preciso della situazione di San Vittore nei suoi molteplici aspetti occorrerebbero dati precisi, che non abbiamo la libertà di raccogliere senza il permesso della direttrice stessa. Ci sembra sorprendente l’attacco alla sinistra da parte di una figura pubblica, che ha fra i suoi collaboratori persone aderenti a tutti gli schieramenti. C’è da sperare che il reale pensiero della direttrice sia stato travisato dal redattore della Padania. Ci piacerebbe sapere una vostra opinione a riguardo. Cordiali saluti.
Gruppo Calamandrana, Lega per i Diritti dei Popoli, Naga, Lila Milano Libri: "Braccio della morte", una sfida alla giustizia americana
Gazzetta del Sud, 25 ottobre 2005
Caryl Chessman – "Cella 2455. Braccio della morte" Baldini & Castoldi Dalai pagine 426 - euro 17,20. Un uomo su una sedia, le braccia e le gambe immobilizzate nell’attesa che le pillole venefiche cadano e inondino la stanza di una nube che lo ucciderà. Una stanza nel cuore di un penitenziario, dove la vita vale sempre meno e vale ancora di meno quando ti porti sulla spalla una condanna a morte che può essere eseguita anche domani, se un giudice o una giuria si stancheranno degli appelli o li riterranno inutili, davanti al dolore inestinguibile di una famiglia davanti alla fine violenta di qualcuno. La letteratura "carceraria" americana ha una tradizione antica e pregevole, e una delle firme che ha segnato una linea di confine è quella di Caryl Chessman, perché era egli stesso un condannato a morte che fu giustiziato tra quelle mura invalicabili da cui era, però, riuscito a fare volare un grido di libertà, e non di disperazione come forse ci si sarebbe attesi. Torna, a cura di Baldini Castoldi Dalai, uno dei capisaldi di questo genere letterario. "Cella 2455 - Braccio della morte", che Chessman scrisse, di nascosto, nel carcere di San Quintino, dove era stato recluso dopo la condanna capitale inflittagli. Chessman – la sua storia è nota – era stato arrestato nel 1948 con l’accusa d’essere il "bandito della luce rossa", cioè l’assassino che, in California, colpì una trentina di volte aggredendo coppie di giovani appartati in automobili, alle quali si presentava vestito da poliziotto e sparando verso di loro un fascio luminoso di colore rosso, simile a quello usato dagli agenti di pattuglia. Alcune di quelle aggressioni si conclusero con la morte dei giovani amanti. Chessman fu catturato e accusato di quei crimini e, di essi, nonostante si professasse estraneo, riconosciuto colpevole tanto da essere condannato alla morte in una camera a gas. Cominciò da allora una lunga battaglia fatta di ricorsi e appelli che redigeva nella sua cella di San Quintino, attuando una tattica dilatoria che fece cronaca e, quindi, storia, riuscendo a fare rimandare la data fatale di una dozzina di anni. E mentre la sua battaglia contro la condanna e, insieme, contro il sistema giudiziario americano andava avanti, il mondo intero cominciò a conoscerlo. Anche grazie ai libri che scrisse in cella e riuscì a fare pubblicare. Tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta, quando le sue fotografie occupavano giornali e settimanali, quell’uomo dal viso certo non bello, ma dagli occhi penetranti, divenne quasi familiare a tutti. Anche in Italia, dove ci si appassionò non tanto per i suoi proclami di innocenza, quanto per l’esito di uno scontro impari tra un detenuto qualsiasi e la potente macchina della giustizia americana. Dalla sua Caryl Chessman ebbe, inizialmente, solo se stesso. Poi, a poco a poco, mentre i suoi romanzi diventavano best seller, milioni di persone sperarono che alla fine le sue professioni di innocenza fossero accolte. Ma i giudici – tanti giudici – non diedero credito a Chessman, che, se in carcere aveva affinato una capacità letteraria inattesa, era pur sempre un banditello da quattro soldi, un uomo dal passato sin troppo invitante per investigatori che per anni avevano dato invano la caccia al "bandito dalla luce rossa". "Cella 2455" è un libro durissimo, perché in esso Chessman riuscì a infondere tutto se stesso, tutto il suo essere malvivente, ma insieme un uomo incapace di assoggettarsi a un giudizio di colpevolezza che rifiutava. La galleria di personaggi che "Cella 2455 - Braccio della morte" propone tratta in gran parte di persone che si sono macchiate di ogni delitto, di ogni nefandezza e che, però, nonostante tutto, riescono a restare uomini in un mondo chiuso in cui la violenza resta la sola certezza, la libertà l’unica speranza. Libri: Regina Coeli, immagini e dolori oltre quegli scalini...
Corriere della Sera, 25 ottobre 2005
"Qui neanche la palla può andarsene via o volare oltre il muro...", diceva un giorno un recluso. Esce un libro per raccontare quel grande palazzo di via della Lungara 29, lungo tutto il suo perimetro di 710 metri e il suo universo inevitabilmente concentrazionario. Regina Coeli, quel mondo ignoto che si apre oltre i tre famosi scalini che portano dentro. Il libro fotografico l’ha realizzato Pino Rampolla, fotografo di rango. Lo pubblica Herald Editore, casa editrice messa in piedi da Roberto Boiardi con l’aiuto dei detenuti del Gisca (Gruppo italiano scuola carceraria). Viene presentato questa mattina con i vertici dell’amministrazione penitenziaria, la sottosegretaria Santelli, l’attore Montesano. Ricordate la canzone? "Dentro a Regina Coeli c’è ‘no scalino. Chi nun salisce quello non è romano, nun è romano e manco trasteverino...". E poi: "L’amore mio me manna ‘na pagnotta. Che a me er vitto der Coeli nun m’abbasta. Si nun se sbriga me ce trova l’ossa...". "Dentro Regina Coeli c’è ‘na campana. Possi morì ammazzato a chi la sona. Si la sona er mio amore. Che Dio l’aiuta...Amore amore manneme un saluto. Dentro Regina Coeli sò rinserato. Me trovo come ‘n arbero caduto...". Passano gli anni ma la canzone resta. Insieme a Regina Coeli, che non mostra nessuna intenzione di essere trasferita altrove. Giace da qualche parte il progetto di trasformare il palazzo in un Museo. Restano sospesi nella memoria i nomi: Gramsci, Terracini, Pertini, Saragat e tanti altri che sono stati reclusi lì. E allora bisogna guardare questo carcere che a volte sfora quota mille, un triste Rampolla ci mostra rotonde, bocche di lupo, ufficio "matricola", camera dei "perquisiti", fotosegnalazione, psicologo, guardie, chiavi, sezioni, parlatorio, spioncini, letti a castello, sbarre, angoli cottura, docce, "battitura", biblioteca, volontari, suore, scuola, calcetto, infermeria, lavanderia, sartoria, legatoria, falegnameria, tipografia, spesa", barbiere, Messa...Manca solo la "Domandina", ma il carcere c’è tutto. Droghe: Fini; varo disegno di legge entro fine legislatura
Il Tempo, 25 ottobre 2005
Sarà approvato entro la fine dell’attuale legislatura il disegno di legge messo a punto dal governo sulle tossicodipendenze: lo ha confermato il vice premier e presidente di AN, Gianfranco Fini, che ha parlato di una "corsia privilegiata" per questo provvedimento. "Stiamo lavorando - ha detto Fini - per stralciarne alcune parti, individuando quelle determinanti e farlo approvare entro la fine dell’attuale legislatura. È un provvedimento che serve anche a non chiudere gli occhi davanti ad un fenomeno preoccupante come quello del dilagare del consumo di droga". Riccardo Pedrizzi, responsabile nazionale di An per le politiche della famiglia sostiene che è un provvedimento "talmente necessario ed urgente da consigliare, all’esecutivo, di porre anche la questione di fiducia". "Uno degli scopi principali del ddl - sottolinea Pedrizzi - è quello dì reintrodurre l’effettiva punibilità degli spacciatori, coprire con graduali provvedimenti di tipo amministrativo, di intensità crescente, la zona grigia posta fra il consumo e lo spaccio, dai momento che anche la mera detenzione di apprezzabili quantità di stupefacenti si è dimostrata costituire significativo punto di partenza per la diffusione del fenomeno". Per il senatore, "chi è contro il ddl Fini è a favore dei pusher, vuole che essi possano continuare, tranquilli e indisturbati, a vendere morte ai nostri figli". Ma Daniele Capezzone dei Radicali sostiene che "l’intenzione di una accelerazione per approvare con corsia preferenziale gli articoli più restrittivi del disegno di legge governativo sulla droga si tradurrà nella galera, nel carcere (con la sola alternativa della comunità di recupero: il che è paradossale) per chiunque venga trovato in possesso di sette-otto spinelli. Insomma, potenziale carcere o potenziale comunità di recupero per centinaia di migliaia, o forse per qualche milione di italiani". E Capezzone annuncia che proporrà al Congresso di Radicali italiani, che si apre il prossimo weekend, una mobilitazione straordinaria. Pedrizzi però ha replicato che si incorrerà nella sanzione penale solo se si verrà trovati in possesso di più di: 500 milligrammi di principio attivo di cocaina; 200 mg di eroina; 0,05 mg di Lsd; 200 mg di metadone; 200 mg di morfina e oppio; 250 mg di cannabis. "Chi va in giro con tali quantità di sostanze stupefacenti non è perché ne vuole fare un mero uso personale, ma perché vuole spacciarle o comunque cederle". Terni: con un progetto i detenuti si inventano agricoltori
Green Planet, 25 ottobre 2005
Dietro le sbarre i progetti lavorativi delle quatto carceri della regione. C’è anche la "condanna" all’agricoltura biologica. Potranno cimentarsi anche come agricoltori i detenuti del carcere di Vocabolo Sabbione a Terni quando decollerà il progetto "Agricola Terni", in fase di allestimento dopo la convezione siglata con l’Università di Perugia, dipartimento di Agraria. È una delle possibili novità sul fronte lavorativo attuate per chi vive dietro le sbarre. Il progetto prevede l’allestimento di attività agricole e agro-alimentari, con attività di formazione, lavorative e di commercializzazione, con l’utilizzo di metodologie biologiche a basso impatto ambientale finalizzate all’inserimento lavorativo dei detenuti. "Agricola Terni" - emerge dall’ultimo dossier del Provveditorato per l’Amministrazione penitenziaria dell’Umbria che fotografa la situazione delle 4 carceri - sarà finanziato dalla Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria. Sul fronte lavorativo complessivamente sono 308 i detenuti che in Umbria lavorano alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria, mentre altri 34 lavorano in regime di semilibertà, di lavoro all’esterno o in qualità di soci cooperative. Tra le attività svolte negli istituti di pena - in collaborazione con società o cooperative esterne - la casa di reclusione di Spoleto ha attivato laboratori di falegnameria, sartoria e tipografi, mentre a Orvieto sono attive tre lavorazioni penitenziarie di falegnameria, officina fabbri e laboratorio ceramica. Terni, infine ha un laboratorio per falegnami. Perugia non ha ancora lavorazioni interne impossibili da realizzare nella vecchia struttura di piazza Partigiani. Verona; Castelli; chiarezza su morte di Christian Orlandi
L’Arena di Verona, 25 ottobre 2005
Christian Orlandi, all’epoca 26 anni, era in carcere con l’accusa di omicidio, per l’uccisione di un suo amico, Stefano Malagoli, 31 anni, di Modena. I due, insieme ad altri tre amici, tutti modenesi, il 21 dicembre 2003 stavano rientrando a casa dopo aver trascorso la serata allo Stargate di Castagnaro (Verona). L’omicidio avvenne a Legnago (Verona). Il gruppo era formato da Stefano, Christian e Alice (con la quale Christian era fidanzato da tre mesi) e un’altra coppia, Luca e Silvia. Sia all’interno del locale sia nel viaggio di ritorno c’erano stati dissapori tra Stefano e Christian (quest’ultimo aveva già precedenti per porto abusivo d’arma, lesioni personali, spaccio di droga) che non aveva gradito le avance dell’amico, un po’ brillo, ad Alice. I due, come ricostruì tra gli altri L’Arena di Verona, erano venuti alle mani già all’interno dell’auto tanto da costringere il guidatore a fermarsi e a far uscire i due litiganti che si affrontarono violentemente. Gli altri tre erano stati per un momento spettatori della rissa ma poi erano intervenuti per dividere i due amici. Troppo tardi: Christian aveva le mani e i vestiti sporchi di sangue, Stefano invece era immobile sull’asfalto, colpito da cinque coltellate. Christian finì in carcere, dove morì dopo alcuni mesi. Il giovane si era sentito male pochi minuti dopo aver terminato il colloquio con la giovane moglie, sposata durante la detenzione. Secondo la ricostruzione fatta dagli agenti di polizia penitenziaria, era stato il compagno di cella ad accorgersi che Orlandi stava male e a dare l’allarme. Orlandi morì senza riprendere conoscenza. Accanto al corpo non venne trovato nulla che potesse far pensare a una morte violenta o a un’overdose. Palermo: pochi agenti all’Ucciardone, detenuti li aggrediscono
Ansa, 25 ottobre 2005
L’aggressione di agenti di polizia penitenziaria da parte di alcuni detenuti dell’Ucciardone è stata denunciata oggi da alcune guardie a margine della visita del sottosegretario alla Giustizia, Luigi Vitali a Palermo. Secondo gli agenti, gli episodi "per i quali sono state presentate relazioni di servizio al direttore" del carcere, si sono verificati quando in una sezione dell’istituto di pena c’era una sola guardia in servizio, rispetto alle centinaia di persone detenute. I rappresentati sindacali della polizia penitenziaria sostengono, infatti, che la "carenza di organico porta a far star male gli agenti e allo stesso tempo i detenuti che non possono ricevere in questo modo una adeguata assistenza". Giustizia: Zanella (Verdi) a Castelli, emergenza è esplosiva
Ansa, 25 ottobre 2005
"L’impegno del Ministro della Giustizia è apprezzabile: gli ricordo tuttavia che l’emergenza carceraria in Veneto e nel resto del paese è esplosiva, come denunciano varie interrogazioni parlamentari tra le quali una riguarda propria la morte del giovane Christian". Luana Zanella, deputata Verde, commenta così l’intervento in diretta televisiva nella trasmissione di Maurizio Costanzo "Tutte le mattine"del ministro Roberto Castelli dopo la morte di un giovane di 26 anni nel carcere veronese di Montorio. "Proprio pochi giorni fa - spiega Zanella - ho denunciato la grave situazione del carcere veneziano di Santa Maria Maggiore che, con una capacità di accoglienza di 150 detenuti, si trova a doverne ospitare al momento ben 270. Le risorse per il settore giustizia, come ha evidenziato la Relazione della Corte dei Conti sul Rendiconto Generale dello Stato per il 2004, diminuiscono sempre più, a fronte di sempre nuove spese. Inoltre, dallo Stato di previsione del Ministero della giustizia (Bilancio 2006), appena approdato all’esame del Senato, risulta che il Fondo da ripartire per l’edilizia penitenziaria è inferiore a quello dello scorso anno (137.366.931 euro in termini di competenza, 115.230.564 in termini di cassa). Una situazione drammatica nella quale è maturata la morte di Christian e purtroppo di molte altre persone a fronte della quale chiediamo al Ministro di favorire l’attivazione delle misure alternative al carcere per decongestionare gli istituti penitenziari e per renderli più vivibili in modo che gli stessi operatori possano svolgere meglio il proprio compito di sostegno". Droghe: don Rigoldi; diffusione epidemica della cocaina
Affari Italiani, 25 ottobre 2005
Le droghe sono ormai ovunque. Della coca c’è una diffusione epidemica perché è quella più diffusa negli ambienti vip, nei locali alla moda. Don Gino Rigoldi, fondatore e presidente di Comunità Nuova e cappellano del carcere Minorile di Milano, fa con Affari il quadro della situazione. Dopo Calissano, Lapo, Kate Moss, e dopo il maxi blitz nel mondo dello spettacolo di stamattina.
Hashish e cocaina eroina. Qual è la droga più diffusa? L’hashish è molto diffuso, soprattutto tra i giovani, e soprattutto nelle scuole. Se ne fa un uso molto ampio, ma tutto dipende da quanta droga si mette nello spinello e da quanti spinelli al giorno una persona si fa. Diciamo che se il consumo è saltuario non ha gradi effetti. Poi c’è chi si alza la mattina e ogni mezz’ora si fa una canna. Beh, allora si tratta di un tossicodipendente, perché non vive senza lo "spino". Non si relaziona, non parla con gli altri, non ne può fare a meno perché non riesce a ridere, che lo fa ridere e a divertirsi senza la sua dose quotidiana.
E la coca? Sembra il momento del boom... Già, è vero. C’è una diffusione epidemica della cocaina. O meglio, in generale delle cosiddette droghe prestazionali, tipo le pasticche, oltre alla coca. Allo stadio, alle feste, meno a scuola, nei locali, soprattutto in quelli vip. Ormai è ovunque. C’è una diffusione impressionante.
E ormai ci si droga tranquillamente, come se fosse un passatempo? O ci sono dei motivi che spingono a farlo? Purtroppo è il gruppo spinge alla droga. Ci sono dei ragazzi, passati per la mia Comunità o che incontro per strada, che sono rimasti soli, che non escono più con i loro amici, perché si sentono gli unici imbecilli che decidono di non fare uso di coca. E così al posto di essere emarginato, o di sentirsi un handicappato, preferisce autoescludersi dal gruppo.
Cosa fa la cocaina? Bè, aumenta notevolmente le prestazioni. Si comunica più facilmente, ci si sente più sicuri di sé. Ma in realtà è la sostanza chimica che provoca tutto questo. E dopo un po' ti senti a pezzi. Perché quella sostanza piano piano ti corrode.
Perché si chiamano prestazionali queste nuove droghe? Perché ti danno la capacità di relazione, ti rendono protagonista, brillanti, pimpanti, sessualmente più prestanti, ti danno energia. Diciamo che ormai si comprano anche quelle che sono le prestazioni naturali, spirituali. Si compra l’agente chimico che te lo provocano.
C’è differenza tra la coca che costa 40 euro al grammo e quella che costa 300 euro? Certo, chi compra quella che costa meno, in generale, rischia di più, perché chissà com’è tagliata. E le conseguenze possono essere delle peggiori. Giustizia: Vitali; molti istituti di pena sono fatiscenti
Ansa, 25 ottobre 2005
"Molte strutture penitenziarie sono fatiscenti e fra questi l’Ucciardone ha bisogno di molti interventi". Lo ha detto il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Vitali, a conclusione della visita all’istituto di pena di Palermo. Vitali era accompagnato dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Gianni Tinebra, dal direttore generale del personale, Gaspare Sparacia, dal provveditore regionale della Sicilia, Orazio Farano e dal direttore della casa circondariale, Maurizio Veneziano. Il sottosegretario incontrando i giornalisti ha ricordato che il governo "voleva dismettere gli istituti che hanno bisogno di molti interventi e vendendoli si sarebbero potute realizzare nuove strutture, ma le pastoie burocratiche hanno impedito tutto ciò". Per diminuire la popolazione carceraria Vitali ha riproposto di evitare di far rimanere negli istituti di pena i tossicodipendenti e di affidarli "a strutture private alternative". La presenza degli extracomunitari incide molto nella popolazione carceraria, e Vitali propone di realizzare nei paesi di provenienza degli extracomunitari strutture penitenziarie in cui inviare questi detenuti. "Si può ripetere - afferma il sottosegretario - l’esperienza fatta con l’Albania dove abbiamo fornito uomini e mezzi per realizzare le carceri". Vitali ha poi affrontato la carenza di personale all’Ucciardone, dove esiste un centro clinico, pronto per essere utilizzato, ma resta chiuso perché non ci sono persone da impiegare. "Agli agenti di Palermo - ha affermato Vitali - non possiamo dare aumenti salariali. Possiamo dare però la nostra solidarietà per l’impegno che svolgono ogni giorno in queste precarie condizioni". Sulla carenza di personale della polizia penitenziaria sono intervenuti i sindacati che hanno denunciato sovraccarichi di lavoro, straordinari non retribuiti e carenze di agenti preposti al controllo delle celle. Palermo: sott. Vitali e direttore Dap visitano Ucciardone
Adnkronos, 25 ottobre 2005
Più di settecento detenuti chiusi in celle da sei, otto e persino dieci persone in pochi metri quadri. Spazi stretti, angusti e, soprattutto, fatiscenti. Eccolo, quello che rimane del vecchio Grand Hotel Ucciardone, il carcere borbonico palermitano che negli anni Ottanta e Novanta era abitato dai più grossi boss mafiosi siciliani, primo fra tutti Michele Greco il ‘Papà, che brindavano con lo champagne più costoso e che riuscivano a vivere una detenzione davvero dorata, commissionando persino omicidi. Oggi è tutta un’altra cosa. Una struttura vecchia, vecchissima, con quattro sezioni chiuse e solo quattro aperte. "È una struttura effettivamente datata che avrebbe bisogno di numerosi interventi, ma che sono incompatibili con la stessa struttura". Ad ammetterlo è il sottosegretario alla Giustizia Luigi Vitali, che oggi ha visitato, insieme con il direttore del Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Giovanni Tinebra, il carcere Ucciardone di Palermo. Una visita durata poco più di un’ora. Il primo posto dove il sottosegretario è stato accompagnato dal direttore del carcere Maurizio Veneziano, insieme con il Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria in Sicilia Orazio Faramo, il dirigente generale del personale della Formazione del Ministero della Giustizia, Gaspare Sparacio e il vicario del Provveditorato Gianfranco De Gesu, è stata l’area verde. Un piccolo eden in una struttura data nel tempo. Con tanto di parco giochi per i bambini e un prato all’inglese. A due passi c’è la sezione dei detenuti di alta sicurezza, tra cui i mafiosi condannati per 416 bis. Seconda tappa della visita, a cui hanno assistito anche alcuni giornalisti, è stato il Laboratorio di Analisi cliniche, e subito dopo il centro diagnostico terapeutico. Un centro all’avanguardia, con tanto di stanza per gli esami radiografici, le ecografie, lo studio odontoiatrico, la chirurgia e la Guardia medica. "In realtà - spiegano i responsabili della struttura - questo centro medico non ha mai funzionato perché manca il personale. Ci vorrebbero almeno trenta o quaranta agenti penitenziari, che non ci sono". "Si potrebbero prendere da altre carceri, dove ce ne sono più del previsto", ha spiegato il sottosegretario. Già, gli agenti penitenziari, una nota dolente. "Ci siamo resi conto - ha spiegato il sottosegretario alla Giustizia con delega al Dap Luigi Vitali - che le guardie penitenziarie lavorano in condizioni difficili. Le loro condizioni non sono molto diverse da quelle dei detenuti. Sappiamo che non possiamo dare loro una medaglia, oppure dei soldi, ma voglio dire loro che hanno tutta la mia solidarietà". E a pochi passi dal sottosegretario, c’è una folta rappresentanza di guardie penitenziarie che chiede al sottosegretario di essere "ascoltata". "Non vengono fatte assunzioni dal lontano ‘96 - si è sfogato Gioacchino Veneziano, segretario regionale Uil del settore penitenziario in Sicilia - Ci sono colleghi che vanno in pensione o che lasciano e nessuno di loro viene sostituito, mentre lo stesso accade in tutte le altre forze, dai carabinieri alla Polizia. Un altro allarme lanciato dal sindacato è quello dei suicidi. "Il ministro Castelli - ha spiegato Mimmo Balletto, segretario Cisl - ha detto che sono diminuiti i suicidi dei detenuti, perché nessuno parla dei suicidi dei nostri colleghi. L’ultimo si è tolto la vita all’Ucciardone appena due settimane fa". Quella volta, la guardia penitenziaria si era sparata un colpo di pistola alla testa. Un altro problema è quello del lavoro. "A volte - ha detto una guardia penitenziaria - siamo costretti, soprattutto la sera, a controllare due piani interi e, inoltre, dare il cambio alla "sentinella" sulla torre. È umanamente impossibile. Ci sentiamo sull’Isola dell’Ucciardone, altro che Isola dei Famosi...". Infine, dito puntato su 470 agenti precari a cui a novembre scadrà il contratto di lavoro. "Non vi preoccupate - ha detto il sottosegretario - Faremo un maxi emendamento per rispettare questo impegno...". Ma i sindacati replicano: "Troppo tardi, il prossimo mese il contratto scade e verranno tutti mandati a casa". Il sottosegretario alla Giustizia Luigi Vitali ha parlato di eventuali "soluzioni" al problema del sovraffollamento e della struttura ormai antica. "La volontà - ha spiegato - è quella di dismettere istituti come questo, ma ci siamo scontrati purtroppo con le solite pastoie burocratiche. Le risorse per le carcere ci sarebbero, ma non siamo riusciti a spenderle perché il processo della realizzazione dei nuovi istituti di pena doveva coincidere con quello di dismissione. Insomma, ci siamo scontrati con un muro di gomma. Inizialmente avevamo a disposizione più di mille miliardi di vecchie lire, ma il grosso non è mai partito proprio per questi problemi". Proposte anche soluzioni per la presenza eccessiva di extracomunitari e tossicodipendenti: "I tossicodipendenti - ha detto Vitali - non possono stare con i detenuti comuni, per questo ho proposto le strutture privare". Per quanto riguarda, invece, gli extracomunitari, Vitali ha le idee chiare: "Una specie di Piano Marshall penitenziario. In altre parole, aiutare i paesi di provenienza a cerare strutture adeguate di detenzione, come è accaduto con l’Albania, dove ha funzionato". Cosenza: progetto "l’Esperienza di Ofelos" per le detenute
Adnkronos, 25 ottobre 2005
L’esperienza di Ofelos, progetto di animazione culturale per le donne detenute, sarà presentato giovedì prossimo alle ore 18.00 nel salone del comune di Cosenza. All’incontro, promosso dall’assessorato alle politiche femminini del Comune e dal Centro Italiano Femminile della Provincia di Cosenza parteciperanno il sindaco Eva Catizone e la presidente provinciale del Cif Ada Lorenzon. Interverranno, inoltre, Gisella Florio, vice presidente provinciale del Cif, Felicita Cinnante, assessore alle politiche femminili del Comune di Cosenza, Angela Napoli, Vice Presidente della Commissione Nazionale Antimafia e Laura Cima, deputato della Repubblica. A moderare sarà la giornalista Elena Scricano, capo ufficio stampa del Comune.
|