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Giustizia: Castelli; così le carceri rischiano di scoppiare
La Padania, 14 ottobre 2005
La giustizia, "contrariamente agli anni passati", parteciperà al sacrificio e ai tagli chiesti a tutti i ministeri. Il Guardasigilli Roberto Castelli, a margine del salone nautico di Genova, ha sottolineato che il bilancio dello Stato per il 2006 diminuirà, "e anche il bilancio della giustizia diminuirà nella stessa misura. Tant’è vero che la percentuale di spesa rispetto al bilancio resta invariata attestandosi all’1,58 per cento, in linea con gli altri Paesi europei". Il ministro ha inoltre chiarito che non toccherà gli stipendi dei magistrati la proposta di abbassare lo stipendio dei parlamentari, nonostante questi siano agganciati e parametrati come quelli dei magistrati. Castelli, che ha ricordato come nel primo consiglio dei ministri del 2001 i membri dell’esecutivo si siano già abbassati lo stipendio, ha ricordato che "è stato proposto di abbassare lo stipendio ai parlamentari, ma ricordo che le Camere agiscono in piena autonomia. È ovvio che questa è una questione che riguarda la politica e non riguarda assolutamente i magistrati". Intervenendo in commissione Giustizia a Palazzo Madama durante l’esame della legge finanziaria, il ministro ha invwcw sottolineato come la "complessiva tenuta del sistema penitenziario rischierebbe di saltare intorno alla metà del 2007", senza adeguate risorse finanziarie. Negli ultimi anni, ha sottolineato Castelli, si è registrato mediamente un incremento della popolazione detenuta pari a circa 2.000 detenuti all’anno, risultante dalla differenza fra circa 86.000 nuovi ingressi annui e 84.000 dimissioni, sempre annue. "Nel corso dei primi sei mesi del 2005 - ha detto Castelli - il trend di crescita della popolazione detenuta è improvvisamente aumentato, facendo registrare ben 4.000 detenuti in più nel primo semestre". Per Castelli, se questo nuovo trend risultasse confermato anche per gli anni successivi, il sistema penitenziario rischia di saltare nel 2007. Il Guardasigilli ha ricordato che durante tutti gli anni ‘90, fatta eccezione per Bollate, "non è stata programmata la realizzazione di nessuna nuova struttura penitenziaria", e considerando che le nuove strutture penitenziarie progettate nel corso di questa legislatura non potranno essere realizzate e utilizzate almeno prima di 10 anni, "l’unico versante su cui è possibile agire è quello della riapertura di alcuni reparti di strutture penitenziarie attualmente chiusi perché obsoleti, previo il loro adeguamento strutturale". Per far questo sarebbero necessarie quindi nuove risorse. Rispondendo ad alcune domande dei senatori, il ministro Castelli ha ammesso che la crescente presenza di immigrati provenienti da paesi extracomunitari che delinquono ha avuto un ruolo significativo nell’incremento della popolazione detenuta. "L’attenzione del governo su questo problema - ha sottolineato Castelli- é dimostrata dalla cosiddetta legge Bossi-Fini che consente, tra l’altro, di espellere gli immigrati condannati a pene detentive nel limite di due anni. I dati relativi - ha aggiunto - all’applicazione della legge appaiono significativi, consentendo di far tornare nei rispettivi paesi circa 100 condannati paese". Il Guardasigilli ha anche evidenziato le difficoltà che si incontrano per la stipulazione di contratti che consentono l’espiazione nel paese di provenienza della pena inflitta a condannati destinatari di misure di espulsione dal territorio italiano, sottolineando come l’Italia abbia, invece, "il merito di aver fatto da battistrada per gli altri Stati europei avendo stipulato per prima un trattato di questo tipo con l’Albania". Castelli, infine, ha ricordato, nel corso del suo intervento in commissione Giustizia come sia "indispensabile stabilizzare la posizione dei 500 ausiliari attualmente in forza alla polizia penitenziaria". Ieri il ministro ha anche parlato degli scontri avvenuti durante il G8 di Genova spiegando che il processo ai 45 appartenenti alle forze dell’ordine accusati di violenze a manifestanti reclusi nella caserma di Bolzaneto sia "un esempio di come il mondo vada a rovescio". "Quel processo è appena iniziato - ha detto Castelli - e già si parla di prescrizione. Ricordo che, almeno stando alle dichiarazioni rilasciate ieri, ci vorranno almeno 250 udienze. Ricordo anche che questo processo si prescriverà in sette anni e mezzo. Nel mondo che non va a rovescio, 250 giorni lavorativi sono poco più di un anno e qui si pensa che non basteranno 3 anni per esaurirlo. Bene, io lotto per raddrizzare il mondo". Castelli indica il processo ai poliziotti e ai carabinieri per le violenze di Bolzaneto "come una tipica vicenda del mondo alla rovescia. In quei giorni la città è stata devastata e i genovesi se lo ricordano bene, così come me lo ricordo io che quella notte ero a Genova. Nessun colpevole è stato trovato, in compenso si cercano colpevoli tra coloro che hanno cercato di impedire la devastazione. Questo è un primo punto che mi fa tristemente pensare che il mondo va alla rovescia". Brescia: "Carcere e Territorio", ecco la via al reinserimento
Giornale di Brescia, 14 ottobre 2005
Il carcere fa paura, istintivamente sollecita un atteggiamento di presa di distanza. In un tempo nel quale il sentimento comune diffuso è di una sorta di grande accerchiamento, da una parte per mano di una criminalità che entra con una violenza fino a qualche anno fa impensata nella quotidianità del vivere, per cerchi più ampi ma comunque incidenti attraverso un terrorismo che va cambiando le norme della convivenza anche in Paesi culla del diritto, può apparire una provocazione alzare la bandiera dei diritti dei carcerati. L’Associazione Carcere e Territorio ne è talmente consapevole che sollecita, accanto ai sentimenti di umanità, giustizia e riconciliazione sociale che ne fondano l’azione, anche i nostri interessi: ci conviene, spiegano, perché costa meno ed è più efficace, impostare risposte di tipo comunitario per recuperare quanti hanno sbagliato ma non sarebbero, se supportati, consegnati vita natural durante alla delinquenza. E per dare il buon esempio - far seguire alle parole i gesti - da quando il giudice Giancarlo Zappa la fondò nel 1997 ha avviato e radicato una serie di iniziative concrete. Attingendo all’illustrazione offerta dal presidente Carlo Alberto Romano, e dal presidente di Volontariato Carcere, Angelo Canori, proviamo a riassumerli. Se per gli alloggi disponibili - 49 posti letto - Brescia è messa meglio di Milano, che ne ha uno in meno con i detenuti che sono cinque volte di più, per il lavoro la situazione è più problematica. Canori denuncia che, nonostante i protocolli firmati, riesce a trovare occupazione per non più di una trentina di persone l’anno. Casa e lavoro sono le premesse indispensabili per percorsi di recupero. Chi resta in carcere per anni ha bisogno di un periodo di reinserimento lavorativo che può avvenire in cooperative, ma poi deve trovare lavoro nel profit. E qui le difficoltà sono mille. Per il recupero dei tossicodipendenti c’è un rapporto con il Sert e l’11 novembre l’Asl farà un convegno sul tema. Con la Provincia di Brescia si è stabilito un accordo che fa di Carcere e Territorio il referente per tutti i percorsi progettuali utili per il carcere: iniziative culturali come il corso di teatro, collegamento della biblioteca di Canton Mombello (10mila volumi) con il sistema provinciale, l’individuazione di corsi di formazione professionale effettivamente utili ad un reinserimento: cucina, ortoflorovivaismo, estetica, ausiliarie di Case di riposo... Con l’Uisp si attivano iniziative sportive. A proposito di scuola, è in fase avanzata il dialogo con l’Università di Brescia per consentire a detenuti che ne hanno i titoli di frequentare Giurisprudenza ed Economia, forse già a partire dal prossimo anno accademico. L’intenzione di realizzare a Brescia una sezione carceraria che consenta di accedere all’opportunità. Carcere e territorio si occupa anche di problemi più diretti e non meno decisivi. Vedi il sostegno all’acquisto di libri per chi vuole accedere ai corsi del Tartaglia o di lavatrici per Verziano. Fino a due anni fa, grazie ad Asm - che con la Loggia appoggia alcuni interventi mirati di sostegno -, venivano acquistati i farmaci per persone sieropositive, oggi garantiti dalla Regione. Insomma, quell’idea di giustizia riparativa che trova più cittadinanza nel Nord Europa rispetto a Italia, Germania, Francia ed anche Spagna. Un impegno che deve fare i conti con le nostre radicate mentalità. Brescia: il ruolo della comunità, non di solo carcere vive la giustizia
Giornale di Brescia, 14 ottobre 2005
"Non solo carcere per affermare la giustizia. La corresponsabilità della comunità locale" è il titolo del convegno regionale che si terrà il 21 ottobre alla Facoltà di Giurisprudenza di Brescia, ma anche una delle linee guida dell’attività dell’Associazione Carcere e Territorio fondata nel 1997 dal giudice Giancarlo Zappa sulla scorta della sua esperienza di presidente del Tribunale di sorveglianza. Il convegno. molto intenso, è organizzato dai Cappellani delle carceri della Lombardia, dalla Conferenza regionale Volontariato Giustizia della Lombardia, dalla Delegazione delle Caritas della Lombardia, dalla Caritas di Brescia e dall’Associazione Carcere e Territorio di Brescia. L’Associazione custodisce gelosamente l’impronta attribuitale dal fondatore, uomo delle istituzioni ricco di umanità: realtà di volontariato - cioè improntata alla gratuità del servizio svolto - che vuole essere collettore delle istanze dei mondi che operano nel carcere, non solo i volontari, interfacciandosi con le diverse istituzioni e facendosi ponte tra la comunità interna e la realtà esterna. "Non siamo buonisti che ignorano la realtà, a partire dalla diffusa paura della gente che si sente minacciata nella sua sicurezza, magari da una microcriminalità che è tale solo per chi non la patisce" sottolinea il prof. Carlo Alberto Romano, docente di criminologia all’Università di Brescia, presidente di Carcere e Territorio "Siamo convinti, sulla scorta dell’approfondimento della letteratura scientifica in materia e come il presidente Zappa scriveva già 21 anni fa, che delegare il sistema giustizia alla esecuzione penale è inutile, insufficiente, controproducente, costoso: la recidiva resta alta. Costruire più carceri non risolve, nel tempo lungo, il problema. Come non lo risolvono amnistie o indulti. Siamo per sperimentare fino in fondo l’efficacia della risposta di tipo comunitario, tenendo conto che il 90% dei carcerati è condannato a pene brevi: uno, due, tre anni". Il ragionamento del prof. Romano, e di Angelo Canori, presidente di Volontariato Carcere che è parte di Carcere e Territorio, è che l’obiettivo è ridurre la recidività, il ritorno a delinquere una volta usciti dal carcere. Se l’istituto di pena da solo non solo non risolve, ma può tradursi in una scuola per ulteriormente delinquere, ecco la scelta della giustizia riparativa: che è mediazione penale che costringe a fare i conti con la vittima, più l’impiego del proprio tempo a favore della comunità, di una comunità che si fa carico del reinserimento delle persone che possono essere recuperate: "Se vengono lasciate sole, in balia di se stesse, senza casa, senza lavoro, sovente senza supporto familiare, la ricaduta è altamente probabile. Se vengono seguite, la recidiva non scompare, ma si abbassa della metà". Di quanto fanno Carcere e Territorio, e Volontariato Carcere il cui presidente Angelo Canori opera a tempo pieno e con spirito missionario per favorire il reinserimento, riferiamo più sopra. I carcerati a Brescia sono circa 700, per la metà stranieri: un dato superiore al 40% nazionale. Un 30% dei detenuti è collegato alla tossicodipendenza, in sintonia con la media nazionale. "Un ricettacolo di disagio sociale che può fagocitare anche chi potrebbe riscattarsi" commentano i nostri interlocutori. Aggiungendo che la popolazione incarcerata ha una precisa, bassa connotazione sociale, segnata dalla riproduzione interna del microcosmo e delle gerarchie delinquenziali esterne. In Lombardia sono 9.000 le persone in carcere, in Italia 58-60.000. La componente femminile è largamente minoritaria: 3/4%. Ha una connotazione molto diversa - meno reati violenti -, legata al ruolo sociale della donna e a ragioni fisiologiche, vedi la questione della maternità. Attualmente sono una cinquantina i bambini sotto i tre anni che vivono in carcere con le madri, non essendo loro consentito, per la natura del reato commesso, una formula alternativa. La convinzione? L’impegno per il cambio di impostazione va sviluppato all’interno del sistema giustizia, ma ancor più dialogando con la società civile, convincendola che la sicurezza non passa attraverso un’impostazione sempre più repressiva del carcere, ma realizzando l’articolo 27 della Costituzione: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Civitavecchia: detenuto ustionato, parte il processo agli agenti
Il Messaggero, 14 ottobre 2005
È subito battaglia nel processo per il caso del detenuto nigeriano Egene Okoughae, che ha accusato due agenti di polizia penitenziaria di avergli procurato ustioni all’addome dopo che era stato catturato da una tentata evasione dall’ospedale San Paolo la notte tra il 19 ed il 20 luglio di due anni fa. Sul banco degli imputati, oltre ai due agenti Susanno Mongittiu ed Antonio Pierucci, che devono rispondere di lesioni gravi, anche tre medici, Stefano Cagliano, Gino Turchetti e Patrizio Meggiorini, che portarono le prime cure all’africano e che devono rispondere di favoreggiamento. La prima udienza è stata caratterizzata da varie schermaglie tra accusa e difesa, ma sostanzialmente è stata favorevole a quest’ultima, almeno a giudicare dalle testimonianze fornite da due ispettori di polizia penitenziaria e da un agente addetto alle traduzioni. I primi due, gli ispettori Sanfilippo e Serio, hanno praticamente sostenuto di non aver notato nessuna ustione sul corpo di Okoughae. "Ho visto bene il torace di quell’uomo - ha detto l’ispettore Sanfilippo - ed ho notato che aveva dei piccoli graffi, dovuti probabilmente ad una caduta su una siepe al momento della cattura, ma certo non aveva abrasioni dovute a bruciature". Meno puntuale invece la testimonianza dell’ispettore Serio. "Ho notato che il detenuto aveva una maglietta appoggiata sul petto - ha raccontato - ed ogni tanto la spostava per asciugarsi il sudore. In quei frangenti non ho notato nessuna bruciatura". Infine la testimonianza dell’agente Tranfa. "Io ho visto due abrasioni all’addome - ha detto, precisando però subito dopo - non erano più grandi di uno, due centimetri al massimo e comunque ritengo che se le sia procurate cadendo sulla siepe, anche perché le ho notate subito dopo la sua cattura". Il processo è stato quindi aggiornato al 17 novembre. Pisa: consiglieri toscani Ds in visita al carcere Don Bosco
Adnkronos, 14 ottobre 2005
"Torniamo al carcere Don Bosco di Pisa perché vogliamo testimoniare che ci interessano le condizioni di vita di tutti i suoi detenuti e che continueremo ad occuparcene con impegno". Lo dice Severino Saccardi, consigliere regionale Ds della Toscana, annunciando che domani si recherà al carcere di Pisa a pochi mesi di distanza dalla prima visita, insieme al suo collega Enzo Brogi. Proprio da Pisa era partito un tour dei due consiglieri della Quercia nella realtà penitenziaria toscana, tour che ha già toccato gli istituti di Sollicciano e di Porto Azzurro. Severino Saccardi, che oggi è al suo secondo giorno di digiuno a favore dell’appello lanciato nelle scorse settimane da Franco Corleone per protestare contro il sovraffollamento delle carceri, ed Enzo Brogi dopo la visita al Don Bosco avranno anche un incontro privato alla Normale con Adriano Sofri, ma vogliono mantenere la promessa fatta ai detenuti e allo stesso Sofri: occuparsi del carcere di Pisa in ogni caso. E questa seconda tappa è la riprova di un interesse che va al di là dei singoli "ospiti", più o meno famosi. Rovereto: il Mart entra in carcere, detenuti liberi di creare
Rai Utile, 14 ottobre 2005
Liberi di creare, e di uscire. Almeno con la fantasia. I detenuti del Carcere di Rovereto scoprono la loro vena artistica grazie al Museo d’Arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (Mart). A decidere di far entrare l’arte in carcere sono state due donne: Gabriella Belli, direttrice del Mart, e Antonella Forgione, direttrice della Casa circondariale di Rovereto. L’iniziativa, che coinvolge le sezioni femminile e maschile del carcere di Rovereto, prevede un laboratorio didattico e una mostra. Ai 5 incontri di tipo laboratoriale partecipano 5 uomini e 7 donne, dai 25 ai 60 anni. "Partiamo dall’analisi storico artistica di un’opera del Mart - spiega Denise Bernabé -. Studiamo insieme la biografia dell’artista, il movimento e la corrente a cui appartiene, fino ad arrivare alle tecniche. Con un’opera di Gastone Novelli abbiamo affrontato il tema della scrittura all’interno della pittura". Tempera, acquerello, pastelli si trasformano in strumenti per re-interpretare un’opera famosa e forse per raccontare se stessi. "Ho scoperto che detestano copiare – continua -. Quando devono rifare l’opera, ci mettono sempre qualcosa di personale". In autunno tutte i lavori realizzati dai detenuti saranno esposti in una mostra, accanto agli originali che li hanno ispirati. "L’esposizione sarà negli ambienti del carcere - precisa Denise Benabè -. Vogliamo trovare uno spazio adatto, un luogo da aprire alla comunità". Torino: Le Vallette, quanto il caffè equo è fatto in carcere
Rai Utile, 14 ottobre 2005
Nasce una torrefazione nella casa circondariale "Lorusso Cotugno" di Torino. Il progetto è della cooperativa sociale "Pausa Cafè" che importa una pregiata produzione di arabica, proveniente da una ristretta area geografica del Guatemala, ai confini con il Messico: la Huehuetenango, la più alta catena montuosa non vulcanica del Centro America, considerata come una delle aree più adatte a questa produzione. Slow Food ne ha fatto un presidio e ha inserito la produzione nel circuito del commercio equo e solidale certificato Fairtrade TransFair, ma il caffè equo oltre ad essere solidale con il sud del mondo offre concrete possibilità di inserimento lavorativo ai detenuti. Il caffè viene torrefatto artigianalmente nel carcere torinese, con il sussidio di un team di esperti torrefatori; la tostatura è lenta e leggera ed il caffè è raffreddato ad aria e lasciato riposare per almeno 48 ore così da consentire il naturale processo di degassazione, prima di essere macinato. È in distribuzione con la confezione ideata e disegnata dagli studenti dell’Istituto Bodoni di Torino e scelta dagli stessi consumatori, in base ad un progetto promosso da Novacoop. I consumatori possono degustare un caffè 100 per cento arabica, straordinario per la qualità in tazza, ma unico anche per le modalità di produzione. Per la prima volta infatti ai produttori non solo è riconosciuto un prezzo equo, ma è garantita la possibilità di partecipare al 50 per cento degli utili generati dall’intero processo di trasformazione e commercializzazione, dal quale sono normalmente esclusi. Mostra: "Monelli banditi", scenari della giustizia minorile in Italia
Giustizia.it, 14 ottobre 2005
Si inaugura il 14 ottobre 2005 alle ore 11:30, presso la sede dell’Archivio di Stato di Genova, Complesso Monumentale S. Ignazio – Piazza Santa Maria in Via Lata n. 7, la Mostra fotografica Monelli Banditi – Scenari e presenze della giustizia minorile in Italia. Intervengono Rosario Priore, capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile, e Sonia Viale, vice capo del Dipartimento, nonché rappresentanti dell’Autorità Giudiziaria Minorile ligure, dell’Archivio di Stato, della Regione, della Provincia e del Comune di Genova. La mostra fotografica, costituita da un centinaio di foto, integrata da una sezione locale relativa agli Istituti attivi negli anni ‘50 nella Regione Liguria e alla Nave Redenzione Garaventa, sarà ospitata presso l’Archivio di Stato di Genova – Complesso Monumentale di S. Ignazio – in Piazza S. Maria in Via Lata, 7 dal 14 ottobre al 4 dicembre 2005, con apertura al pubblico da lunedì a venerdì con orario 9,30 – 17,30 e il sabato con orario 9,30 – 13,00. La proposta della mostra fotografica nasce a Roma nel 2001 in seno alla Commissione di sorveglianza e scarto sugli archivi, istituita presso la Scuola di Formazione del Personale della Giustizia Minorile di Roma, in seguito al ritrovamento di un fondo di 4.000 foto, proveniente dagli Istituti di pena di tutta Italia. La parte più consistente è quella curata dall’Istituto Luce nel 1951, costituita da 2.800 foto realizzate su commissione della Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena ed è quella da cui provengono le foto oggetto della mostra. Due sono stati gli eventi già realizzati: nel 2003 a Roma presso l’ex carcere minorile all’interno del Complesso Monumentale del S. Michele a Ripa, in occasione del semestre di presidenza italiana al Consiglio d’Europa; nel 2004 a Messina presso il Teatro Vittorio Emanuele. Entrambi gli eventi hanno registrato un grande successo di critica e di pubblico. Il progetto intende recuperare e valorizzare il concetto di "memoria", rendendo visibile la storia della Giustizia Minorile, raccontata ed illustrata al grande pubblico con l’ausilio delle immagini fotografiche che scrutano, con estrema delicatezza, una realtà cruda e dolorosa. Un mondo che racchiude segmenti di vita, di disagio, di emarginazione, ma anche di dedizione, di impegno professionale e culturale. Udine: evasione nel 2001; 4 condanne, assolte le guardie
Il Gazzettino, 14 ottobre 2005
Primo piano cella numero 13. Un numero che ha portato fortuna nella notte di Capodanno 2001 ai tre detenuti di origine slava che sono riusciti a evadere dal carcere di via Spalato a Udine (altri due sono stati catturati qualche ora dopo mentre tentavano la fuga a nuoto attraverso il Meschio a Sacile), un’evasione tradizionale come in un film; con aspetti paradossali che acquisiscono il sapore della beffa per chi doveva custodirli: sbarre segate, lenzuola annodate per calarsi dal muro di cinta. Il giorno dopo la clamorosa evasione la procura di Udine ha aperto un’inchiesta conclusa con la richiesta di rinvio a giudizio di 13 persone: sette detenuti e sei agenti di polizia penitenziaria. Una prima scrematura si è avuta davanti al giudice dell’udienza preliminare: tre guardie hanno patteggiato per la loro condotta colposa, uno degli evasi ripresi, un macedone, è stato condannato con rito abbreviato a 2 anni e 4 mesi. Restavano nove posizioni tra detenuti e agenti di polizia penitenziaria. Ieri a conclusione di un lungo processo a porte chiuse per ragioni di sicurezza (richiesta pervenuta direttamente dal Ministero di Giustizia) è stata pronunciata la sentenza in occasione della quale il giudice Emanuele Lazzaro ha disposto l’apertura delle porte e l’accesso del pubblico. Sono stati condannati a 2 anni i tre detenuti evasi, Hamdo Dacic, 31 anni, bosniaco, Zorko Bostjan, 33, sloveno, Oliver Kutlesa, 26, croato; a un anno e 6 mesi Zdravko Cabraja, 33 croato, catturato durante la fuga. Sono stati assolti gli agenti di polizia penitenziaria Agostino Brescia, 49 anni di Udine (evasione colposa) perché il fatto non sussiste, Vanni Levorato 38, di Manzano (evasione colposa e abbandono del posto di servizio) perché il fatto non sussiste e per non aver commesso il fatto, Roberto Del Grosso, 32, Galleriano (favoreggiamento) dichiarato non punibile; assolti anche Antonio Casali 53 di Bergamo (false informazioni al pm: avrebbe taciuto l’evasione pur essendo compagno di cella degli evasi) dichiarato non punibile, Zemir Dzinic, 32, slavo (procurata evasione: avrebbe fornito le lenzuola ai compagni) per non aver commesso il fatto. Per la difesa dei tre detenuti evasi l’avvocato Mario Cliselli, per Cabraja avvocati Seibold e Scattà, Alberto Tedeschi per Agostino Brescia, Alessandra Dall’Acqua per Zemir Dznic, Luca Beorchia per Levorato, Raffaele Conte per Del Grosso. Per l’accusa il sostituto procuratore della repubblica Barbara Maria Trenti. Brescia: a Verziano detenuti in classe con Itg "Tartaglia"
Giornale di Brescia, 14 ottobre 2005
Anche i detenuti di Verziano, dal 20 settembre, possono studiare e frequentare le lezioni di un istituto superiore: una nuova classe dell’Istituto per geometri "Tartaglia" è stata infatti istituita nella casa di reclusione. Un primo giorno di scuola "assoluto", quello del secondo istituto penitenziario cittadino, destinato a restare nella storia dell’universo carcerario bresciano, in cui il nuovo percorso di studi si affianca ad uno ben rodato. A Canton Mombello infatti, già da sei anni, l’istituto per Geometri intitolato al noto matematico bresciano è una realtà, che vanta l’attivazione di tutto il percorso quinquennale, una quarantina di iscritti, e già due diplomati. Gli elementi di continuità tra le due esperienze sono molti: dal corpo docente - complessivamente 16 insegnanti, che hanno scelto volontariamente di essere assegnati alla sezione carceraria - all’indirizzo di studi analogo, il "Sirio", che consente ai detenuti di proseguire il cammino intrapreso anche una volta tornati in libertà nei corsi serali. Ma la classe - pluriennale, con studenti di prima e di seconda - attivata a Verziano, porta con sé un forte elemento di novità: si tratta infatti di una classe mista, composta - al momento - da 5 detenute e 6 detenuti. Il numero degli studenti, del resto, è già lievitato dall’inizio dell’anno scolastico. Come spiega la direttrice della casa di reclusione, Maria Grazia Bregoli, "il Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria ha diffuso in tutte le strutture penitenziare della Lombardia (16) una comunicazione che informa della possibilità di richiedere il trasferimento a Verziano per chi intendesse iscriversi al corso di studi". Facoltà che ad alcuni carcerati di altre strutture lombarde è già stata accordata. Nuovi arrivi sono attesi a breve. "Ancor prima del lavoro, l’istruzione - afferma la direttrice - rappresenta un’opportunità importantissima per chi si trova in carcere. Anche per par condicio nei confronti dei detenuti di Verziano, si è fatto il possibile per estendere loro la possibilità di seguire l’iter scolastico attivato a Canton Mombello". Per cinque ore ogni mattina, così, ormai da quasi un mese, gli studenti detenuti escono dalle loro celle e accedono all’aula allestita nell’area trattamentale della struttura. E ai nuovi studenti un aiuto importante viene anche da quel detenuto assurto agli onori della cronaca per essersi diplomato geometra nel 2004 con 100/100 a Canton Mombello, e che ora si è iscritto - con brillanti risultati - alla facoltà di Filosofia. Entusiasta dell’avvio di questo nuovo percorso è anche il dirigente scolastico del Tartaglia, Fulvio Negri: "Era nelle nostre corde da tempo la volontà di garantire lo stesso servizio di Canton Mombello anche a Verziano. L’istruzione può offrire un contributo importante al reinserimento dei detenuti nella società. La nostra scuola tiene molto alla sezione del carcere". Ad ampliare ulteriormente le opportunità di studio mira anche il disegno di fare di Verziano un polo universitario carcerario. Un’ipotesi, ora in fase progettuale, che promossa dall’associazione "Carcere e territorio" e dal suo presidente Carlo Alberto Romano, vedrebbe il coinvolgimento dell’Università degli studi di Brescia e in particolare della Facoltà di Giurisprudenza. Certo, nel pianeta carcerario, nonostante la grande disponibilità e collaborazione di istituzione scolastica e penitenziaria, qualche ostacolo da superare resta: come la scarsità di libri di testo per i singoli studenti. E al riguardo i docenti fanno appello ai cittadini. Roma: progetto di reinserimento per 40 ragazzi tra i 14 e i 21
Liberazione, 14 ottobre 2005
Sono quaranta. Hanno un’età compresa tra i 14 e i 21 anni. Sono sottoposti a misure penali e vivono a Roma e provincia. Per loro è stato pensato un progetto ad hoc nella convinzione che per questa fascia d’età più efficace è la prevenzione e maggiori i risultati ottenibili da iniziative formative e di inserimento lavorativo. Un’azione alla quale l’assessorato capitolino alle Politiche per le Periferie, Sviluppo Locale e Lavoro crede molto, tanto da avergli destinato gli ultimi fondi disponibili del 2005 stanziando una somma di 25mila euro. Parte il 1° novembre prossimo il progetto "Strade per l’autonomia" previsto dallo specifico protocollo d’intesa, siglato ieri, tra l’Assessorato e il Centro di Giustizia minorile per il Lazio e l’Abruzzo. Il progetto parte dal dato oggettivo che iniziative di questo tipo ottengono risultati. "La possibilità di entrare nel mondo del lavoro - ha detto Caponetti del Centro di Giustizia minorile - è un valido strumento di contrasto del recividismo penale". Il progetto coinvolge direttamente cinque associazioni no profit: l’associazione di volontariato Magliana, la cooperativa sociale Il Cammino, il centro di accoglienza Don Bosco, il centro di Integrazione Sociale Capodarco e la cooperativa sociale Cecilia. Per i ragazzi, già individuati dall’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni, dopo una fase di orientamento con la quale l’interessato valuterà in autonomia in quale ambito operare, si apre una fase di tirocinio lavorativo di minimo tre mesi durante il quale il ragazzo o la ragazza riceverà un rimborso mensile di 540 euro per 30 ore settimanali e di 360 euro per 20 ore settimanali. Tra i costi rientrano l’assicurazione antinfortunistica e la disponibilità, per ognuno, di un tutor. Tra gli ambiti di lavoro, oltre al giardinaggio e alla manutenzione, anche l’elettronica e la ristorazione. Il progetto prevede inoltre percorsi educativi e di risocializzazione presso centri diurni. "Quella tra i 14 e i 21 anni è una fascia per la quale ha senso lavorare per la prevenzione. Il progetto viene avviato - ha sottolineato l’assessore Paolo Carrazza - in un momento in cui gli investimenti del governo nella giustizia minorile si sono dimezzati". "Questo progetto - ha commentato Luigi Manconi, garante per i diritti dei detenuti del Campidoglio - va in direzione direttamente opposta a quella indicata con la riforma, poi sventata, della giustizia minorile e che avrebbe significato una vera restaurazione equiparando oltretutto i minori agli adulti". Trento: 5 detenuti - volontari per 2 giorni puliscono il bosco
Ansa, 14 ottobre 2005
È un nuovo concetto di pena, intesa anche come debito da pagare nei confronti della collettività, quello alla base del progetto di recupero ambientale che vedrà cinque detenuti del carcere di Rovereto e personale dell’Ufficio distrettuale delle foreste di Rovereto impegnati in una azione di recupero ambientale alle porte della città che ospita il Mart e la Campana dei Caduti. Il 18 ed il 19 ottobre prossimi e per due interi turni lavorativi, i detenuti volontari saranno impegnati nella pulizia ed il ripristino di una vasta zona del bosco della città, e precisamente in località Vallunga, di proprietà comunale. Prima degli interventi sul territorio è una fase di formazione degli operatori forestali che andranno a relazionarsi con i detenuti. Le squadre si occuperanno della manutenzione ordinaria di latifoglie nobili, in un’area di bosco degradata. I cinque detenuti, fruitori di permesso premio, sotto la vigilanza discreta della polizia penitenziaria, affiancheranno gli operai del Servizio foreste e fauna della Provincia autonoma di Trento, mettendo così a disposizione della collettività il loro tempo ed il loro impegno in un’attività di pubblica utilità e del tutto gratuita. L’iniziativa si inserisce nel progetto nazionale voluto dai ministeri dell’Ambiente e della Giustizia, e recepito dal Dipartimento delle foreste della Provincia autonoma di Trento e dall’amministrazione penitenziaria in uno specifico protocollo. L’obiettivo è quello di individuare ed incentivare formule di lavori di pubblica utilità da realizzare grazie alla manodopera dei detenuti. Il progetto è reso possibile grazie al coinvolgimento della Provincia Autonoma di Trento, del Corpo forestale provinciale e del Comune di Rovereto, con il sostegno del magistrato di sorveglianza - commenta il sindaco di Rovereto Guglielmo valduga - e testimonia quanto la cooperazione sia indispensabile per realizzare progetti positivi e modelli di recupero concreti verso la risocializzazione delle persone recluse. L’auspicio è che, al di là del valore simbolico ed educativo, l’esperimento possa contribuire ad allargare ed avviare confronti sui temi della pena e della carcerazione ed a fornire all’opinione pubblica un’idea il più possibile vicina alla difficile realtà del mondo del carcere. Il progetti di pulizia dei boschi di Rovereto intende anche fornire spunti riflessione sul tema delle opportunità di impiego concrete per la popolazione detenuta: una risorsa e forza lavoro spesso dimenticata e oltremodo sottovalutata. I lavori saranno eseguiti a cura dell’Ufficio distrettuale forestale , mentre il finanziamento dell’intervento sarà a carico della Provincia autonoma di Trento, con l’intervento anche dell’amministrazione comunale di Rovereto. Homeless: la giornata Onu contro la povertà non è una festa
Redattore Sociale, 14 ottobre 2005
Si rivolgono ai servizi della Federazione Italiana degli Organismi per le persone senza dimora persone che solo cinque o dieci anni fa sarebbe stato impensabile immaginare senza dimora. È per questo che il 17 ottobre, giornata mondiale Onu contro la povertà, "non è una festa. Nonostante per celebrarla spesso si ricorra anche a manifestazioni allegre, colorate e gioiose", spiega la Fiops. "Serve uno sforzo straordinario di responsabilità da parte di tutti coloro che hanno la possibilità di fare qualcosa, perché ignorare la povertà e marciare diritti in avanti dentro questo modello di sviluppo, che per contenere istituzionalmente il disagio sembra capace solo di immaginare carcerazione e risposte militari, significa minare ogni possibilità di coesione sociale e alimentare un conflitto deflagrante che da qui a poco potrebbe travolgere tutti" sottolinea la Fiopsd. Secondo l’associazione le analisi sulla povertà condotte in Italia "ci restituiscono una fotografia parziale del fenomeno"Sappiamo che il 13,2% della popolazione italiana vive in condizioni di povertà relativa; sappiamo anche che in Europa, secondo Eurostat, ben 72 milioni di cittadini sono a rischio di povertà. Tutto questo ci inquieta, ma ci inquieterebbe ben di più se potessimo disporre di dati sulla povertà assoluta, quella di coloro che da soli non riuscirebbero a sopravvivere, ed in particolare di coloro che vivono la strada come unica possibilità di vita, in una logorante e micidiale sfida quotidiana per giungere al giorno successivo. – aggiunge l’associazione - Tra questi oggi incontriamo persone e famiglie, anziani e giovani, abili e disabili, sani e malati, stranieri e italiani, cittadini e non cittadini. Li vediamo, passiamo loro accanto, tentiamo anche di allestire servizi per venire loro maggiormente incontro, ma la sensazione che ci pervade è quella dell’impotenza". In occasione della giornata mondiale contro la povertà, la Fiopsd chiede all’Unione Europea di farsi carico del problema sociale della povertà all’interno della nuova strategia di Lisbona, "affinché non si generi una cultura solo economica della crescita, del lavoro e della competitività", al Governo Italiano di dare piena attuazione alla legge 328 del 2000, in particolare garantendo il finanziamento del Fondo Nazionale e definendo entro fine legislatura i livelli essenziali di assistenza sociale, e ai Governi regionali e degli enti locali, di utilizzare tutte le competenze loro riconosciute dalla Costituzione per garantire l’effettività dei diritti dei loro cittadini più poveri, evitando in particolare il taglio di risorse ai servizi, pubblici e privati, che abbiano dimostrato negli anni di saper operare al fianco delle persone senza dimora non in maniera puramente assistenzialista, ma con logiche progettuali di accompagnamento sociale e promozione umana Homeless: "poveri ladri", storie di un mondo dove la forza è legge
Redattore Sociale, 14 ottobre 2005
Salvo ha quarantadue anni, viene da Palermo. É alto un metro e novanta per un centinaio di chili, barba e capelli rasati a zero. Profuma di dopobarba. Il suo viso è freddo e serioso, gli occhi semichiusi. L’ho incontrato stamattina al centro vincenziano di via Farnese, dove ero andato per fare colazione e lavarmi. Ci conosciamo meglio la sera, alla stazione Termini. Seduti su una panchina al primo binario parliamo. Salvo ci tiene a precisare che è un uomo d’onore lui, me lo ripete più volte. É arrivato a Roma dalla Sicilia tre anni fa. Mentre abbassa la testa alzando lo sguardo su di me, gira in aria l’indice della mano destra e scandendo le sillabe mi dice che non ha mai poggiato la testa su un cartone, e che non può farlo. Se lo vedesse un conoscente, uno di Palermo, il mondo è piccolo. Se si venisse a sapere in Sicilia che lui a Roma fa questa vita… Dorme a Orte, nella sala d’attesa dei treni. Oppure a Fiumicino all’Aeroporto. Là si sta al caldo, il posto è tranquillo e non ci sono problemi, può restare tutta la notte e nessuno lo caccia per strada. E se qualcuno lo vede può sempre dire che ha perso il treno quella notte, o che è appena arrivato in aereo. Non porta valigie con sé, né borse o sacchetti. Meglio non destare sospetti. Tanto lui non si cambia i vestiti, li butta. Ogni giorno una doccia, ogni cambio un cestino. Con sé ha soltanto la denuncia di smarrimento della sua carta d’identità. "Sono un uomo solo", dice con voce tra il tenero e il burbero, nascondendo la rabbia e un pianto trattenuto a fatica. Lungo respiro. I genitori sono morti, a casa ha problemi con il fratello, poliziotto. Ha passato cinque anni in carcere. Mi chiede se so quanto è tiranna la vita. Poi accennando un sorriso inizia a cantare in falsetto canzoni napoletane di fama meridionale. Sorride. D’estate fa la stagione sul litorale romano, a Tor Vaianica. Lavora come guardiano nel parcheggio di un ristorante sulla spiaggia, cinquanta euro a sera. I clienti sono contenti e i ladri pure, perché ,d’accordo con loro, lui controlla solo le macchine di chi gli lascia la mancia. Poi però anche lui ha i suoi vizi, mi spiega. Beve, fuma e sniffa cocaina. Solo d’estate, quando ha i soldi e se lo può permettere. Vende anche marijuana d’estate, ma con stile. Visto che a lui gli portano rispetto, se compra per esempio duecento euro di fumo gli danno in regalo un pezzo così in più. Lui lo taglia in tanti pezzetti e ne regala uno ad ogni cliente. Lui sa trattare e se rispetti sei rispettato.
La prima rapina
A un tratto ci si presenta Marco, è appena sceso dal treno, ha ancora il fiatone, chiede da accendere. Marco è scappato da una comunità di recupero per tossicodipendenti. Ne parla con ampi gesti della mano, è agitato e nervoso. Era la sua prima volta quella. Non aveva mai rapinato nessuno. É entrato in un alimentari, armato di coltello, e si è messo a gridare che quella era una rapina, che gli dessero i soldi e niente scherzi. É durato poco lo scherzo però. Fuori dal negozio lo aspettava una pattuglia dei carabinieri, qualcuno li aveva chiamati. Poi il processo. Il giudice l’ha mandato in una comunità di recupero. "Ma quale comunità, meglio in galera! Là almeno non ci stanno tutte quelle regole". É ossessionato dalle regole e dai controlli della comunità. C’ha provato tre volte a scappare. Gli è sempre andata male. "La comunità è isolata, per cui prima che sei lontano, ti tornano a prendere col fuoristrada". Stamattina si è messo a correre verso il fiume che porta al mare e lo ha costeggiato fino alla foce. Sulla spiaggia poi ha continuato a correre come un pazzo, ansante, finché non ha raggiunto la città più vicina, fradicio. Là ha preso un treno che lo ha sbattuto a Roma. Aspetta l’intercity, torna a Pescara dagli amici per festeggiare. Gli chiedo se sa che sicuramente a casa lo aspetteranno i carabinieri per riportarlo dentro. "Sì, va bè. Però magari mi faccio ospitare da un amico, così intanto passo la festa dell’ultimo con la mia ragazza, sai come ci sballiamo quest’anno. Oh ma te non sai che vuol dire la comunità, cioè non te lo auguro proprio. E poi voglio chiedere al mio avvocato se mi può interdire, così mi tolgono la pena. Tanto, che m’importa? A me mi basta di non tornare là dentro, il resto si vedrà dopo, tanto… tanto peggio di così non può mica andare." Dopo poco Marco sparisce dalla circolazione, ha fatto conoscenza con i "tossici" della stazione, sono appena scesi da un eurostar in sosta carichi di valigie rubate a distratti viaggiatori. Deve essere andato con loro a fare acquisti.
La forza: legge della strada
Nel frattempo si ferma a salutarci Lukasz. Lukasz è polacco, ha trentacinque anni. Biondo, capelli lisci, vestito elegante, il volto tumefatto: graffi, croste, ematomi. Da qualche giorno lavorava come parcheggiatore, "abusivo ma onesto" - precisa -. "Alle belle donne non ho mai fatto pagare, mi ricordavano mia moglie". Ieri mattina, verso le dieci, si è presentato al parcheggio un gruppo di rumeni. Quella zona è sempre stata sotto il loro controllo e lo avevano già avvertito più di una volta. Così si sono fatti giustizia secondo la legge della strada: la forza. Un gruppo di otto gli si è scaraventato addosso e senza che avesse nemmeno il tempo di alzare la voce, si è ritrovato per terra a contare i calci in faccia. Oggi ha comprato un coltello. Ha imparato la lezione e giura che la prossima volta... A un tratto la rabbia svanisce dal suo volto tumefatto e lascia il posto a una lacrima. Lukasz ha messo le cuffie del walkman e, chiusi gli occhi, canticchia dondolandosi lento sulle gambe. Mi passa uno dei due auricolari. Riconosco Ghost, la canzone dell’omonimo film. Lukasz fissa l’orizzonte, il labbro inferiore ha preso a tremargli, gli scendono rivoli di lacrime calde dagli occhi. Senza guardare nessuno ci dice che da quando due anni e mezzo fa è morta sua moglie lui non ha più fatto l’amore. Vuole ancora lei. Vuole solo lei, ma non si può fare l’amore con una donna già morta, con una donna che esiste solo nei ricordi e non ha più un corpo per coprirla di baci. Lukasz è figlio di una ragazza madre. Il padre, un funzionario dell’Ambasciata Spagnola in Polonia, l’abbandonò subito dopo la sua nascita. A Cracovia, dove abitava con la moglie e la figlioletta di quattro anni, gestiva un ristorante. Me ne mostra le foto. Quel giorno, sono passati ormai due anni e mezzo, Lukasz era in Germania, per lavoro. Stava guidando quando ricevette la telefonata sul cellulare. Sua madre gli diceva di un incidente, la voce le si spezzava in un pianto e tra i singhiozzi diceva che sì, la moglie e la bimba non ce l’avevano fatta. Fu un colpo durissimo. In un attimo tutto era perso. Senza nemmeno riagganciare buttò il telefono dal finestrino e con la vista annebbiata dalle lacrime tornò a casa. Il primo mese fu un tormento. Non parlava, passava le giornate da solo, era diventato irascibile, beveva molto e aveva smesso di andare al lavoro. Alla fine ha mandato tutto al diavolo, ed è scappato in Italia.
Poveri ladri
Il racconto è interrotto da Stefano, fatto di Rivotril anche stasera. Strusciando i piedi sulle gambe stanche, occhi a spillo e bocca impastata, ci chiede se abbiamo degli spicci. Oscar, che stasera è di buon umore gli dà qualche euro e ne approfitta per raccontare la sua storia. Ci mostra delle macchie bianche sulle dita. "Quand’ero in cella er dottore m’ha detto che c’avevo l’allergia alla polvere dei muri della cella. Ahò! Hai le mani più delicate che abbia mai visto, m’ha detto. E io: te credo dottò, faccio er ladro de mestiere, certo che sò delicate." Così inizia a elencare i pregi delle sua dita lunghe e affusolate, con i polpastrelli leggermente piatti, che gli consentono una migliore presa. Può sfilare il portafoglio senza che il malcapitato si accorga di nulla. Racconta soddisfatto i suoi furti importanti, il trucco dello spillo con la vecchia signora, i rischi che corre ogni volta. "Oh stamattina un colpo m’è andato male per poco così. Ahò la spalla mia, fatto de Rivotril, nun s’è messo a cantà mentre gli facevo lo sfilamano? Ammazza, per poco nun me becca la madama!". Spera in un bel portafoglio, per poi smettere. Gli hanno proposto un lavoro, roba in grande. Parla sottovoce, guardandosi in giro. Si guadagna bene. Sta valutando i rischi, suo padre è ancora in carcere per i fatti della Magliana. Un’ora di lavoro per cinquantamila euro. Deve coinvolgere anche la sua donna, Patrizia, entro domattina la decisione. "Oh se er colpo va bene, domani se n’annamo tutti a magna al ristorante, offro io".
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