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Giustizia: Cirielli presenterà emendamento su prescrizioni in pdl
Ansa, 11 ottobre 2005
Edmondo Cirielli, deputato di An ed ex primo firmatario della proposta di legge che riduce i termini di prescrizione dei reati, ormai battezzata dall’opposizione come Salva-Previti, presenterà un emendamento al testo ora all’esame dell’aula della Camera. L’iniziativa, presa in accordo con i ministri dell’Agricoltura Giovanni Alemanno e della Salute, Francesco Storace, punta a raddoppiare i tempi della prescrizione per tutti quei reati che possono danneggiare l’incolumità pubblica. "Per effetto di questa proposta di legge infatti - spiega Edmondo Cirielli - tutti i reati come il crollo di edifici per difetti di costruzione o inquinamento ambientale potrebbero venire subito prescritti. La mia proposta di modifica è diretta proprio ad evitare questo rischio. Si tratta di reati importanti, che rappresentano un vero rischio per i cittadini". È molto difficile comunque che la proposta di legge ex Cirielli possa venire modificata. Se dovesse venire approvati emendamenti alla Camera, infatti, il testo dovrebbe tornare al Senato con irrimediabile allungamento dei tempi. E nella Cdl c’è chi sostiene che il provvedimento, per avere "una sua utilità", debba vedere la luce entro la fine di ottobre. Napoli: associazioni manifestano in una cella a cielo aperto
Redattore Sociale, 11 ottobre 2005
Una cella nel centro storico di Napoli e uno sciopero della fame a staffetta, per sensibilizzare le istituzioni e le forze politiche sulle condizioni delle carceri in Italia. Si chiama "Fame di Giustizia" l’iniziativa promossa da un cartello di associazioni e che avrà inizio domani con una conferenza stampa a Piazza Dante dove verrà montata una cella riprodotta in dimensioni reali, per proseguire fino a venerdì con il digiuno. A promuoverla sono il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, la sezione napoletana di Antigone, la Federazione Città Sociale e la Conferenza Regionale Volontariato Giustizia, che intendono così aderire alla protesta sul tema della vivibilità delle carceri e allo sciopero della fame a staffetta proposto da Franco Corleone in Italia. "Mentre in parlamento - si legge nella nota delle associazioni - si approvano leggi ad personam per i reati come corruzione e falso in bilancio, migliaia di tossicodipendenti e immigrati riempiono le carceri di questo Paese. Nel 1990 in Italia c’erano 25mila detenuti, oggi arriviamo quasi a 60mila, in condizioni di spaventoso e intollerabile sovraffollamento". In Campania, secondo i dati diffusi dal cartello di associazioni, ci sono 7.350 detenuti su una capienza di 5.243 posti. Nell’istituto penitenziario di Poggioreale vivono 2.135 persone su una capienza di 1.359 posti, vi sono fino a 18 detenuti per cella. In quello di Secondigliano vi sono 1.507 detenuti su una capienza di 1.028 posti. "Un terzo della popolazione detenuta è costituita da tossicodipendenti. Il carcere assolve una funzione di discarica sociale, mentre i fenomeni mafiosi, come i crimini dei colletti bianchi rimangono sostanzialmente impuniti. Noi ci rivolgiamo in particolare alle forze dell’Unione perché si impegnino da adesso per inserire nel programma una riforma del codice penale, che è ancora quello approvato durante il fascismo, che riduca la sfera dell’intervento penale e che renda effettivo il principio di uguaglianza di fronte alla legge, un provvedimento di amnistia che consenta di superare questa fase di emergenza, tutela delle fasce particolarmente deboli tossicodipendenti ed immigrati che costituiscono il 60% della popolazione detenuta". Pescara: prigione-colabrodo, fuggono in tre; smentito Castelli
Gazzetta del Sud, 11 ottobre 2005
Pochi agenti nel turno di guardia, un muro abbattuto per lavori e l’allarme fuori uso: potrebbero essere questi gli elementi ad aver favorito, domenica notte, l’evasione di tre detenuti dal carcere San Donato di Pescara. Uno di loro, un albanese condannato per omicidio, il più pericoloso dei tre, è già stato catturato. Durim Hoxha, 41 anni, con due compagni di cella, è saltato giù dal primo piano, uscendo da un foro del diametro di circa 70 centimetri, praticato nella parete del bagno con la gamba di ferro di un letto. Per salire sul muro di intercinta i tre hanno approfittato di un’impalcatura allestita nel cortile del carcere, dove sono in corso interventi di ristrutturazione. E proprio scendendo da questo muro, alto sei metri, Hoxha si è fratturato una gamba, cosa che gli ha reso impossibile la fuga e ne ha facilitato la cattura da parte di una pattuglia della Polizia. In carcere dal 1997 in vari istituti, Hoxha avrebbe finito di scontare la pena nel dicembre 2006. In cella con lui – e con altri tre detenuti, che però usciranno tra pochi mesi – erano i due trentaduenni ora ricercati, il romeno Florian Calin Covacs, finito in manette per furto, e un connazionale di Hoxha, Gazmir Murata, condannato per spaccio e sfruttamento della prostituzione: il primo sarebbe uscito nel 2007, l’altro nel 2015. L’episodio, insieme con l’evasione di tre sloveni dal carcere di Gorizia avvenuta venerdì scorso, secondo l’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria (Osapp) è la "smentita alle dichiarazioni del ministro della Giustizia, Roberto Castelli, che appena due settimane fa aveva sostenuto che le evasioni erano diminuite. Speriamo che gli errori del sistema – ha commentato Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp – non siano pagati dai singoli agenti in servizio". Per il segretario generale del Sappe, il Sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria, Donato Capece, si tratta di "un’ evasione annunciata", agevolata dal numero di agenti sotto organico, dall’abbattimento del muro e dal mancato funzionamento dell’allarme antiscavalcamento. "Nel turno dalle 19 all’una - afferma Capece in una nota - mancavano numerose unità, più reparti detentivi erano accorpati e gestiti da una sola unità, a fronte di una presenza di oltre 280 detenuti. Mancavano nove unità, e cinque poliziotti erano stati richiamati dal riposo e dalle ferie per garantire il turno". Lodi: dai detenuti-attori la "foto" della Roma criminale
Il Cittadino, 11 ottobre 2005
"Le vite dei gangster sono sempre molto brevi ma di una bruciante intensità: un rapido, frenetico apprendistato; una rapidissima quanto violenta ascesa al potere; un altrettanto rapidissimo declino, sempre catastrofico. A loro modo, e sempre in negativo, sono uomini fuori del comune, eccezionali". Partendo da questo punto di vista decisamente peculiare (a metà fra l’ammirazione e la repulsa), Daniele Costantini ha costruito il suo Fatti della banda della Magliana, la pellicola proiettata ieri sera alle Vigne in apertura della settima edizione del Lodi città film festival. Un film forte, "vero", decisamente diverso da quello - che narra gli stessi fatti - realizzato da Michele Placido sulla falsariga del Romanzo criminale del giudice Giancarlo De Cataldo. "Nel mio film - confessa Costantini all’inaugurazione della kermesse - non c’è spazio per la "fiction". È tutto vero, tutto provato. Ho raccolto documentazione processuale per anni prima di stendere la sceneggiatura dello spettacolo teatrale da cui è estratto. E poi ho girato con criminali veri, detenuti del carcere di Rebibbia ai quali la direzione del penitenziario ha permesso di lavorare per me. Un’esperienza intensa e unica".Un’esperienza, precisa però Costantini, nata lontano da nostalgie neorealistiche: "Non era questa la mia intenzione - puntualizza il regista romano, da sempre "affascinato" dalla vita maledetta dei criminali di borgata - quanto piuttosto quella di allestire una sorta di psicodramma con protagonisti che avessero vissuto davvero le situazioni raccontate. Ho voluto ricreare un’alchimia particolare, spingendo uomini con un passato travagliato a esprimere la loro carica emotiva attraverso la recitazione. È stata una sfida, cui hanno risposto bene anche gli attori professionisti del film e che credo sia riuscita". Decisivo, in questa direzione, anche il ruolo del linguaggio utilizzato: un romanesco che non esiste più, ricostruito con scrupolo filologico dal regista ("ho lavorato sulla base della tradizione di Belli e Trilussa, ma anche sulla scorta dei lavori di Pasolini e Gadda" ammette) per restituire ai protagonisti (i gangster capitolini degli anni ‘80) il parlato originario. Reggio Calabria: Comune per garante dei diritti dei detenuti
Asca, 11 ottobre 2005
Un garante per i diritti dei cittadini detenuti. È l’ultima iniziativa in materia carceraria, portata avanti dal presidente del Consiglio comunale, Aurelio Chizzoniti. Il Progetto fa parte di un percorso che, nei mesi scorsi, ha registrato la visita di una folta rappresentanza del Civico consesso alla casa circondariale San Pietro di Reggio Calabria. In particolare, Chizzoniti ha avviato la procedura per l’istituzione del garante per i diritti degli individui privati della libertà personale. Un processo che prevede la modifica dell’articolo 22 dello Statuto comunale con il quale viene forgiata la figura del difensore civico, ma non quella del garante per i detenuti. O meglio l’integrazione dell’articolo e quindi la composizione del regolamento costitutivo di questo nuovo soggetto istituzionale. Il processo, come detto, è già stato avviato dal presidente Chizzoniti, il quale ha inviato, alla competente Commissione consiliare, le bozze relative alla proposta affinchè sia emesso il parere di rito. Contestualmente, Chizzoniti ha inoltrato una lettera interlocutoria al presidente e al magistrato del Tribunale di sorveglianza, al procuratore generale, al procuratore della Repubblica e al direttore del carcere cittadino. Roma: vanno a ruba i vini dei detenuti enologi di Velletri
Affari Italiani, 11 ottobre 2005
Vanno a ruba i vini dei detenuti enologi del carcere di Velletri. Si tratta di un esperimento senza precedenti, non solo perché vengono da un istituto di pena, ma perché la loro qualità merita ogni attenzione. Sono Merlot, Cabernet, Trebbiano, Chardonnay, Malvasia e Sangiovese, nati quasi per caso, con i nomi spiritosi di "Fuggiasco", "Sette mandate", "Recluso" e "Luce di Luna". I detenuti che li producono, ora riuniti nella cooperativa "Lazzarìa", ricevono un piccolo stipendio e alcuni godono di un regime di semilibertà. Due autorevoli testate del settore, "Civiltà del bere" e "Bibenda" (organo dell’Ais-Associazione italiana sommelier") hanno parlato in termini più che lusinghieri di questi prodotti coltivati in quattro ettari di terreno attorno all’istituto di pena. Nel gruppo dei detenuti c’è anche un enotecnico, Marcello Bizzoni, che alla fine degli anni ‘90, per problemi con Fisco e Finanza, viene condannato a tre anni per reati amministrativi. Fugge prima in Brasile, poi in Nigeria, alla fine si costituisce. E la casa circondariale di massima sicurezza di Velletri gli affida vigneto e cantina. La produzione va così bene che, non potendo un carcere emettere fattura, viene costituita nel 2003 la cooperativa, in cui gli utili possano essere reinvestiti. La società gode inoltre della legge Smuraglia, che riconosce agevolazioni fiscali per chi assume detenuti. A questo punto è arrivato un secondo esperto, Stefano Lenci, un giovane agente di commercio che si mette a capo della "Lazzaria". Intanto Bizzoni torna ad essere un uomo libero, restando impegnatissimo con i prodotti del carcere. A dirigere le operazioni, poi, viene chiamato un enologo esterno alla casa circondariale, Angelo Giovannini, che sviluppa il volume produttivo da 12mila a 50mila bottiglie. Ora la cooperativa commercializza i suoi vini anche fuori Italia E il prossimo passo sarà la produzione di grappe. Minori: Don Rigoldi; sono ricchi ma soli, cercano rapporti veri
La Provincia di Sondrio, 11 ottobre 2005
Il "disagio di vivere" come problema trasversale a tutti i ceti sociali, ma anche la ricerca spasmodica di contatti umani, spesso solo "comprati", sono per don Gino Rigoldi, cappellano del carcere minorile "Beccaria" di Milano, i motivi del dilagante consumo di droghe "relazionali" e in particolare la cocaina, che ieri hanno fatto un’altra vittima illustre, il nipote di Gianni Agnelli, il ricco e privilegiato Lapo Elkann, ora in rianimazione. Don Rigoldi, come si sta trasformando il mondo degli stupefacenti e dei consumatori di queste sostanze? Qualche tempo fa, si diceva che chi cadeva nella spirale della droga aveva problemi personali. Oggi non si deve parlare più di veri e propri problemi, di sofferenze, quanto piuttosto di bisogni. Di quali bisogni parla? Prima di tutto, il bisogno eterno dell’essere umano di allacciare rapporti veri, magari anche conflittuali, ma costruttivi con altri simili. È il bisogno di stare insieme, anche quando si è potenti e fortunati come il personaggio di cui si parla in queste ore. È necessario fare ricorso alla cocaina per raggiungere questo obiettivo? La cocaina, come tutte le altre droghe di oggi, penso a quelle sintetiche come le pasticche, è definita una droga "prestazionale". Non danno piacere (o non soltanto quello) ma piuttosto creano facilità alla comunicazione e infondono in chi le assume il senso della potenza. La ricerca di questo effetto chimico è un altro elemento di una cultura, la nostra, che con il consumo di sostanze crede di poter risolvere i problemi che riguardano invece la costruzione interiore di una persona umana. Insomma, attraverso la droga si mercificano i rapporti umani? La droga è la mediazione chimica che secondo una mera illusione, dovrebbe facilitare i rapporti, visti, purtroppo, come qualcosa da comprare e da consumare. Non va dimenticato che la cocaina viene intesa anche come mezzo per raggiungere performance fisiche e intellettive sempre più esasperate. Ci si chiede se le nostre comunità di recupero siano pronte ad affrontare le nuove dipendenze. Don Aldo Fortunato, fondatore e responsabile della comunità Arca di Como, ha recentemente lanciato l’allarme. Lei che ne pensa? La comunità ha il compito di abituare la gente a stare con gli altri, ma certamente oggi, le nostre strutture devono cambiare pelle. Ora sono più che mai necessari interventi di tipo culturale, prima ancora che di cure per chi è già dipendente. Dobbiamo occuparci prima di tutto dei giovani e farlo là dove i giovani si trovano: nelle scuole, negli oratori, per la strada. La comunità deve proprio scendere in strada, lasciare le mura degli edifici e andare a cercare i ragazzi, formando gli insegnanti e gli adulti che spesso sono il vero problema. Io parteciperò tra pochi giorni, a Milano, ad una conferenza sul tema della ricerca sui giovani per la prevenzione delle tossicodipendenze. Cosa dirà? Potrebbe sembrare una provocazione ma dirò "basta" a ricerche come questa. Perché non poniamo la nostra attenzione sulla generazione dei trenta-quarantenni, che spesso sono i soggetti più deboli, fragili, non cresciuti? Senza voler addossare colpe a nessuno, credo che anche questo potrebbe essere un modo per lottare contro le droghe e la loro diffusione nella società, recuperando valori autentici di comunicazione umana. Giustizia: Legambiente e Cia; per gli agropirati serve il carcere
La Stampa, 11 ottobre 2005
Dal Parmesao brasiliano al Regianito argentino, dal Tinboonzola australiano al Cambozola tedesco. E l’elenco dei "falsi d’autore" è lungo, lunghissimo tanto da provocare ogni anno all’agricoltura italiana una perdita di due milioni e mezzo di euro. Un giro d’affari che a livello internazionale raggiunge i 52,6 miliardi. E il danno è destinato a crescere, visto che a livello mondiale ancora non esiste una vera difesa di Dop, Igp e Stg, che comprendono formaggi, oli d’oliva, salumi, prosciutti e ortofrutticoli. Ecco perché Legambiente e Confederazione Italiana agricoltori hanno presentato a Bruxelles una proposta di risoluzione che punta a modificare l’attuale normativa europea introducendo sanzioni - anche di carattere penale" per gli agropirati. La situazione commerciale è di "estrema gravità". Secondo le due organizzazioni "i pirati dell’agroalimentare sono in continua attività, anzi sono ancora più audaci e forti al punto che stanno perfezionando la linea degli insaccati e si propongono sul mercato del "tarocco" con la soppressata". Il prodotto è realizzato in Canada, distribuito negli Usa e nel centro America e già registra un fatturato che sfiora 10 milioni di dollari grazie alla vendita di un salame che di calabrese ha solo la dicitura in etichetta o, al massimo, il cognome del produttore. Ecco perché la Cia critica il decreto del ministero delle Attività Produttive che non rende più obbligatoria l’indicazione dell’etichetta di prosciutti, salami e altri insacati l’indicazione dell’origine degli animali. Secondo Politi c’è il "rischio fondato di comprare prodotti con il marchio made in Italy ma che vengono realizzati con carni di suini provenienti da altri paesi dell’Ue e anche dalla Turchia". Se questo è lo scenario i due presidenti, Roberto Della Seta, e Giuseppe Politi, hanno chiesto agli euro parlamentari di sostenere questa proposta che si muove su due fronti. Un fronte europeo dove si chiede "l’introduzione di uno specifico sistema di tutela per le produzioni tipiche e tradizionali accompagnato da un regime sanzionatorio, anche di natura penale, senza il quale è impossibile una seria lotta all’agropirateria comunitaria". Un fronte internazionale: con la richiesta all’Unione Europea di un forte impegno in sede di Organizzazione Mondiale del Commercio per "l’istituzione di un registro multilaterale delle indicazioni geografiche". Nonostante la forza crescente dei falsari il peso economico dei Dop e Igp nell’Unione europea è crescente. Attualmente i prodotti europei Dop e Igp riconosciuti sono 692, ma in lista di attesa per il riconoscimento da parte dell’Ue ce ne sono moltissimi. Circa 60 dossier di richieste provengono dai nuovi stati membri (31 solo dalla Repubblica Ceca che ha già al suo attivo 3 riconoscimenti). Della Seta e Politi sottolineano l’esigenza di un "utilizzo più esteso dei marchi di identificazione d’origine per quelle migliaia di prodotti tipici e tradizionali che sono al di fuori del sistema delle Dop e degli Igp e che a loro volta devono essere tutelati anche se di piccolissime dimensioni".Tra le soluzioni possibili Cia e Legambiente ritengono che le produzioni di qualità definite nell’ambito del nuovo regolamento per lo sviluppo rurale, creato con la riforma della politica agricola comune del giugno 2003 "oltre ad essere oggetto di sostegno da parte dell’Unione Europea possano anche fregiarsi di un marchio - regolamentato a livello comunitario - che ne identifichi la provenienza da uno specifico territorio o da un intero paese e assicuri loro la necessaria visibilità e riconoscibilità". Droghe: "a Palermo contro Fini", antiproibizionisti in piazza
Il Manifesto, 11 ottobre 2005
La conferenza nazionale sulle droghe prevista a Palermo per dicembre - la prima indetta dal governo Berlusconi - rischia di fallire. E sono in pochi quelli ancora convinti di voler parteciparvi. Soprattutto dopo che il governo - per bocca del ministro Giovanardi - ha dichiarato di voler approvare almeno una parte del disegno di legge Fini: quella, per intenderci, che non distingue tra droghe pesanti e droghe leggere. Così si è interrotto il dialogo con gran parte delle comunità di accoglienza e anche i Ds hanno annunciato che boicotteranno l’appuntamento, mentre il movimento antiproibizionista scenderà in piazza proprio nel capoluogo siciliano per contestare Berlusconi, Fini e Giovanardi. Le adesioni a un appello antiproibizionista per la contro conferenza di Palermo, primo firmatario don Andrea Gallo, sono numerose e vanno dalla Cgil ai Cobas, fino a Prc e diversi centri sociali. "Quella ufficiale è ormai una farsa, la nostra è l’unica vera conferenza", dice l’europarlamentare siciliano del Prc Giusto Catania. A colloquio con il governo non ci andranno neanche gli operatori del settore. Per il Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza (Cnca) le parole di Giovanardi hanno definitivamente sbarrato una strada di dialogo che già era molto stretta. La conferenza nazionale, infatti, è stata indetta con due anni di ritardo: doveva svolgersi a Pescara, ma dopo le elezioni regionali e il cambio della giunta abruzzese è stato spostato tutto a Palermo. Molti operatori hanno fatto il possibile per potervi partecipare anche se fino ad ora non sono mai stati ascoltati. Ma adesso si sono arresi. È inutile discutere. Lo sa da tempo don Andrea Gallo, primo firmatario dell’appello che convoca tutti al contro vertice: "Come si può trattare davanti a questa crociata, sono loro i drogati in cerca di voti, non si può ragionare davanti a dati pseudo-scientifici, interessi mascherati, svilimento del servizio pubblico e pregiudizi culturali che si basano su una concezione di stato etico che trasforma tutti in criminali e non si prende cura di nessuno". Per cercare di voltare pagina il cartello "Diritti di strada" di Palermo sta organizzando una conferenza alternativa dal 3 al 7 dicembre. Ha già aderito il cartello "ConfiniZero", ma a Palermo ci saranno i centri sociali, dal Leoncavallo al Livello 57 di Bologna, ma anche Cgil, Uds, Libera, Arci, Agesci, Cobas, Fgci. "Dovrebbe essere una sorta di riunione programmatica per la prossima legislatura", spera Daniele Farina, consigliere comunale milanese del Prc e portavoce del Leoncavallo. Ma gli ultimi strilli del governo hanno risvegliato anche sensibilità insospettabili. Se finora il ddl Fini è rimasto nei cassetti non tanto per merito delle opposizioni ma perché la maggioranza si è incartata da sola, ora anche nel centrosinistra si leva qualche voce un po' meno timida del solito. I Ds hanno annunciato che boicotteranno la conferenza governativa e persino Livia Turco negli ultimi tempi ha abbozzato qualche ripensamento anche sulla legge 309/90, quella tuttora in vigore ancora basata sulla cultura della penalizzazione. Senza dubbio alla contro-conferenza ci sarà la Cgil. Per tutti il prossimo appuntamento per fare il punto della situazione è a fine ottobre a Perugia per "Strada facendo", tre giorni dedicati al sociale organizzati da Gruppo Abele e regione Umbria. "Bisogna continuare a far dialogare consumatori e operatori", ribadisce Francesco Piobbichi, responsabile droghe del Prc. "Certo non andremo più a parlare con questo governo - risponde Riccardo de Facci, responsabile nazionale del Cnca - siamo orientati a organizzare un altro incontro a cui invitiamo anche le regioni, non sappiamo ancora in quale città ma sarà in connessione con la contro-conferenza di Palermo". Gorizia: vertice dentro il carcere sui tre detenuti evasi
Il Gazzettino, 11 ottobre 2005
Un vertice tra il direttore del carcere di Gorizia, Giovanni Attinà, e il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria del Triveneto, Felice Bocchino, si è tenuto ieri nell’istituto di pena isontino, da cui venerdì scorso sono evasi tre detenuti sloveni, grazie a un buco scavato nel muro della cella con un cucchiaio. Nella riunione - secondo quanto riferito da fonti del penitenziario - è stato fatto il punto dell’inchiesta interna sull’accaduto. Non è escluso che il sostituto procuratore di Gorizia Carlotta Franceschetti, che coordina le indagini sull’evasione, possa aprire nei prossimi giorni un fascicolo con l’ipotesi di reato prevista dall’articolo 387 del codice penale, che disciplina i casi in cui chi è preposto alla custodia di una persona arrestata o detenuta ne cagiona, colposamente, l’evasione. La Procura ha invece escluso un’indagine sul reato di procurata evasione. Sono proseguite anche le ricerche nella fascia a ridosso del confine italo-sloveno dei tre evasi. Giustizia: presto un documento del Vaticano sulle carceri
Agi, 11 ottobre 2005
Un documento sulla pastorale delle carceri sarà pubblicato prossimamente dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Lo ha annunciato il presidente del dicastero, card. Renato Raffaele Martino che lo ha annunciato nel suo intervento al Sinodo. "Il Pontificio Consiglio - ha spiegato - ha chiamato in vaticano ottanta tra studiosi e cappellani delle carceri di oltre trenta paesi e dall’incontro è emerso un quadro preoccupante sulle condizioni umane e spirituali delle carceri, con la denuncia di situazioni estranee al diritto e contrarie alla dignità delle persone". In tema di Eucaristia, il card. Martino ha chiesto ai vescovi presenti al Sinodo di adoperarsi affinchè "l’accesso all’Eucaristia sia sempre garantito ai detenuti, per i quali invece quello alla pratica religiosa è spesso un diritto negato". Benevento: Asl fornirà assistenza ai detenuti, prima in Campania
Ansa, 11 ottobre 2005
È la Asl Bn1 la prima azienda sanitaria locale in Campania ad assicurare l’assistenza sanitaria ai detenuti in carcere, come previsto dal decreto legislativo n. 230/1999. Lo rende noto il direttore generale della Asl Bn1, Mario Scarinzi. L’iniziativa verrà sancita con un’intesa sottoscritta dallo stesso Scarinzi e il direttore della Casa circondariale di Benevento, Liberato Guerriero. Il documento verrà firmato giovedì prossimo, 13 ottobre (ore 11), a Benevento presso la sede della Asl sannita in via Patrizia Mascellaro n. 1. "Tale accordo - ha commentato Scarinzi - si è reso possibile grazie al lavoro portato a termine negli ultimi mesi dal direttore sanitario della Asl sannita Tommaso Zerella e la responsabile del distretto sanitario di Benevento, Rita Angrisani" Roma: detenuto morto a Rebibbia, indagati 13 medici
Il Messaggero, 11 ottobre 2005
La procura di Roma ha indagato tredici medici per la morte di un detenuto siciliano, Francesco Marrone, avvenuta nel carcere di Rebibbia il 16 febbraio 2004. I pm hanno concluso le indagini preliminari e sono in corso gli interrogatori nei confronti del Direttore sanitario dell’istituto di pena e di altri 12 medici. Sulla vicenda è intervenuto il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, che ha dato risposta scritta all’interrogazione parlamentare proposta dal deputato Paolo Cento, sollecitato dal legale della famiglia Marrone, l’avvocato Giacomo Frazzitta. Il Guardasigilli riferisce che "a seguito della ispezione effettuata dal Provveditorato regionale del Lazio sulle cause del decesso di Marrone sono state riscontrate responsabilità omissive da parte dei sanitari dell’istituto penitenziario di Roma Rebibbia, per non aver tempestivamente individuato la patologia da cui risultava affetto il detenuto e per non aver, pertanto predisposto immediato ed idoneo controllo terapeutico". Francesco Marrone, originario di Petrosino (Trapani) era detenuto per scontare una pena di quattro anni e nove mesi. Era stato condannato il 31 ottobre 2003 dalla Corte d’appello di Palermo per il tentato omicidio dei genitori della sua ex compagna. Il detenuto il 6 febbraio 2004 venne trasferito d’ urgenza all’ospedale romano Sandro Pertini per essere operato al cervello. L’uomo è poi deceduto durante il decorso post operatorio. Pescara: la protesta; noi agenti, pochi e con turni duri
Il Messaggero, 11 ottobre 2005
Vanno giù duro i sindacati della polizia penitenziaria. Puntano il dito contro i vertici dell’amministrazione che non hanno fatto nulla per porre rimedio allo sfascio in atto da tempo. Il segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria parla di "evasione annunciata". "Nel turno dalla 19 all’una - scrive Donato Capece - nell’istituto di Pescara mancavano numerose unità in considerazione di una presenza di oltre 280 detenuti. Nel turno programmato mancavano 9 unità e 5 poliziotti erano stati richiamati dal riposo e dalle ferie per garantire il turno. Non solo, ma il muro dell’intercinta dell’istituto è stato abbattuto per i lavori di ristrutturazione e le varie attrezzature edili hanno facilitato la fuga degli evasi. Ciò nonostante l’impianto dell’antiscavalcamento e la sala di regia non sono funzionanti. Tutti problemi posti da tempo all’attenzione dell’amministrazione regionale". Se qualcuno deve pagare "è giusto che paghi chi sapeva e non ha provveduto". "Il carcere di Pescara, così come quello di Gorizia, erano sotto stretta osservazione da parte dei sindacati penitenziari - denuncia il sindacato Osapp -. Al Provveditore regionale avevamo lamentato la concentrazione dei circa 250 detenuti nel carcere di Pescara in sole tre sezioni". Non è da meno la Uil Penitenziari Abruzzo che se la prende con il Governo Berlusconi e con il ministro della Giustizia Castelli in relazione alla grave carenza di personale e ai turni massacranti e molto stressanti a cui vengono sottoposti gli operatori di polizia penitenziaria. "Per le carceri abruzzesi - scrive Mauro Nardella - non ci sono soldi neanche per tinteggiare la pareti deteriorate da anni e anni di usura figuriamoci se si trovano i soldi per contrastare la fragilità di muri come quelli che tengono in piedi il carcere di Pescara".
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