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Giustizia: Castelli; con la salva-Previti non c’entro nulla
Il Messaggero, 10 ottobre 2005
Dopo anni trascorsi in trincea, Roberto Castelli, ha perso la voglia di imbracciare l’artiglieria per difendere l’ex Cirielli, la legge meglio nota come "salva-Previti" slittata a fine mese dopo i distinguo dell’Udc. "Mi fanno dannare con la ex Cirielli, ma non l’ho proposta io", è sbottato il Guardasigilli di buon mattino a Lecco durante l’inaugurazione del campus universitario del Politecnico. Vale la pena di tentare un approfondimento.
Cosa accade, ministro, si lava le mani dell’ex Cirielli. La sta scaricando? "Scaricando no, ma voglio ristabilire la verità dei fatti. Sembra che questa legge l’abbia fatta e scritta io, tant’è che tutti si sono scagliati contro di me".
Invece? "Invece il governo ha preso atto che il Parlamento ha varato questo provvedimento e sta cercando di rispondere alle domande che il Parlamento gli fa. Tipo: quale sarà l’impatto dell’ex Cirielli sui processi in corso. E io, come ministro della Giustizia, cerco di dare un contributo tecnico".
Quale sarà l’impatto? "I miei dati sono pubblicati su internet. E sono dati elaborati, meditati e sicuramente attendibili che dicono - sulla base di un campione assolutamente rappresentativo dei reati comuni - quanti procedimenti verrebbero prescritti. Senza dire se la ex Cirielli va bene, o va male. Mi sono limitato a fornire un quadro del tutto asettico con numeri nudi e crudi. Più di così non potevo fare e non so cosa potrei fare. Se c’è qualcuno che non li capisce non è colpa mia. Anch’io non capisco l’arabo, visto che non l’ho mai studiato, ma non è colpa degli arabi se non comprendo la loro lingua. La verità è che siamo in un Paese in cui tutti guardano la realtà con le lenti distorte delle ideologie. Quindi, se la realtà ha un colore diverso da quella che si vuole, si dice che non è vera. Boh?!".
Per la verità anche la Cassazione... "Mi viene da ridere. Quelli della Cassazione hanno preso un campione identico al mio, però i loro dati sono esaustivi e i miei sono incompleti. Allora si capisce perché l’Italia non ha premi
Nobel...finché ragioniamo così". Ha riproposto Maroni assessore in Lombardia. Non c’era stato il no di Formigoni? "Questo non lo so. Ma so che Maroni sarebbe un ottimo assessore e non credo che ci sia qualcuno che ne possa dubitare". Ex Cirielli: Castelli a presidente Cassazione; dati insufficienti
Rai News, 10 ottobre 2005
C’è da "aspettarsi che, se sono stati criticati come insufficienti i risultati" del ministero della Giustizia sui processi che cadrebbero in prescrizione con l’ approvazione della ex Cirielli, "la stessa critica verrà rivolta" agli uffici della Corte di Cassazione che ha preso in esame una percentuale di dati pari al 12%, "praticamente identica a quella dell’ufficio statistica del ministero". Il ministro della Giustizia Roberto Castelli non cita mai espressamente il presidente della Camera Pierferdinando Casini ma in una lettera al primo presidente della Corte di Cassazione, Nicola Marvulli, pubblicata sul sito web del ministero, non rinuncia a levarsi qualche sassolino dalla scarpa. In Parlamento, intanto, proprio il vicepresidente dei deputati di An, Edmondo Cirielli, presenta un emendamento alla sua legge (ripudiata dopo le modifiche) per sottrarre al nuovo regime della prescrizione i reati contro l’incolumità pubblica, l’omicidio colposo e le lesioni colpose connesse a tali reati. Castelli ha trasmesso a Casini i dati elaborati dalla Corte di Cassazione relativi al numero dei procedimenti penali pendenti presso la Suprema Corte che cadrebbero in prescrizione con l’approvazione della ex Cirielli. La lettera del Guardiasigilli, datata 7 ottobre, segue il sollecito di Casini per "dati il più possibile rappresentativi". Castelli nella sua lettera al presidente della Corte di Cassazione sottolinea "non solo la rilevanza politica che i dati, pur nella loro asetticità contengono, ma anche l’altissimo grado di strumentalizzazione al quale essi si prestano". Tre sono le questioni che a giudizio di Castelli la Cassazione dovrebbe chiarire, in relazione ai dati prodotti la scorsa settimana in base ai quali la proposta di legge ex Cirielli spazzerebbe via dal 42,02% al 49,09% dei processi pendenti presso la Suprema Corte, a seconda dell’interpretazione più o meno favorevole all’ imputato. Il Guardasigilli intende avere informazioni più precise su quali siano stati i criteri usati dalla Cassazione per la scelta dei reati-campione; intende conoscere quali siano i "reati più frequenti" per valutare la rappresentatività dei dati forniti; ritiene "opportuno" che la Suprema Corte valuti anche l’ipotesi di "applicazione di aumento del tempo delle prescrizioni anche in presenza di recidiva". Il campione preso in esame dalla Cassazione è di "3.365 procedimenti pendenti su un complesso pari a circa 33.000". "A questo proposito - scrive Castelli - ricordo che, da più parti, peraltro erroneamente trattandosi di campioni, sono stati criticati i dati pubblicati pochi giorni fa dal ministero, relativamente alle Corti di Appello, in quanto dichiarati parziali e incompleti". "A questo proposito - scrive Castelli a Marvulli - è curioso notare che i vostri uffici hanno preso in esame una percentuale di dati, pari al 12% del totale, praticamente identica a quella dell’Ufficio statistica del ministero". In un’intervista al Messaggero Castelli ricorda di non essere stato lui a proporre la ex Cirielli, legge meglio nota come "salva-Previti": "Sembra che questa legge l’ abbia fatta e scritta io, tant’è che tutti si sono scagliati contro di me. Invece il governo ha preso atto che il Parlamento ha varato questo provvedimento e sta cercando di rispondere alle domande che il Parlamento gli fa. Tipo: quale sarà l’ impatto della ex Cirielli sui processi in corso. E io, come ministro della Giustizia, cerco di dare un contributo tecnico". "Senza dire se la ex Cirielli va bene o va male - prosegue Castelli - io mi sono limitato a fornire un quadro del tutto asettico con numeri nudi e crudi. Più di così non so cosa potrei fare. Se c’è qualcuno che non li capisce non è colpa mia. La verità - conclude - è che siamo in un Paese in cui tutti guardano la realtà con le lenti distorte delle ideologie". Roma: accordo tra Garante e Centro culturale islamico
Redattore Sociale, 10 ottobre 2005
Un calendario che spiega dettagliatamente, giorno per giorno, le ore in cui i detenuti di religione musulmana devono pregare e quando, invece, è possibile alimentarsi. In occasione del Ramadam, l’Ufficio del Garante regionale dei diritti dei detenuti ha spedito ai direttori di tutte le carceri del Lazio questo calendario. L’iniziativa è stata resa possibile grazie all’accordo raggiunto fra il Garante Angiolo Marroni e il Centro Culturale Islamico d’Italia che ha sede nella Moschea di Roma. "Nelle carceri ci sono tanti detenuti stranieri, e tanti di questi sono di religione musulmana - ha detto Marroni -. Pensando a questo gesto in apparenza insignificante abbiamo, invece, voluto sottolineare che il rispetto per i diritti dei detenuti di ogni nazionalità, razza e religione passa anche attraverso piccole attenzioni come queste. Del carcere si parla solo in negativo. Ma quello non può essere un mondo di dimenticati. Questo piccolo gesto di attenzione verso i detenuti stranieri, spesso con nessuno qui in Italia che si prenda cura di loro, vuole essere un messaggio di tolleranza e di solidarietà: nonostante tutto non siete soli". Giustizia: reati minori, a Modena il progetto "La Retata"
Rai Utile, 10 ottobre 2005
Favorire il reinserimento delle persone che hanno compiuto reati minori: è l’obiettivo del progetto "La Retata. Catturati dalla solidarietà", realizzato con il supporto del Centro servizi per il volontariato di Modena, alla ricerca di volontari. Da anni impegnato all’interno delle carceri, il Csv quest’anno ha deciso di estendere il suo impegno anche verso i detenuti che scontano la pena all’esterno del penitenziario, usufruendo di misure alternative. Tali misure non sono un premio o un’agevolazione, ma riguardano alcune situazioni particolari previste per legge in cui è preferibile che la persona non stia in carcere (ad esempio se deve provvedere ai figli, oppure se ha problemi con l’alcol o con la droga, a patto di voler seriamente iniziare un percorso di cambiamento). In ogni caso le misure alternative riguardano i cosiddetti "reati minori", vale a dire quelli punibili con pene inferiori ai 3 anni. Ma cosa è chiamato a fare, concretamente, un volontario? Può accompagnare un detenuto all’Informagiovani o all’Informacittà, affinché possa conoscere i servizi che questa offre (centri per l’impiego, servizi territoriali, associazioni); ascoltare un concerto insieme; passeggiare nel parco; visitare una mostra o semplicemente passare un po’ di tempo in compagnia. Informazioni: tel. 059.212003. Pescara: evadono 3 detenuti, 1 preso a 500 metri dal carcere
Ansa, 10 ottobre 2005
Una fuga da film: scavano un buco nella cella al primo piano e riescono a scappare indisturbati. È successo nel carcere di San Donato di Pescara. Sarebbero tre i detenuti, tutti albanesi, secondo le prime informazioni, ad essere fuggiti nel corso della notte dopo avere scavato un buco. Secondo la ricostruzione del fatto i tre malviventi avrebbero utilizzato un’impalcatura di un’impresa che sta eseguendo lavori di ristrutturazione. In questo modo sono poi riusciti a superare il muro di cinta e a guadagnare la libertà. Uno di loro, un 31enne che stava scontando una pena per omicidio è stato ripreso in via Neto, a circa 500 metri dal muro di cinta. Un altro detenuto, accusato di furto, che avrebbe finito di scontare a breve la pena, e il terzo uomo, accusato di spaccio di droga e sfruttamento della prostituzione con fine pena nel 2015, sono ancora in fuga. Papillon: risposta di Magistratura Democratica a lettera a Prodi
Associazione Papillon, 10 ottobre 2005
Caro Signor Antonini, Ho ricevuto il documento della associazione Papillon indicato qui nell’oggetto. Le confesso che esso ha risvegliato in me un certo senso di colpa. Quando scrivete che: "i temi della Giustizia vengono per lo più affrontati da versanti certo importanti (come la prescrizione, le carriere dei Magistrati, ecc.) ma comunque diversi da quello della drammatica realtà quotidiana che da tempo si vive nelle carceri del nostro paese e che è stata notevolmente aggravata da oltre quattro anni di cinismo e arroganza del centro destra, arrivando ormai a condizioni che riteniamo indegne per una società che vorrebbe definirsi civile e democratica;" voi dite, né più ne meno, che una cosa vera. Del carcere ce ne siamo occupati tutti (anche noi di Md) poco, troppo poco; ed intanto la "popolazione carceraria" aumentava e le condizioni di vita, certo già non buone, peggioravano. Non Le posso promettere nulla che non sia la nostra attenzione intellettuale e politica; sul nostro sito www.magistraturademocratica.it potrà leggere, se lo vorrà, un documento di Giovanni Palombarini che cerca di rimettere in moto la discussione. Non è molto, ma spero che sia almeno qualcosa. Nel ringraziarla dell’invio del documento, le chiedo di continuare a tenerci informati; se vorrà, scrivendo anche agli indirizzi che trova qui "per conoscenza". Le chiedo anche l’autorizzazione a pubblicare il documento sulla nostra lista e/o il nostro sito.
La risposta dell’On. Fausto Bertinotti alla nostra lettera aperta all’Unione
Carissimi, nel concordare con le Vostre richieste, vorrei ribadirvi assai brevemente la nostra completa condivisione delle rivendicazioni che chiedono di intervenire urgentemente sulla condizione carceraria, in particolare affinché venga ripresa l’iniziativa per l’amnistia e l’indulto. Rispetto alla questione dei seggi per le primarie, Vi assicuro il massimo impegno, a partire dal vertice dell’Unione di lunedì 10, affinché venga fatto un passo formale urgentissimo presso le autorità competenti per permettere ai detenuti che lo volessero di votare alle primarie dell’Unione. Cordialmente, Fausto Bertinotti Sulmona: premio al direttore del carcere di via Lamaccio
Il Messaggero, 10 ottobre 2005
"Ha adottato una politica innovativa per gestire il supercarcere di Sulmona, coinvolgendo i detenuti in attività che potranno diventare di vera e propria produzione". È questa, in estrema sintesi, la motivazione con cui Giacinto Siciliano, direttore del carcere di massima sicurezza di via Lamaccio, è stato premiato con una targa d’argento dagli imprenditori abruzzesi, nell’ambito del congresso dei giovani di Confindustria che si sta svolgendo a Capri. "Si tratta - ha detto Fabio Spinosa Pingue - di un riconoscimento al direttore di un carcere che, nel mondo della pubblica amministrazione, complesso, arcaico e, a volte, borbonico, sta portando innovazione nelle relazioni tra gli stake holders della comunità. Insomma, sta facendo scuola, per la cultura di rapporti che crea con l’apertura alla comunità attraverso una pluralità di eventi. Noi giovani imprenditori - ha aggiunto il presidente dei giovani imprenditori - saremo al fianco del direttore, magari studiando forme concrete di collaborazione che portino il carcere di Sulmona a diventare una vera e propria azienda". I giovani di Confindustria hanno "adottato" il dipinto murale "Marechiaro" realizzato da un detenuto. "L’esigenza di fondo - ha commentato Siciliano - è dare il massimo significato alle attività che si fanno all’interno della struttura. Per questo motivo devono essere integrate e proiettate sul territorio". Immigrazione: è un Cpt o un lager? indagini a Lampedusa
La Gazzetta del Mezzogiorno, 10 ottobre 2005
La Procura della Repubblica di Agrigento ha disposto un’inchiesta, delegandola a Polizia e Carabinieri, mentre procedono gli accertamenti amministrativi. A 24 ore dalla pubblicazione, su l’Espresso, del dossier sulle condizioni di vita degli extracomunitari ospiti del centro di accoglienza di Lampedusa, è arrivato il momento delle indagini. Il drammatico racconto di Fabrizio Gatti che, fingendosi un immigrato curdo ha vissuto nella struttura per una settimana, è finito in un fascicolo, tecnicamente ancora "a carico di ignoti". Sugli abusi che gli extracomunitari avrebbero subito da parte di alcuni esponenti delle forze dell’ordine e sulle precarie condizioni igieniche del Cpt, denunciati nel reportage, indagheranno Polizia e Carabinieri. A loro il Procuratore della città dei templi, Ignazio De Francisci, ha affidato l’inchiesta. La Polizia - che attraverso il questore di Agrigento Nicola Zito ha comunicato ai magistrati la notizia di reato - dovrà fare chiarezza sul funzionamento della struttura. Ai Carabinieri, invece, il compito di indagare sui presunti maltrattamenti subiti dagli extracomunitari, vittime, secondo il racconto del cronista, di angherie, ingiurie, violenze da parte dei militari. "Gli accertamenti, coordinati dal comandante della Regione Sicilia, Generale di Brigata Arturo Esposito - hanno fatto sapere dal Comando generale dell’Arma - saranno rigorosi". Ma al fascicolo di indagine sulle condizioni del centro, in cui vengono ipotizzati i crimini di lesioni e peculato, potrebbe, nei prossimi giorni, aggiungersi quello a carico del giornalista de "L’Espresso". I Pm agrigentini stanno valutando la possibilità di procedere contro di lui per "false generalità". E così Gatti, che sarà ascoltato in Procura, potrebbe trovarsi nella duplice condizione di teste e di indagato. Dei controlli amministrativi si occuperà la prefettura di Agrigento che riferirà i risultati degli accertamenti al ministero degli Interni. Nessuna ispezione verrà effettuata invece dal direttore centrale per l’immigrazione, il prefetto Alessandro Pansa. "Incontrerò il prefetto di Agrigento - ha detto Pansa, oggi nella città dei Templi per partecipare ad un convegno - ma non andrò nell’isola". Sul caso Lampedusa intanto non si ferma il dibattito politico. Getta acqua sul fuoco il ministro della Giustizia Roberto Castelli, che contesta il reportage del settimanale: "Credo che le notizie siano esagerate da quella stampa di sinistra adusa a mentire abitualmente". "Se guardiamo ciò che sta accadendo in Spagna - aggiunge il Guardasigilli - dove ci sono stati morti perché un governo, ritenuto di sinistra, garantisce la sovranità territoriale, credo che dobbiamo fare delle riflessioni su come si debba proteggere il territorio di un Paese". Diametralmente diverse le valutazioni del senatore del Pdci Gianfranco Pagliarulo, che trae spunto dalle vicende del Cpt di Lampedusa per chiedere chiarezza "su tutti i centri di accoglienza". "Non bisogna guardare in faccia nessuno - aggiunge l’esponente comunista - ma guardare dritto negli occhi il ministro Pisanu: se non si dimette, per lo meno riferisca subito in Parlamento". E sull’opportunità di affidare al prefetto di Agrigento il coordinamento degli accertamenti interni al centro, interviene l’eurodeputato del Prc Giusto Catania, autore in passato di numerose denunce sulle precarie condizioni della struttura. "La scelta del ministero degli Interni di inviare il prefetto di Agrigento Bruno Pizzuto a fare un sopralluogo al cpt - dice - è assurda e ridicola. La responsabilità del centro è del prefetto di Agrigento che così sarebbe contemporaneamente controllore e controllato". Roma: Rebibbia Femminile incontra l’Uisp e Vivicittà
Comunicato Stampa, 10 ottobre 2005
Si è svolto mercoledì 5 ottobre, alla sezione femminile di Rebibbia, "Vivicittà", la tradizionale gara podistica che l’UISP Comitato di Roma organizza ormai da 15 anni all’interno del penitenziario. Alla gara, 2.4 chilometri lungo il perimetro delle mura dell’Istituto, hanno partecipato 19 detenute accompagnate da esperti corridori esterni. Ospite d’onore Sergio Agnoli, il 79enne primatista mondiale di maratona nella categoria over settanta che, non potendo correre per via di un fastidioso infortunio alla schiena, non ha lesinato consigli e incitamenti alle "atlete", emozionantissime mentre si posizionavano al nastro di partenza. Le ragazze attendevano la manifestazione da mesi. "Gli uomini hanno già avuto la loro Vivicittà lo scorso 23 giugno – spiega Andrea Novelli, Presidente dell’UISP di Roma – per le donne la data era stata fissata a luglio, ma un’epidemia di varicella ci ha costretto a farla slittare". La gara inizia con un pò di ritardo rispetto all’ora stabilita, ma a ragione. La lunghezza del percorso, fin da primo momento, aveva spaventato le atlete, che temevano di non riuscire a concludere la corsa, prevista di 3 giri. Dopo una goliardica discussione con la quale le detenute chiedevano che il percorso fosse ridotto a due giri (anch’essa colorata dalle "tifose" che, naturalmente, si sono schierate con le loro compagne in pista) l’intervento degli atleti esterni ha convinto le ragazze ad accettare la corsa di 3 giri. Inoltre, un piccolo ritardo c’è stato perché l’organizzazione voleva fortemente la partecipazione, tra le file del pubblico, delle mamme con i loro bambini. Solo dopo il loro arrivo Massimo Alegiani, Presidente della Lega Atletica Leggera dell’UISP di Roma, presente in veste di responsabile tecnico della gara ha dato il via alla gara. L’entusiasmo intorno alle atlete è davvero tanto: un centinaio di detenute, provenienti da tante parti del mondo, hanno fatto un tifo "multilingue e multietnico" per le loro amiche in pista. Anche i bambini, una dozzina, dai zero ai 3 anni, hanno partecipato alla tifoseria. Anche per loro l’UISP di Roma organizza attività, per il periodo che loro malgrado devono trascorrere in carcere per stare con le loro mamme. Si tratta di "Giocare a Rebibbia", un progetto che l’UISP gestisce da più di un anno all’interno del nido del penitenziario, per rendere meno difficile la permanenza dei piccoli all’interno di un carcere. Ma torniamo alla gara. La corsa, nonostante più breve del previsto, si presenta comunque molto dura. Solo tre atlete si danno battaglia fino all’ultimo giro. Alla fine vince Bianca, una ragazza serba di 26 anni; seconda e terza due atlete nigeriane, Fatih e Rita. Ma la festa è per tutte: quando lo sport riesce ad entusiasmare così, si può dire che lo scopo è stato raggiunto. Divertirsi e partecipare, in un’occasione come questa, è davvero la cosa più importante. A premiare Andrea Ciogli, Responsabile dell’Area Carcere dell’UISP Roma, accolto da un applauso degno di una star, Sergio Agnoli e Mario Romagnoli, capitano dell’Italia Marathon Club (la squadra alla quale appartengono gli atleti esterni) e il Presidente dell’UISP Roma Andrea Novelli: le prime tre classificate hanno ricevuto la coppa, ma anche tutte le altre sono state premiate con una medaglia. "Siamo davvero contenti che oggi siate qui per correre insieme – dice Novelli - in questa giornata di sport e di festa. Eravamo dispiaciuti del rinvio, la scorsa estate, ma abbiamo fatto il possibile per fare Vivicittà anche qui, a Rebibbia femminile e il successo che vedo è la nostra più grande soddisfazione. Ringrazio in primo luogo tutte le atlete che, nonostante la scarsa forma atletica e fisica (magari anche con qualche chiletto di troppo) hanno comunque dato il meglio di loro stesse gareggiando e arrivando ad arrivare il traguardo. Colgo l’occasione per ringraziare le educatrici e gli agenti che con il loro lavoro hanno permesso che questa manifestazione avesse tutto questo successo, ancora una volta. Ci rendiamo conto di come per loro sia difficile gestire la realtà del carcere in una condizione di sovraffollamento come quello che sta vivendo Rebibbia. Devo ammettere però che tutte le operatrici danno continuamente il meglio di se stesse, meritandosi un vero e proprio plauso". Torino: a 82 anni deve tornare in carcere in barella
La Stampa, 10 ottobre 2005
Ha passato quasi tutta la vita facendo avanti e indietro dal carcere. Truffe, ricettazione, droga. Alle Vallette lo conoscono tutti, lo chiamano "lo Zio", ma mai avrebbero pensato di rivederlo. Mai più credevano che questo signore che dal 1950 fa lo slalom tra casa e cella, sarebbe tornato dietro le sbarre, ora che ha 82 anni ed è completamente invalido. Cieco da più di dieci anni, senza una gamba, con un braccio fratturato, e un tumore operato di recente. Sergio Vizio da venerdì mattina è di nuovo rinchiuso in una cella alle Vallette. Questa volta, per portarcelo, si sono dovuti servire di una barella e dell’ambulanza. Sì, perché quest’uomo che ha trascorso la vita arrangiandosi, a suon di truffe, da anni ha perso l’uso delle gambe. Non solo: deve essere lavato, vestito e imboccato ogni giorno. Nemmeno lui ci credeva quando, l’altra mattina, due agenti della squadra mobile hanno bussato alla porta dell’abitazione di Rosa Giambarresi, in corso Molise 18. Palazzi fatiscenti, gente povera. Da dodici anni stava lì, al secondo piano di una palazzina che sembra destinata a crollare da un momento all’altro. Ospite della sorella di un ex compagno di cella, ancora oggi detenuto. Era uscito di galera l’ultima volta nel ‘93, a 70 anni, già cieco e senza un posto dove stare. Una casa ce l’avrebbe avuta, quella del suo unico figlio. Da anni, però, avevano troncato i rapporti. E allora aveva provveduto l’amicizia, nata e consolidatasi tra le mura del carcere. Ci aveva pensato il compagno di cella: "Rosa, portalo a casa, tienilo con te, è un brav’uomo". Rosa, che già si prende cura del nipote (il figlio del fratello detenuto) e della madre, anche lei invalida, giorno e notte attaccata alle macchine, aveva detto sì. "È una persona per bene, uno che in passato ha commesso errori, ma ha sempre pagato. Devo essere sincera: la sua pensione mi faceva anche comodo, ma l’ho accolto come un padre, ogni giorno l’ho accudito". L’altra mattina sono venuti a prenderlo: vecchie condanne da scontare, un cumulo che, in totale, fa 19 anni. Sono rimasti senza parole. I poliziotti. "Pensavano fosse un errore, uno scambio di persona. Hanno chiesto lumi, ma di fronte all’ordine della Procura hanno dovuto portarlo via. Erano mortificati, ancora un pò e si scusavano... ". Lui, Sergio Vizio, si è lasciato sollevare e trasportare. Incredulo, esterrefatto. "Portatemi pure in carcere", ha detto agli agenti con un filo di voce. "Anzi, spero proprio di scontarla tutta la pena". Insomma, quasi un simpatico augurio. I poliziotti, ancora perplessi, hanno chiamato l’ambulanza e lo hanno caricato sopra, per quei pochi isolati che bisognava percorrere. Tutto il suo mondo, invece, è rimasto lassù, in quel poverissimo appartamento al secondo piano. Nella sua stanza: la porta mezza sfondata, i muri scrostati, l’intonaco vecchio di anni, un piccolo letto, la carrozzina accanto. E ancora: un mobiletto zeppo di farmaci e cerotti per il cuore, un pacco di pannoloni appoggiato sopra; un piccolo armadio con due televisori sopra. Li usava al posto della radio, per ascoltare le partite di calcio. Da quel momento, di lui non si sa più nulla. "È gravemente malato, ha bisogno di cure, deve essere seguito costantemente - racconta Rosa Giambarresi -. In carcere non può restare: è debole, tra quelle mura rischia di morire". Lei, ancora spera che lo riportino a casa così come se lo sono venuti a prendere. Si aggrappa al buon senso: "Deve essere un errore, per forza. Altrimenti, come si può decidere di incarcerare un anziano di 82 anni, invalido e gravemente malato?". Palermo: poliziotto penitenziario si suicida in carcere
Ansa, 10 ottobre 2005
Un agente di polizia penitenziaria si è suicidato nel pomeriggio in un piazzale interno del carcere dell’Ucciardone a Palermo. L’agente è originario di Campofelice di Roccella (Palermo) e si è ucciso con un colpo di pistola alla tempia. I colleghi che hanno avvertito l’eco del colpo hanno tentato di soccorrerlo, ma inutili sono stati i tentativi di rianimarlo. Secondo quanto emerge da ambienti investigativi, il sottufficiale soffriva di crisi depressive. Psichiatria: oggi la Giornata mondiale della salute mentale
Redattore Sociale, 10 ottobre 2005
Nel mondo 450 milioni di persone soffrono di una malattia mentale, ogni anno i suicidi sono quasi un milione. Tra il 1993 e il 1999 le assenze dal lavoro per motivi psicologici si sono quadruplicati. Eppure il malato di mente resta, quasi ovunque, un problema da rinchiudere in un ospedale psichiatrico piuttosto che una persona da curare. Secondo i dati della Caritas, un terzo della popolazione mondiale, circa 2 miliardi di persone, vive in paesi che dedicano alla salute mentale meno dell’1% del loro budget sanitario. Nei paesi sviluppati la percentuale dei malati mentali che non riceve alcuna cura arriva fino al 70%, nei paesi del Sud del mondo sale al 90%. La malattia mentale è ancora una realtà ignorata in gran parte del pianeta: il 25% dei paesi non ha una legislazione sulla salute mentale e più del 40% non ha una politica su questa materia. In Europa una persona su quattro si scontra con un episodio di malattia mentale. Circa 3 milioni di adulti soffrono di schizofrenia. La legislazione italiana rimane una tra le più "illuminate", un modello per l’intera Europa. Nonostante questo, anche nel nostro paese continuano ad esistere gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Strutture più simili a luoghi di reclusione che di cura. In occasione della Giornata mondiale della salute mentale che si celebra oggi e che quest’anno è dedicata alla prevenzione la Caritas ha invitato la società civile, e in particolare le comunità cristiane, a adoperarsi per facilitare i rapporti tra i malati e gli operatori sanitari. La giornata mondiale della salute mentale offre l’opportunità di approfondire e fare il punto su quanto si sta facendo si è fatto e si conta di fare. La giornata ha anche lo scopo di informare, sensibilizzare e coinvolgere i cittadini sui temi legati alla salute mentale. Molte iniziative sono già in atto da anni. La Caritas Italiana, ad esempio, sostiene programmi di salute mentale nei paesi della ex Iugoslavia. Il progetto coinvolge quattro ospedali psichiatrici: tre in Serbia (Gornja Toponica, Kovin e Vrsac) e uno in Montenegro (Podgorica). L’obiettivo è migliorare le condizioni di vita dei pazienti e favorirne il re-inserimento sociale. Al programma partecipano anche molti psichiatri italiani con il compito di formare il personale. Numerosi gli interventi anche nelle città italiane, dove le Caritas diocesane operano a sostegno delle persone con disagi psichici e delle loro famiglie. Molte parrocchie organizzano corsi per i volontari che intendono avvicinarsi a questa realtà. Centri diurni, laboratori, borse-lavoro, ascolto telefonico, gruppi di auto-mutuo aiuto. I servizi gestiti dalla Caritas non sostituiscono le risposte istituzionali. Sono, piuttosto, tentativi di rispondere in modo sempre più adeguato ai bisogni dei malati di mente. Nel 2005 sono stati finanziati 28 progetti. La metà della spesa, 2.340.000 euro, è stata finanziata attraverso l’otto per mille. Palermo: 9 medici indagati per la morte di un detenuto
La Sicilia, 10 ottobre 2005
Nove medici sono indagati dalla procura di Palermo per omicidio colposo. Il procedimento è stato aperto in seguito alla morte di Michele Palazzolo, 23 anni, catanese, deceduto nel luglio scorso all’ospedale Civico di Palermo. Il giovane, detenuto con gravi problemi di salute, era stato trasferito dal carcere Piazza Lanza di Catania a quello palermitano dei Pagliarelli. Prima di partire per Palermo Palazzolo, che l’anno scorso aveva avuto una grave encefalite ed era stato in coma, si era sentito male. Ma il medico dell’istituto di pena della città etnea gli aveva diagnosticato una semplice lombosciatalgia autorizzandone la traduzione. Le condizioni del giovane erano peggiorate, tanto che il cellulare sul quale viaggiava era stato più volte costretto a fermarsi. In una sosta nel carcere di Bicocca, a Catania, la vittima aveva avuto gravi crisi di vomito e febbre. Arrivato al Pagliarelli Palazzolo era stato visitato, ma anche in questo caso il medico del carcere non aveva ritenuto allarmante il suo stato di salute. Un ulteriore peggioramento aveva, invece, indotto un altro sanitario della struttura penitenziaria a disporre il ricovero del giovane all’ospedale Civico. Palazzolo, però, era morto subito dopo essere giunto al nosocomio. Nel registro delle notizie di reato sono finiti il medico del carcere di Piazza Lanza, tre sanitari del Pagliarelli e 5 del Civico. L’inchiesta è condotta dal pm Sergio De Montis. "Faremo chiarezza su questa vicenda", annuncia l’avvocato Maria Chiaramonte, il legale dei familiari della vittima, che si costituiranno parte civile nel procedimento. "Michele era guarito da poco - racconta - da una terribile encefalite che gli era stata curata proprio a Palermo. Poi era stato arrestato perché doveva scontare una condanna per rapina ma le sue condizioni di salute non erano mai tornate normali, tanto che i medici gli avevano prescritto una cura che avrebbe dovuto seguire per tutta la vita". I familiari del ragazzo hanno sostenuto di avere più volte richiesto al carcere catanese di fare avere al giovane i farmaci indicati. "Non sono mai stati autorizzati", dice il legale che annuncia l’intenzione di accertare se "oltre ai sanitari che hanno evidentemente sottovalutato le condizioni di Michele, le condotte dei responsabili dell’istituto di pena possano avere avuto un ruolo nella morte del giovane". Unione: Bulgarelli; in programma amnistia per reati sociali
Ansa, 10 ottobre 2005
"Credo sarebbe utile che già a partire dalle primarie l’Unione nel suo complesso inserisca nel programma l’obiettivo dell’amnistia". Così Mauro Bulgarelli, esponente dei Verdi, che spiega: "La situazione nelle carceri è esplosiva e mi sembrerebbe un atto di responsabilità politica rilanciare la battaglia per l’amnistia, visto che la maggior parte dei detenuti sono in carcere per piccoli reati, molto spesso scaturiti da una condizione di indigenza e di bisogno: penso ad esempio ai migranti e a tutti coloro che finiscono in prigione per reati legati alla sopravvivenza quotidiana. "D’altra parte - continua Bulgarelli - come Verdi pensiamo sia assolutamente necessario puntare a una amnistia per i reati sociali: migliaia e migliaia di persone sono state colpite da provvedimenti giudiziari per aver occupato case sfitte, allestito picchetti davanti alle fabbriche, bloccato i treni che trasportavano armi per la guerra in Iraq, compiuto autoriduzioni nei supermercati e altre manifestazioni di disobbedienza sociale. È assurdo che queste persone, che segnalano con le loro azioni l’inadempienza dello stato verso i più deboli e i meno garantiti, siano considerate dei criminali e rischino di finire in carcere". Cuneo: carcere e lavoro, presidente Costa incontra 60 detenuti
Targato CN, 10 ottobre 2005
Carcere e lavoro. Questo il tema dell’incontro del presidente della Provincia Raffaele Costa, l’altro giorno al Cerialdo, dove ha incontrato 60 detenuti. Le carceri della Granda sono quattro: Cuneo, Saluzzo, Alba, Fossano; in tutto i detenuti sono circa un migliaio, di questi 220 sono ospiti di Cuneo. Quanti potranno lavorare? "Dobbiamo escluderne 110 che per ragioni diverse sono ad alta vigilanza (90) per la loro possibile pericolosità o costretti all’isolamento (20). Gli altri potrebbero svolgere un ruolo attivo mentre ad oggi solo una ventina compiono lavori interni al carcere (cucina, pulizia) non legati a vera e propria produzione", ha dichiarato Costa. Accompagnato dal direttore del carcere di Cuneo Giuseppe Forte e da alcuni agenti di Polizia penitenziaria, il presidente ha visitato alcuni possibili locali dove l’attività lavorativa potrebbe aver luogo, al momento solo in piccola parte occupati da strutture per corsi professionali in attività. "Non nascondo la difficoltà – ha precisato – ma vale la pena di tentare. Lavorare significa non oziare, significa essere preparati a tornare nella società, significa guadagnare qualche soldo. Mi rendo conto delle difficoltà anche tenendo conto che oltre l’80% dei detenuti è extracomunitario. Quale attività potrebbero svolgere? Sono gli stessi detenuti a suggerire compiti di sartoria, decorazione di ceramica, tipografia, artigianato vario". Minori: in carcere 474 minorenni, di cui 250 stranieri
Redattore Sociale, 10 ottobre 2005
Sono 474 i detenuti minori, di cui 250 stranieri provenienti prevalentemente dei paesi dell’Est e del Nord Africa. Il 17% ha tra 14 ed i 15 anni e sono gli stranieri ad essere più giovani. È questa la fotografia che restituiscono i dati relativi ai servizi della Giustizia Minorile nel primo semestre 2005, che il Ministero ha diffuso nei giorni scorsi.
Centri di prima accoglienza
Sono 1.914 gli ingressi nei Centri di prima accoglienza nei primi 6 mesi del 2005, di cui 196 riguardano ragazzi con meno di 14 anni. Sono soprattutto italiani (821), mentre i minori di nazionalità straniera provengono prevalentemente dai Paesi dell’Est Europeo (prime Romania con 447 ingressi e Serbia-Montenegro con 144) e dai Paesi del Nord Africa (146 gli ingressi dal Marocco). I minori stranieri ospitati in queste strutture hanno in media un’età più bassa rispetto agli italiani: tra i ragazzi come meno di 14 anni presi in carico nei Cpa 186 provengono dai paesi Est, un solo è italiano. Tra i 16 e 17 anni l’età media di ingresso per gli italiani. Prevale la componente maschile nei Cpa, tranne che nella fascia di età più bassa: sono 126 le ragazze con meno di 14 anni entrate nel Cpa fino al giugno di quest’anno, su un totale di 196 ingressi.
Comunità
Nelle Comunità prevale, anche se di poche unità, l’utenza italiana: 952 i minori presi in carico nei primi 6 mesi del 2005, di cui 474 italiani, 417 stranieri e 61 nomadi. Nel 2004 le statistiche avevano fatto registrare un aumento dell’utenza italiana tra i minori collocati in comunità. Si tratta in maggioranza di maschi, ad esclusione dei nomadi dove è più significativa la presenza femminile.
Istituti penali minorili
Sono 768 i nuovi ingressi negli istituti penali minorili, di cui 366 di minori provenienti dai Cpa e 51 dal collocamento in comunità. Significativo il numero di ragazzi che al momento dell’ingresso non avevano a carico procedimenti penali per i quali erano già transitati in istituto o in strutture detentive per adulti. Con riferimento alla posizione giuridica, la maggior parte dei detenuti presenti negli istituti minorili è in custodia cautelare; ciò vale in particolare per i detenuti di nazionalità straniera, che ormai costituiscono più della la metà dell’utenza complessiva: sul totale degli ingressi, infatti, 479 riguardano i detenuti stranieri. Analogamente alle caratteristiche dei minori presenti nei Cpa, anche i detenuti stranieri provengono prevalentemente da Romania (90), Serbia-Montenegro (33) e Marocco (50). Si tratta ancora soprattutto di maschi. Per quanto riguarda, infine, l’analisi territoriale come già rilevato nell’anno passato, i dati mostrano come nei Servizi del Centro – Nord ci siano in gran parte straniera, a differenza di quelli del Sud e delle Isole dove prevalgono gli italiani. Al giugno del 2005 erano 474 i minori presenti nei Ipm italiani, 194 stranieri. Il 17% ha tra i 14 e 15 anni, e ciò vale soprattutto per gli stranieri.
Reati
Anche nel primo semestre del 2005 i reati contro il patrimonio (428), soprattutto furto (122) e rapina (178) sono i più frequenti, sia per i minori italiani sia per quelli stranieri. Significativi anche le violazioni delle disposizioni in materia di sostanze stupefacenti (95) ed i reati contro la persona (148), tra questi spiccano 29 ingressi per omicidio volontario, di cui 24 a carico di ragazzi italiani. Droghe: Cnca si autosospende dalla Consulta nazionale
Redattore Sociale, 10 ottobre 2005
"È trascorsa solo una settimana dall’incontro che il ministro Carlo Giovanardi ha concesso al cartello "Non incarcerate il nostro crescere" e già restituisce uno schiaffo a chi aveva tentato di stendere una mano". Il Cooordinamento nazionale delle comunità di accoglienza torna sulla conferenza tenuta venerdì scorso dal ministro a Roma (vedi lanci del 7.10.2005) e prende duramente posizione in merito a quanto annunciato dall’esponente governativo. Afferma infatti il coordinamento: "Avevamo con grande serenità e chiarezza invitato il Governo ad evitare di organizzare la Conferenza nazionale sulla Tossicodipendenza programmata per inizio dicembre in presenza di qualsiasi proposta legislativa che mettesse tutti di fronte al fatto compiuto. Motivavamo la nostra posizione richiamando l’attenzione sul fatto che tra i compiti che la legge assegna alla Conferenza è espressamente citato quello di verificare la coerenza e la congruenza della legislazione esistente e di fornire eventuali suggerimenti correttivi. A fronte della dichiarata intenzione del Ministro di presentare una leggina stralcio articolata in 23 articoli, su tre contenuti a suo giudizio marginali e sui quali non esiste, a suo parere, grande conflittualità abbiamo obiettato che, al contrario, proprio i temi delle procedure penali e del sistema di pena, delle tabelle che classificano le sostanze e del rapporto pubblico-privato nella gestione dei servizi rappresentavano il cuore dei conflitti che si erano scatenati attorno alla proposta di legge Fini". "Obiettavamo, inoltre - continua il Cnca -, che anche questo nuovo testo non era stato oggetto di alcuna valutazione e consultazione delle parti in causa né portato all’attenzione della Consulta nazionale così come avvenuto per il lavoro svolto per oltre un anno al Dipartimento per addivenire alla formulazione contenuta nel testo di legge Fini. Infine, facevamo notare come queste tematiche richiedessero un ruolo attivo e determinante delle autonomie locali e soprattutto delle Regioni che ci risultavano essere state completamente escluse dal dibattito. A Giovanardi avevamo fatto presente che, se questa intenzione fosse stata mantenuta, la nostra presenza a Palermo sarebbe stata fortemente messa in discussione e ci saremmo visti costretti a rivedere sostanzialmente la disponibilità sempre confermata di collaborare perché a Palermo si potesse sviluppare un dibattito ampio, articolato, libero da pregiudizi e da posizioni ideologiche". Conclude il Cnca: "La conferenza stampa nella quale il ministro comunica non solo la decisione di procedere per via legislativa, ma tenta pure, con una operazione furbesca e populista, di supportare l’iniziativa parlamentare con la presentazione dei risultati di una indagine che dimostrerebbero come la maggioranza degli italiani sia favorevole a perseguire penalmente anche i consumatori ci mette nelle condizioni di dover annunciare che la nostra Federazione è già ora nelle condizioni di annunciare la propria decisione di auto-sospendersi dalla Consulta nazionale e di comunicare che la prossima settimana proporrà al cartello "Non incarcerate il nostro crescere" di non partecipare alla Conferenza nazionale e di prevedere l’organizzazione di una contro-conferenza alla quale invitare anche tutte le Regioni italiane e gli Enti locali. A voler troppo giocare con le buone intenzioni e la buona fede dei propri interlocutori si rischia di pagare un prezzo salato. Giovanardi e il Governo pagano il prezzo della incoerenza, della scorrettezza e della non trasparenza". Civitavecchia: 1 agente ogni 50 detenuti e un solo psicologo
Il Messaggero, 10 ottobre 2005
Tanti suicidi. Troppi. Da qualche anno il carcere di Aurelia vanta questo triste primato. Difficile tenere il conto dei detenuti che si sono tolti la vita, ma certo è che la frequenza di questi episodi è preoccupante. Gli ultimi casi, che hanno riportato il penitenziario locale alla ribalta della cronaca, nelle settimane scorse: due reclusi morti in 10 giorni. Il primo suicida per pentimento; per l’altro le cause del decesso restano ancora misteriose. Ma perché ad Aurelia c’è un così alto indice di morti? Doveroso chiederselo, arduo rispondere. Anche perché avere versioni ufficiali dall’interno del carcere é pressoché impossibile. Il silenzio, però, aumenta dubbi ed inquietudini. Una su tutte, la più agghiacciante: che nel penitenziario possa esserci qualcuno che induca gli ospiti ad uccidersi. Una sorta di pressione psicologica atta a favorire l’autoeliminazione. Ma chi dentro la struttura opera, pur non potendo comparire in prima persona, esclude un’ipotesi del genere. Il problema non è il regime duro, insopportabile, che spinge al suicidio, ma semmai l’esatto contrario e cioè la scarsa assistenza di cui godono i detenuti. I numeri sono più eloquenti delle parole. Ad Aurelia mediamente ci sono almeno 500 ospiti, il doppio della capienza prevista. Inevitabile perciò sistemare in ogni cella due e a volte anche tre reclusi, con tutti i problemi di convivenza che questo può comportare. Soprattutto perché lo stile di vita è spesso al limite (la tossicodipendenza, ad esempio, è un fenomeno diffusissimo). Una situazione che richiederebbe quindi vigilanza e cure continue, proprio quello che manca nell’istituto. E non certo per volontà di chi vi lavora, che anzi fa il possibile per tenere in piedi la baracca. Altri numeri per spiegare meglio la situazione. Per far fronte al sovraffollamento del carcere, ci vorrebbero almeno 380 agenti penitenziari ed invece ce ne sono sì e no 250. Questo significa che per ciascuna delle undici sezioni maschili della struttura c’è un agente a turno che, da solo, deve controllare una cinquantina di detenuti. Impossibile, naturalmente. E non vanno meglio le cose sul fronte assistenza. Gli educatori sono pochi e, almeno fino a qualche tempo fa, c’era un unico psicologo che aveva un contratto di 40 ore mensili da svolgere ad Aurelia e a via Tarquinia. I sindacati degli agenti penitenziari in passato hanno più volte manifestato, anche duramente, chiedendo rinforzi, ma le loro proteste hanno sortito effetti modesti. Qualche mese fa furono inviati 12 nuovi agenti, ma nel frattempo ne sono andati via otto. Il saldo attivo è rimasto quindi di appena quattro unità. C’è chi in questi giorni ha chiesto un’ispezione del Ministero in carcere per capire le cause dei tanti decessi. Ma sempre chi ci lavora dubita che ciò possa avvenire. Se la direzione centrale indagasse seriamente, infatti, non potrebbe che prendere atto dei numeri in eccesso dei detenuti e in difetto del personale e quindi provvedere. Come reclamano i sindacati da anni.
Tanti i detenuti, sempre pochi gli agenti
La modesta boccata d’ossigeno che la polizia penitenziaria di Aurelia aveva conquistato con le tante proteste dei mesi scorsi si è, alla fine, rivelata inesistente. Infatti, le varie organizzazioni sindacali chiedevano rinforzi per qualche decina di unità, ma di agenti ne sono arrivati soltanto dodici. Non erano tanti, e comunque ora la situazione è di nuovo precipitata, visto che otto hanno chiesto ed ottenuto il trasferimento e che quindi il saldo attivo, per il personale, è di appena quattro unità. La situazione, dunque, ad Aurelia, si mantiene drammatica, con un agente per turno (dovrebbe controllare circa cinquanta detenuti) e, come riferito dalle cronache, una serie lunghissima di decessi: suicidi o morti, come nell’ultimo caso, non del tutto chiare. A fronte del sovraffollamento per quel che concerne i detenuti, i numeri della polizia penitenziaria rimangono piccoli, troppo piccoli. Carenti anche i servizi di assistenza.
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