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Roma: madri detenute con figli, vivere a casa resta un sogno
Avvenire, 30 marzo 2005
A tre anni, Hannen sogna sbarre e cancelli. Chiede alla mamma: "Dove sono le agenti?". Le capita di urlare "pranzo" e "cena" all’ora di mangiare, come faceva tutti i giorni nel carcere romano di Rebibbia. Aveva nove giorni quando c’è entrata con la madre Ana, albanese, dentro per spaccio. Anche la piccola Eva, per mesi in cella con Hannen, fatica a dimenticare il lungo corridoio e i rumori di chiavi: morde tutti e talvolta infierisce su se stessa. Sua madre Lucia ha una condanna di 5 anni per aver trasportato 375 grammi di eroina pura dal Belgio. "Me lo aveva chiesto il mio uomo - racconta -. Ero così sciocca che mi sentivo fiera di farlo per lui". Maria, invece, la galera non l’ha conosciuta per un soffio: sua madre Giulia, spagnola di Granada, era incinta di 6 mesi quando è stata arrestata, anche lei per droga. In carcere il suo pancione dava fastidio, ha ottenuto subito gli arresti domiciliari. Hanno storie estreme, Ana, Lucia e Giulia, eppure si sentono fortunate. Stanno finendo di scontare la pena in case d’accoglienza, alleviando alle loro figlie il trauma della prigionia. Sono tra le poche detenute madri a beneficiare della legge Finocchiaro che, l’8 marzo scorso, ha compiuto 4 anni ma non ha avuto da festeggiare perché, per tante altre donne, è rimasta lettera morta. Stabilisce che le detenute con figli piccoli possono scontare la condanna a casa o in strutture protette. Molte però - quasi tutte straniere e rom - una residenza non ce l’hanno, e le case d’accoglienza per loro, in Italia, sono pochissime. E poi, soprattutto per le nomadi, il rischio che tornino a rubare è alto e scoraggia i magistrati dal concedere gli arresti domiciliari. "Ma se a queste donne non offriamo un’opportunità, non potranno mai cambiare vita" osserva Paola Lamartina, direttrice della casa d’accoglienza "Ain Karim" a Roma, sulla Tiburtina, che oltre a 5 ragazze madri ospita Lucia e Giulia con le loro bimbe. Ana, invece, ha lasciato la cella grazie all’associazione "Fiore del deserto", che gestisce una villa con giardino sulla Nomentana. "Psicologicamente, è più faticoso vivere la reclusione qui" fa notare Vittoria Quondamatteo, terapeuta e responsabile della struttura. "Lavoriamo sul recupero del ruolo genitoriale, sulla ricostruzione della loro storia. E creiamo attorno a loro una rete di solidarietà perché capiscano che un’altra vita è possibile". Anche "Ain Karim", nata da una Caritas parrocchiale, si appoggia a tanti volontari. Ed è grazie a loro che, dopo la prima accoglienza, affitta alle sue ospiti degli appartamenti per renderle autonome a poco a poco. Ci sta riuscendo Amira, rom di 29 anni, già veterana di furti e rapine: "Ha deciso di cambiare per l’ultima delle sue figlie, e ci ha pregato di aiutarla: se fosse tornata al campo nomadi, sa che avrebbe ripreso a rubare" racconta Paola Lamartina, che oggi si interessa di un’altra zingara, madre e detenuta a Rebibbia. Un caso impossibile: "A tre anni, suo figlio ha dovuto lasciare il carcere e vive con noi: soffre moltissimo il distacco da lei. Ho fatto mille richieste al magistrato per farla uscire, ma delle zingare nessuno si fida…". Sono circa 2.500 le donne detenute in Italia, per metà straniere, a fronte di quasi 54 mila uomini. Pagano soprattutto reati contro il patrimonio, legati alla droga e alla prostituzione. Nei 15 nidi delle carceri italiane vivono 71 bambini, che possono stare con le madri fino ai tre anni. Roma-Rebibbia è il più affollato: "Venti donne per 12 posti" dice Leda Colombini dell’associazione "A Roma insieme", che ogni sabato porta in gita i piccoli reclusi ed è riuscita a farli ammettere, di giorno, nei nidi pubblici della zona. Leda ci crede, nella legge Finocchiaro, ma si scontra con un disinteresse diffuso: "Avevamo proposto al Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria di elaborare una ricerca su quante detenute di Rebibbia, il più grande carcere femminile d’Italia, ne hanno usufruito - spiega -. Poteva servire da osservatorio sulla legge, ma non se n’è fatto nulla". Il Dap, infatti, non ha alcun dato in proposito: non è una voce "statisticamente significativa", informa l’ufficio relazioni esterne. Peccato che, statisticamente, 70 coetanei di Hannen, Eva e Maria sognano sbarre e cancelli e imparano a parlare dicendo: "Agente, apri porta". Emanuela Zuccalà Bari: Nichi Vendola visita il carcere, situazione drammatica
Adnkronos, 30 marzo 2005
Anche quest’anno, secondo una tradizione che si ripete da molto tempo in occasione delle festività, il deputato pugliese e candidato dell’Unione del centrosinistra alla Regione Puglia Nichi Vendola ha visitato il carcere di Bari-Carrassi. "La situazione che ho trovato - ha detto Vendola al termine della visita - è assolutamente drammatica. Ci sono circa 150 detenuti in più rispetto alla ricettività tollerabile e il sovraffollamento rende invivibile la struttura. I detenuti che ho incontrato - ha proseguito - lamentano soprattutto l’assenza di cure sanitarie, di percorsi di reinserimento, di corsi di formazione". Arezzo: il Vescovo nel carcere, ha lavato i piedi ai detenuti
Maremma News, 30 marzo 2005
Fra le mura del carcere di Arezzo gli apostoli non sono dodici, ma molti di più. E hanno il volto scavato di un immigrato dell’Est europeo, la pelle scura del clandestino arrivato dall’Africa, lo sguardo cupo del giovane del Mezzogiorno prigioniero della malavita. Sono gli apostoli del Giovedì Santo del Vescovo di Arezzo. Apostoli dietro le sbarre. Apostoli in cerca di riscatto. E a loro monsignor Gualtiero Bassetti bagna i piedi vicino alle celle in cui passano le giornate. Senza mettere limiti: né di numero, né di appartenenza. Non fa differenza se si è musulmani, ortodossi o atei: basta farsi avanti per diventare i protagonisti di un’infinita lavanda dei piedi che da anni il Vescovo ripete nella casa mandamentale di Arezzo alla vigilia della Pasqua e che viene accompagnata dalla celebrazione della Messa. Una tradizione che monsignor Bassetti considera parte integrante della sua missione: "Chinarsi sugli ultimi serve a rinnovare la chiamata del Signore", spiega mentre supera i cancelli che si chiudono dietro di lui. L’altare è in fondo al corridoio, a pochi metri delle finestre sbarrate che si affacciano sul cortile. Sopra l’ultima inferriata la statua della Madonna, emblema di speranza. Quella stessa speranza che fa da filo conduttore alle parole del Vescovo. "Anche di fronte alle difficoltà che sembrano insormontabili - afferma Bassetti davanti ai detenuti - è necessario non avere paura". Perché oltre il buio c’è sempre la luce. "La luce della Pasqua per i credenti", sussurra il Vescovo nel silenzio freddo delle celle. Già, il carcere. Che "non può essere considerato la panacea di tutti i mali", spiega Bassetti. E se mancano le strutture per far fronte al disagio, dichiara il Vescovo, "non si può pensare di ricorrere comunque alla prigione". Ecco perché la Chiesa non deve dimenticare chi trascorre una parte della sua vita in cella, sostiene monsignor Bassetti. E lui lo fa da quando è arrivato in città, stringendo in un abbraccio di riconciliazione un’umanità debole e smarrita. Argentina: tre morti al giorno nelle carceri della capitale
Misna, 30 marzo 2005
Si incrementa drammaticamente il numero dei detenuti che muoiono negli istituti penali della provincia di Buenos Aires: nel 2004 il numero dei morti è stato superiore a 1.000. Si è triplicato nel volgere di un anno il numero di detenuti che quotidianamente trova la morte negli istituti penali della provincia di Buenos Aires: per tutto il 2003 la cifra si era aggirata su un omicidio o suicidio al giorno, per circa 360 l’anno; nel 2004 la media è invece passata a tre al giorno, arrivando a superare quota 1.000 morti solo l’anno scorso. I dati sono stati resi noti da un’associazione umanitaria argentina, la Commissione provinciale per la memoria (Comisión Provincial por la Memoria), i cui vertici hanno espresso "profonda preoccupazione" per quanto sta avvenendo nei penitenziari della provincia di Buenos Aires, la più popolosa e violenta del Paese. I dati sulle morti in carcere, da quanto dichiarato dalla Commissione, sono stati reperiti direttamente dai volontari dell’associazione, che per tutto l’anno passato hanno avuto regolare accesso ai centri detentivi provinciali; per ottobre, ha spiegato il vicepresidente della Commissione, Hugo Cañón, sarà pronto anche il rapporto sullo stato della detenzione sia nei commissariati di polizia sia nelle carceri e negli istituti di detenzione minorile della provincia di Buenos Aires. Piacenza: esce il libro "Parole oltre il muro"...
Libertà, 30 marzo 2005
Nel mese di febbraio è uscito a Piacenza il libro "Parole oltre il muro" che raccoglie i racconti primi classificati dell’omonimo concorso riservato alle persone detenute nella Casa Circondariale cittadina. Il progetto grafico è stato curato da Graziano Scialpi redattore del giornale "Ristretti Orizzonti", che ha scritto anche alcune riflessioni riportate all’interno della pubblicazione. "...Quando scrivono, i detenuti comunicano con qualcuno che non c’è, spesso con qualcuno che non esiste, ma di cui sentono un ancestrale bisogno, il bisogno che qualcuno li ascolti. È questa commovente affermazione di umanità l’autentico valore degli scritti che escono dalle carceri. Un’umanità desolata e impotente che si esprime coi punti di sospensione, un’umanità disperata e arrabbiata che urla con i punti esclamativi". Il testo è in vendita a Piacenza presso la libreria Berti e può essere richiesto al Centro di Servizio per il Volontariato di Piacenza - Svep, Via Capra, 14 - 29100 Piacenza. Telefono: 0523.306120, oppure all’indirizzo mail chcarla@libero.it Iraq: scavano dei tunnel per evadere da Camp Bucca
Ansa, 30 marzo 2005
Come nelle evasioni dei grandi film carcerari, alcuni detenuti della prigione americana di Camp Bucca, nel Sud dell’Iraq, avevano scavato pazientemente e silenziosamente nelle ore notturne per settimane, forse mesi, con mezzi di fortuna, due lunghe gallerie con cui progettavano di riguadagnare la libertà. Ma la polizia militare americana, che gestisce la sicurezza del carcere le ha scoperte, sventando così il piano di evasione prima che anche un solo detenuto sia fuggito. Le due gallerie erano lunghe rispettivamente 200 e 100 metri circa e partivano dalle celle di un braccio del carcere che ospita una trentina di detenuti. Il più lungo, fanno sapere i militari, era già completo, si inabissava a 4-5 metri di profondità nel terreno e riemergeva oltre il muro di cinta esterno, celato da tavole ricoperte di terriccio in un punto non visibile dai posti di guardia. Il più corto, ancora incompleto, non aveva ancora superato i recinti esterni ed un terzo del campo era stato appena abbozzato. L’ingresso era stato aperto sotto le tavole del pavimento di una sala di ritrovo comune. Sufficientemente larghi da consentire il passaggio carponi di una persona robusta alla volta e sostenuti con mezzi di fortuna, i budelli erano stati scavati con utensili improvvisati: pezzi di metallo, di legno, di plastica, il cui lavoro era agevolato dalla consistenza relativamente docile del terreno. Il terreno di riporto era stato depositato nei terreni interni al recinto di Campo Bucca o evacuato dalle latrine. Il comando di Camp Bucca deve ora decidere quale pena infliggere agli autori del piano, anche se, precisano i militari, non si tratta di prigionieri di alto profilo o di particolare pericolosità. Roma: ex internato minaccia di buttarsi dalla cupola di S. Pietro
Ansa, 30 marzo 2005
L’uomo che è salito nel pomeriggio sulla cupola della basilica di San Pietro a Roma, che soffre da anni di problemi psichici, aveva commesso un omicidio nel 1983 e, una volta condannato e rinchiuso nel manicomio giudiziario per scontare cinque anni di reclusione aveva anche tentato il suicidio salendo sul campanile di Giotto a Firenze. L’omicidio avvenne la sera del 23 luglio 1983: mentre passeggiava per le vie del paese con alcuni amici, il sindaco, Giuseppe D’Ascanio (Psi), di 49 anni, fu chiamato da Rino S. - all’epoca 24enne e conosciuto da tutti in paese come un obiettore di coscienza - che lo invitò da parte per parlargli del piano regolatore del paese, ma all’improvviso estrasse un coltello e lo colpì 37 volte uccidendolo all’istante. Subito dopo il delitto, l’omicida fuggì sul Monte Morrone e si costituì tre giorni dopo ai Carabinieri ai quali affermò di aver agito per vecchi rancori personali. Quella del piano regolatore di Roccacasale era diventata, secondo quanti lo conoscono, una vera e propria mania per l’uomo: descritto come un introverso, chiuso, dall’ umore spesso instabile, S. non perdeva occasione per discutere del piano e attaccare la giunta e il sindaco. In primo grado S., nato a Caracas (Venezuela), venne condannato a dieci anni di reclusione, poi ridotti a cinque nel dicembre 1986: secondo la Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila, per la quale non sussisteva l’aggravante della premeditazione, l’uomo era incapace di intendere e volere al momento del delitto. Durante la detenzione nel manicomio giudiziario di Montelupo Fiorentino (Firenze), il 15 ottobre 1988, Rino S. - all’epoca in regime di semilibertà - aveva minacciato di uccidersi, buttandosi dal campanile di Giotto a fianco del Duomo di Firenze se non gli fosse stato concesso di parlare con il sindaco Massimo Bongiankino. L’uomo venne fermato da un custode del campanile e da un agente di polizia, che avevano approfittato di un suo momento di distrazione per bloccarlo. Attualmente l’uomo, che aveva lavorato in precedenza in un ospizio, non aveva un’occupazione e viveva insieme a entrambi i genitori (la madre infatti non è vedova come scritto in precedenza). Milano: il Cardinale Tettamanzi tra detenuti di Bollate
Ansa, 30 marzo 2005
Un invito a fare in modo che "i nostri orecchi siano aperti e il nostro cuore spalancato, quando Gesù ci chiamerà per nome", come fece con Maria di Magdala, una volta risorto. A rivolgere questo invito è stato stamani l’arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi, che è tornato tra i detenuti del carcere di Bollate dove era già stato nel Natale di due anni fa. Nell’omelia per la messa di Pasqua Tettamanzi, rivolgendosi ai detenuti, ha detto: "Mi piacerebbe un po’ entrare nel vostro cuore e cercare di indovinare quali sono le croci più pesanti che sono dentro di voi. Mi ha colpito un incontro che ho avuto con un cappellano di un istituto di detenzione che mi ha raccontato di questa duplice croce che sta non tanto sulle spalle, ma nel cuore di ogni detenuto". "La prima - ha spiegato - è quella di non voler più vivere, perché vivere in carcere è così faticoso che qualche volta ci si chiede se ne valga la pena, ma la Pasqua cristiana ci ricorda che Gesù è risorto, che colui che ha sofferto per noi ha voluto esserci vicino, per darci la voglia di vivere". "La seconda croce è il venir meno delle relazioni con le persone che a noi sono più vicine, in particolare i nostri familiari - ha proseguito Tettamanzi -: essere ospiti di questo istituto significa essere colpiti profondamente in questo tessuto di amicizie. È in questi momenti che dovremmo recuperare questa fede nel Signore che torna a dirci: capisco la tua sofferenza. Anche perché lui stesso è stato abbandonato, è stato lasciato solo, rinnegato dall’apostolo Pietro, tradito da un altro apostolo, da Giuda". Poi l’invito ad usare il silenzio, così frequente nelle giornate di un detenuto, per farsi trovare pronti, con "gli orecchi aperti e il cuore spalancato, quando Gesù ci chiamerà per nome". Proprio come fece con Maria di Magdala che solo allora capì di essere in presenza del Risorto. Accanto ai detenuti di Bollate, c’erano anche il prefetto di Milano Bruno Ferrante, il presidente della Corte d’Appello Giuseppe Grechi, il magistrato di sorveglianza Maria Rosa Sodano e il provveditore lombardo alle carceri Luigi Pagano. Catania: nuovo direttore a Caltagirone; diventerà carcere modello
La Sicilia, 30 marzo 2005
Dal carcere catanese di piazza Lanza a quello di contrada Noce per fare di questo istituto penitenziario un carcere modello, dove i detenuti possono imparare un mestiere partecipando ai laboratori per la lavorazione della ceramica o frequentando i corsi di musica. E, ancora, studenti impegnati a conseguire la licenza elementare e altri che puntano alla laurea, come sta avvenendo attualmente per due detenuti iscritti alla facoltà di Agraria. È questo il lavoro avviato dal direttore del carcere di Noce, Claudio Mazzeo. Quarantacinque anni, laureato in Giurisprudenza e specializzato in Diritto amministrativo e Scienze dell’amministrazione, Mazzeo proviene dalle "case" di Trapani e Catania. Ora, si trova nella moderna struttura, che può ospitare fino a 300 detenuti e quasi 300 agenti. Attualmente, comunque, sono 213 i reclusi e circa le guardie penitenziarie. La struttura - come sottolinea il direttore - dispone di ampi locali e spazi adeguati alla realizzazione delle iniziative volte alla rieducazione del detenuto e al trattamento previsto dalla normativa penitenziaria. Comunque, Mazzeo - come aveva avuto modo di sottolineare rispondendo alla lettera di un detenuto al "Giornale di Sicilia" - non nasconde che esistano carenze strutturali, come la "tettoia corta", per la quale in caso di maltempo salta l’ora d’aria dei reclusi. Lo stesso direttore, comunque, aveva già assicurato di aver fatto richiesta per la realizzazione di questo e di altri lavori necessari al miglioramento della casa circondariale. Per il direttore Mazzeo, il motto è "carcere e società: un’integrazione possibile". E non a caso i detenuti sono stati oggetto di varie attività promosse da associazioni impegnate nel sociale, come il Rotary club, che ha realizzato una piccola biblioteca all’interno del carcere per quei detenuti che amano leggere. Tra le iniziative a favore dei detenuti, anche quella del maestro Antonio Navanzino che impartisce lezioni sull’arte della ceramica. "Si tratta - sottolinea il direttore Mazzeo, in piena sinergia con la polizia penitenziaria diretta dal vice commissario Carmine Brienza - di sforzi protesi a far diventare la Casa circondariale di Caltagirone un carcere modello". Nuoro: a Badu ‘e Carros la tensione ormai è al limite
L’unione Sarda, 30 marzo 2005
Il carcere di Badu ‘e Carros si sta trasformando nuovamente in una polveriera e non certo per la presenza di detenuti pericolosi, ma perché l’edificio è ormai a pezzi, mancano persino i soldi per acquistare i materiali necessari alla manutenzione, mentre la carenza di educatori sta riducendo lo spazio di vivibilità e sollevando la tensione ormai prossima ai livelli di rottura. A denunciarlo sono gli agenti di polizia penitenziaria aderenti alla Cisl, consapevoli di trovarsi fra l’incudine e il martello in una posizione davvero scomoda. Nei giorni scorsi gli aderenti al sindacato si sono riuniti alla presenza del responsabile della funzione pubblica ed hanno eletto il nuovo direttivo che ha come coordinatore Piero Giuseppe Agus e come componenti Raimondo Atzeni, Gianfranco Boi, Giovanni Pisanu e Fabio Porcu. Al termine della riunione è stato approvato un dettagliato e polemico documento che mette sotto accusa l’amministrazione penitenziaria. "Vi sono parti dell’istituto pressoché inagibili a causa di lavori iniziati e mai portati a termine - si legge nel documento - abbiamo il servizio di manutenzione ordinaria dei fabbricati che, nonostante il grande prodigarsi di coloro che ne fanno parte, opera in una situazione di precarietà a causa della mancanza di attrezzature e di materie prime. Molti detenuti, nella situazione in cui versa l’istituto per via delle carenze strutturali dovute soprattutto alla mancanza delle figure professionali previste dalla legge e per la carenza di mezzi e di materiale di qualsiasi genere, dalla lezione di vita del carcere non potranno che avere un’esperienza negativa in tutti i sensi e probabilmente (in molti casi) tutto questo non farà altro che renderli peggiori di quando sono stati arrestati. A tutto questo si aggiunga il fatto che nell’istituto, da un po’ di tempo a questa parte, arrivano in massa detenuti extracomunitari con problemi di vario genere. Questi detenuti devono essere collocati in celle insieme ai detenuti sardi e si può capire bene che tipo di bolgia è ormai questo carcere, una volta fiore all’occhiello degli istituti non solo sardi". "Il personale di polizia penitenziaria - prosegue il documento - è purtroppo costretto a subire questa situazione ed è veramente incredibile lo spirito e l’attaccamento al dovere nel far di tutto per cercare di alleviare l’incidenza sulla vita delle persone sottoposte alla loro custodia. Il lavoro avviene maggiormente in ambienti malsani sia in inverno che in estate. Basti pensare alla situazione in cui versano le garitte del muro di cinta: quando piove si allagano e d’inverno si muore dal freddo. Nei reparti detentivi l’aria è irrespirabile per via di odori nauseabondi di vario genere e soprattutto per il fumo delle sigarette dei detenuti e del personale in quanto non vi sono impianti di riciclo che sarebbero indispensabili per la tutela della salute. Il carcere è l’unico ambiente pubblico dove la recente normativa non ha regolamentato il fumo. La sala mensa è un angusto ambiente antiquato con tavoli e sedie rotti. Come nelle garitte: d’estate si muore dal caldo e d’inverno dal freddo. Il malcontento si sta diffondendo sempre più tra le fila del personale di polizia penitenziaria. Il lavoro dei poliziotti è ogni giorno più stressante e logorante soprattutto a causa del rapporto sempre più difficile nella gestione dei detenuti". La Cisl conclude annunciando il ricorso a tutte le forme di protesta, anche giudiziarie, contro questa situazione. Reggio Calabria: l’Ass. "Diritti Civili" compie 10 anni
Quotidiano di Calabria, 30 marzo 2005
"Diritti Civili" compie 10 anni. Il Movimento di Franco Corbelli venne infatti fondato e costituito legalmente nel 1995. Un comunicato annuncia una giornata di festa per l’occasione, da dedicare al tema dei diritti civili e della Giustizia. "Sono 10 anni di grandi battaglie civili, libertarie e umanitarie e di eccezionali conquiste civili - si afferma nella nota -. Stiamo preparando una grande festa per ricordare le più belle pagine di impegno civile e di solidarietà scritte in questi lunghi 10 anni. Alcune hanno fatto il giro del mondo e sono finite finanche sul più autorevole giornale internazionale, "The New York Times", che pubblicò, nel 1995, un’intervista al leader del Movimento, Franco Corbelli, sul dramma della carceri in Italia. Lo stesso Corbelli, è stato, un anno e mezzo fa, nominato, dal presidente Ciampi, Commendatore della Repubblica Italiana. In questi 10 anni "Diritti Civili" ha affrontato e risolto diverse centinaia di casi umani e di ingiustizie, ha fatto approvare dal Parlamento due leggi di grande civiltà e umanità (quella che evita il carcere alle madri detenute con bambini da assistere e quella che abbatte la vergogna dei vetri divisori nelle prigioni), ha fatto concedere la grazia da Ciampi a un giovane emigrante calabrese". Nuoro: insegnanti in carcere, Margherita dà ragione a preside
L’unione Sarda, 30 marzo 2005
"Ci riteniamo soddisfatti delle spiegazioni del dirigente scolastico della scuola media n° 4". Replicano così il capogruppo e il segretario cittadino della Margherita a Bachisio Porru a proposito delle nuove nomine dei docenti per i corsi nel carcere di Badu ‘e Carros. Marco Zoppi e Leonardo Moro, tuttavia, non risparmiano ulteriori puntualizzazioni. "Notiamo come la sua priorità fosse quella dell’occupazione di giovani insegnanti e non quella del mantenimento di un rapporto di fiducia instaurato fra detenuti e docenti nei quattro anni precedenti", scrivono Zoppi e Moro. E aggiungono: "Avremo capito maggiormente questa scelta all’inizio di nuovi corsi per coniugare meglio la legittima risposta verso nuova occupazione e l’altrettanto legittima massima efficacia didattica e sociale". I due esponenti della Margherita sottolineano che si tratta comunque di lavoro precario perché l’inserimento nei progetti Eda non garantisce alcun punteggio per le graduatorie del provveditorato agli studi. "Il professor Porru - scrivono - avrà sicuramente informato di questo piccolo particolare i giovani docenti disoccupati, oltre ad averli tranquillizzati sulla delicatezza dell’incarico". L’interrogazione rivolta al sindaco e all’assessore ai Servizi sociali - spiegano Zoppi e Moro - "era posta a seguito di una lettera di lamentele dei detenuti e delle dimissioni della coordinatrice del progetto (episodio seccamente smentito da Porru, n.d.r.) e, quindi opportunamente ed esclusivamente, per sottolineare questo aspetto e non le questioni della massima occupazione, né per proporre altri nomi se non quelli che da anni tenevano le lezioni. Riteniamo che progetti come quelli Eda rivolti ai detenuti e tenuti con fondi pubblici nascano essenzialmente per il recupero sociale dei beneficiari dei corsi". Ultima precisazione: "Formulare interrogazioni sui disperati temi è prerogativa propria dei consiglieri comunali senza che per questo si creino inutili allarmismi. In questo caso si intende capire la portata del disagio subito dai detenuti per l’improvviso cambio dei docenti. Non si cercano colpevoli e non si ritiene di aver leso in alcun modo persone né istituzioni". Firenze: polemiche su invito Croce Rossa per Mambro e Fioravanti
L’Unità, 30 marzo 2005
Nasce a Firenze "Onda Azzurra", il movimento creato dal commissario della Croce Rossa Maurizio Scelli, per supportare Berlusconi. Ma il via è all’insegna di una gaffe gravissima: l’invito agli ex terroristi dei Nar Mambro e Fioravanti a intervenire alla convention accanto al premier. E solo dopo le durissime proteste dei familiari delle vittime della strage di Bologna e dell’opposizione al completo, Scelli ha ritirato l’invito. "Onda Azzurra? No è un nome da stabilimento balneare". Sono appunto il nome e il simbolo gli unici due elementi di mistero sul movimento politico che sta mettendo in piedi il commissario della Croce Rossa Maurizio Scelli, e che oggi a Firenze, poco prima di cena, avrà il suo battesimo direttamente dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Dovevano esserci anche i due terroristi neri Francesca Mambro e Giusva Fioravanti. Poi però Scelli ci ha dovuto ripensare. Le durissime proteste dei familiari delle vittime delle stragi fasciste hanno costretto il portavoce del premier, Paolo Bonaiuti, a far sapere ufficialmente che Berlusconi non si sarebbe fatto vedere a Firenze a fianco di Mambro e Fioravanti. Scelli così fra le due presenze ha scelto di non rinunciare a quella del capo del governo. Proprio perché è attorno a Berlusconi, al rapporto diretto con il Cavaliere che Scelli basa la riuscita di questo nuovo soggetto politico. Infatti se nome e simbolo verranno scelti oggi (anche perché il nome onda azzurra su internet è già stato registrato da Forza Italia) la collocazione è già decisa, e punta a destra. Ma per riuscire nella sua impresa Scelli non deve avere troppi legami con quello che a destra già c’è. Da qui la volontà di non avere fra i piedi, oggi, nessun esponente politico di centrodestra (fatta eccezione per Berlusconi la cui presenza ovviamente è "istituzionale"). E a chi gli fa notare che il coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi una capatina vorrebbe farla, Scelli risponde a muso duro che con Berlusconi gli accordi erano diversi (appunto fuori tutti i politici) e che se vedrà Bondi in platea "allora mi vedrete all’opera come non mi avete mai visto". Quasi una minaccia. Tanto che Bondi si affretta a smentire la sua presenza. Del resto l’ultima esperienza di Scelli con gli apparati di Forza Italia non è stata fortunata. Lui stesso la definisce "traumatizzante". Nel 2001 come candidato azzurro fu battuto dall’ex vicesindaco ulivista di Roma Walter Tocci "e nessuno ha pensato a me, benché rappresentassi 300mila persone, a garantirmi un posto nel proporzionale". Così nell’ultimo faccia a faccia con Berlusconi ha concordato sulla assoluta necessità di lasciar fuori i "vecchi" politici. L’orizzonte che Scelli ha di fronte infatti non sono queste regionali. E la scelta di Firenze, della Toscana (dove la sfida fra Centrosinistra e Polo non è mai stata in dubbio), come sede della convention, oltre a motivi logistici, ha dietro anche questa ragione. Così se da una parte Scelli davanti ai giornalisti assicura che oggi non ci sarà "nessun reclutamento, non nasce nessun partito", dall’altra tuttavia colloca questo movimento (prima ancora che nasca) più vicino alla Casa delle Libertà che non al centrosinistra. Del centrodestra infatti Scelli condivide, come dice lui, i valori. Prima fra tutti la difesa della vita fin dall’embrione. Tanto che sul referendum contro la legge sulla procreazione assistita Scelli rispolvera una frase storica. Quel "andate al mare" già utilizzata (con scarsa fortuna per la verità perché alle urne si contarono l’81.1% degli italiani) da Bettino Craxi contro il referendum sulla preferenza unica del 1991. "Spero - dice Scelli - che la data del referendum sia messa più in là possibile e che sia una bella giornata di mare in modo che ci si possa astenere dall’andare a votare". A Firenze quindi ci sarà un rapporto diretto (o meglio mediato da Scelli in persona) fra due-tre mila giovani e Berlusconi. Per fare cosa? Oggi una discussione, ma domani anche un nuovo partito. "Vorrei che i giovani - spiega Scelli - spontaneamente potessero prendere delle decisioni e quindi iniziare a costruire questo movimento che spero diventi un partito. Ma lo diventerà solo se il numero dei giovani sarà consistente e se saranno motivati". Numero e motivazioni dei giovani dovrebbero dipendere soprattutto dalla sua storia personale. Quella raccontata in un lungo filmato che mostra Scelli ai tempi dell’Unitalsi, quando organizzava viaggi della speranza a Lourdes, e poi a capo della Croce Rossa sui luoghi di sciagure nazionali o in Iraq. Già la Croce Rossa. Scelli dice di essersi dimesso da commissario già da una settimana. Però le operazioni elettorali che porteranno i 300mila volontari a scegliere i propri nuovi rappresentanti cominceranno solo il 30 aprile e dureranno parecchi mesi. Da qui il timore del centrosinistra che in tutto questo tempo Scelli rimanga a controllare, come commissario dimissionario ma ben operante, questa importante associazione. Il segretario Ds Piero Fassino gli ha chiesto di lasciare la Croce Rossa come "atto di sensibilità", e quattro parlamentari della Quercia hanno interrogato il ministro dell’interno Pisanu chiedendogli di revocare, se necessario, Scelli dal "suo mandato di commissario straordinario" della Cri. Mimmo Luca (primo firmatario e responsabile nazionale Ds per l’associazionismo e il volontariato), Vannino Chiti (coordinatore della segreteria nazionale), Marco Filippeschi (segretario regionale della Quercia in Toscana) e Augusto Battaglia ricordano a Pisanu sottolineano proprio la lunghezza del periodo che passerà prima di veder eletti i nuovi vertici della Croce Rossa. "Ed in tutto questo tempo - si domandano e domandano a Pisano - Scelli cosa pensa di fare: il commissario o il politico? Se Scelli non fa chiarezza e non risolve questa insostenibile incompatibilità, tocca al ministro Pisanu intervenire, procedendo eventualmente alla revoca dell’incarico e alla nomina di un nuovo Commissario". Como: il Comune stampa libro con poesie dei detenuti
Provincia di Como, 30 marzo 2005
Dare spazio a chi solitamente non ne ha. È questo l’intento dell’antologia "Pandistelle", appena pubblicata dal Centro stampa del Comune di Como, e della manifestazione "Caravanserraglio", che si terrà domenica 10 aprile in Pinacoteca. I promotori hanno puntato in particolare su due categorie, diversamente emarginate dalla città, o almeno dai luoghi e dai "giri" che contano: i giovani e i carcerati. L’antologia, curata da Mimmo Cervellino (dipendente comunale che lavora in Pinacoteca) e da Mauro Fogliaresi (presidente dell’associazione Luoghi non comuni) raccoglie 18 voci, alcune del tutto inedite, altre con alle spalle piccole pubblicazioni in proprio. "È l’inizio di una storia che dovrebbe continuare - dice Cervellino -. Vorrei che in futuro si formasse un gruppo di giovani, non solo poeti, ma anche artisti e musicisti, in grado di dare vita a un laboratorio permanente". Il luogo di incontro, a suo parere, dovrebbe essere proprio Palazzo Volpi. "Qui ci sono un sacco di spazi, perché non metterli a disposizione dei ragazzi? La manifestazione che faremo il 10 aprile - auspica Cervellino - potrebbe allora diventare un appuntamento annuale, frutto di un lavoro continuativo". Fogliaresi, a sua volta, parla di un "progetto sul territorio che va a integrare altre iniziative". Fa riferimento alla mostra di Picasso: "Lodevole - dice -, ma non basta ospitare una cultura che viene da fuori, bisogna valorizzare i talenti del territorio e cercare di muovere qualcosa che è fermo come la Pinacoteca civica". L’iniziativa del 10 aprile, che da mattina a sera proporrà reading, concerti e mostre, servirà a promuovere non soltanto dei nomi nuovi, ma anche "un luogo dove i ragazzi di solito non entrano, perché forse lo sentono troppo istituzionale". "Bisogna spaccare il bozzolo", dice Cervellino con una metafora. Per non correre il rischio di finire come Oscar "morto giovedì nel carcere di Como a 22 anni", come si legge in calce a una poesia dedicatagli da un anonimo amico: "Te ne sei voluto andare in una notte strana / quando la neve poteva attutire i passi", eppure "avevi da poco gioito per una lieve traccia di barba / che diceva al tuo viso che stavi cambiando / che stavi crescendo". Como: denunciò padre per violenza, ora chiede sia graziato
Provincia di Como, 30 marzo 2005
Richiesta di grazia al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio per il padre. Ad avanzare la domanda di grazia la ragazza di Campodolcino che, nel 1993, accusò il padre di averla violentata e poi confessò di essersi inventata tutto. L’uomo ha scontato due anni di carcere preventivo e poi è scappato quando è divenuta definitiva la condanna per stupro, nonostante la ritrattazione della figlia. "Esiste una giustizia oggi in grado di riabilitare un padre ingiustamente accusato di violenza da una figlia, tanti anni fa, e costretto alla latitanza dal 1999? Esiste una strada, e il ministro Castelli intende percorrerla, per dare finalmente tregua a una famiglia distrutta e a tante altre nella stessa situazione?". Lo chiede Dorina Bianchi, parlamentare della Margherita, in una interrogazione al ministro della Giustizia Roberto Castelli a proposito della richiesta di grazia, inoltrata al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi da Alessandra, una ragazza di Campodolcino, in Valchiavenna, che nel 1993 accusò il padre di averla violentata e poi confessò di essersi inventata tutto. All’epoca aveva 17 anni. L’uomo ha scontato due anni di carcere preventivo e poi è scappato quando è divenuta definitiva la condanna per stupro, nonostante la ritrattazione della figlia Alessandra. Da allora è latitante. Ai tempi gestiva una pizzeria nella frazione Corti, nel centro della località valchiavennasca. Dopo la bufera causata dal processo, anche il resto della famiglia, originaria di Milano, aveva lasciato la provincia di Sondrio per tornare nella metropoli lombarda e ricominciare da capo in una città nella quale l’eco degli avvenimenti non fosse giunta se non attutita dalla distanza e dall’anonimato che la grande città garantisce. "C’è un caso giudiziario drammatico che sta distruggendo la vita di un’intera famiglia, ma che interroga le coscienze di tutti - scrive Bianchi al Guardasigilli - perché a tutti potrebbe accadere qualcosa di simile: una figlia, ricoverata in una clinica neuropsichiatrica quando aveva undici anni, ha ingiustamente accusato il padre di violenza sessuale. Ritrattò subito ma nessuno le credette. Il padre, che oggi ha 66 anni, è stato condannato ed è latitante dal 1999. A distanza di tanti anni quella figlia ormai adulta torna a implorare pietà per il padre che è la vera vittima di tutta questa storia: cosa intende fare il governo per aiutare questa famiglia?". "Intende il ministro della Giustizia, al quale la giovane donna si è già rivolta - prosegue Bianchi, in una nota - occuparsi di questa incredibile vicenda che non è purtroppo unica? Qui ci troviamo di fronte alla falsa accusa di una minorenne che, in seguito a un incidente stradale, ha avuto conseguenze psichiatriche. Ma non è mai stata creduta quando, guarita, ha ammesso di aver detto falsità". La parlamentare della Margherita sottolinea, inoltre, che questo "non è l’unico caso in Italia e troppi altri casi così drammatici possano in futuro ripetersi". Dopo la ritrattazione, avvenuta nel 2000, l’avvocato Tiziana Mevio che aveva tutelato gli interessi di Alessandra, aveva però difeso la sentenza, definita "frutto di tutti gli strumenti e i mezzi che la legge mette a disposizione per accertare le verità". Sempre lo stesso legale aveva dichiarato che non fosse da escludere che la ritrattazione "fosse stata in realtà favorita dal peso dello stato di isolamento nel quale Alessandra era finita dopo aver denunciato il padre". Roma: professori e scrittori nella "Gabbia" di Salierno
Il Messaggero, 30 marzo 2005
Quando l’isolamento produce l’arte. Giulio Salierno, sociologo, autore del testo "La gabbia. Il carcere come metafora della violenza quotidiana", ha riscosso un grande successo al teatro Vittoria di Testaccio per la prima della sua opera. Testo rappresentato in parte da detenuti della compagnia Papillon e in parte da attori professionisti. Presenti tanti intellettuali come Giuliano Zincone, Paolo Sylos Labini, don Luigi Ciotti, il costituzionalista Michele Ainis, l’ex editore Giulio Savelli, lo scrittore Vincenzo Cerami e Luigi Nieri, assessore al lavoro e alle periferie del Comune di Roma. Ad un certo punto è arrivato anche il telegramma del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Alla fine tutti in pizzeria assieme ai ragazzi del quartiere Brancaccio di Palermo che hanno ricordato lo scomparso Don Puglisi. L. Qua. Trapani: 20 "borse di formazione" per avvicinarsi al lavoro
La Sicilia, 30 marzo 2005
Un’esperienza che sarà presto ripetuta. È quella delle "borse di formazione-lavoro" che ad una ventina di marsalesi, dieci dei quali sono ex detenuti, usciti dal carcere dopo l’espiazione della pena, consentirà di fare un primo passo verso il mondo del lavoro e al contempo di reinserirsi nella società, e per gli altri, tutti minori provenienti da contesti sociali "a rischio", di allontanarsi dai cosiddetti "pericoli della strada". Ogni "borsista" percepirà, inoltre, circa 250 euro. "Non è una grossa somma - dicono dall’assessorato Servizi Sociali del Comune - ma è sempre meglio che niente. Chi sarà ammesso al progetto, inoltre, avrà l’opportunità di imparare anche un mestiere. È un’iniziativa che abbiamo già sperimentato qualche anno fa con ragazzi provenienti dall’area del disagio". Alle prossime borse di formazione-lavoro, che il Comune attuerà in esecuzione di un progetto finanziato dal ministero di Grazia e Giustizia sulla base della legge 216 del ‘91, uno spazio sarà riservato anche ad alcuni ragazzi disabili e agli immigrati extracomunitari. Lo spirito della legge 216 del ‘91 è quello di favorire l’inserimento socio-lavorativo dei giovani che vivono in particolari situazioni di "disagio socio-ambientale" o con "varie problematiche familiari". Ma il Comune intende intervenire nell’area di disagio sociale a "360 gradi". La prima esperienza delle "borse lavoro" si era conclusa nell’ottobre del 2003, quando ai partecipanti furono rilasciati attestati che costoro hanno potuto esibire quali biglietti di presentazione per altre esperienze lavorative. Diversi i settori nei quali i giovani furono impegnati per quattro ore al giorno. Dalle costruzioni metalliche ai centri per acconciature, dalle concessionarie di automobili alle società di servizi informatici e agli esercizi di commercializzazione di prodotti tipici. A.P. Oristano: Pasqua in carcere con la messa del Vescovo
L’Unione Sarda, 30 marzo 2005
Per il pranzo di Pasqua nelle celle è arrivata anche una fetta di colomba: zucchero, canditi e qualche macchia di muffa. "Io non ne ho mangiato di certo, appena me l’hanno data l’ho scaraventata nell’immondezza". Luca, 21 anni appena compiuti, in cella si porta appresso l’accusa di tentato omicidio: strascichi di una serata di baldoria in un bar di Santulussurgiu. Era finita a roncolate quella notte, dopo una bevuta e lo scambio di insulti con un compaesano. Alla messa pasquale lui ha partecipato con distrazione. Non ha voluto vedere neppure i parenti, ha preferito stare da solo. "Non mi andava di farli venire qui oggi - si è sfogato - Oggi sembra che tutti qui stiano bene, che si viva serenamente. Invece non è così, questa è solo una messa in scena. Scrivetelo: qui viviamo male, molto male". Lo sguardo implacabile delle guardie impone subito il silenzio: basta parlare, altrimenti si torna in cella. A ventuno anni quel giovane ha ancora la faccia di un bambino. È un ragazzo cresciuto troppo in fretta. Ora trascorre le sue giornate dietro le mura di piazza Manno, in attesa di essere processato. Durante la messa, domenica, si è seduto nell’ultima fila e non ha neppure indossato l’abito elegante: solita felpa con cappuccio, jeans e scarpe da tennis. Come gli altri giorni. Non è sembrato entusiasta di ascoltare la predica del vescovo: dall’inizio alla fine ha soltanto fatto finta di essere attento. Qualcun altro invece si è commosso. Lacrime di gioia quelle che sono sgorgate sul volto dei nove detenuti che, proprio a Pasqua, hanno ricevuto la Cresima. La signorina con i capelli da maschiaccio e gli occhialini da maestrina, davanti all’altare si è presentata con la maglietta scollata e gli occhi colorati di azzurro. Ha cercato qualcuno che le facesse gli auguri, ma i suoi parenti in quel corridoio trasformato in cappella non c’erano. L’anziano con la barba bianca non ha sollevato un attimo la testa. Il suo sguardo era perso nel vuoto, a malapena ha stretto la mano dei vicini: "La pace sia con te". Poi si è richiuso nel suo silenzio. Monsignor Piergiuliano Tiddia improvvisamente ha sollevato il tono della voce: "Coraggio, coraggio, coraggio: è da vent’anni che mi rivolgo a voi e mai mi stancherò di ripetere queste stesse parole". L’anziano non si è neanche scomposto e ha continuato a far finta di non ascoltare. La giovane vestita di nero e con i capelli lunghi fino alle spalle non ha fatto altro che cercare lo sguardo del fidanzato. Storie di un amore sbocciato tra le sbarre, germogliato con gli sguardi lontani. Strani sentimenti che nell’inferno di piazza Manno aiutano a sentirsi appena più liberi, a rendere la penitenza un po’ meno pesante. "Perché in fondo - dice Luca di Santulussurgiu - tutti qua dentro ci sentiamo innocenti". Nicola Pinna Acireale (Ct): l’Istituto penale per Minori è all’avanguardia
La Sicilia, 30 marzo 2005
L’Istituto penale per minori di via Guido Gozzano ad Acireale è una istituzione: la sua fondazione, infatti, risale al lontano 1869. Oltre a ciò attualmente è una delle tre carceri siciliane, insieme a quelle di Palermo e Catania, ad accogliere giovani sia per essere stati arrestati in flagranza di reato che per scontare una condanna; in quest’ultimo caso l’età massima fissata dalle normative vigenti consente di ospitare ragazzi fino ai 21 anni di età. Il direttore della struttura, salvo brevi parentesi nelle altre due carceri di Palermo e Catania, è dal 1976 il dott. Corrado Casto. "Si cerca di supplire con il nostro personale, tutto qualificato, alle carenze che hanno portato i ragazzi alla devianza - mette in rilievo Casto - . Purtroppo il nostro compito diviene quasi impossibile quando vi sono realtà familiari particolari oppure ambiti sociali degradati. In effetti qui il minore trova una serenità che a volte sconosce, ma poi quando si trova di nuovo immerso nella realtà della vita di tutti i giorni finisce col perdersi e tutti i buoni propositi fatti svaniscono". Con il supporto di insegnanti di ruolo del quarto Circolo didattico e della scuola media Galileo Galilei svolgiamo corsi di recupero; la gran parte dei giovani che finisce con intraprendere il percorso dell’illegalità sono infatti privi di istruzione. Non mancano anche coloro i quali poi intraprendono con successo i corsi di studi superiori, finendo pure con l’ottenere il diploma. Oltre alla possibilità di fare sviluppare il livello culturale, si guarda inoltre alla opportunità di offrire i mezzi per imparare un mestiere, sia attraverso i corsi professionali della Regione, come quello per ebanista oppure quelli del Ministero per ottenere le professionalità di muratore e imbianchino; in quest’ultimo caso i ragazzi "lavorano" con una società di servizi all’interno dell’istituto di via Gozzano, percependo un compenso economico come da contratto di apprendista. Non mancano, comunque, i momenti di relax grazie ad un campetto di calcio a cinque, o i corsi di computer ed una biblioteca ben fornita riconosciuta dalla Soprintendenza. Chiaramente tutto si svolge sotto l’occhio vigile del personale di polizia penitenziaria che affianca l’opera di un vicedirettore, quattro educatori, uno psicologo e gli impiegati dell’area amministrativa; per ultimo è giunta anche la figura del mediatore culturale per gli extracomunitari. La capienza della struttura è di venti posti, ma l’utilizzo è ridotto per ora a metà in quanto sono in corso lavori per dotare le stanze, già con i servizi igienici, pure delle docce. Conclude il dott. Casto: "Questa istituzione non deve essere più vista come un lebbrosario. Oggi è un servizio che lo Stato deve offrire. Siamo aperti ai rapporti con l’esterno e per questo accogliamo volontari esterni della parrocchia di S. Cosmo e dell’associazione Papa Giovanni XXIII. L’auspicio è che il Comune di Acireale, concretizzando i buoni propositi sostenuti dal sindaco Nino Garozzo e dall’assessore alla Solidarietà sociale, Giuseppe Torrisi, si ponga nelle condizioni di partecipare attivamente alla vita dell’istituto, mettendo pure i nostri ragazzi nelle condizioni di aderire a progetti ad essi destinati". Nello Pietropaolo Ancona: tenta suicidio bevendo candeggina e detersivo
Il Messaggero, 30 marzo 2005
Tentato suicidio ieri sera a Montacuto. Verso le 21.45 un detenuto - sembra un nomade in custodia cautelare per reati contro il patrimonio - è stato trasportato d’urgenza al pronto soccorso dell’ospedale di Torrette da un’ambulanza del 118. Poco prima aveva bevuto una mistura tossica, probabilmente varechina mista a detersivo (ma non era esclusa l’ipotesi dell’ingestione di acido) per cui è stato sottoposto ad una lavanda gastrica. Il ricovero è stato disposto con un codice di media gravità ma, dopo il trattamento terapeutico, l’uomo è stato dichiarato fuori pericolo. Bocche cucite nella tarda serata di ieri sia nel carcere che all’ospedale dove un poliziotto piantonava la stanza in cui il detenuto veniva assistito. Intanto nel parcheggio del pronto soccorso stazionava una macchina della Polizia penitenziaria, pronta a riportare il nomade in cella qualora i medici non avessero ritenuto necessario il ricovero. La decisione era attesa per la nottata. Quanto al carcere, impossibile sapere dove il detenuto si fosse procurato la varechina o i detersivi, usati forse per la pulizia dei bagni. Il fenomeno dell’autolesionismo tra i detenuti è comunque una piaga generalizzata nei carceri italiani, soprattutto tra i reclusi stranieri e di colore. A Montacuto la media (riferita soprattutto ai suicidi) è inferiore a quella nazionale, ma gli episodi sono comunque relativamente frequenti. Macerata: sono adultero, se mi rimpatriate mi lapidano
Il Messaggero, 30 marzo 2005
"Se mi rimandate in Africa rischio la lapidazione". A un sudanese di 28 anni, in carcere a Montacuto, è stato negato lo status di rifugiato politico, ma lui dice "sono fuggito dalla guerra civile in Sudan e durante la fuga ho avuto una relazione con una donna sposata in Mauritania". Relazione scoperta "per la quale dice rischio la lapidazione". L’avvocato Massimo Pistelli si è rivolto al presidente della Repubblica per segnalare la vicenda umana e rivedere la decisione della Commissione centrale per i rifugiati. Un’applicazione letterale della sharia sembra improbabile, mentre più plausibili sono pene sostitutive (cento frustate all’adultero e all’adultera). Verona: serve biancheria per le necessità di 700 detenuti
Verona Fedele, 30 marzo 2005
Operazione "Vestire gli ignudi". Potremmo chiamare così l’intervento a favore dei carcerati avviato,in questi giorni, dalla Caritas Diocesana Veronese insieme alla Società San Vincenzo de Paoli e alla Fraternità. Un lavoro in rete, dunque, che tende ad avvicinare e far collaborare le realtà di volontariato vicine alla Chiesa veronese, ognuna con un suo specifico compito, ma con un unico obiettivo: aiutare chi è nel disagio. Il tema del carcere, e i suoi gravi problemi, è sempre ai vertici degli interventi della Caritas Diocesana scaligera che, consapevole della necessità di affiancare alle parole, i fatti, continua nella sua azione di sostegno ai fratelli che vivono l’esperienza carceraria. Parte proprio dalle pagine di Verona Fedele, un appello di Caritas ai veronesi più generosi, per sostenere l’impegno assunto dalla San Vincenzo de Paoli, incaricata dalla direzione della Casa Circondariale, di gestire un guardaroba vestiario maschile carcerario. Ma anche un’occasione per puntare l’obiettivo sul problema carcere di cui si occupa da molto tempo la Fraternità. Per sostenere i rapporti con il Carcere abbiamo intessuto relazioni con le organizzazioni che operano da tanti anni in quest’ambito - afferma don Maurizio Guarise, direttore della Caritas - a cominciare con la Fraternità e la San Vmcenzo. Siamo contenti di collaborare con queste associazioni per dare una risposta ad un’emergenza importante, riguardante il guardaroba. Caritas lavorerà cercando di mettere in atto una serie di iniziative, oltre che l’approvvigionamento di vestiario, per affrontare il problema carcere con le realtà già operative e richiamando alle responsabilità, ove necessario, quanti devono far fronte alle necessità dei detenuti. Puntiamo ad una condivisione di tutto il tema carcere, quindi, cui coinvolgere la chiesa di Verona a pensare, e trovare soluzioni appropriate, a questi problemi". Biancheria intima, asciugamani, maglioni, giubbotti, giacche da tuta, jeans, sono questi i materiali che occorrono a soddisfare le necessità di 700 detenuti, molti dei quali stranieri e, quindi, senza una famiglia che possa aiutarli. Un segno di speranza e di carità sia per quanti hanno perduto la libertà, affinché si sentano meno soli e vivano il carcere non solo come un luogo di sconfinamento passivo, sia per la società,perché possa anche solo attraverso il gesto di carità, avvicinarsi, in maniera positiva,al detenuto, affrontando e risolvendo qualcuna delle sue problematiche. "Questo nostro nuovo impegno, è nato in margine alle giornate nazionali sulle problematiche del carcere, volte alla sensibilizzazione della cittadinanza verso questa realtà che tendiamo a dimenti-care - ci dice Francesca Zazzeroni Trischitta, presidente diocesana del Consiglio Centrale della Società di San Vincenzo de Paoli - ai nostri progetti di sensibilizzazione è seguita una visita in Carcere offrendo alla direzione un nostro aiuto più concreto. La direzione di Montorio ci ha prima palesato la necessità di biancheria per i detenuti, poi, dopo qualche mese, ci ha proposto questo progetto speciale, cui abbiamo aderito. Ci sono stati messi a disposizione dei locali che, grazie alla generosità d’alcuni nostri confratelli, siamo riusciti ad attrezzare con scaffalature. Abbiamo iniziato questo servizio da appena-tre settimane, esaudendo le necessità di 150 persone. Per aver il vestiario, i detenuti devono seguire un iter semplice ma ben preciso: compilano una domanda al Carcere con le loro richieste. Il Carcere le gira a noi che procuriamo ‘il materiale registrando, poi, tutto quello che consegniamo, in modo da non dare per due volte consecutive le stesse cose alla stessa persona. Il nostro turno è settimanale - continua la presidente - ogni mercoledì siamo presenti per la distribuzione, mentre negli altri giorni ci occupiamo della raccolta. Un grande aiuto è arrivato dalla Caritas Diocesana, che ha iniziato con noi una collaborazione passandoci parte degli indumenti che servono. Lo stesso accade con la Fraternità che ha una grande esperienza in ambito carcerario. Ma non basta. Abbiamo urgentemente bisogno del sostegno di tutti. Occorre molta biancheria intima, canottiere o magliette, mutande e calze, asciugamani grandi e piccoli, camicie, maglie e maglioni, scarpe da ginnastica, possibilmente con lo strap; giacche di tuta e jeans. Poi anche ciabatte da docce e giubbotti". Insieme al gesto caritativo, la San Vincenzo, attiva a Verona dal 1857, s’investe anche di un compito educativo per i carcerati, affinché imparino, soprattutto gli stranieri, a gestire e preservare il vestiario ricevuto in dono. Jenny Utveggio Brescia: Vivicittà Porte Aperte in programma il 10 aprile
Giornale di Brescia, 30 marzo 2005
Entra nel vivo la fase preparatoria della manifestazione podistica dell’Uisp "Vivicittà", giunta alla 22ª edizione internazionale, che vivrà il suo momento clou domenica 10 aprile con la corsa agonistica e non competitiva in partenza da Campo Marte ed arrivo in Piazza della Loggia. Il prologo è costituito da dieci anni a questa parte dal "Vivicittà Porte-Aperte", la corsa agonistica riservata ai detenuti/e(alla quale però partecipano da sempre oltre un centinaio di atleti esterni, in prevalenza studenti degli istituti superiori e amatori di alcune società bresciane) in programma sabato 2 aprile alle ore 10.30 nella sezione di reclusione di Verziano. Anche quest’anno, grazie alla insostituibile collaborazione fornita dalla direzione della Casa circondariale cittadina, circa una cinquantina di detenuti delle sezioni maschili e femminile si contenderanno le prime posizioni nella classifica nazionale di "Porte aperte", che vede coinvolti in tutta Italia una ventina di istituti penitenziari, minorili e per adulti. I partecipanti alla singolare manifestazione saranno accompagnati nella loro gara da una nutrita schiera di studenti degli istituti superiori cittadini: Abba-Ballini, Ipsia-Moretto, Gigli di Rovato e da una cinquantina di atleti della Fiasp, accreditati per l’occasione dal Magistrato di sorveglianza. L’iniziativa rientra nel "Progetto carcere" proposto dall’Uisp di Brescia, sostenuto dalla Provincia di Brescia e dalla Regione Lombardia, che prevede altre iniziative nei due istituti carcerari cittadini: a Verziano si disputerà il campionato di calcio, mentre tornei di volley e corsi di ballo per le detenute sono annunciati a Canton Mombello, oltre al laboratorio teatrale, corsi di tennis, tornei di calcetto e di scacchi. Napoli: donne recluse, voci dal silenzio della detenzione
Il Mattino, 30 marzo 2005
Donne invisibili. Creature - italiane e straniere - in bilico tra marginalità e devianza, tra il carcere come destino e la cittadinanza come lontana aspirazione di normalità. Donne recluse, in un mondo di silenzio dove i contatti con l’esterno diventano boccate d’ossigeno più preziose dell’ora d’aria, sognando opportunità di reinserimento futuro. Sono circa 250 le donne detenute in Campania, il 5 per cento della popolazione carceraria. "Ma il numero è fluttuante, come le situazioni di queste donne di cui si sa ben poco, all’esterno", dice Erminia Bosnia, sociologa e insegnante napoletana, una collaborazione con la cattedra di metodologia e tecnica della ricerca sociologica del professor Natale Ammaturo a Fisciano e un impegno di coordinatrice della commissione di interesse per le condizioni e le problematiche delle donne detenute, in seno alla Consulta regionale femminile della Campania presieduta da Emilia Taglialatela. Ed è proprio dall’attenzione della commissione della Consulta, organo multanime del Consiglio Regionale e composta da cinquanta rappresentanti dei partiti, delle associazioni, dei sindacati e delle confederazioni, che è nata un’indagine conoscitiva interna alle case circondariali della Campania: si intitola Donne detenute, e i suoi risultati verranno presentati e discussi oggi alle 16 a Napoli, nella Sala del Circolo Ufficiali della Marina Militare in via Cesario Console 3/bis. "È la prima volta che una consulta femminile si occupa di questi problemi, cercando di dare visibilità ai bisogni e alle aspirazioni delle detenute, ascoltandone le voci: è un momento di comunicazione importante, un ponte tra interno ed esterno di cui il questionario che abbiamo elaborato, distribuito e raccolto tra ottobre scorso e febbraio è stato uno strumento prezioso", spiega Bosnia, coordinatrice e responsabile della ricerca. Alla quale hanno liberamente risposto, aggiunge, solo 76 delle 250 donne detenute campane (46 italiane, 27 straniere): più della metà, recluse nella casa circondariale di Pozzuoli; il resto a Benevento, Bellizzi Irpino e Salerno. Un segnale significativo, sul disagio che attanaglia figure femminili capaci di rivelare - a trovare la chiave comunicativa di accesso - insospettate risorse interiori, come ha di recente dimostrato il bel libro Davanti a me è caduto il cielo (Filema), opera collettiva delle detenute di Pozzuoli aiutate dalle loro insegnanti e dal gruppo di ricerca sulle soggettività femminili della Biblioteca Nazionale a esprimersi grazie alla letteratura. Donatella Trotta Giustizia: per Bompressi 2 anni di differimento della pena
Ansa, 30 marzo 2005
Differita per due anni dal tribunale di sorveglianza di Genova l’esecuzione della pena ad Ovidio Bompressi, condannato in via definitiva per l’omicidio del commissario Calabresi. La detenzione in carcere è stata ritenuta incompatibile con il suo stato psicofisico.
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