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Venezia: Paolo Dorigo ha ottenuto la detenzione domiciliare
La Nuova Venezia, 26 marzo 2005
Paolo Dorigo, nella tarda serata di ieri, è arrivato nel suo appartamento di Mira, accompagnato dagli agenti della Polizia penitenziaria di Spoleto, il carcere dove era rinchiuso. Ieri mattina il Tribunale di sorveglianza di Perugia aveva reso noto la sua decisione, quella di concedere la detenzione domiciliare al veneziano condannato a 13 anni e mezzo di cui undici e mezzo già scontati, come richiesto dai difensori. Dorigo - hanno spiegato i suoi legali, gli avvocati Vittorio Trupiano e Sergio Simpatico - vivrà da solo nell’abitazione di Mira, e potrà incontrare soltanto i suoi familiari anche se quando lo vorrà. Il Tribunale di sorveglianza gli ha inoltre concesso di poter lasciare ogni giorno la sua residenza dalle 10 alle 12, con la facoltà di prolungare questa assenza da casa in caso di necessità legate agli esami medici ai quali dovrà sottoporsi su sua stessa richiesta. Gli avvocati Trupiano e Simpatico hanno espresso soddisfazione per la decisione del Tribunale di sorveglianza. "Ha applicato nel miglior modo possibile - hanno detto - la legislazione dopo che il nostro assistito ha rinunciato a ottenere i benefici previsti dalla legge Gozzini". I giudici perugini mercoledì scorso avevano nuovamente esaminato l’articolata istanza presentata dai difensori di Dorigo (alla quale aveva dato parere favorevole anche il procuratore generale Giampiero Goretti). Al termine dell’udienza si erano quindi riservati la decisione resa nota ieri nel pomeriggio. Gli avvocati Simpatico e Trupiano avevano tra l’altro chiesto la concessione della detenzione domiciliare per permettere al loro assistito di sottoporsi agli accertamenti medici. Dorigo ha infatti chiesto da tempo di poter verificare la presenza di corpi estranei nel suo condotto uditivo (una microspia inserita per controllarlo e alla quale lui attribuisce alcuni disturbi fisici). Per questo ha sollecitato una verifica con un sintonizzatore universale. Esami già disposti dallo stesso Tribunale di sorveglianza "ma non ancora eseguiti", come ha più volte ricordato l’avvocato Trupiano. Per sollecitarli, Dorigo aveva anche attuato lo scorso anno uno sciopero della fame per oltre sessanta giorni (poi sospeso) che lo aveva ridotto in precarie condizioni fisiche.
Ad attenderlo sua madre "Ora, un processo giusto"
Ad attenderlo a Mira, nonostante l’ora tarda, c’era la madre Mariella, che per l’intero pomeriggio si è data da fare per sistemare l’appartamento che da oltre undici anni non vedeva anima viva. Paolo Dorigo, infatti, ha trascorso nelle carcere di mezza Italia undici anni e cinque mesi senza avere mai la possibilità di ottenere un permesso. Soddisfatto anche il padre Wladimiro, secondo il quale è soprattutto grazie al lavoro paziente e intelligente degli avvocati e alla mobilitazione dell’opinione pubblica che si deve la scarcerazione. Ma il padre si trova pienamente d’accordo con gli avvocati del figlio nel chiedere che le direttive dell’Unione europea vengano rispettate. I difensori di Dorigo hanno più volte ribadito che il detenuto veneziano (il quale si è sempre rifiutato di chiedere la grazia o di ricorrere ai benefici previsti dall’attuale normativa) ha già espiato la condanna inflittagli per il reato di terrorismo. "È stato in carcere ininterrottamente per oltre 11 anni - hanno affermato anche ieri - senza che mai sia stato celebrato un giusto processo (non ha mai potuto vedere in faccia il suo accusatore) in conformità con quanto più volte ingiunto all’Italia dal Consiglio d’Europa". Secondo gli avvocati Trupiano e Simpatico "certamente non poteva essere il Tribunale di sorveglianza di Perugia, come nessun altro collegio, ad applicare quella risoluzione". "Questa è infatti una questione solo politica - hanno ribadito - e spetta al Governo uniformarsi ad essa. Resta cioè il problema cardine di garantire un giusto processo a Dorigo. Solo adempiendo a quanto il comitato dei ministri dell’Unione europea sta intimando dal 1998 si potrà spazzare via la sua morte civile, l’interdizione dai pubblici uffici, l’esclusione dall’elettorato attivo e passivo, i diritti persi per sempre dopo una condanna condannata". Droghe: in crescita l’abuso di eroina, cocaina e alcool tra i ragazzi
Ansa, 26 marzo 2005
Come si comincia? Per gioco, o perché si partecipa ad un rito giovanile. Oppure lo si fa solo per moda. Ma alla fine spesso c’è solo il tunnel della dipendenza patologica. Del resto a Ravenna il consumo di superalcolici, eroina e cocaina è in crescita, soprattutto tra i piu giovani. Non a caso sono diversi gli adolescenti che abusano di cannabis, birra e vino. L’allarme è stato lanciato da Andrea Greco, medico del Sert e referente alcologico dell’Ausl, durante la commissione ad hoc del consiglio comunale di ieri. "A Ravenna c’è ormai una popolazione poli-tossicodipendente, che cioè fa uso in mix di alcol e stimolanti", ha precisato Greco. Tra la popolazione universitaria "è invece più comune l’uso di eroina fumata". Sono dunque sempre più giovani i tossicodipendenti, tant’è che "l’anno scorso ad accedere al nostro servizio - ha osservato Greco - sono stati cinque nuovi ragazzi tra i 15 e i 19 anni". Thailandia: accademici chiedono abolizione della pena di morte
Agenzia Radicale, 26 marzo 2005
Diversi docenti universitari hanno chiesto alle autorità tailandesi di abolire la pena di morte, evidenziando che sarebbe più efficace affrontare i problemi sociali ed assicurare alla giustizia i capi delle organizzazioni criminali. "La maggioranza dei detenuti nel braccio della morte sono stati condannati per omicidio e per droga, ma la loro esecuzione non metterebbe fine al problema", ha detto Kittisak Pokkati, docente di diritto all’Università Thammasat, intervenendo ad un seminario dell’Associazione Giornalisti Thailandesi. Ha invitato il Dipartimento di Correzione a svolgere indagini accurate per catturare i "pezzi grossi", dal momento che in genere vengono arrestati solo i piccoli spacciatori e gli autori di crimini minori. Per Sukchai Methavikul, della Commissione Diritti Umani, diversi studi hanno dimostrato come la pena di morte non aiuti nella prevenzione dei gravi crimini. "Se vogliamo correggere il comportamento di chi ha commesso sbagli, allora questo tipo di pena non dovrebbe essere usata", ha detto Methavikul, aggiungendo che esistono tre strade per abbattere il numero delle esecuzioni capitali: ridurre la gravità delle imputazioni, aumentare le grazie concesse dal re o cambiare la legge che prevede la pena di morte. La pena di morte si applica in Thailandia per omicidio e per il traffico di eroina e anfetamine, soprattutto se i prigionieri sono giudicati colpevoli dopo essersi dichiarati innocenti all’inizio del processo. Un’ammissione di colpevolezza determina maggiore clemenza da parte dei giudici: da 25 anni di reclusione all’ergastolo invece della condanna a morte. Dopo il giudizio finale l’esecuzione deve essere sospesa per 60 giorni per permettere al condannato di presentare la richiesta per il perdono del re. La maggior parte delle sentenze capitali sono commutate dalla grazia regale. Se viene concesso il perdono, l’esecuzione viene commutata in ergastolo. Il 9 maggio 2003, il Senato thailandese ha approvato un disegno di legge che proibisce la condanna a morte e l’ergastolo per i minori di 18 anni, una proposta che era stata approvata in prima lettura dalla Camera il 20 novembre 2002. La sanzione massima per i minorenni è stata portata a 50 anni di detenzione. Le esecuzioni in Thailandia sono riprese nel 1995, dopo una sospensione di fatto durata otto anni. Notizie fondate parlano di maltrattamenti e torture da parte della polizia nei confronti di sospettati in attesa del processo. Le confessioni in queste condizioni sono usate regolarmente nei processi anche se gli imputati denunciano di aver subito torture per farli confessare. Il 19 ottobre 2003, dopo 68 anni e 319 giustiziati tramite plotone, è entrato in vigore un emendamento al Codice Penale che introduce l’iniezione letale come metodo di esecuzione. Prima ancora della fucilazione la Thailandia giustiziava i condannati con la decapitazione. Il 12 dicembre 2003, le prime esecuzioni tramite iniezione letale sono state eseguite nel famigerato carcere di Bang Kwang nei confronti di tre persone accusate di traffico di droga e dell’autore di un omicidio. Per le esecuzioni sono state utilizzate tre droghe: la prima ha sedato i condannati, la seconda ne ha rilassato i muscoli e la terza ne ha fermato il cuore. Le esecuzioni nel 2003 sono state 4, effettuate tutte con il nuovo metodo dell’iniezione letale. Nel 2002 erano state 9 e 18 nel 2001. Genova: i figli dei detenuti e le vacanze per riabbracciare papà
Secolo XIX, 26 marzo 2005
I padri dietro le sbarre, le madri che difficilmente riescono a far campare la famiglia. Così anche i viaggi per i colloqui festivi e le telefonate periodiche diventano un lusso. Che non tutti possono permettersi. E qui entra in gioco l’associazione "Diritti e Libertà", una onlus genovese che promuove iniziative a favore delle famiglie dei detenuti. Lo ha fatto anche per Pasqua con il progetto "Bimbi a Pasqua con il papà", finanziato con una raccolta di denaro che ha permesso a 12 famiglie genovesi di partire, soprattutto per le prigioni del meridione, per andare ad incontrare il loro congiunto. "È stato possibile organizzare l’iniziativa coinvolgendo persone disponibili a sostenerla dal momento che con le nostre sole forze - spiega il presidente padre Giovanni Tomasi - non ci saremmo riusciti. Con i fondi raccolti vengono pagate le spese di viaggio a tutte quelle famiglie, e sono moltissime, che risiedono lontane dal carcere dove è recluso il loro congiunto. Sono viaggi che, altrimenti, non potrebbero affrontare". "Bimbi a Pasqua con papà" arriva dopo l’esperimento simile fatto a Natale. "Vogliamo che queste iniziative diventino consuetudine in due momenti annuali importanti per la vita del vero cristiano - aggiunge padre Tomasi - Le famiglie dei detenuti versano in gravi condizioni economiche e di sopravvivenza, soprattutto quelle che hanno figli piccoli o adolescenti e che spesso devono mantenere il loro congiunto in prigione. La nostra intenzione è di portare un sorriso nel giorno in cui la lontananza di un genitore è ancora più sentita". Oltre alle visite, l’associazione provvede anche alle spese telefoniche attraverso la rete dei cappellani delle carceri. "I carcerati non possono ricevere telefonate, ma possono farle. In questo caso hanno bisogno di denaro. Noi lo raccogliamo, lo inviamo ai cappellani e loro provvedono a versarlo al detenuto permettendo loro di telefonare alla famiglie". Genova: vuole scontare subito la pena, per non perdere il lavoro
Secolo XIX, 26 marzo 2005
Voleva scontare la pena subito per non perdere il lavoro in Svezia. È dovuto intervenire il giudice. La giustizia si è piegata per una volta alla fretta di un condannato. E al suo bisogno di lavorare. La notizia è il paradosso. Giuseppe Megna, 46 anni, cuoco genovese con una moglie e un figlio di 16 a carico, consolidate frequentazioni con tribunali e galere, e un’occasione di lavoro da cogliere al volo in Svezia, ha voluto, ha preteso di andare in carcere. Aveva dieci giorni ancora da scontare prima di saldare i suoi conti con la legge. "Definitivamente". E per quei dieci giorni rischiava di perdere il posto. Ieri mattina Megna si è presentato all’ufficio matricola del penitenziario di Marassi ed è stato rimandato a casa. Troppo presto, gli hanno spiegato, lei ha ancora un mese di libertà, durante il quale potrà scegliere se chiedere o meno misure alternative al carcere. Lo assicura la legge. E con quel carico pendente, niente nullaosta all’espatrio sulla carta d’identità, niente viaggio in Svezia. "Voglio andare in galera, anche se è Pasqua", ha implorato di fronte al suo avvocato, Ferruccio Barnaba, allibito. Ecco il paradosso. Solo grazie alla lecita improvvisazione di un sostituto procuratore, Biagio Mazzeo, Megna alla fine ha avuto "giustizia" e nel pomeriggio ha varcato la soglia del carcere di Chiavari. Così è cominciato il conto alla rovescia dei dieci giorni che mancano alla definitiva libertà. Il pm ha certificato la rinuncia del quarantaseienne all’aria aperta, alle feste pasquali e, allo stesso tempo, al suo diritto di barattare il carcere con l’affido ai servizi sociali, la semilibertà o gli arresti domiciliari. Con quella carta intestata le porte del carcere si sono finalmente chiuse alle spalle di Megna. E si riapriranno il 4 aprile, consentendo al cuoco, residente con la famiglia in via Vittorini a Prà, di sfruttare l’occasione di lavoro. "Si occuperà di catering per i dipendenti di alcune imprese italiane a Ljsekil in Svezia", rivela l’avvocato Barnaba, soddisfatto per la "novità giurisprudenziale" appena incassata aiutando un suo cliente ad andare in galera: "Mai successo". Megna non aveva avuto bisogno di quel genere di aiuto in passato, come dimostrano le cronache giudiziare degli anni ‘80 e ‘90. Gli ultimi dieci giorni di galera erano il residuo di una condanna per una violazione della sorveglianza speciale. "Andava a lavorare in una pizzeria - racconta il suo avvocato - in qualche modo doveva sbarcare il lunario e spesso rientrava in ritardo nonostante gli obblighi". Il fascicolo giudiziario e i ritagli ingialliti dei giornali che riguardano Giuseppe Megna ricordano che quando aveva vent’anni finì nei guai per un furto messo a segno in un magazzino di abbigliamento di Sestri, nel ponente genovese. Il gruppo di intrusi aveva portato via la merce e persino il cane da guardia che avrebbe dovuto difenderla: un alano arlecchino di 40 chili. Nel 1983 il suo nome compare tra i quattordici arrestati di una maxi operazione dei carabinieri contro il traffico internazionale di eroina, lo stupefacente che scorreva a fiumi in quegli anni. Il giro di spacciatori, a cui Megna fu accusato di appartenere, subì in quei giorni il sequestro di un quantitativo di droga nascosto nel bagagliaio di un’auto, del valore sul mercato di oltre due miliardi di lire. Un’indagine della Guardia di finanza del 1985 individuò Giuseppe Megna come uno degli ingranaggi del meccanismo che consentiva a un giro di cinquanta spacciatori di far entrare eroina nel carcere di Marassi. Sempre per una storia di droga il quarantaseienne fu arrestato nel 1992, accusato di importare con altri complici eroina nascosta in camion carichi di frutta e verdura. Dopo cinque anni di attesa fu clamorosamente liberato, grazie a una sentenza della Corte di cassazione, e il suo nel 1997 divenne un caso di "mala giustizia". Guarda caso. Nuoro: maggiore assistenza per i detenuti malati di Hiv…
La Nuova Sardegna, 26 marzo 2005
Il consigliere regionale del gruppo Ds Vincenzo Floris ha presentato un’interpellanza al presidente della giunta regionale e all’assessore alla sanità per sapere quali atti abbiano o intendano porre in essere per proporre con urgenza alla conferenza dei presidenti delle Regioni l’esigenza di individuare in tempi brevi la disponibilità delle risorse necessarie per i rinnovi contrattuali per i medici specialisti e psicologi ambulatoriali per la prevenzione e l’assistenza ai detenuti tossicodipendenti o affetti da HIV, i quali, nonostante i ritardi e le difficoltà, continuano a svolgere il loro servizio. Floris sottolinea la necessità di realizzare protocolli operativi per la cura e la riabilitazione dei detenuti tossicodipendenti, in attuazione del protocollo d’intesa del maggio 2004, al fine di garantire un essenziale servizio ad un settore delicato per i soggetti e le patologie. Chiede, infine, di fornire alle Asl le indicazioni sull’inquadramento giuridico ed economico del personale per avviare i contratti. Sassari: si impicca un agente di polizia penitenziaria…
La Nuova Sardegna, 26 marzo 2005
Ha deciso di farla finita senza lasciare una spiegazione ai familiari, agli amici, ai colleghi di lavoro. Un agente della Polizia penitenziaria in servizio nel carcere di San Sebastiano a Sassari, si è impiccato nella casa nuova, appena acquistata a Ossi. Aveva 37 anni, lascia la moglie di appena 32 e tre figli in tenera età. A trovare il corpo ormai senza vita dell’agente è stata proprio la moglie al suo rientro a casa ieri mattina. Molto attaccato al lavoro l’agente non ha mai manifestato ai colleghi particolari situazioni di sofferenza o di disagio. Una morte inaspettata che ha fatto calare il dolore su San Sebastiano dove questa mattina si sarebbe dovuto svolgere un incontro tra i detenuti e Jeff Onorato, il campione di sci nautico e coordinatore del Fly for life project. La manifestazione, alla quale era stata invitata anche la stampa, è stata ovviamente rinviata ad un’altra data. Nuoro: polemiche su corso Eda, docenti senza esperienza…
La Nuova Sardegna, 26 marzo 2005
Sul progetto educativo Eda, finalizzato al recupero dei detenuti adulti nella prima sezione della Casa circondariale di Badu ‘e Carros, il capogruppo consiliare della Margherita Marco Zoppi ha presentato al sindaco Zidda e all’assessore ai servizi sociali Pintori una interrogazione urgente. Il consigliere chiede di sapere il perché si è provveduto, per l’anno in corso (ultimo del ciclo), alla nomina di nuovi insegnanti in sostituzione del corpo docente precedente. Operazione che è stata posta in essere dal dirigente scolastico della scuola media nº 4 Bachisio Porru. Si tratta, secondo Zoppi, di "docenti fuori ruolo e senza specifica esperienza nel settore". Il che ha provocato le dimissioni della coordinatrice del progetto, oltre al disappunto e allo sconcerto dei collaboratori. Se non altro perché le nomine avrebbero dovuto seguire l’iter che prevedeva la compilazione di un’apposita graduatoria di merito. I reclusi, che sono i diretti beneficiari, hanno inviato una lettera aperta al dirigente per manifestare la loro fiducia al vecchio corpo insegnante, che li ha seguiti con continuità per quattro anni. Ritenendo inspiegabile la loro sostituzione alla fine del ciclo (al termine del quale si conseguono i risultati del progetto), Marco Zoppi chiede al sindaco Mario Zidda e all’assessore ai servizi sociali Graziano Pintori di conoscere le motivazioni della decisione assunta dal dirigente scolastico professor Bachisio Porru, giusto per non compromettere lo scopo educativo e sociale del progetto di "Educazione degli adulti". Ciò in ragione del rapporto di fiducia instaurato tra i detenuti e il corpo docente, che ha garantito la continuità didattica e una grande professionalità.
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