Rassegna stampa 12 marzo

 

Genova: pronta una guida turistica realizzata dai detenuti

 

Secolo XIX, 12 marzo 2005

 

"Vent’anni fa i penitenziari erano davvero dei luoghi di abbandono, di isolamento, di distacco dal mondo. In questi ultimi vent’anni la situazione è radicalmente cambiata, la sensibilità è cresciuta in maniera esponenziale". Così spiega Salvatore Mazzeo, direttore del carcere di Marassi. Che rivela: "Le richieste da parte di ditte ed aziende di detenuti in semilibertà, che possano offrire la loro prestazione lavorativa dopo aver imparato un mestiere in prigione, sono sempre di più. Talmente tante che spesso non riusciamo nemmeno a soddisfarle tutte". Segno, secondo il direttore, di una decisa inversione di tendenza; di considerazione e rispetto per chi tenta il riscatto sociale. Ma anche per il lavoro dell’istituzione carcere.

Parla, Mazzeo, alla presentazione di un’iniziativa che qualifica un lungo percorso. È un libro dalle pagine lunghe e strette e la copertina celeste. È una guida turistica, ma del tutto particolare. S’intitola "Genova, percorsi di memorie costrette", 93 pagine, Neos edizioni. Costa sei euro e della prima edizione sono state tirate 3.500 copie. Una guida particolare. Perché i testi (illustrati da 108 scatti di Stefano Caruso) sono stati scritti dai detenuti. Che hanno raccontato Genova ripescando le loro memorie dei giorni in libertà.

Due progetti. Due facce della stessa medaglia. "Un tempo - insiste il direttore - parlare di rieducazione era quasi impossibile. Era un concetto che esisteva, ma solo come affermazione teorica. In realtà mancava ogni mezzo per dar concretezza a qualsiasi progetto. Oggi non è così". Allora i detenuti scrivono. O lavorano. In quali campi? "Li cercano come manovali, trasportatori commessi". Quanti sono oggi coloro che, tornando in cella la sera, si proiettano all’esterno durante il giorno esercitando un mestiere? "Cinquanta. Quelli che hanno diritto alla semilibertà, che si può ottenere dopo aver scontato almeno metà della pena. E questo rappresenta il primo vincolo: spesso non abbiamo abbastanza semiliberi da poter mettere in contatto con le aziende. Segno però che il sistema funziona, che gli imprenditori ci credono e sono soddisfatti delle esperienze precedenti". Ricorda, Mazzeo, l’esperienza con la Preti, l’azienda dolciaria, "in cui l’amministrazione si è voluta esporre in primo piano". Ma anche il lavoro di skipper che un detenuto ha svolto, per un paio di anni, in una scuola di vela, la Seal Academy.

La presentazione delle iniziative è coincisa, ieri, con la visita nel penitenziario del sottosegretario alla Giustizia Michele Vietti. "Direi che non ci sia - commenta - un’emergenza-carcere a Marassi. La situazione è sotto controllo, pur in presenza dei noti problemi di sovraffollamento di detenuti e di carenza di organici degli agenti. Ho trovato uno spirito di grande generosità e di dedizione da parte del personale e dell’amministrazione e una situazione logistico - strutturale tutto sommato nella normalità". Poi Vietti si è spostato in prefettura, per incontrare il padrone di casa Giuseppe Romano, il questore Salvatore Presenti, i vertici delle forze dell’ordine e i vertici di tutti gli uffici giudiziari. Non sono mancate le risposte sui temi più controversi del rapporto tra politica e magistratura. "Vedo una convergenza tra forze politiche diverse sull’esigenza di intervenire dal punto di vista normativo su questa situazione. La situazione attuale, indipendentemente dalla buona fede dei singoli, può rischiare di appannare l’immagine di imparzialità che il magistrato deve sempre mantenere". Ancora: Proprio in questi giorni c’ è un ampio dibattito, che è riferito al caso Venezia (la candidatura del sostituto procuratore veneziano Felice Casson alla presidenza della Regione Veneto per il centrosinistra, ndr), ma che potrebbe riguardare anche il caso Genova sui magistrati che esercitano funzioni politiche e poi tornino a fare il loro mestiere". Fischiano le orecchie ad Adriano Sansa, magistrato ed ex sindaco di Genova. Il ministro Roberto Castelli si è rifiutato di ratificare la sua nomina del Csm a presidente del Tribunale dei Minori, sottolineando che il magistrato continua a fare politica criticando il governo.

Iraq: esplodono i problemi del sistema carcerario creato dagli Usa

 

La Provincia di Lecco, 12 marzo 2005

 

Chiuderlo non è possibile, perché circa 200 dei 540 detenuti attuali sono considerati pericolosi terroristi vicini ai Taleban afghani o agli islamici di al Qaeda, ma il Pentagono sta seriamente pensando a rispedire a casa la metà dei cosiddetti "combattenti nemici" del carcere americano di Guantanamo Bay, sull’isola di Cuba, una delle due carceri di tutti gli scandali.

L’altro carcere degli scandali è quello di Abu Ghraib, a Baghdad, diventato tristemente famoso quando hanno fatto il giro del mondo le foto di una soldatessa americana, Lynndie England, con un iracheno nudo al guinzaglio, una delle torture per la quale la donna comparirà di fronte alla corte marziale, il 3 maggio. Contrariamente a Guantanamo Bay, che per il momento non cambia, Abu Ghraib cesserà di essere un carcere americano: non chiuderà i battenti, ma i suoi detenuti sotto controllo statunitense verranno trasferiti altrove appena possibile - anche se non proprio domani - e il controllo della prigione passerà alle autorità irachene.

La situazione di Guantanamo sembra sia diventata insostenibile per le autorità americane, convinte che l’extra territorialità avrebbe permesso loro di non rispettare la Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra, mantenendo i combattenti nemici in una sorta di limbo giudiziario, senza incriminazione formale e senza legale. Finora i tribunali Usa hanno dato loro torto, anche se il tira e molla non si è ancora concluso. Il Pentagono ha accettato di rivedere tutti i casi dei "combattenti nemici", ma lo ha fatto un giurì militare, senza risultati di rilievo e mandando su tutte le furie non solo i tribunali civili Usa, ma anche le associazioni di difesa dei diritti civili come la potentissima Aclu (American Civil Liberties Union).

Secondo documenti che proprio l’Aclu è riuscita ad ottenere, c’erano ad Abu Ghraib bambini di un’età apparente di otto anni fra i detenuti. Trascrizioni di testimonianze delle inchieste dell’esercito su quanto avvenne ad Abu Ghraib indicano che il generale Janis Karpinski, ex comandante della prigione, ha riferito che un ragazzo sosteneva di avere 12 anni. Secondo altre testimonianze, il bambino piangeva e chiedeva di potere parlare con la madre.

In un altro passaggio della sua deposizione, la Karpinski dice di avere avuto ordini scritti di tenere in detenzione un prigioniero che la Cia aveva catturato senza iscriverne il nome nei registri. Il Pentagono ha riconosciuto di avere gestito un centinaio di "prigionieri fantasma".

Un giro di vite contro gli insorti, prima delle elezioni del 30 gennaio, ha riempito a dismisura la prigione. E, inoltre, il complesso di Abu Ghraib ha già subito attacchi degli insorti. Secondo quanto riferisce la stampa americana, il nuovo complesso carcerario sarebbe collocato all’interno dell’aeroporto internazionale di Baghdad, che è l’area più protetta dagli attacchi degli insorti. Tuttavia, i piani non sono ancora definiti.

Usa: ritiro da convenzione contro pena morte a stranieri

 

Quotidiano di Calabria, 12 marzo 2005

 

Sulla pena di morte gli Stati Uniti non faranno marcia indietro. Secondo quanto scrive il Washington Post, l’amministrazione Bush si è infatti ritirata da un accordo internazionale usato dagli oppositori della pena capitale per contrastare le condanne inflitte a cittadini stranieri detenuti nel braccio della morte delle carceri Usa. In una lettera datata 7 marzo, il segretario di Stato Condoleeza Rice ha informato il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, della rinuncia americana dal protocollo della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari.

Gli Stati Uniti proposero il protocollo nel 1963 e lo ratificarono - insieme al resto della Convenzione di Vienna - nel 1969. L’accordo, ricorda il quotidiano americano, impegna i Paesi firmatari a interpellare la Corte internazionale di giustizia e lasciare che questa abbia l’ultima parola sul caso in oggetto, qualora vi siano contestazioni da parte di cittadini che affermino di essersi visti negare il diritto di incontrare un diplomatico del proprio Paese durante il periodo di detenzione all’estero.

Gli Stati Uniti hanno inizialmente appoggiato tale misura, nella quale vedevano un mezzo per tutelare i propri cittadini fuori dai confini dello Stato. Ma negli ultimi anni altri Paesi, appoggiati dagli attivisti contrari alla pena di morte, si sono rivolti con successo alla Corte, lamentando il fatto che i propri connazionali condannati a morte negli Usa non avevano potuto avere accesso a diplomatici del loro Paese di origine. La decisione della Casa Bianca di ritirarsi dal protocollo non riguarda però il resto della Convenzione di Vienna, che impegna i 166 Stati firmatari a informare i cittadini stranieri del loro diritto di incontrare un diplomatico della propria nazione quando rinchiusi all’estero, ma unicamente la parte che riguarda la possibilità di ricorrere alla corte.

Parma: una mostra sulle carceri nei paesi africani

 

La Gazzetta di Parma, 12 marzo 2005

 

Prosegue, fino al 27 marzo al Parco dei Boschi di Carrega - centro parco Casinetto - la mostra fotografica "Prima della libertà - carceri in Africa" di Roberto Cavalieri, orari di visita tutte le domeniche dalle 15 alle 18,30. Venticinque immagini in bianco e nero per parlare di Africa e di diritti umani, per raccontare la situazione delle carceri in Paesi già provati da conflitti etnici e guerre. Un viaggio attraverso la situazione carceraria africana, dal Burundi al Rwanda, dalla Repubblica Democratica del Congo, al Mozambico, alla Sierra Leone con particolare attenzione ai temi della giustizia e dei diritti umani.

Nella maggior parte dei Paesi africani si è concretizzata la tragedia di violenze ed abusi consumati nelle carceri e nei tribunali, tra il silenzio obbligato della popolazione e l’indifferenza della comunità internazionale. Il volume che raccoglie queste ed altre immagini è stato curato dalla Caritas Italiana, da anni in prima fila in progetti di assistenza sanitaria, alimentare e di tutela dei diritti umani a favore dei detenuti in Africa e nel mondo.

Roberto Cavalieri, fotoreporter freelance da anni realizza reportage sui temi sociali in Africa, al suo attivo anche un documentario girato per la Rai sulla condizione giovanile in Rwanda e Burundi. Domenica 20, alle 16, sarà presentato il volume fotografico, alla presenza dell’autore e di Aluisi Tosolini, della rivista Alfa Zeta. La mostra costituisce un’occasione per visitare il Parco e il giardino del Casino dei Boschi, uno dei luoghi pi ù suggestivi dell’area protetta.

Milano: Associazione "L’Amico Charly" aiuta ragazzi dell’Ipm

 

Redattore Sociale, 12 marzo 2005

 

Il "Crisis Center" non è l’unico progetto che da risposte allo stato di disagio psichico o esistenziale degli adolescenti. In particolare l’associazione "L’amico Charly" ha avviato una serie di azioni a sostegno dei minori detenuti negli istituti penitenziari di Milano e della Lombardia.

Sono stati attivati una serie di progetti che mirano ad assistere coloro che compiono gesti gravemente autolesivi, in un contesto preciso e difficile quale quello del carcere. Tra questi il "Progetto Dars – Detenuti a rischio suicidarlo", negli istituti di pena di San Vittore e Opera di Milano, Pavia, Bollate, Busto Arsizio, Monza e Como, in collaborazione con l’amministrazione penitenziaria e la Regione Lombardia; è rivolto a giovani dai diciotto ai ventiquattro anni e prevede azioni di prevenzione, consulenza psicologica e presa in carico dei detenuti che compiono gravi gesti autolesivi e tentativi di suicidio.

L’attenzione dell’organizzazione è rivolta anche i minori immigrati soli, ristretti presso il Beccaria di Milano; qui, in rete con altre associazioni del settore, l’associazione ha avviato percorsi di accompagnamento al reinserimento socio-lavorativo di giovani immigrati senza famiglia, incorsi in provvedimenti giudiziari o senza permesso di soggiorno. È invece rivolto a giovani dai diciannove ai ventiquattro anni di San Vittore, il "Progetto Buona Uscita" che prevede l’accompagnamento al reinserimento socio-lavorativo di detenuti in fase di dimissione dall’istituto penitenziario. (cch)

Gran Bretagna: carcere a vita per tre adolescenti assassini

 

Gazzetta del Sud, 12 marzo 2005

 

È troppo giovane per essere nominato. Ha solo 13 anni e la legge protegge la sua identità, ma non è troppo giovane per essere condannato all’ergastolo e non lo era neppure lo scorso anno quando stuprò la sua insegnante, una donna di 30 anni. Poi le rubò l’auto e guidò per 50 chilometri prima di essere arrestato dalla polizia. Accade in Gran Bretagna, dove la violenza dei minori è diventata una vera e propria emergenza nazionale. Bande di ragazzini seminano il panico nelle periferie, nelle scuole si moltiplicano gli atti di bullismo e gli accoltellamenti mentre la cronaca continua a registrare fatti sconcertanti come quello del mini stupratore.

Il ragazzino - fisico corpulento, capelli a spazzola, felpa col cappuccio e calzoni da rapper - ha ascoltato impassibile le parole durissime che il giudice Geoffrey Grigson del tribunale di Teesside (nord-est dell’Inghilterra) ha pronunciato condannandolo all’ergastolo. "Hai aspettato che nella scuola non ci fosse nessuno e poi hai aggredito quella giovane donna che stava cercando di aiutarti e che non è riuscita a fermarti", ha detto il giudice. Quella dell’anonimo giovane stupratore è una storia di degrado e violenza. Abbandonato dai genitori, vittima di abusi sessuali fin dai primi anni di vita, finito nella scuola per ragazzi con difficoltà di apprendimento di Durham dove ha compiuto lo stupro. Ed ora il carcere.

Vi resterà minimo due anni, ma quasi certamente - ha detto il giudice - molto più a lungo, prima di poter fare la domanda di libertà vigilata. "Sono certo - ha auspicato il suo avvocato - che verrà un giorno in cui non sarà considerato un pericolo per la società". E nel catalogo degli orrori che la cronaca offre va registrato un altro episodio accaduto a Sheffield, nord Inghilterra. Giovedì due adolescenti di 17 anni ed una ragazzina di 16 sono stati condannati all’ergastolo per aver ucciso lo scorso anno un loro amico a colpi di falce.

Un omicidio orrendo, brutale, soprattutto senza motivo. I tre hanno infierito sulla vittima colpendolo per ben 80 volte. Prima lo hanno inseguito per i campi, quando lo hanno preso hanno cominciato a picchiarlo a pugni e calci, gli hanno chiuso la testa in un sacco di plastica ed infine hanno usato una falce per massacrarlo. Nel loro caso, il giudice ha deciso che il crimine era talmente grave da giustificare anche la pubblicazione dei loro nomi e delle loro foto. Daniela Romiti

Giustizia: la riforma Castelli e la legge salva-Previti

 

Questo Trentino, 12 marzo 2005

 

Come tutti sanno, la riforma Castelli dell’Ordinamento giudiziario non ha ricevuto l’approvazione del Presidente della Repubblica, che il 16 dicembre 2004 ha negato la firma e ha respinto la legge delega al Parlamento "per palese incostituzionalità". Ciampi ha spiegato chiaramente i motivi del rinvio, che possono essere così sintetizzati:

Il testo della legge è redatto in modo oscuro, ed è in contrasto con l’art. 72 della Costituzione. Si pensi che la legge Castelli è formata da due soli articoli; il 2° comprende 49 commi e occupa da solo 38 pagine sulle 40 della legge. L’art. 72 della Costituzione stabilisce, affinché i parlamentari si rendano conto di quello che stanno facendo, che ogni legge deve essere approvata articolo per articolo e con votazione finale.

Toglie poteri al CSM attribuendoli al Ministro, cioè all’Esecutivo, violando il principio che i Giudici sono soggetti soltanto alla legge.

Conferisce al Ministro di Giustizia il potere di stabilire la linea di politica giudiziaria per l’anno in corso, mettendo in pericolo la obbligatorietà dell’azione penale.

Crea appositi uffici di monitoraggio non già sull’efficienza e produttività dei magistrati, ma sul contenuto dei provvedimenti giurisdizionali, con l’evidente intenzione di condizionare i giudici nell’esercizio delle funzioni.

Prevede che il Ministro possa ricorrere al Tar contro le delibere del Csm in materia di conferimento di incarichi direttivi, in contrasto con l’art. 134 della Costituzione che riserva alla Corte il compito di risolvere gli eventuali conflitti.

Da questi schematici rilievi mi pare si possa concludere che il Capo dello Stato considera complessivamente incostituzionale la legge in questione. Che succederà se la maggioranza parlamentare si limiterà a ritocchi marginali e rimanderà a Ciampi la legge sostanzialmente immutata? In base all’art. 74 della Costituzione Ciampi è obbligato a firmare, ma per l’art. 87 egli ha il dovere di difendere la Carta fondamentale per non incorrere nel reato di attentato alla Costituzione, e potrebbe quindi opporre il rifiuto assoluto di firmare. Quale dei due doveri sceglierà? Conoscendo le virtù civiche del Presidente, non ho dubbi.

C’è tuttavia un’altra possibilità. Al fine di attutire il gravissimo contrasto il Capo dello Stato potrebbe sollevare conflitto di attribuzione di fronte alla Corte Costituzionale nei confronti del Parlamento; oppure firmare la legge accompagnandola da un nuovo messaggio, ribadendo i rilievi di incostituzionalità e aprendo la via a un inevitabile intervento della Consulta. Non si può prevedere allo stato quale di queste ipotesi si verificherà. Io ricordo però che Ciampi ha più volte ripetuto: "Non faccio sconti. A nessuno".

La proposta di legge che abbrevia i termini della prescrizione dei reati è giunta dalla Camera al Senato, e in questi giorni si avrà la discussione finale. L’intenzione della maggioranza è quella di salvare Previti, Berlusconi e Dell’Utri dalla condanna e dal carcere nei vari processi a loro carico. Allo scadere della prescrizione il fatto imputato resta tale, ma non è più reato e quindi il soggetto, anche se colpevole, non può essere più processato né condannato, salvo che rinunci alla prescrizione per far valere la propria innocenza. Previti, Berlusconi e Dell’Utri, che pure si sono sempre dichiarati innocenti, non solo non hanno rinunciato alla prescrizione ma ora chiedono al Parlamento una prescrizione più breve, che li metta definitivamente al sicuro.

Ciascuno si comporta secondo l’onore che ha. Tuttavia almeno Berlusconi, come uomo di Governo, dovrebbe preoccuparsi delle conseguenze nefaste che l’approvazione della legge, così come sta, avrà sulla giustizia e sulla collettività. Alcuni operatori giudiziari (magistrati e avvocati) hanno osservato che la norma, così com’è formulata per l’approvazione finale, esclude le circostanze aggravanti per il reato di omicidio: ciò significherebbe che tutti i reati di omicidio commessi 24 anni (questo è il nuovo termine di prescrizione) prima dell’entrata in vigore della legge vengono cancellati.

Le conseguenze sarebbero devastanti: Priebke potrà chiedere di tornare libero, perché il suo reato è prescritto. Gli autori della strage di Sant’Anna di Stazzema potranno chiedere di essere prosciolti, e così i 15.000 imputati dell’armadio della vergogna. Anche i processi per le foibe verranno azzerati.

Si sono posti il problema Berlusconi e Fini? E si sono chiesti che fine faranno tutti i mafiosi condannati per omicidio, compreso Riina? L’effetto Priebke potrebbe funzionare come l’apriti sesamo" per decine di migliaia di assassini. Sarebbe la morte definitiva della giustizia. È interessante notare che nei sistemi di "common law" (Stati Uniti, Inghilterra, ecc. ) la prescrizione non esiste. Esiste invece il cosiddetto "abuse of process", che scatta quando il "prosecutor" (cioè il PM) pur essendo da tempo a conoscenza del reato, chiede il giudizio oltre il termine di 70 giorni. Ciò è considerato un attacco ai diritti della difesa, e il giudice può (non deve) disporre la non procedibilità dell’azione penale. Ma se questa difficoltà non c’è o viene superata, nulla può bloccare l’accertamento giurisdizionale per il decorso del tempo. Giorgio Tosi

Firenze: per dire "no" alle carceri speciali per tossicodipendenti

 

Comunicato stampa, 12 marzo 2005

 

Lunedì 21 marzo 2005 Castelli e altri esponenti del governo Berlusconi inaugureranno a Castelfranco Emilia il primo carcere privato italiano, gestito direttamente da San Patrignano per conto dell’Amministrazione Penitenziaria. Il carcere di Castelfranco è il primo tassello del progetto che vuole riconvertire tutte le ex case di lavoro (una quindicina) in carceri ‘speciali’ gestite (più o meno direttamente) da privati e che costituiranno l’ossatura su cui poggiare il ddl Fini sulle droghe, che equipara sostanze leggere e pesanti, prevede il carcere per i consumatori, attacca il servizio pubblico (Ser.T.) a vantaggio dei privati.

L’impianto ideologico è quello di far passare quella che sarà, di fatto, una carcerizzazione di massa come una operazione per il recupero dei tossicodipendenti attraverso la scelta forzata tra scontare la pena in comunità o in uno di questi carceri speciali. Invitiamo a partecipare ad una Assemblea pubblica per dire no alle carceri speciali per tossicodipendenti che si terrà il 16 marzo dalle ore 21.00 presso la Casa del Popolo "XXV Aprile" via Bronzino, 117 (zona Ponte alla Vittoria) Firenze Un incontro-dibattito per informare e discutere sul carcere privato di Castelfranco Emilia e sulle politiche in tema di droghe e carcere.

Un momento per far conoscere anche le reali condizioni di vita dei detenuti: sovraffollamento, negazione del diritto alla salute, autolesionismo, suicidi, morti sospette, mancanza di lavoro, restrizioni sulla concessione delle misure alternative. E per denunciare le reali condizioni di vita delle persone che sono ospitate in alcune comunità terapeutiche: negazione dei diritti e della libertà, violenze, sfruttamento di manodopera gratuita e coatta.

Partecipano:

Franco Corleone Presidente Forum Droghe

Michele Vittori Operatori Tox

Maria Stagnitta Associazione Insieme

Operatori del settore

Organizza il gruppo di lavoro sul carcere ‘Dentro e Fuori le Murà – Firenze

Il gruppo si riunisce tutti i giovedì dalle 18.30 alle 20.30 presso il

Centro Popolare Autogestito Cpa Fi-Sud, via Villamagna 27/A, Firenze (autobus 8-23-31-32-80)

mail: dentroefuorilemura@inventati.org sito: http://www.inventati.org/dentroefuori

Telefono: 339.1300058 (Christian)

Bologna: Piazza Grande e le multe per i senza dimora

 

Comunicato stampa, 12 marzo 2005

 

Nel giornale di marzo Piazza Grande tratta di un tema "nascosto", quello delle multe sanzionate ai senza fissa dimora. Forse può sembrare un argomento di poco peso. Noi sappiamo che non è così, e nelle pagine interne proviamo a spiegare perché. Nell’inchiesta "Multati per forza", abbiamo raccolto alcune testimonianze dirette di alcuni senza fissa dimora. Abbiamo parlato con un dirigente dell’Atc, per conoscere direttamente il pensiero dell’azienda dei trasporti, e abbiamo consultato uno degli avvocati dello Sportello di Avvocato di Strada. In conclusione, abbiamo cercato di approfondire i meccanismi di funzionamento delle agenzie di recupero crediti.

Oltre all’inchiesta, in questo numero trovate il racconto di una nuova iniziativa della Regione Emilia Romagna, un servizio di cure odontoiatriche gratuite per le persone economicamente svantaggiate. Concludono il giornale un articolo sulla figura dei senza fissa dimora nella storia e le consuete informazioni sulle attività dell’Associazione. Per finire, vorremmo salutare i ragazzi del Liceo Minghetti di Bologna, che a fine febbraio hanno occupato la loro scuola. Nel programmare le attività da svolgere durante l’occupazione, con una grande attenzione a tematiche poco frequentate, hanno deciso di coinvolgere Piazza Grande, e alcuni rappresentanti dell’Associazione hanno tenuto una lezione ai ragazzi sul tema dell’esclusione sociale. Nel prossimo numero vi racconteremo la mattinata durante la quale si è svolto quest’incontro. Intanto, un in bocca al lupo ai ragazzi!

Vigevano: Litta Modignani (Radicali) visita il carcere

 

Agenzia Radicale, 12 marzo 2005

 

Stamane il capogruppo dei Radicali nel Consiglio regionale della Lombardia, Alessandro Litta Modignani, ha visitato la casa circondariale di Vigevano. Al termine della visita ha rilasciato la seguente dichiarazione: "L’istituto detiene circa 420 detenuti (320 uomini e 100 donne), 130 dei quali classificati come tossicodipendenti. 70 sono affetti da epatite C, 25 gli HIV positivi.

In queste condizioni, la presenza di un solo dirigente sanitario risulta assolutamente inadeguata, se si considera che la legge ne vorrebbe uno ogni 150 detenuti. Anche lo psichiatra e gli psicologi che assistono la popolazione detenuta sono assolutamente insufficienti, così come il dentista e gli altri medici specialisti a disposizione. "Non migliore è la situazione degli educatori, uno fisso e uno part time - prosegue Litta - Senza educatori ministeriali, come è noto, la magistratura di sorveglianza non può ricevere le relazioni sui detenuti necessarie per dare accesso ai benefici di legge, ciò che costituisce la giustificazione (o l’alibi) per la creazione di quel circolo vizioso che concorre a determinare il cronico sovraffollamento delle carceri italiane.

"Infine, malgrado gli encomiabili sforzi della direzione e del volontariato per lo svolgimento di varie attività, nel carcere di Vigevano manca il lavoro. La popolazione detenuta è costretta all’inerzia - conclude Litta - mentre potrebbe rendersi utile, guadagnare qualche soldo e costruire quotidianamente le condizioni di quel reinserimento nella società che la Costituzione tassativamente prescrive".

Al termine della visita, Alessandro Litta Modignani ha anche segnalato il caso particolare di Silvia Pistone, una detenuta tossicodipendente di 38 anni, soggetta a terapia metadonica, affetta da epatite C e colpita da gravi danni alla colonna vertebrale. I genitori della reclusa, presenti, hanno sottolineato le gravi condizioni di salute della loro figlia, del tutto incompatibili con lo stato di detenzione, e si sono appellati al senso di diritto e di umanità della magistratura di sorveglianza.

Lazio: per i carcerati si aprono le porte dell’università

 

Vita, 12 marzo 2005

 

Nel Lazio, su una popolazione carceraria di 5.700 unità, gli studenti iscritti all’Università sono 23 fra cui 5 donne. La maggior parte degli studenti, 17, sono a Roma detenuti nei vari complessi di Rebibbia, due a Velletri e altrettanti a Viterbo, uno a Cassino e uno a Civitavecchia. Incrementare questi numeri con l’orientamento agli studi universitari, l’accompagnamento al lavoro post-laurea e le modalità per la fruizione dei benefici erogati da Laziodisu compatibili con l’ordinamento carcerario sono gli scopi del Protocollo d’Intesa, primo del genere in Italia, firmato dall’Ufficio del Garante regionale dei detenuti e Laziodisu, l’Azienda per il diritto agli studi universitari nel Lazio.

In effetti 23 studenti universitari su 5.700 detenuti sono una percentuale irrisoria - ha detto il Garante regionale dei detenuti Angiolo Marroni Dobbiamo lavorare per incrementare questo numero perché la via maestra del completo reinserimento passa anche attraverso una maggiore diffusione della cultura e dello studio. Nel Protocollo - firmato dal Garante dei detenuti e dal presidente di Laziodisu Marco Daniele Clarke - è previsto che l’ufficio del Garante effettui un rilevazione conoscitiva dei detenuti con il diploma di scuola media superiore e potenzialmente interessati alla carriera universitaria.

Prevista la possibilità di predisporre altre iniziative tese al miglioramento della qualità della vita, all’istruzione e alla formazione culturale e professionale finalizzata al recupero, reintegrazione sociale e all’inserimento nel mondo del lavoro. Nel suo prossimo programma operativo, Laziodisu stanzierà risorse destinate all’orientamento degli iscritti alle scuole superiori in vista di un possibile approdo all’Università. Per i detenuti studenti universitari sono invece previste attività di accompagnamento allo studio e di orientamento al lavoro post-laurea.

Marroni e Clarke hanno convenuto sulla utilità di mettere in atto forme di collaborazione istituzionale per il raggiungimento dell’obiettivo del recupero, della reintegrazione e del reinserimento delle persone sottoposte a restrizione della libertà personale e che l’istruzione e la formazione professionale sono un elemento strategico per il raggiungimento dell’obiettivo. "Lo studio", ha detto Clarke, "è un elemento fondamentale per il recupero dei detenuti. Grazie a questo protocollo attiveremo forme specifiche di orientamento allo studio e accompagnamento al lavoro che rappresentano elementi importanti del reinserimento sociale".

Castelfranco Emilia: Corleone; "Bisogna fare chiarezza"

 

Vita, 12 marzo 2005

 

Il 21 marzo a Castelfranco Emilia sarà inaugurato l’istituto a custodia attenuata, ma secondo l’ex sottosegretario "ci sono ancora troppi lati oscuri". Mancanza totale di trasparenza e chiarezza, assoluto silenzio sul progetto per la gestione, rischio concreto che si crei una struttura in cui "formalmente" le competenze sul trattamento restano pubbliche e affidate ai Sert ma di fatto passano in mano ai privati.

A denunciare la situazione del carcere a custodia attenuata che inaugurerà il 21 marzo a Castelfranco Emilia e sul quale già in passato sono sorte diverse polemiche legate proprio alla gestione, è l’ex sottosegretario alla Giustizia Franco Corleone, oggi presidente del Forum droghe.

Corleone ha visitato la struttura assieme all’assessore ai servizi sociali dell’Emilia Romagna e al sindaco di Castelfranco. Dal direttore Francesco D’Anselmo, ha detto però Corleone, "non abbiamo avuto che risposte evasive". Il problema, ha spiegato l’ex sottosegretario, sta tutto nel come verrà gestito il trattamento all’interno del carcere: "la legge stabilisce che le regole siano quelle del sistema penitenziario e che il trattamento spetti ai Sert. Il ministro Giovanardi ha parlato però di una nuova esperienza. Nessuno però, a dieci giorni dall’inaugurazione, sa nulla di cosa voglia dire nuova esperienza".

Il timore di Corleone è che si passi ad un intervento non esclusivo dei Ser.T. in cui "formalmente il controllo resta pubblico ma praticamente sono le comunità private, e in particolare quella di San Patrignano, a gestire il trattamento dei tossicodipendenti". "Sorgeranno enormi problemi con i tossicodipendenti - dice - perché i Sert sono chiamati a seguire la legge nell’applicare il trattamento, mentre le comunità potranno muoversi su altri piani". Il rischio insomma, ha sottolineato Corleone, è che "diventi un carcere per tossicodipendenti in cui la gestione non è più pubblica ma, se va bene, a più voci". E sarebbe, ha concluso, "una struttura che a tutti gli effetti vuole fare da apripista alla legge Fini sulle droghe, semmai fosse approvata".

Siracusa: detenuto di 57 anni diventa insegnante

 

La Sicilia, 12 marzo 2005

 

Un detenuto della casa di reclusione di Brucoli ha ottenuto un lavoro esterno all’istituto. Alessandro Bronzini, 57 anni palermitano, pittore già apprezzato dalla critica ha ottenuto il permesso dal Dap per insegnare ad un gruppo di 20 allievi dai 12 ai 18 anni, nel quartiere di Nesima a Catania. Le lezioni di pittura si svolgono nella chiesa di S. Pio nella piazza omonima, il lunedì ed il venerdì dalle 15.30 alle 18.

Sono cominciate il 18 febbraio e si concluderanno il 21 marzo con un saggio finale con tele firmate dagli allievi. Il corso è stato finanziato dal Comune di Catania e fa parte dell’iniziativa promossa dall’Assessorato ai Servizi Sociali del comune etneo. Bronzini, in carcere da molti anni, 26 compresi gli arresti domiciliari, dal 2003, ha un gazebo all’interno dell’istituto di contrada Ippolito dove fabbrica e vende cornici. La saletta che è del complesso del carcere si trova appena dopo il cancello ed è visibile dalla strada. L’artista che ha anche dipinto i murales di molti ambienti all’interno della casa di reclusione ha ottenuto in passato il prestito d’onore per continuare a dipingere.

Brescia: "L’isola di Verziano" percorso di riscatto e dignità

 

Giornale di Brescia, 12 marzo 2005

 

Stanno su un’isola deserta ad aspettare la nave che le porti via. Nell’attesa mangiano, dormono, parlano, spesso litigano e, soprattutto, sognano. Sono le sei attrici dello spettacolo "L’isola di Verziano": di giorno, detenute nella casa circondariale cittadina; la sera, quando arriva una "scrittura", protagoniste di una recita molto strana, sospesa tra invenzione e autobiografia.

Lo spettacolo, nato da un laboratorio condotto da Sara Poli e basato su un testo di Paola Carmignani, andrà in scena stasera alle ore 20.30, nell’auditorium di Villa Carcina. Si tratta della seconda replica, dopo il debutto dello scorso novembre nel teatro parrocchiale di Buffalora, dove fu accolto da un pubblico numeroso e commosso.

L’isola è l’approdo provvisorio di queste sei donne che, pirandellianamente, sono nello stesso tempo personaggi e interpreti, alle prese con esistenze ferite, segnate da un destino sleale, ma pronte a rialzarsi, a cercare un riscatto. Anche col teatro, attraverso l’offerta del proprio corpo e la messa a nudo dell’anima.

Su un fondale da agenzia turistica povera, contro un paesaggio di sole e di palme, le naufraghe Alda, Letizia, Mara, Naires, Silvia, Sonia (erano le interpreti della "prima" di Buffalora, ma stasera potrebbero essere altre, per immaginabili ragioni giudiziarie) escono di tanto in tanto dalla finzione e si alternano nei monologhi, scritti da loro stesse, dove recitano il rimpianto delle loro vite spezzate, ma senza autocommiserazione, sostenute da una orgogliosa difesa delle proprie identità, comunque integre, nonostante la condizione di detenute.

Il naufragio, allora, si chiarisce per quello che, nella sostanza, è: il precipitare in una prigione senza pareti, circondata da un orizzonte vuoto, da dove si può evadere, definitivamente, solo se la nave della salvezza sarà costruita pezzo per pezzo dagli stessi naufragi.

Con questo messaggio, sulle note della canzone "Che sarà, che sarà" di Chico Buarque de Hollanda, le sei donne salutano il pubblico esibendo uno striscione con su scritto: "Ci siamo!".

"Siamo persone, e stiamo pagando con dignità", ha detto una di loro, Mara, in una conferenza stampa. E anche con generosità, visto che lo spettacolo ha uno scopo benefico in favore del Telefono Azzurro-Rosa. L’organizzazione è del Comune di Villa Carcina e della Comunità Montana di Valle Trompia, in collaborazione con la nuova direttrice del carcere, Maria Grazia Bregoli, che da pochi mesi ha preso il posto di Gloria Manzelli, andata a dirigere il carcere milanese di San Vittore. La regia dello spettacolo è di Sara Poli che, insieme all’aiuto-regista Daniele Squassina, ha coinvolto nove detenute di Verziano, anche se in scena ce ne sono solo sei. Accanto a loro c’è anche un gruppo di giovani musicisti: la cantante Viola Costa, la flautista Stafania Maratti, la chitarrista Romina Brentan e il percussionista Alberto Pezzagno. Dopo la recita di stasera a Villa Carcina, "L’isola di Verziano" andrà in scena venerdì 18 marzo alle ore 21 al Teatro Politeama di Manerbio. Antonio Sabatucci

Cremona: l’arte entra in carcere… e restituisce la vita

 

La Provincia di Cremona, 12 marzo 2005

 

Inizia questa mattina, con una video proiezione e un convegno dal titolo Teatro e carcere: fra teatro e vita, il ciclo di appuntamento organizzati a corredo dello spettacolo I Pescecani che la Compagnia della Fortezza di Volterra (formata da una quarantina di detenuti) metterà in scena il 23 marzo al Comunale. Sotto la regia di Armando Punzo, cui si deve anche la drammaturgia, i carcerati hanno realizzato I Pescecani, ovvero quello che resta di Bertolt Brecht che ha ottenuto nel 2004 il Premio Ubu. Questa mattina, dunque, il teatro ospiterà, dalle 8.30 alle 11, la video proiezione riservata agli studenti di Siamo fuori dal tunnel girato da Rai Educational e di Videotello realizzato da Tam Teatromusica. A seguire il convegno Teatro e carcere.

Fra Arte e Vita di cui sarà moderatore Roberto Raja, giornalista de "La Provincia", e a cui interverranno: Giuseppe Torchio, presidente della Provincia di Cremona, Luciano Toscani, sindaco di Casalmaggiore, Luigi Pagano, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Ornella Bellezza, direttore della casa circondariale di Cremona, Michelina Capato Sartore di Teatrodentro, Michele Sambin attore e regista, e il direttore del teatro casalese Giuseppe Romanetti. Un altro appuntamento è in programma giovedì 17 quando gli studenti del Romani incontreranno il fotografo Maurizio Buscarino per la video proiezione Il segno inspiegabile.

Lecce: in arresto Don Cesare Lodeserto, direttore Cpt di San Foca

 

Corriere della Sera, 12 marzo 2005

 

È stato arrestato con l’accusa di sequestro di persona Don Cesare Lodeserto, direttore del centro di permanenza temporanea Regina Pacis di San Foca a Melendugno (Lecce) che dipende dalla curia di Lecce. Nei giorni scorsi, su disposizione della procura di Lecce i carabinieri avevano compiuto perquisizioni nel centro e acquisito varia documentazione. L’arresto è stato eseguito su richiesta del pm del pool "fasce deboli" della procura Carolina Elia. I capi di accusa nei confronti del sacerdote sono abuso dei mezzi di correzione e disciplina (articolo 571 del Codice di Procedura Penale) e sequestro di persona (articolo 605). Lodeserto, secondo la Procura, usando violenza e minacce, avrebbe costretto altri a commettere reati (articolo 611). Infine c’è una quarta accusa, per calunnia, ma riguarda un’altro filone di indagine.

Don Lodeserto è stato arrestato a Mantova dove esiste un altro centro del Regina Pacis, gemello di quello di Melendugno. Il sacerdote si trova in carcere a Verona. A quanto si è saputo, gli inquirenti avrebbero tra l’altro accertato che un sms di minaccia giunto nei mesi scorsi a don Cesare Lodeserto era stato inviato da lui stesso da un’altra utenza telefonica.

Il centro Regina Pacis di San Foca di Melendugno è da alcuni anni oggetto di varie inchieste, ma soprattutto dall’epoca della sua trasformazione in Centro di permanenza temporanea (Cpt). Dal dicembre scorso il centro non è più un Cpt, su richiesta dello stesso arcivescovo di Lecce, mons. Cosmo Francesco Ruppi. Oltre a due-tre indagini per maltrattamenti è in corso anche un’ indagine sulla gestione dei fondi pubblici assegnati al Regina Pacis, indagine che ha coinvolto lo stesso mons. Ruppi, prosciolto dopo mesi di indagine nell’ottobre 2004. Don Cesare è a giudizio per presunti maltrattamenti a 17 maghrebini e con lui sono imputate altre 18 persone: volontari, operatori, carabinieri e medici in servizio nel centro. Per tutti l’accusa, a vario titolo, è di lesioni, abuso di mezzi di disciplina e falso.

Un’altra indagine - che sembra essere quella che ha portato all’arresto del sacerdote - riguarda un presunto tentativo di don Cesare per trattenere nel centro donne moldave che invece volevano andarsene. Don Lodeserto e il Centro Regina Pacis in tutte le vicende che li hanno coinvolti hanno comunque sempre avuto la solidarietà di tutte le parti politiche: solo da parte dei gruppi di solidarietà con gli immigrati, accompagnati spesso dal deputato dei Verdi Mauro Bulgarelli, ci sono state varie manifestazioni contro l’attività del Centro.

 

 

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