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Ma questa è solo l’ultima notizia scandalosa…, di Adriano Sofri
Il Foglio, 13 maggio 2005
L’ultima notizia è così scandalosa che fa digrignare i denti, ma è solo l’ultima notizia scandalosa. Viene da Rebibbia, l’avete letta l’altro ieri, 11 maggio, ma Emanuela Fozzi, detenuta di 26 anni di Frosinone, era morta già il 16 aprile scorso. Di varicella, vittima di una di quelle epidemie che in carcere si propagano più prontamente, profittando di un ambiente chiuso e di fibre provate. È scattata una quarantena, per quella varicella che ha investito agenti e carcerate. L’unico successo del cordone sanitario che siamo in grado di apprezzare sta nel ritardo con cui la notizia della morte di Emanuela è trapelata, corredata da dettagli agghiaccianti quanto abituali. Emanuela era ammalata di Aids, come si dice, conclamato, e per lei, seguendo il dettato della legge oltre che di un’elementare umanità, i medici avevano certificato lo scorso marzo quella condizione che in gergo tecnico si chiama "incompatibilità con la detenzione". Però era rimasta dentro, ad aspettare di ridurre definitivamente di un posto la cifra, record di tutti i tempi, di 58 mila detenuti (mi raccomando, giornalisti distratti: cinquantottomila! L’ha detto, a denti stretti, il ministro della giustizia). Anche il numero tracimante è ormai un luogo comune, come l’ameno parolone che lo designa, "sovraffollamento", superlativo di un superlativo, perché l’affollamento basterebbe già a far mancare il respiro. Il numero rigonfio va messo in relazione ai tagli al bilancio, che investono strutture e manutenzione (non mi fermerò nemmeno sull’eventualità di speculazioni delittuose sugli appalti carcerari, di cui le cronache riferiscono: non ne so niente, e mi auguro che non sussistano, perché avrebbero, nel contesto della vita dei detenuti e di chi lavora nelle prigioni, una speciale ignobiltà), e investono ancora più seccamente le risorse per la polizia penitenziaria e gli operatori civili, e quelle per un bene primario come la salute. Già dire un’ovvietà come questa - la "salute prima di tutto" - per un’umanità a fondo perduto come il carcere suona stridulo: perché spendere denaro pubblico per la salute dei detenuti appare a troppi come uno scandalo immeritato, e perché si vuole che, trattandosi di malviventi, magari anche solo imputati, sul diritto alla salute debba prevalere la preoccupazione per la sicurezza pubblica. Vedeste in che cosa si traduce tanto spesso: disgraziati da due grammi e quattro soldi appena operati e anestetizzati e con le mani ammanettate alla branda d’ospedale, e scortati da un numero pleonastico e mortificato di agenti. La questione sanitaria è ai primissimi posti nella lista del dolore carcerario, quel dolore supplementare che si innesta rigoglioso sulla pena senza esservi previsto: perché la pena – parola che basta a se stessa – continua ottusamente a consistere in una belluina reclusione stretta corporale, e su lei, non prevista da costituzioni e codici e sentenze, germoglia e cresce e infesta una selva di odori fantastici, vessazioni fisiche, umiliazioni morali, malattie senza cura né premura. In questo fine settimana i medici e il personale sanitario penitenziario, associati nell’Amapi, tengono il loro congresso a Ischia. La medicina penitenziaria è sballottata da anni in una incertezza da lotteria sul proprio statuto, e oggi si sente in un vicolo cieco. C’è stata, trascinata fino all’estenuazione, la disputa sull’opportunità di tenere la medicina penitenziaria nell’ambito del ministero di Giustizia, che ne garantisse la specificità così peculiare, e di trasferirla al ministero della Salute, che ne assicurasse la parificazione con la sanità offerta all’insieme dei cittadini. Anni di discussione retorica, anni di pseudo sperimentazione, e infine un ritorno allo status quo, ma ancora più svuotato di identità e di riconoscimento. Poi, una causale applicazione del legame con le regioni che ha reso arbitraria e squilibrata la distribuzione di risorse da un territorio all’altro. Su tutto, una stretta finanziaria che costringeva a ridurre drasticamente la disponibilità di farmaci, compresi quelli di fascia A, le visite specialistiche, la dignità di stipendi e di orari dei medici e infermieri impegnati non di passaggio ma per scelta in questa medicina di guerra. I medici penitenziari invocano da tempo l’approvazione di un disegno di legge, primo firmatario Mario Pepe, che riconosce finalmente, a loro detta, dignità professionale e tutela dei rischi per medici e infermieri che lavorano nelle carceri. Ora però, proprio alla vigilia del loro congresso, denunciano l’intenzione di contrapporre alla legge un provvedimento che aggraverebbe a dismisura la precarietà e il misconoscimento della loro professione. Esso, dicono, degraderebbe i medici incaricati a medici a convenzione, togliendo loro pensione, tredicesima, ferie e tutele assicurative. Dicono che, costringendo i medici a una rigida incompatibilità, provocherebbe una selezione alla rovescia in favore dell’occupazione esterna. E che affidando la medicina specialistica alle ASL, creerebbe un doppio regime foriero solo di confusioni e sprechi. I medici a congresso spendono parole singolarmente dure contro il progetto e il ministero. Intanto la progressiva involuzione della popolazione delle carceri, reclutata a man bassa nelle nuove povertà, moltiplicava la diffusione e la virulenza delle malattie e delle invalidità del nostro tempo. Medicina da campo: che, abbandonata a se stessa, conduce inevitabilmente a due opposti esiti, il cinismo o l’abnegazione. Ho detto più volte della condizione fortunata del carcere che abito, dovuta anche al rilievo del suo Centro clinico e alla dedizione dei suoi responsabili. Altrove, vengo sapere si esempi vistosi e dell’abnegazione e del cinismo. Anche del cinismo, o dell’indifferenza, resa più coriacea dalla consuetudine con luoghi infernali. Misuro su me stesso, sulla pelle che i tanti anni hanno conciato, l’assuefazione e quasi il fastidio nei confronti di tanto dolore e pianto e disperazione e inebetimento. Dall’Associazione dei medici, abusando di una lunga confidenza con il suo presidente e i suoi colleghi della mia galera, mi aspetterei che facesse un maggior conto della propria capacità di ispezionarsi e ripulirsi al proprio interno, per affrontare con tutte le carte in regola i suoi interlocutori, che siano il governo e le sue priorità finanziarie e le sue dilapidazioni retoriche, oppure quella magistratura che tratta le certificazioni cliniche come seccature cartacee, o quella parte di autorità carcerarie che sospettano nella premura per la salute dei cittadini detenuti un attentato alla sicurezza. La giovane donna di Rebibbia è morta di galera, e per giunta non doveva stare in galera (e se state pensando che la morte di una persona detenuta e tossicodipendente, per di più malata e, secondo la ripugnante dizione "terminale", pesi meno di qualunque altra morte, mordetevi la lingua, e vergognatevi!). Nel suo caso, sembra che i medici che l’avevano in carico abbiano fatto il loro dovere. In altre circostanze non è stato così. L’Associazione dei medici penitenziari è insieme una specie di sindacato, dunque legittimamente impegnato alla difesa della dignità economica e professionale del corpo, e però una comunità di titolari del giuramento di Ippocrate in un luogo nel quale esso riacquista la solennità sacra altrove attenuata dalla medicalizzazione frivola della vita. Il discorso pubblico dell’Amapi e del suo presidente Francesco Cerando sul diritto alla salute e la dannazione patogena del carcere è limpido e coraggioso. Le sue applicazioni non lo sono abbastanza in troppe carceri, e bisogna che l’avarizia dei governanti non diventi un alibi alla distrazione, L’ignoranza o la cattiveria di medici infedeli. La situazione nelle galere è tale da meritare da tempo un’indagine parlamentare vasta come le più degne dell’Italia unitaria, e i titolari della giustizia dovrebbero per primi volerla e promuoverla. Intanto, le persone di buona volontà, ciascuno per la propria competenza, sanitari, agenti, educatori e psicologi, volontari e difensori civili, potrebbero più metodicamente scrutare, ciascuno per il proprio compito, l’universo carcerario, e ascoltare la voce dei detenuti. Ci vuole coraggio, perché l’impulso primo è coprirsi le orecchie. Lo faccio perfino io,m che vedo accumularsi nel mio infimo spazio centinaia di lettere dalle carceri cui non so e non posso rispondere. Anche l’elenco dei malanni penitenziari è ormai stanco e ripetitivo, come una visita frettolosa a un cimitero metropolitano.Lo ripeterò di nuovo, stancamente, citando l’indizione congressuale dei medici. 58.000 detenuti (di cui solo 2.400 donne. Un dato che aspetta ancora qualcuno che ne voglia trarre le meravigliose conseguenze sociologiche e culturali). 20.000 tossicodipendenti, 21.500 cosiddetti extracomunitari. 8.600 affetti da epatite virale cronica. 4.000 sieropositivi per hiv. Nel corso dell’anno 2004 si sono registrati 52 suicidi, 22 suicidi nei primi 4 mesi del 2005. 1.100 atti definiti tentati suicidi. 6.450 scioperi della fame. 4.850 episodi di autolesionismo. Ora chiudete gli occhi e ripetete i numeri. È un gioco. Tiene allenati contro la smemoratezza. Come dare la testa contro il muro, metodicamente, tutto il giorno, tutti i giorni. Conosco un tipo che fa così. Si tiene in forma. È uno di quelli che hanno rinunciato a chiedere: "E dell’amnistia che si dice?". Castelli: da 4 anni lotto contro il sovraffollamento delle carceri
Ansa, 13 maggio 2005
"Fin dal primo giorno del mio mandato da ministro sto combattendo contro il sovraffollamento delle carceri. Ho dato vita ad un programma di costruzione di nuovi penitenziari vastissimo, ma vedo che la magistratura sotto questo punto di vista mi attacca molto". Lo ha affermato il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, ospite oggi del "Diario" di Maurizio Costanzo, riferendosi alle inchieste sui presunti illeciti per gli appalti riguardanti la costruzione di nuovi penitenziari. "Vedremo - ha osservato il ministro - se è un attacco politico o se i fatti ci daranno ragione. Per diminuire la pressione ci muoveremo su due fronti: con la legge Bossi-Fini almeno 3 mila di loro potrebbero tornare nei loro paesi, ed entro i primi mesi del 2006 saranno disponibili 3 mila nuovi posti". Per quel che riguarda le condizioni di vita dei detenuti, il ministro Castelli ha affermato: "si può privare un condannato della libertà, ma non della dignità". Il ministro, nell’intervista ha ricordato anche il numero di detenuti che adesso è di 58 mila, "è il record nella storia dello Stato italiano, molti di loro sono extracomunitari e condannati per droga". Parlando poi del "sistema giudiziario italiano", Castelli ha osservato che "non è vero che la giustizia va malissimo: ogni anno abbiamo 5 milioni di nuovi processi e riusciamo a definirne più di quanti ne sopravvengono. C’è un pregresso enorme di arretrato sia nei procedimenti civile che in quelli penali, adesso - ha aggiunto - le situazioni più preoccupanti riguardano la Corte d’Appello e la parte penale del giudice di pace. Comunque dobbiamo segnalare una inversione di tendenza e il merito va sia al personale, sia ai magistrati e un po’ anche al governo". Sull’amnistia, tema sul quale Castelli è molto determinato, il ministro ha osservato: "è un provvedimento nobile in alcuni casi. Sono pienamente d’accordo, per esempio, con l’amnistia che concesse Togliatti perché rappresentava un modo per tirare una riga sul passato e iniziare una nuova era. In quel caso non fu solo giusta ma, direi doverosa. Se invece l’amnistia - ha aggiunto - è l’affermazione per cui lo Stato non è in grado di gestire la situazione dei detenuti, diventa una resa". Ad una domanda di Costanzo relativa alla situazione del supercarcere di Sulmona, dove si sono verificati 6 suicidi in 18 mesi, Castelli ha replicato: "sono andato personalmente a Sulmona per verificare cosa stesse accadendo e ho trovato un penitenziario in condizioni nettamente migliori della media delle carceri italiane; i detenuti alloggiano in celle singole o al massimo doppie, il personale mi è sembrato motivato, appassionato e competente e la città collabora molto con il penitenziario. Questo stato patologico del carcere di Sulmona - ha sottolineato Castelli - è da attribuire principalmente a due cause: innanzitutto dobbiamo considerare che è un penitenziario di alta sicurezza, ed essendovi detenuti criminali pericolosi sono previste condizioni più dure rispetto alla media degli altri penitenziari. In secondo luogo ci sono anche numerosi detenuti con problemi psicologici. Per risolvere quest’ultimo problema - ha concluso - abbiamo immediatamente variato la composizione della popolazione del carcere, ma per vedere risultati completi dovremo aspettare almeno un anno". Sulmona: delegazione penalisti in visita al penitenziario
Ansa, 13 maggio 2005
Una delegazione dell’Unione delle camere penali si è recata oggi al carcere di Sulmona, dove in 18 mesi si sono verificati 6 suicidi. Il gruppo, composto dal Presidente Ettore Randazzo, il Segretario Valerio Spigarelli, e da una rappresentanza della Giunta dell’Unione delle Camere Penali, è stato ricevuto dal direttore del penitenziario e ha potuto compiere una visita all’interno della struttura ed ascoltare dalla voce di alcuni detenuti le loro condizioni di vita. All’esito dell’incontro, che, secondo i penalisti, al di là della specifica situazione di quel particolare istituto, si è rivelato di "particolare utilità per una verifica diretta delle problematiche penitenziarie", si è stabilito di organizzare con il direttore dell’istituto un convegno, proprio all’interno del carcere di Sulmona, sui medesimi temi. Brasile: fugge da prigione lasciando fratello al suo posto
Ansa, 13 maggio 2005
Un detenuto di 24 anni è uscito dalla porta principale del carcere do Governador Valadares, nello stato di Minas Gerais, lasciando al suo posto in cella il fratello di 23 anni, grazie a una straordinaria somiglianza. Ronaldo Pereira da Silva, condannato a otto anni di reclusione per rapina a mano armata, si è fatto sostituire in cella da Reginaldo, che scontava una pena minore in un altro carcere in regime di libertà vigilata. Questi ha raccontato agli agenti di custodia di aver approfittato della visita nella cella del fratello per "fare un pisolino", e che al risveglio Ronaldo non c’era più. La polizia non gli ha creduto e lo ha rinchiuso nella cella del fratello con l’accusa di favoreggiamento in evasione. Intanto però Ronaldo si è dileguato e ha fatto perdere le proprie tracce. Francia: 10.513 stupri nel 2004, più denunce e più violenze
Ansa, 13 maggio 2005
Lo stupratore non colpisce più nell’ombra, ma in pieno giorno e in strada. È una persona normale, integrata, non suscita particolari sospetti. Come Issam, 24 anni, cuoco a Parigi, nella zona di Montparnasse. Ora è in carcere, sospettato di cinque violenze sessuali in un anno, dal maggio 2004 al 3 maggio scorso. Il test del Dna lo inchioda nei cinque casi, e tre delle cinque vittime lo hanno anche riconosciuto. È stato tradito da uno sguardo troppo aggressivo nei confronti di una poliziotta che assieme ad una cinquantina di agenti stava setacciando quella zona, dopo l’ultimo stupro: vittima una minore di 14 anni, sorpresa ed aggredita in un atrio di una abitazione, in pieno giorno, dove la ragazzina si era riparata per la pioggia. L’anno scorso ne sono stati denunciati alla polizia 10.513 - dei quali 622 a Parigi - ma probabilmente gli stupri in Francia sono stati molti di più. Non tutte le violenze vengono ancora segnalate, anche se la volontà di avere giustizia da parte delle donne vittime di aggressioni sessuali è comunque ogni giorno più forte e non si nasconde più. Negli ultimi otto anni il fenomeno è cresciuto del 75%, e si manifesta anche - come nel caso di Issam - alla luce del sole, per strada. "L’aumento dei fatti denunciati - spiega Christophe Soullez, dell’Osservatorio nazionale sulla delinquenza - è notevole, ma questo non significa che ci siano stati più stupri e più violentatori. Le cifre possono anche testimoniare una maggiore presa di coscienza da parte delle vittime, e una procedura per la denuncia più facilitata". Ma per il Collettivo femminista contro lo stupro le violenze sessuali sono molte: solo al numero di telefono dell’associazione ogni anno arrivano 6.000 chiamate all’anno. Ma non si sa quante poi denuncino il fatto alla polizia. Così, mentre in parlamento si discute di uguaglianza di stipendi e salari tra i due sessi, cresce la consapevolezza che la lotta contro la violenza nei confronti delle donne "è una sfida per tutte le società, e l’Europa non fa eccezione". Ne è convinto il ministro degli esteri Michel Barnier. "Le violenze contro le donne - ha osservato il capo della diplomazia ad un recente convegno internazionale - riguardano tutte le società, anche le più democratiche". E Barnier cita la Francia, dove "una donna su dieci è vittima di violenze coniugali. È una situazione inaccettabile, perché attraverso queste violenze è tutta l’umanità ad essere negata, violentata e tradita". E che le cifre delle violenze sessuali possano essere molto più alte delle denunce presentate alla polizia viene indicato da una inchiesta - i cui risultati sono usciti con il nome "Studio nazionale di violenza contro le donne in Francia" - condotta da un istituto pubblico di ricerca e resa nota oggi dal quotidiano Le Parisien. Nel 1998 l’istituto contattò 6.970 donne, dai 20 ai 59 anni d’ età: lo 0,3% si dichiarò vittima di uno stupro. Se si confronta questa percentuale con il numero totale di donne che comprese in quella fascia d’età vivevano in quell’anno in Francia, il numero delle vittime sarebbe fra 32.000 e 64.000. Nel 1998, invece, vennero presentate solo 7.828 denunce per stupro. Cioè circa il 5% della cifra indicata dall’inchiesta. Napoli: protocollo intesa tra Giustizia Minorile e "Vela Solidale"
Ansa, 13 maggio 2005
Un protocollo d’intesa per realizzare a livello nazionale progetti di educazione, qualificazione e riabilitazione sociale di minori disagiati mediante lo sport della vela. A sottoscriverlo, a Nisida, sabato 14 maggio, saranno il Dipartimento giustizia minorile e l’Unione vela solidale. Il protocollo - informa una nota del ministero della Giustizia - verrà presentato durante il convegno presso il Centro europeo di studi di Nisida dedicato alla "vela solidale", promosso dal Dipartimento giustizia minorile del ministero e da Handy Cup European Race for Everyone. In primo piano l’esperienza dei ragazzi dell’Istituto penitenziario minorile di Nisida con la vela e il loro reinserimento nella società, la relazione di "Exodus: la vela e le tossicodipendenze", l’esperienza di Montalto di Castro e ‘L’educazione al coraggiò Homerus Project. Interverranno il capo del Dipartimento della giustizia minorile, Rosario Priore, il prof. Giovanni Bollea e il vice capo del Dipartimento, Sonia Viale, che presenterà il protocollo. Saranno presenti anche tutti i partecipanti al "Viaggio della solidarietà" di Handy Cup partiti con quindici barche a vela il 9 maggio da Cala Galera e arrivati il 13 maggio all’isola di Procida. Domenica 15 maggio alle ore 10 a queste imbarcazioni se ne uniranno altre trenta per la Regata Handy Cup 2005 che si svolgerà nello spazio acqueo antistante il porto di Napoli. Alla regata parteciperanno anche tre ragazzi ospiti dell’istituto penitenziario minorile di Nisida che hanno frequentato il corso di vela: andranno a integrare l’equipaggio della J/24 della Sezione velica del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia e dell’imbarcazione della Fondazione Exodus. Alla competizione parteciperà anche la nave scuola della Marina militare italiana "Amerigo Vespucci". Stati Uniti: nel New England prima esecuzione dopo 45 anni
Agi, 13 maggio 2005
La notte scorsa è stato giustiziato mediante iniezione letale nel penitenziario di Somers, in Connecticut, un serial killer reo confesso condannato a morte per aver fatto strage di otto donne in diverse occasioni nel corso degli anni ‘80. Lo hanno reso noto fonti carcerarie, precisando che il decesso è sopraggiunto dopo paralisi muscolare e cardiaca, provocate dalla sostanza tossica iniettata in vena al detenuto, Michael Ross. Si tratta di un evento a suo modo storico, giacché è stato il primo recluso giustiziato da 45 anni non soltanto nel Connecticut, ma nell’intero New England, un’area degli Stati Uniti ove la legislazione e la stessa mentalità sono in linea di massima di orientamento decisamente progressista, e le esecuzioni pertanto assai rare nonché avversate da gran parte dell’opinione pubblica. Nel caso specifico, tuttavia, era stato lo stesso interessato a far fallire tutti i tentativi di evitargli la morte: pur avendo dichiarato di essere contrario alla pena capitale sul piano personale, Ross aveva infatti rinunciato a ogni ricorso e si era opposto pure a eventuali rinvii, sostenendo che la propria scomparsa avrebbe rappresentato una sorta di "compensazione" per le famiglie delle sue vittime. Amnistia: Fabris (Udeur); dopo 4 anni… la resa di Castelli
Il Campanile, 13 maggio 2005
Il Guardasigilli Roberto Castelli fotografa la situazione delle carceri italiane. E, inevitabilmente, torna a parlare di amnistia aprendo uno spiraglio alla possibilità di un provvedimento di clemenza. In occasione di un faccia a faccia televisivo con Maurizio Costanzo, il ministro leghista punta l’obiettivo sul funzionamento della macchina giudiziaria e sul sovraffollamento degli istituti di detenzione. Ottimista sullo stato di salute della giustizia, meno sulla condizione di vita dei carcerati. Condizione tornata sotto i riflettori prima con la protesta dei radicali. Poi, con i tragici episodi delle ultime settimane. Una donna malata di Aids muore a Rebibbia per varicella. Sei suicidi in diciotto mesi nel supercarcere di Sulmona. Ma Castelli assicura: "Sono andato personalmente a Sulmona e ho trovato un penitenziario in condizioni nettamente migliori della media delle carceri italiane". Ammette, però, che il sovraffollamento è un problema che chiede una risposta urgente. Attualmente, in Italia, ci sono 58mila detenuti. Un numero mai raggiunto prima d’ora. La maggior parte di loro sono "extracomunitari e condannati per droga", precisa il ministro. Convinto che un condannato possa essere privato della sua libertà, ma non della dignità, sostiene di essere in prima linea nella lotta al sovraffollamento "sin dal primo giorno del mio mandato da ministro". Una lotta che Castelli ha condotto e intende continuare a condurre su due fronti. Da una parte, con la costruzione di nuovi penitenziari. E dall’altra, con la legge Bossi-Fini, che permetterebbe di rimpatriare almeno tremila detenuti stranieri. Non è l’amnistia la risposta adeguata, perché se "è l’affermazione per cui lo Stato non è in grado di gestire la situazione dei detenuti, diventa una resa". È, invece, "un provvedimento nobile", nel caso in cui si tratti di un cambiamento epocale. Il Guardasigilli, da sempre contrario ad atti di clemenza, sembra ora aprire un piccolo spiraglio. Ma cosa distingue un’amnistia da una resa? "Castelli è un ministro molto singolare - rileva il capogruppo dei Popolari-Udeur al Senato, Mauro Fabris - è lui che dovrebbe dire se lo Stato è in grado di gestire un’amnistia senza che appaia una resa". E aggiunge: "Sono quattro anni che Castelli è il ministro di Grazia e Giustizia e da quattro anni ripete le stesse cose in relazione al problema del sovraffollamento delle carceri, più volte ha detto di aver avviato un programma di edilizia penitenziaria e di puntare ad una rigida applicazione della legge Bossi-Fini, ma vorrei sapere con chi se la prende". "Se un provvedimento di amnistia dovesse apparire come una resa – chiosa Fabris – dipenderebbe solo dal fatto che il governo non ha saputo dare risposte adeguate". Ma, stando alle dichiarazioni rilasciate dal Guardasigilli in tv, il governo avrebbe fatto la sua parte. "Non è vero che la giustizia va malissimo – sostiene Castelli – ogni anno abbiamo cinque milioni di nuovi processi e il numero dei processi che riusciamo a definire è superiore al numero di quelli che sopravvengono". E la riforma dell’ordinamento giudiziario sarebbe un ulteriore passo avanti. "Il Paese la vuole – insiste - e anche tra gli addetti ai lavori sono molti più quelli che vogliono che vada in porto che quelli che non la vogliono". Un ottimismo che non è condiviso dall’opposizione. "Fanno tenerezza le ultime dichiarazioni del ministro sull’ordinamento giudiziario - commenta il capogruppo dei Ds a Palazzo Madama, Gavino Angius - non si rende conto che la sua maggioranza, ormai in stato comatoso, non lo segue?". "Quello sull’ordinamento giudiziario è un pessimo progetto destinato ad aumentare l’inefficienza della giustizia - taglia corto il responsabile Giustizia dei Ds, Massimo Brutti - tutto l’opposto di quello che chiedono i cittadini". Stati Uniti: condannato a morte vuol donare fegato a sorella
Tg Com, 13 maggio 2005
Gregory Scott Johnson, condannato alla pena capitale per aver ucciso una donna di 82 anni nel 1985, ha chiesto il rinvio della sua esecuzione prevista per il 25 maggio per poter donare una parte del suo fegato a sua sorella gravemente ammalata, in imminente pericolo di vita. Il governatore dell’Indiana dovrà decidere se accordare una sospensione per poter effettuare le analisi. Mitch Daniels, governatore dello stato americano dove si svolge la vicenda, dovrà decidere se accordare un rinvio dell’esecuzione per poter permettere al detenuto di subire delle analisi al fine di determinare se il suo fegato è compatibile con quella della sorella. La decisione dovrebbe essere presa lunedì, una volta che gli avvocati avranno presentato le loro motivazioni, secondo il vice-ministro della giustizia dell’Indiana, Steve Creason. La sorella del condannato, Deborah Otis, di 48 anni, si trova in una clinica nella città di Anderson (Michigan). Secondo Michelle Kraus, difensore di Gregory Scott Johnson, i medici potrebbero prelevare un pezzo del suo fegato per tentare di salvarla. Il condannato avrebbe bisogno da due settimane a due mesi di riposo, secondo il dottor Joseph Tector, dell’università dell’Indiana. L’ultimo trapianto di questo genere risale a tre anni fa nell’Indiana, perché l’intervento comporta un rischio per il donatore ed è meno efficace per il ricevitore, secondo i medici. Contrariamente ad altri specialisti, il dottor Tector sostiene che l’iniezione letale di cloruro di potassio utilizzata nell’Indiana per giustiziare i condannati a morte, non impedirebbe il trapianto post-mortem del fegato di Gregory Scott Johnson. Il quale ha dichiarato di voler donare un pezzo del suo fegato per lasciare qualche cosa di positivo alla società. Empoli: spettacolo sugli squilibri tra nord e sud del mondo
Redattore Sociale, 13 maggio 2005
"I semi della libertà". Sei detenute della casa circondariale femminile a custodia attenuata di Empoli, che ospita circa 10 persone, andranno in scena sabato 14 maggio alle 16,30 con una performance semiseria, frutto del lavoro delle detenute stesse, che affronta le grandi contraddizioni legate al cibo e al mondo più povero. Lo spettacolo è l’atto finale del percorso di laboratorio teatrale condotto nel carcere dalla compagnia teatrale "Giallo Mare Minimal Teatro" di Empoli (www.giallomare.it). L’attività di teatro in carcere è un progetto sostenuto e promosso dalla Regione Toscana ormai da molti anni attraverso un coordinamento che raccoglie tutte le esperienze attive nei penitenziari del territorio. Ad oggi la quasi totalità delle strutture carcerarie toscane ha allestito un attività di teatro al suo interno. "Lo spettacolo di sabato è il punto di arrivo di un percorso compiuto insieme alle detenute – dice Maria Teresa Delogu, di Giallo Mare – in un’ottica di drammaturgia teatrale che le vede sempre coinvolte nell’atto creativo, dall’elaborazione, alle scelte, all’improvvisazione durante tutto il percorso di lavoro. L’esperienza, tra alti e bassi, è stata nel complesso positiva. Il nostro impegno è mettere al centro della riflessione un tema e da li partire per dare stimoli e raccogliere le idee che le persone coinvolte sanno produrre. Il tema oggetto dello spettacolo ha preso spunto dalle riflessioni e dal lavoro di Vandana Shiva". I semi della libertà è una rappresentazione sul cibo e la povertà. Se nel ricco e opulento occidente il rapporto con il cibo è distorto e intricato da problemi di sovrappeso, anoressie, bulimie, obesità, nel sud del mondo il quadro si rovescia specularmene. La denutrizione, la fame, la malnutrizione sono difficoltà quotidiane. Si sono quindi svelati i legami fra rapporti commerciali, interessi politici, rapporti di forza e istituzionali. Una performance che in maniera simbolica, a volte clownesca, a volte epica, rimanda ai significati sacrali e ancestrali del legame con il cibo, che tocca i punti della storia dalla scoperta dell’america ai Conquistadores, che evoca i rapporti squilibrati del mondo contemporaneo. Lo spettacolo andrà in replica anche durante l’estate, probabilmente consentendo la partecipazione del pubblico in modo da poter avvicinare quanto più possibile il carcere al territorio. L’attività di laboratorio teatrale insieme alle detenute riprenderà a breve. L’opera che sarà rielaborata e rivista in maniera originale è La casa di Bernarda Alba di G. Lorca. Intanto il prossimo 16 maggio Pisa ospiterà una giornata Brescia: i carcerati giocheranno su un vero campo di calcio
Giornale di Brescia, 13 maggio 2005
L’appuntamento è per domenica alle 16.30 al campo sportivo dell’oratorio di Buffalora, quando ci sarà una partita di calcio da non perdere: quella tra la locale squadra Amatori che sfida l’inedita compagine di detenuti e guardie della casa circondariale di Brescia. Per la prima volta la squadra dei detenuti uscirà dal carcere per giocare una partita a undici su un campo in terra battuta, dimenticando per qualche ora l’erba del campo di Verziano. Un’occasione, ha detto l’assessore ai servizi sociali Fabio Capra nel corso della presentazione dell’evento avvenuta ieri mattina presso la sede dell’Uisp (Unione italiana sport per tutti) di via Berardo Maggi, per concretizzare un rapporto di collaborazione tra carcere e territorio. "Non saremo certo noi a risolvere i problemi del carcere - ha aggiunto il parroco di Buffalora Don Marco Morelli -. Ma le iniziative che abbiamo promosso in collaborazione con la casa circondariale nel corso degli anni hanno contribuito a trasformare la mentalità delle persone: non più il sospetto ma il senso di accoglienza". Riflessioni condivise anche dal comandante di polizia penitenziaria del carcere di Verziano Giuseppe Di Blasi e dal responsabile sportivo delle guardie Carmine Geusa, secondo il quale il giocare insieme ai detenuti trasmette un messaggio molto forte: il carcere non è solo un contenitore di problemi, ma un luogo nel quale vi sono persone che vogliono vivere nella società. Un modo insomma, usando le parole dell’educatrice del carcere di Verziano Filomena Tammaro, "per fare un pezzo di strada insieme e modificare il modo di pensare il carcere". La partita di domenica, promossa tra gli altri dall’Uisp, fa parte del Progetto carcere che l’associazione porta avanti da anni con il sostegno della direzione della casa circondariale di Brescia, la Provincia e la Regione Lombardia. Numerose sono infatti le attività realizzate nel corso dell’anno e molto intenso anche il programma dei prossimi due mesi. Si va dal corso di ginnastica al corso di ballo, passando per tornei di pallavolo, di calcio o di scacchi. Pochi esempi, presi a caso tra i tanti, ma che danno il segno di un retroterra di iniziative sportive, ricreative e culturali che hanno il fine di, ha sottolineato il responsabile progetto carcere dell’Uisp Alberto Saldi, "tenere vivo il rapporto tra mondo esterno e istituti penitenziari". Un contributo alla socialità e all’aggregazione che avviene spesso in un contesto difficile. "In questo momento - ha ricordato il parroco del carcere Adriano Santus - a Canton Mombello ci sono 480 detenuti, cioè molti di più di quanti ve ne potrebbero stare. In tale contesto l’opera dell’Uisp assume anche maggiore valore". Già, come organizzare tornei di calcetto in uno spiazzo dell’ala nord del carcere. Con squadre di quattro persone, perché di più non saprebbero come muoversi. Thomas Bendinelli Cassino: calcio benefico per assistenza a familiari dei detenuti
Il Tempo, 13 maggio 2005
Un quadrangolare di calcio "Solidarietà sport" per realizzare una struttura in grado di ospitare i familiari dei detenuti del carcere di Cassino. Il torneo, che si disputerà quest’oggi, con inizio dalle ore 17 è stato organizzato dalla Caritas di Montecassino e organizzato dal Comune, dall’80° Rav e dagli altri enti della città. La macchina organizzativa, dopo gli ultimi ritocchi, ha pianificato l’evento che vede una grande partecipazione di pubblico e partecipanti, con in prima fila la Nazionale dei parlamentari che si cimenterà contro una selezione delle Forze Armate (80° Rav, polizia, carabinieri, Gdf...), degli amministratori comunali (sindaco, assessori e consiglieri comunali) e degli enti della città (Comune, Università, Tribunale, Fiat, Ordine Avvocati, Autostrade). Una goliardica e suggestiva kermesse sportiva, che consentirà di raccogliere fondi per la Caritas di Montecassino che, su idea dell’abate D’Onorio, intende installare nei pressi della casa circondariale "S. Domenico" una struttura prefabbricata attraverso la quale prestare assistenza ai familiari dei detenuti. Si tratta di una lodevole iniziativa che, come evidenzia il sindaco Scittarelli "ben si inserisce nella politica di solidarietà che la nostra amministrazione porta avanti e che ci ha contraddistinto per il varo di numerosi progetti finalizzati all’assistenza e al sostegno nei confronti dei cittadini più bisognosi". Nel corso della conferenza stampa di presentazione del progetto la direttrice della Caritas, Rosaria Lauro, ha spiegato che "questo esso nasce dalla constatazione che la maggior parte dei detenuti del S. Domenico proviene da molto lontano (il 47% sono immigrati) e che i loro familiari, in attesa di poter entrare per il colloquio, sono costretti ad attese anche di ore, a prescindere dalle condizioni climatiche: pioggia, sole, vento, donne e bambini, anche lattanti, seduti in pietosa attesa su un muretto. Per loro sarebbe importante poter contare su un punto di appoggio in cui avere anche solo un bicchiere d’acqua e una sedia". La raccolta dei fondi è già stata avviata attraverso la vendita di biglietti d’ingresso allo stadio Salveti. Il prezzo del biglietto è fissato in un euro per gli studenti e 2,50 euro per gli adulti e sarà possibile acquistarlo anche all’ingresso dello stadio. Un grosso contributo sta arrivando anche dalle scuole della città, con i dirigenti scolastici e gli insegnanti che si stanno impegnando a favore del progetto, che gode della collaborazione determinante dell’Adisu e del Cus Cassino. Lampedusa: l’Europa boccia le "deportazioni" in Libia
La Sicilia, 13 maggio 2005
Roma. La III Sezione della Corte Europea dei diritti dell’ uomo, con sede a Strasburgo, ha sospeso l’ espulsione verso la Libia di undici immigrati giunti a marzo a Lampedusa. La decisione della Corte è stata resa nota da un gruppo di senatori dell’ Unione in una conferenza stampa a Palazzo Madama. La Corte ha accolto un ricorso urgente presentato il primo aprile da un team di avvocati capitanati da Anton Giulio Lana a nome di 79 immigrati. Dopo aver chiesto notizie al governo italiano, la Corte ha deciso di sospendere le espulsioni per gli undici immigrati dei quali è stato fornito il nominativo. La decisione è vincolante per le autorità italiane. Nelle prossime settimane la Corte europea si dovrà pronunciare sul merito della questione: dovrà cioè decidere se, come sostengono gli avvocati degli immigrati, la Libia non offre garanzie adeguate per la tutela dei diritti umani delle persone espulse sul suo territorio. I senatori dell’ Unione sostengono che la decisione della Corte "boccia definitivamente la politica fin qui seguita dal governo". In particolare, dice la senatrice dei Verdi Tana De Zulueta "viene bocciato l’ accordo segreto tra Berlusconi e Gheddafi". "La Libia - sottolinea la senatrice - è l’ unico Paese, nell’ area sud del Mediterraneo - che non rispetta gli accordi umanitari: non ha ratificato neanche la Convenzione di Ginevra e i suoi centri di detenzione sono chiusi alle ispezioni". Secondo i senatori del centrosinistra, inoltre, a essere stata bocciata dalla Corte di Strasburgo, è anche la politica delle espulsioni collettive. "Da questo momento - sottolinea la senatrice dei Ds Chiara Acciarini - l’ Italia non potrà più tornare sulla strada delle espulsioni collettive verso la Libia. La Corte europea ha posto il suo sigillo sulla questione, e si tratta di un grande risultato". "A questo punto - dice Rino Serri, presidente del Centro italiano per i rifugiati - il governo si deve presentare in Parlamento per dire che cosa intende fare". Altri senatori del centrosinistra, presenti alla conferenza stampa, hanno allargato il discorso allo stato dei centri di identificazione e di permanenza temporanea, soprattutto quello di Lampedusa. "Sono peggio delle carceri - sottolinea il diessino Nuccio Jovene - e un Paese civile non dovrebbe permettere che si arrivi a simili forme di degrado". Marocco: intervista a uno dei detenuti in sciopero della fame
Peace Reporter, 13 maggio 2005
Khalid al-Boukri è morto martedì scorso. Aveva poco meno di 30 anni, ma sei mesi di sciopero della fame e due anni di carcere duro piegherebbero chiunque. Khalid veniva da Ouezzane e gli mancavano solo 4 mesi per finire di scontare la sua condanna. Era detenuto nel carcere di Outita II, che un articolo della rivista marocchina TelQuel definisce l’Abu Ghraib del Marocco. Torture e umiliazioni sono l’unico codice che vige tra le pareti del penitenziario, lontano dai centri abitati e da occhi indiscreti. Le autorità marocchine hanno smentito che il detenuto fosse in sciopero della fame e sostengono che sarebbe morto perché gravemente malato. Ma a questo punto non si capisce perché non gli siano state garantite le necessarie cure mediche. Il fisico di Khalid non ha retto, ma la sua lotta non si ferma. In tanti e in diverse carceri sono molti i detenuti in sciopero della fame. "Noi siamo delle vittime, come quelle degli attentati. Stiamo vivendo un dramma, ma tutto quello che ci è capitato è illegale e ingiusto. La comunità internazionale deve sapere, non può restare indifferente. Vogliamo un processo giusto, condotto da inquirenti indipendenti. Solo così avremo giustizia". La comunicazione è disturbata. Telefonare da un carcere non è facile in generale, ma diventa una impresa se a telefonare è un detenuto in regime di massima sorveglianza, una persona accusata di terrorismo. Peace Reporter è infatti riuscita a entrare in contatto, tramite un cellulare tenuto nascosto in cella, con uno dei detenuti marocchini (nel carcere di Salè, alle porte di Rabat) che, da mesi, protestano per le condizioni della detenzione e per quella che ritengono una condanna ingiusta. Quella condanna che li accomuna tutti. "Siamo circa millecento prigionieri", racconta il detenuto che chiede di restare anonimo per motivi di sicurezza, "tutti arrestati dopo il 16 maggio del 2003". Già, il 16 maggio di due anni fa. Una data terribile per il Marocco. Quel giorno, a Casablanca, morirono 45 persone in un attacco suicida condotto da almeno 14 kamikaze contro dei locali frequentati da stranieri. Le autorità marocchine reagirono con veemenza e un’ondata di arresti di massa sconvolse il regno maghrebino. "Da quel giorno è cominciato il nostro inferno", dichiara il prigioniero, "torture e interrogatori condotti con metodi bestiali e privazioni di ogni tipo. I processi furono delle farse e tutte le principali organizzazioni che si battono per la difesa dei diritti umani si sono interessate al nostro caso". I prigionieri hanno cominciato quindi uno sciopero della fame e sono riusciti a coordinarsi tra loro (visto che vengono tenuti in carceri diversi) grazie a, come spiega la fonte di Peace Reporter, "secondini compiacenti che, da buoni musulmani, hanno capito il nostro dramma e chiudono un occhio. Solo così siamo riusciti a concordare il testo del nostro comunicato e a farlo uscire dal carcere. Con lo stesso stratagemma, in qualche momento della giornata, riusciamo a utilizzare il cellulare che qualcuno di noi ha ricevuto dalla famiglia". Ma cosa chiedete? "Chiediamo che siano completamente rivisti i processi che hanno portato a dure condanne nei confronti di tutti quelli che la magistratura del Marocco ritiene responsabili della strage di Casablanca", spiega il detenuto, "ma soprattutto chiediamo che venga fatta giustizia e che vengano individuati i veri colpevoli di quell’eccidio". Vogliamo giustizia. La retata del 16 maggio del 2003 non avrebbe portato, secondo i detenuti in sciopero, alla cattura dei reali responsabili della strage. Ma allora chi si è macchiato di quel crimine? "Le voci in carcere sono molto diverse in questo senso", spiega il marocchino, "ma tutti sono d’accordo che il responsabile principale degli arresti sommari è il generale Hamidou Laanigri". Il generale è da anni l’eminenza grigia del Marocco: prima direttore del DST, i servizi segreti marocchini, adesso capo della sicurezza nazionale. "Volevano approfittare dell’ondata emotiva che ha scosso il Paese dopo gli attentati per fare pulizia di tutte le persone attive nei movimenti islamici moderati che, in Marocco, diventavano sempre più importanti", spiega il detenuto, "e così hanno colpito nel mucchio prendendo anche tanti innocenti. Bisognava fare qualcosa per giustificare tutti i fondi che arrivano dagli Stati Uniti per la lotta al terrorismo e così hanno approfittato dell’occasione per fare piazza pulita degli oppositori politici. Per questo noi vogliamo un processo internazionale, perché non ci fidiamo più della giustizia marocchina. Anche Mohammed VI, il re del Marocco, in una recente intervista al quotidiano spagnolo El Pais, ha ammesso le violazioni dei diritti che abbiamo subito. Ma non cambia niente, pensi che anche oggi siamo stati chiusi in cella per 23 ore e mezzo". Vi sentite soli nella vostra lotta? "All’inizio sì, perché la popolazione era terrorizzata dalla violenza degli attentati di Casablanca", racconta il marocchino, "ma adesso la gente ha capito e le famiglie dei detenuti in sciopero -che oggi hanno manifestato fuori dal carcere dove è morto Khaled e che saranno assistite da un gruppo di avvocati- vengono sostenute anche dall’opinione pubblica". Le notizie per i prigionieri che protestano però non sono buone. Il ministro marocchino della Giustizia Bouzoubaa ha dichiarato in un’intervista al giornale marocchino al-Ahdath al-Magribia che non ha alcuna intenzione di trattare con i rivoltosi. "Fa la voce grossa per spaventarci", racconta il prigioniero, "ma alla fine dovrà parlare con noi, almeno con gli sceicchi più anziani che conducono la protesta. Se non vorrà ascoltare le nostre ragioni andremo avanti fino alla fine. Come Khaled". Milano: protocollo tra Cssa e Centro per mediazione penale
Redattore Sociale, 13 maggio 2005
Gestire la conflittualità dei detenuti, anche se scontano la loro pena fuori dal carcere. È l’obiettivo dell’accordo di collaborazione firmato ieri tra il Centro servizio sociale per adulti (Cssa) di Milano e il Centro per la promozione e la Mediazione Sociale e Penale, una realtà gestita dal Comune che si occupa di quanti vivono i disagi e le sofferenze provocate da situazioni conflittuali. "L’accordo firmato oggi tra il nostro settore Sicurezza Urbana e l’ufficio del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria ha lo scopo di ricercare percorsi di gestione della conflittualità e delle tendenze violente manifestate da soggetti sottoposti a misure alternative alla detenzione -ha detto l’assessore comunale alla Sicurezza, Guido Manca-. Percorsi che prevedono una fattiva e concreta collaborazione al fine di predisporre le azioni istituzionali necessarie al miglior svolgimento dell’intervento di recupero, tenuto conto delle rispettive competenze e delle prescrizioni della magistratura". Commento positivo anche da parte del direttore del Cssa di Milano, Antonietta Pedrinazzi: "È un primo accordo di questo tipo tra il Cssa e un’amministrazione comunale siglato in Lombardia, e un esempio di sinergia tra servizi che può servire a prevenire situazioni di conflitto e di violenza socio-familiare e di conseguenza aumentare il livello di sicurezza della collettività". L’accordo, che ha durata di un anno e potrà essere rinnovato, prevede che il Cssa si impegni a proporre i soggetti da inserire nel progetto, formulando gli obiettivi da raggiungere, e a verificare l’andamento degli interventi in itinere. Da parte sua, il Centro per la Mediazione Sociale e Penale del Comune si è impegnato a interagire con il Cssa per ottimizzare l’intervento; fornire il personale specializzato più idoneo per l’intervento richiesto; svolgere colloqui psicologici di valutazione del caso e interagire costantemente sull’andamento degli interventi. Treviso: minorile; "pensavamo a mostri, ma sono come noi"
Il Gazzettino, 13 maggio 2005
"Sto troppo male qui dentro, troppo nervoso, così mi faccio dei tagli sul braccio. Il dolore fisico nasconde per un po’ il dolore della mia anima". Così un giovane detenuto del carcere minorile di Santa Bona esprime l’angoscia che trova spazio nel libretto "Voci di fuori. Voci di dentro", pubblicato dal Laboratorio "Scuola volontariato" per documentare il confronto avvenuto in questi mesi tra i detenuti minori e gli studenti di sei istituti trevigiani: Mazzotti, Alberini e Canossiane di Treviso, collegio Immacolata di Conegliano, istituto Veronese di Montebelluna e Giorgione di Castelfranco. Ieri mattina i 200 partecipanti si sono ritrovati per un momento di riflessione comune insieme al giornalista Candido Cannavò per anni direttore della Gazzetta dello sport e autore di un intenso libro dedicato al mondo del carcere: "Libertà oltre le sbarre" edito da Rizzoli. Il giornalista ha condotto il dibattito all’interno dell’istituto di pena con i detenuti e una rappresentanza di 40 studenti, mentre il resto è rimasto al Mazzotti collegato in videoconferenza, insieme all’assessore provinciale Speranzon e al presidente del Centro di servizio per il volontariato Bolzonello. Interessante il percorso raccontato dai ragazzi "fuori": la paura di fronte al diverso, il pregiudizio, la diffidenza nell’approccio. Problemi superati nel corso dell’anno scolastico, di ripetuti incontri, di lettere e colloqui. "Pensavamo fossero dei mostri e invece sono ragazzi come noi" racconta Meryem, studentessa del Mazzotti originaria del Marocco. Di magrebini ce ne sono parecchi al minorile, con ragazzi rumeni e albanesi. Tutti con storia molto drammatiche, perché - precisa Cannavò - "gli errori di questi giovani nascono da condizioni di vita tremende, perché il mondo è governato da ingiustizie e mancanza di opportunità che noi adulti abbiamo i dovere di trasformare". Eclatante il caso dei 17enne rumene giunto a Santa Bona dopo una peregrinazione per mezza Europa. È un giovane intelligente, conosce l’italiano, l’inglese e il danese ed è fuggito da un Paese dove gli industriali del Nord est delocalizzano mentre i bambini orfani vivono nei condotti fognari.Le voci di dentro hanno potuto ieri far sentire la loro voce fuori, dialogando su temi che stanno a cuore a tutti i giovani: amicizia, affettività, libertà, valori e perché non anche la musica che meglio di altre arti sa infrangere le barriere mentali. Il progetto proseguirà anche nel prossimo anno scolastico, in cui si spera giungano le attese novità per l’Istituto penale minorile in attesa di sede diversa, vista l’inadeguatezza dell’attuale, penalizzata dalla vicinanza con l’istituto per adulti e con l’esiguità di spazi per le attività ricreative, sportive e culturali. Laura Simeoni Napoli: lettera da Secondigliano; se stiamo male una sola pillola
Il Mattino, 13 maggio 2005
Sono detenuto nel carcere di Secondigliano, dove pochi giorni fa è morto un mio amico. Però non si sa il perché. Ed è il secondo che muore in pochi mesi. Qui non c’è niente da fare, siamo dimenticati da tutti come bestie. Il medico c’è ogni 15 giorni, non c’è l’assistente sociale, non esiste l’educatrice e nemmeno la psicologa, non esiste niente. Nemmeno la sorveglianza pensa a noi. Poi quando il medico viene, se abbiamo il mal di testa ci dà una sola pillola. Se abbiamo mal di stomaco ci dà sempre la stessa medicina. Ma che abbiamo una malattia universale? Voi che state in libertà spero che facciate luce su di noi che stiamo chiusi tra quattro mura e niente più. Proprio mentre cresce la richiesta di certezza della pena è giusto dare voce anche ai detenuti. Perché l’espiazione della colpa non deve mai significare sofferenze aggiuntive né oblio del fine riabilitativo di ogni condanna. Nicola Picopalino Immigrazione: Pisanu; oltre 50% dei reati commessi da clandestini
Ansa, 13 maggio 2005
Il ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu, sceglie la festa della Polizia, a cui interviene anche il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, per lanciare l’allarme criminalità. Che lega, sempre di più, all’ immigrazione clandestina: "Siamo arrivati al punto - dice Pisanu - che in alcune regioni del paese l’incidenza dei reati attribuiti a immigrati clandestini supera il 50% del totale dei reati scoperti". Il ministro ha anche sottolineato come su circa 611.000 persone arrestate o denunciate nel 2004, ben 171.811 erano extracomunitari privi di permesso di soggiorno. "Le cifre confermano una palmare verità; - continua Pisanu - chi si affida ai trafficanti di esseri umani per violare le nostre frontiere finisce, nella migliore delle ipotesi, sul mercato ignobile del lavoro nero e, nella peggiore, tra le file della manovalanza criminale. Ecco perché il contrasto all’immigrazione illegale deve proseguire con immutata fermezza". Immigrazione: Pisanu; i Cpt sono "strutture indispensabili"…
Redattore Sociale, 13 maggio 2005
L’immigrazione clandestina è uno dei fenomeni che da alcuni anni "incide maggiormente sulla sensazione di sicurezza degli italiani". Lo ha detto oggi il ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu, parlando a piazza del Popolo in occasione del 153mo Anniversario della fondazione della Polizia di Stato. "Gli arrivi di questi ultimi giorni, - ha sottolineato - gestiti da bande di fuorilegge basate in Africa, in Italia e nel resto d’Europa, ripropongono il problema in tutta la sua gravità: non solo per i drammatici aspetti umani, ma anche per gli inquietanti risvolti illegali e criminali che pure caratterizzano questo fenomeno". Le cifre parlano chiaro secondo il Ministro: "su circa 611.000 persone complessivamente arrestate o denunciate nel 2004, ben 171.811 erano cittadini extracomunitari, tutti privi di permesso di soggiorno". "Siamo arrivati al punto - ha sottolineato Pisanu - che in talune regioni del Paese l’incidenza dei reati attribuiti a immigrati clandestini supera il cinquanta per cento del totale dei reati scoperti". Se dunque l’immigrazione regolare rappresenta "una grande risorsa che il Paese deve saper coltivare al meglio", l’ingresso irregolare nel paese di immigrati va combattuto con tenacia secondo il Ministro. Strumento prezioso in questa azione di contrasto il Cpt, "strutture indispensabili per il controllo dei clandestini sul territorio". "Il contrasto all’immigrazione clandestina deve proseguire con immutata fermezza, nel più assoluto rispetto delle leggi e degli accordi internazionali, senza mai venir meno ai doveri di umana solidarietà nei confronti di coloro che fuggono dalla guerra, dalla fame e dalla disperazione - ha aggiunto -. Anche in questo campo la sicurezza è il prodotto di un sistema complesso, in cui le Forze dell’ordine e l’Amministrazione dello Stato non possono essere lasciate sole". Pisanu pensa a quei governatori che si sono opposti all’apertura di Cpt nei propri territori. "So bene che molti amministratori sono oggetto di pressioni, anche violente, da parte di gruppi organizzati, ideologicamente ostili ad ogni forma di controllo dell’immigrazione clandestina. Ma assecondare, o soltanto subire, simili iniziative significa esporre le comunità a maggiori rischi di illegalità e, allo stesso tempo, ad opposte reazioni xenofobe e razziste". Immigrazione: Pecoraro (Verdi); è il fallimento della Bossi-Fini
Adnkronos, 13 maggio 2005
"Il governo di centrodestra ha avviato la campagna elettorale sui temi della sicurezza e dell’immigrazione, ma con cinica demagogia nasconde il drammatico fallimento della Bossi-Fini. Questa legge razzista ha avuto il solo effetto di far aumentare la criminalità diminuendo l’accoglienza ai migranti. Un terribile paradosso". Lo ha dichiarato il Presidente dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio. "I dati di Pisanu - afferma Pecoraro - confermano che la politica razzista sull’immigrazione persegue gli immigrati onesti e per bene, ma è del tutto inefficace contro la criminalità più o meno organizzata. A nulla servono anche i Cpt, indegni lager da chiudere immediatamente. Il governo ora non cerchi di impugnare l’arma della demagogia su un tema delicato come l’immigrazione, troppo serio e delicato per poter essere strumentalizzato con cinismo". "Occorre - conclude il leader del Sole che Ride- combattere la criminalità su più fronti e non con le parole, ma la Cdl anche in questo caso dimostra la propria incapacità. Oggi i cittadini sono meno sicuri anche a causa delle leggi ad personam varate dalla Cdl, di cui hanno usufruito criminali e malfattori, e dei tagli alle spese destinate alle forze dell’ordine". Immigrazione: Brutti (Ds); politiche Cdl favoriscono clandestinità
Adnkronos, 13 maggio 2005
"Il ministro Pisanu ribadisce oggi fermezza nella lotta all’immigrazione illegale e irregolare. Ma sono proprie le politiche adottate nel corso di questi anni dalla Destra a favorire la clandestinità". Lo sottolinea il responsabile della Giustizia per i Ds, il senatore Massimo Brutti. "La Bossi-Fini -spiega - si è rilevata inutilmente vessatoria nei confronti degli immigrati e sostanzialmente inefficace. Ma il governo ha compiuto altri errori. Tra questi, la gestione dei centri di permanenza temporanea (Cpt)". Immigrazione: Manconi (Ds); linguaggio Pisanu simile alla Lega
Adnkronos, 13 maggio 2005
"Colpisce che il ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu, in conclusione di legislatura, adotti stile, linguaggio e formule simil-leghiste, tali da consentire ai giornali di scrivere: ‘oltre il 50% dei reati sono commessi da immigrati clandestini". Così Luigi Manconi, responsabile Diritti civili della direzione nazionale Ds, commenta le dichiarazioni rilasciate dal ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu. "Le cose non stanno ovviamente così -prosegue l’esponente della Quercia- basta saper leggere le statistiche, cosa per la quale il ministero ha un notevole numero di specialisti e consulenti". "Basti pensare - sottolinea Manconi - al ricorso alla custodia cautelare: tra gli stranieri, il 60% è composto da detenuti in attesa di giudizio, mentre tra gli italiani il dato scende al di sotto del 40%. E si registrano notevoli disparità anche nei dati relativi a denunce e condanne: la percentuale di stranieri sul totale delle popolazione detenuta è, infatti, molto più elevata di quella degli stranieri che subiscono una condanna". Infine, dice l’ex senatore, "ed è questo il dato più scandaloso, a parità di imputazione o di condanna, la permanenza in carcere degli stranieri è mediamente assai più lunga di quella degli italiani, sia in fase di custodia cautelare che dopo la sentenza". Immigrazione: Bulgarelli (Verdi); Pisanu smetta fare piazzista Cpt
Adnkronos, 13 maggio 2005
"Pisanu la smetta di fare il piazzista di cpt: sono merce avariata". Lo afferma il deputato dei Verdi, Mauro Bulgarelli, dopo le dichiarazioni sugli immigrati del ministro dell’Interno, nel corso suo intervento alla celebrazione della fondazione della Polizia. "Le reiterate pressioni del ministro sugli amministratori locali, accusati di non voler costruire cpt perché minacciati da fantomatici gruppi violenti organizzati - prosegue Bulgarelli - assumono ormai toni ricattatori e offensivi, oltre a essere ridicole. Se le amministrazioni si oppongono a questi lager è perché sanno di interpretare la posizione della maggioranza della cittadinanza". Immigrazione: Pagliarulo (Pdci); Cpt sono campi concentramento
Adnkronos, 13 maggio 2005
"I Centri di permanenza temporanea sono una forma della privazione della libertà, una sorta di campo di concentramento, in palese violazione della Costituzione. Per questo vanno chiusi". Lo ha dichiarato il senatore del Pdci Gianfranco Pagliarulo, riferendosi alle dichiarazioni del ministro Pisanu sul tema degli immigrati clandestini. "È legittimo che Pisanu parli degli immigrati irregolari alla festa della Polizia - continua Pagliarulo - ma ciò rivela che il ministro considera il problema solo come questione di ordine pubblico. In tanti senatori abbiamo chiesto che Pisanu riferisca in Parlamento. Ci degni di una risposta". Immigrazione: Lumia (Ds); colpire, invece, chi organizza i traffici
Adnkronos, 13 maggio 2005
"Ogni anno, da 4 anni a questa parte, i dati generali sulla criminalità peggiorano e nasconderli non serve a molto, non si può fare come con l’inflazione. Il ministro poi dimentica un elemento fondamentale, la criminalità organizzata è pericolosa soprattutto per la sua infiltrazione nell’economia sana e questa maggioranza non ha fatto nessun passo decisivo per contrastarla, anzi ha permesso il rientro di capitali illeciti, ha diminuito le pene per molti reati legati alla gestione delle società - conclude il deputato dei Ds - non ha applicato la legge per monitorare con più efficienza i movimenti bancari, ha lasciato nel limbo la gestione dei beni confiscati alle mafie causando un crollo dei sequestri e delle assegnazioni. Un bilancio decisamente insoddisfacente". "Va bene lanciare l’allarme sul numero dei reati commessi da immigrati, ma per stroncarli non serve una politica che non attacca con decisione chi sfrutta la disperazione. Serve una politica che prima di tutto sappia contrastare le mafie internazionali che trafficano in esseri umani e dopo sappia anche colpire la piccola delinquenza". Lo ha dichiarato, Giuseppe Lumia, capogruppo Ds in commissione Antimafia, commentando le affermazioni del ministro dell’Interno alla festa della Polizia.
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