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Orvieto: detenuto di 30 anni si uccide in cella di isolamento
Radio Carcere, 25 luglio 2005
Un gruppo di persone detenute nel carcere di Orvieto scrive a Riccardo Arena, direttore di Radio Carcere: "Carissimo Riccardo, la mattina del 23 luglio abbiamo appreso che un nostro compagno si è tolto la vita mentre era rinchiuso nella cella di isolamento del carcere di Orvieto. Si chiamava Danilo Esposito, aveva 30 anni, doveva scontare solo 2 anni e 1 mese di pena e lascia tre bambini. Questo tragico evento potrebbe anche non interessare: tante persone che credono che in carcere ci sono solo camorristi, pedofili e assassini. Ma invece questa è una tragedia che dimostra, ancora una volta, che la maggior parte dei detenuti è gente finita per disgrazia nell’illegalità. Danilo era in carcere per una serie di furti. Era stato abbandonato da tutti e anche da tutte le "strutture" che in carcere avrebbero potuto aiutarlo. Il medico del carcere di Orvieto aveva detto che Danilo simulava la sua malattia, ma noi vorremmo sapere come si fa a simulare gli attacchi di epilessia che aveva Danilo. Le uniche cure che Danilo aveva ricevuto prima di uccidersi sono un cocktail di psicofarmaci che lo facevano dormire. L’ultimo atto di questa tragedia si è consumato domenica 22 luglio, quando Danilo alle ore 21.00 è andato in infermeria. Danilo è risalito in cella dopo 20 minuti e ha iniziato a fare baccano, perché il medico gli aveva detto che fingeva di essere malato. Allora Danilo per protesta si è lanciato con la testa contro il muro per ben due volte, urlando che avrebbe fatto lo sciopero della fame e della sete pur di essere ascoltato. Le guardie, per tutta risposta, lo hanno messo in una cella di isolamento. Erano le 23.10 di domenica 22 luglio. Durante la notte Danilo urla e chiede aiuto ma tranne i detenuti nessuno lo sente. Poi le urla di Danilo cessano. Danilo si era ucciso". Giustizia: appello di Casini; "Mai più bambini in carcere"
Adnkronos, 25 luglio 2005
"Nessun bambino varchi più le soglie del carcere". Pier Ferdinando Casini ha fatto suo lo slogan della petizione popolare che il presidente della Consulta penitenziaria, Lillo Di Mauro, gli ha consegnato al carcere di Rebibbia. Il presidente della Camera, stamattina, ha visitato la sezione femminile del penitenziario romano, ha incontrato alcune detenute e i loro bambini, ed ha rivolto un breve discorso alla presenza, tra gli altri, del direttore del Dap Giovanni Tinebra e del direttore reggente del carcere femminile Isabella Taggi. "Si tratta di un appello che il Parlamento italiano non può lasciar cadere: stiamo per andare in vacanza con i nostri bambini, è il momento migliore per avviare una riflessione su tutti i bambini del mondo", ha detto Casini ricevendo dalle mani di una giovane detenuta le oltre 7 mila firme raccolte per la petizione che, tra l’altro, chiede una modifica delle leggi Bossi-Fini e Finocchiaro che consentirebbe alle madri di scontare la pena in una "casa protetta" ed evitare così sia ai bambini di vivere in carcere, sia alle loro madri di separarsi dai figli dopo tre anni di età come vuole la legge. "Sarà mia cura consegnare l’appello alla Commissione Giustizia della Camera perché un problema tanto delicato sia posto all’attenzione dei deputati nella sede propria", ha detto Casini. Per il presidente della Camera, evitare che i figli delle detenute crescano in carcere "è un fatto di civiltà a cui un paese come il nostro deve dare risposta. Non mi importano le statistiche, fosse anche per un solo bambino, l’importante è che le istituzioni sappiano dare risposta a questo problema". A dare i numeri del fenomeno sono stati, invece, sia Tinebra che Di Mauro. In Italia ci sono 3 mila detenute di cui 1.200 straniere. Le donne incinte in totale sono 24, mentre Rebibbia ospita dieci mamme e 11 bambini. Casini ha ricordato poi che la riforma dell’ordinamento giudiziario è stata approvata di recente alla Camera con un ordine del giorno che impegna il governo "ad adottare iniziative volte a istituire un apposito ufficio del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che si occupi specificamente del trattamento delle donne detenute". "Auspico - ha aggiunto - che il governo possa dare presto seguito a questo progetto secondo l’impegno assunto in aula". Giustizia: chiesta istituzione di un Ufficio del Dap per le donne detenute
Redattore Sociale, 25 luglio 2005
Un nutrito gruppo di deputati (ben 47), espressione del centrosinistra (prima firmataria Katia Zanotti, Ds), ha presentato un’interrogazione al Ministro della Giustizia sulle condizioni delle donne detenute nelle carceri italiane. In particolare, nell’interrogazione si chiede "se il Governo non ritenga necessario istituire un apposito Ufficio del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che si occupi specificamente del trattamento delle donne detenute". Nelle premesse, le parlamentari evidenziano come "la popolazione detenuta femminile in Italia oscilla da sempre tra il 4% e il 5% del totale, non superando mai questa soglia; le donne detenute si trovano allocate in sette istituti femminili (Trani, Pozzuoli, Rebibbia, Perugia, Empoli, Genova, Venezia) e in 62 sezioni all’interno di carceri maschili; circa 70 bambini al di sotto del tre anni di età si trovano in carcere con le loro madri, tanto in prigioni interamente femminili quanto in sezioni ospitate all’interno di prigioni maschili; le donne detenute devono in media scontare pene di lunghezza molto inferiore a quelle degli uomini, la maggior parte non superando i cinque anni; l’Ordinamento Penitenziario prevede una serie di strutture specifiche per le carceri e per le sezioni femminili, come ad esempio gli asili nido là dove l’istituto o la sezione ospiti gestanti o madri con bambini". Nell’ordinanza si ricorda anche che l’associazione Antigone ha reso noti i risultati di una ricerca transnazionale cui l’associazione stessa ha preso parte sul reinserimento socio-lavorativo delle donne ex-detenute, dalla quale emergono i seguenti punti: "nonostante l’esiguo numero di donne detenute in Italia e negli altri paesi europei, la maggior parte dei problemi che esse si trovano ad affrontare durante la detenzione e al momento del loro reingresso in società è diretta conseguenza del sovraffollamento di cui soffrono i sistemi penitenziari europei, sovraffollamento determinato in massima parte dalle presenze maschili e tuttavia subito anche dalle donne medesime a causa della gestione amministrativa unitaria di prigioni e sezioni maschili e femminili; le donne detenute ed ex detenute presentano problematiche peculiari legate alla loro condizione di genere - prime fra tutte, ma non unicamente, quelle sanitarie e quelle legate alla maternità - per far fronte alle quali si rivelano inadeguati gli strumenti utilizzati per gli uomini; la frammentazione della popolazione detenuta femminile, ospitata spesso in piccole sezioni all’interno di prigioni maschili (in molte delle quali si trovano non più di due o tre detenute), determina una tendenza a trascurare tali sezioni, destinando alla detenzione maschile la quasi totalità delle risorse economiche e umane. Tale problema non si risolve eliminando le sezioni femminili all’interno degli istituti maschili e contenendo l’intera popolazione detenuta femminile nelle poche prigioni interamente destinate a essa, in quanto così facendo si costringerebbe la maggior parte delle donne a scontare la pena lontano dal luogo di residenza del proprio nucleo famigliare". Da qui la richiesta circa la richiesta di un apposito Ufficio del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria con competenza sulle donne detenute. Belluno: un'intera ala del carcere per i detenuti transessuali
Il Gazzettino, 25 luglio 2005
Primi viados nell’ex sezione "collaboratori di giustizia" del carcere Baldenich: la struttura, dopo il cambio di destinazione d’uso, ospiterà detenuti transessuali provenienti da tutta Italia. Ieri un primo gruppo è stato sistemato in celle singole, opportunamente adattate. Una soluzione che permette di assicurare l’isolamento sia tra gli stessi transessuali, sia tra questi e il resto della popolazione carceraria. La sezione "collaboratori di giustizia" era stata aperta nel 1981 e aveva ospitato anche un boss del calibro di Raffaele Cutolo fino al 2002, anno della chiusura dopo il trasferimento dello stesso Cutolo in altra sede. La chiusura della struttura, per la quale erano già previsti lavori di adeguamento, aveva aperto il dibattito sul cambio di utilizzo, aperto a più possibilità di trasformazione. Sul tappeto anche le ipotesi di destinare l’ala alla carcerazione di detenuti sieropositivi o a quelli che devono espiazione pene di reati di pedofilia. Nel giugno scorso, al termine di necessari lavori, la scelta è stata di riservarla ai transessuali, tipologia di detenuti che ha necessità di una gestione specifica, rispetto al resto del carcere. Ora, diventata operativa, all’ex sezione "collaboratori di giustizia" di Belluno nei prossimi mesi arriveranno transessuali da tutto il territorio nazionale, così come previsto per queste strutture speciali. Ma il riavvio dell’ala speciale riapre anche l’annoso problema della carenza di 50 posti in organico: l’operatività della sezione transessuali significherà, per il personale di polizia penitenziaria, il ritorno ai turni di otto ore, contro quelli di sei, resi possibili proprio dalla temporanea chiusura dell’ex sezione collaboratori. Lorena Ulpiani Latina: apre sede decentrata dell’Ufficio del garante dei detenuti
Il Messaggero, 25 luglio 2005
Sono passati cinque mesi da quando ha visitato per la prima volta il carcere di Latina, da quando ha incontrato i detenuti, ammassati anche in sei in quelle piccole celle in grado di ospitarne al massimo la metà. Oggi Angiolo Marroni, garante dei diritti dei detenuti del Lazio, torna nel capoluogo, per un’altra visita ufficiale, stavolta nelle più appropriate sedi istituzionali, lontano dal carcere. E a siglare il suo incontro con il presidente della Provincia Armando Cusani arriva un protocollo d’intesa, nel pieno spirito collaborativo che, sottolinea Marroni, "ha da sempre contraddistinto l’attività del garante". Collaborazione dunque, ciascuno per le proprie competenze. E allora la Provincia metterà a disposizione un locale, a Formia, che diventerà la nuova sede dell’ufficio del garante, punto di riferimento per le strutture penitenziarie del sud della regione, quelle di Latina, Frosinone e Cassino. E un collaboratore dell’ufficio, Candido D’Urso, assicurerà settimanalmente la propria presenza in carcere, la disponibilità ad ascoltare le esigenze dei detenuti e quelle delle loro famiglie. Un piccolo spiraglio che si apre e una piccola grande conquista che, poco alla volta, arriva a rimediare a una situazione che diventa quasi insostenibile. Tra vecchi, cronici problemi, il carcere di via Aspromonte è sempre lì. Al centro della città, come uno scomodo e antiestetico ingombro che si preferisce non guardare. È lì con la sua numerosa popolazione di detenuti, con i ben noti problemi di sovraffollamento e di carenza di personale penitenziario, tanto vicino eppure così solo e distante dalle istituzioni e dalla comunità. "Abbiamo lavorato molto in questi mesi - spiega Marroni - girando nelle carceri della regione, per capire le urgenze dalla voce dei detenuti e degli operatori. Il carcere è il luogo del tempo, ma di un tempo del recupero che non è eterno. Ci sono maggiori garanzie di sicurezza se è utile e l’utilità si misura nell’uso che si fa della detenzione". E se il garante arriverà dunque ad ascoltare i carcerati, impegnandosi insieme alla Provincia per sostenere le loro esigenze, ben venga. Peccato che di grandi interrogativi senza risposta ne restino ancora troppi. C’è il problema della salute, non solo quello di malattie gravi, ma della cura ordinaria di questa popolazione che invecchia e delle strutture sanitarie che non sono adeguate. E c’è il problema della formazione che manca, del lavoro interno, degli spazi insufficienti, del percorso riabilitativo che non c’è, del "dopo carcere". Interrogativi senza risposta, una volta di più in questo carcere di passaggio del capoluogo pontino. Quanto all’ipotesi di realizzare una nuova struttura, quella è una partita che si gioca altrove e che sembra sempre più lontana. Per ora si procede a piccoli passi e per i detenuti di via Aspromonte, intanto, su esplicita loro richiesta, arriva un televisore al plasma. Donato dalla Provincia. Salute: nelle carceri italiane 1.472 detenuti affetti da hiv
Redattore Sociale, 25 luglio 2005
Anche lui è dietro le sbarre. Il virus dell’Hiv non risparmia nessuno, neppure i detenuti. Secondo le stime del ministero degli Interni nelle carceri italiane sono rinchiusi 1472 persone affette da Hiv (dicembre 2004). Nel 92,3% dei casi si tratta di uomini, mentre le donne sono solo il 7,6%. Per molti essere sieropositivi significa avere anche problemi di tossicodipendenza: sono 81,4% le persone infette che fanno uso di stupefacenti. "I numeri sono sottostimati - commenta Luca Massari, responsabile del settore Carcere della Caritas ambrosiana -. In Italia il test non è obbligatorio, quindi le cifre si basano sulle dichiarazioni dei detenuti. È difficile ammettere di essere sieropositivi: gli italiani di solito lo dicono per godere dei benefici. Qualche straniero non sa neanche di avere contratto il virus". Parlare di aids in carcere è difficile, ma c’è qualcuno che prova a fare prevenzione. "In Europa esistono programmi specifici per sensibilizzare i detenuti - prosegue Massari -. In alcune carceri vengono installati distributori di siringhe e profilattici. Nel nostro Paese non è possibile, ma le Asl e le associazioni di volontariato si preoccupano di spiegare come prevenire la trasmissione dall’Hiv". In un editoriale apparso oggi sulle pagine del New York Times si sostiene che l’Europa sia all’avanguardia nella prevenzione della diffusione della malattia all’interno delle strutture penitenziarie. Le differenze esistono e non sono solo numeriche. "In Italia c’è un detenuto ogni mille abitanti, negli Usa si arriva a 8 per mille - spiega Luca Massari -. Le possibilità di contagio aumentano, ma occorre considerare che la gestione delle carceri in America è affidata a privati che si occupano di mantenere ordinate e pulite le celle piuttosto che preoccuparsi delle condizioni socio-sanitarie dei detenuti". Ogni settimana, dal 1992, i volontari del progetto Ekotonos, a cui aderiscono diverse associazioni che lottano contro l’Aids, come Asa, Ala e Exodus, fanno il loro ingresso nel carcere di San Vittore. Con un unico obiettivo: parlare di contagio. "Teniamo due incontri - racconta Laura di Asa Milano -. Parliamo con i tossicodipendenti del secondo raggio e con le categorie "protette" del sesto raggio, dove sono detenuti gli omosessuali, i transessuali e chi ha commesso delitti sessuali". Agli incontri partecipano da un minimo di 12 a un massimo di 20 persone, sieropositivi e non. "Diversamente finiremmo per creare un ghetto - continua la volontaria di Asa -. E poi riusciamo a raggiungere più persone: l’anno scorso abbiamo incontrato 500 tossicodipendenti". I comportamenti a rischio esistono anche nelle celle. "La droga entra in carcere, non hanno le siringhe, ma se la iniettano con le biro. Il passaggio è lo stesso - racconta Laura -. Alcuni se lo sono trasmessi così, altri attraverso rapporti sessuali non protetti. Dobbiamo dirlo, senza paura: qui la vita è come fuori". Il pericolo di trasmissione esiste, non solo per i detenuti. "Il rischio c’è sempre e per tutti. Anche per gli agenti che si trovano a soccorrere chi si produce tagli e ferite solo per attirare l’attenzione". Droghe: sfumato il ddl Fini, verrà presentata una "mini-legge"
Redattore Sociale, 25 luglio 2005
È ormai sfumata la possibilità di approvare entro questa legislatura il "ddl Fini" per la riforma sulla droga. Lo ha ribadito ieri il ministro Giovanardi, delegato dal governo sulla materia, alla riunione della Consulta degli esperti sulle tossicodipendenze. Si chiude così l’avventura di una delle proposte più discusse dell’esecutivo di centro destra: concepita già nel 2001, in gestazione per un paio d’anni, presentata dopo vari rinvii e oggetto di feroci critiche da parte dell’opposizione e di una buona fetta degli operatori pubblici e privati, la proposta del vice premier va in archivio. Ma non completamente. Giovanardi ha infatti annunciato di volerne "salvare" almeno tre aspetti, da inserire in una mini-legge da approvare prima dello scioglimento delle camere: il primo aspetto riguarda l’innalzamento da 4 a 6 anni della condanna al di sotto della quale il detenuto può trasformare il carcere in comunità terapeutica; il secondo punta a rendere effettiva la cosiddetta pari dignità tra pubblico e privato, regolando l’accesso alle strutture riabilitative private (e la relativa retta pagata dalle Asl) anche su iniziativa di queste ultime e non solo dei Sert; il terzo - il più spinoso e difficile da tradurre in un articolo di legge - vorrebbe stabilire i criteri per distinguere la detenzione di sostanze stupefacenti a fini di consumo o di spaccio. Di più per il momento non è stato precisato dal ministro, ci sarà dunque da attendere una proposta formale dopo le ferie di agosto. Sempre alla Consulta, Giovanardi ha annunciato che per le politiche sulle droghe sono stati "trovati" 16 milioni di euro da spendere da qui a pochi mesi. Si tratta di avanzi amministrativi reperiti sul bilancio del Dipartimento nazionale antidroga, non provenienti quindi dal Fondo nazionale per la lotta alla droga (circa 100 milioni all’anno), ormai interamente assegnato alle regioni in modo indistinto (cioè senza vincoli di destinazione) all’interno del Fondo per le politiche sociali. La parte più consistente del denaro, circa 10 milioni, sarà spesa per il carcere: verranno anzitutto aumentate le rette molto magre pagate oggi dal ministero della Giustizia per i detenuti inviati agli arresti in comunità; verranno inoltre potenziate le esperienze di "custodia attenuata" realizzate oggi da alcuni penitenziari italiani; sarà infine ripetuta in Sicilia, a Giarre, l’esperienza del carcere-comunità di Castelfranco Emilia, con un progetto di impiego lavorativo concordato tra carcere, associazioni e Ser.T. Giovanardi ha anche annunciato che "saranno premiate" le realtà che hanno finora ottenuto risultati positivi nel campo della riabilitazione di soggetti tossicodipendenti provenienti dal carcere. Il resto dei 16 milioni sarà speso per un programma, da realizzare, di supporto alla famiglia nella prevenzione delle dipendenze e in uno volto al contrasto dei nuovi consumi (cocaina, ecstasy, etc.). Firenze: Associazione Pantagruel, solidarietà a favore dei detenuti
Associazione Pantagruel, 25 luglio 2005
Cara amica, caro amico, ti spediamo anche questo anno una lettera per chiederti di aiutarci economicamente per l’impegno di solidarietà che svolgiamo nei confronti delle detenute e dei detenuti del carcere di Sollicciano - Firenze. In cosa consiste? A quali bisogni cerchiamo di dare (in parte) una risposta? Oggi a Sollicciano sono presenti circa 1.050 detenuti (di cui circa 100 donne) con una media del 50% di stranieri (molti extracomunitari) e di un 30% di tossicodipendenti - acquisto di occhiali da vista; - pagamento visite mediche e medicine per alcune persone che sono uscite dal carcere e che continuiamo a seguire (i due dottori di riferimento sono uno omeopata e l’altro medico steineriano); - libri per studio (università); - vestiario (quello che non troviamo donato da amiche e amici); - creme per i capelli e per la pelle (abbiamo un permesso particolare per farle avere alle detenute africane); - piccoli contributi di 10 € che versiamo nei conti correnti interni delle detenute e dei detenuti, cosicché poi possano acquistare dal sopravvitto: francobolli, schede telefoniche, caffè, zucchero, sigarette, qualche integrazione al cibo che è spesso scarso. Se puoi farci avere anche 10 euro (o inviati in una lettera chiusa o versandoli sul nostro conto corrente postale) ci serviranno per far superare meglio questo periodo di piena estate e del prossimo settembre che sono anche i mesi più difficili da vivere nel carcere perché mancano anche la scuola e alcune delle attività sportive e culturali che riprenderanno a fine settembre grazie, con amicizia Giuliano Capecchi. Associazione Pantagruel: via A. Tavanti, 20 – 50134 Firenze tel. e fax 055 473070 mail: asspantagruel@virgilio.it. Conto corrente postale n. 10019511. Usa: nel 2002 in carcere c'erano 23.864 persone sieropositive
Redattore Sociale, 25 luglio 2005
"Gli Stati Uniti hanno fatto relativamente poco per contenere l’epidemia di Aids scatenata nel loro sistema carcerario, in cui i tassi di infezione da Hiv sono di molto superiori rispetto al mondo esterno". Lo scrive oggi il quotidiano New York Times che in un editoriale riconosce all’Europa un impegno maggiore nella lotta all’Aids dietro le sbarre: "Le strategie per sconfiggere l’Aids in carcere sono meglio sviluppate in Europa, dove l’Organizzazione mondiale della sanità è impegnata da 10 anni in un progetto di sensibilizzazione pubblica teso a rallentare il diffondersi dell’Hiv e di altre infezioni mortali tra la popolazione carceraria". Secondo il quotidiano newyorchese, gli europei "sembrano aver capito che le infezioni contratte in carcere finiscono per tornare nella società quando i detenuti contagiati tornano liberi". "L’Organizzazione mondiale della sanità ha stigmatizzato quello gli europei hanno capito negli ultimi 10 anni: la prigione è diventata l’ambiente ideale per la trasmissione di malattie pericolose come tubercolosi, epatite C e Aids", scrive il New York Times, attribuendo la causa del fenomeno al sovraffollamento, ai rapporti sessuali non protetti tra compagni di cella e alla condivisione di siringhe per l’iniezione di droga. "Il generale aumento dei tassi di infezione tra tossicodipendenti dimostra chiaramente che non è bastato dichiarare illegale la pratica del sesso o l’utilizzo di droga - prosegue il quotidiano. I sistemi carcerari che sono riusciti a rallentare la diffusione dell’Aids hanno utilizzato terapie antidroga e strategie di contenimento dei danni, come la somministrazione di metadone o la distribuzione di preservativi". "Molte nazioni, inclusi gli Stati Uniti, sono ostacolate nella lotta all’Aids dal non voler ammettere che in carcere si fa uso di droga e si hanno rapporti sessuali -si legge nell’editoriale-. I politici spesso discutono del fatto che le strategie di riduzione dei danni potrebbero incentivare comportamenti illeciti. Si può capire che qualche sistema carcerario non accetti l’idea di fornire siringhe alla gente che si droga in prigione, anche se ha dimostrato di essere uno strumento economico ed efficiente per rallentare la diffusione della malattia fuori dal carcere. Tuttavia, è imperdonabile il fatto che il sistema non persegua altre strategie, come proporre test per i detenuti, educarli circa la malattia e rendere disponibili i preservativi, qualora li vogliano". Secondo il New York Times, non è necessario passar sopra al comportamento che permette il diffondersi dell’Aids, ma è fondamentale capire che dentro le prigioni questo comportamento persiste. "Bisogna rallentare il diffondersi della malattia -scrive il quotidiano- così che il minor numero possibile di persone contagiate possa diffondere il virus nella società esterna". Alcuni dati - Secondo un rapporto pubblicato a dicembre 2004 dall’ufficio statistico del Dipartimento della giustizia (Bureau of Justice Statistics), a fine 2002 i detenuti statunitensi contagiati da Hiv erano 23.864 (contro i 24.147 del 2001 e i 25.680 del 1998), pari all’1,9% della popolazione carceraria, con un calo del 7% rispetto al 1998 (negli stessi anni la popolazione carceraria è aumentata dell’11%). A fine 2002 i casi di Aids conclamato erano 5.643 (contro i 6.286 del 2001), pari allo 0,48% dei detenuti, vale a dire circa tre volte e mezzo la percentuale di persone malati di Aids sul totale della popolazione americana (0,14%). La quota dei detenuti contagiati varia a seconda del tipo di carcere (federale, statale o locale) in cui si trovano: per esempio, a fine 2002 negli istituti di pena statali la percentuale di contagio era del 3% tra le donne e dell’1,9% tra gli uomini. Quell’anno il sistema carcerario nel suo complesso ha registrato 342 decessi tra detenuti per cause riconducibili all’Aids (a fronte dei 388 del 2001). Sempre nel 2002 il virus dell’Hiv è risultato essere maggiormente diffuso negli Stati di New York, (5.000 detenuti contagiati, il 7,5% del totale dello Stato), Florida (2.848, 3,8%) e Texas (2.528, 1,9%) e l’etnia più colpita dall’Hiv in carcere è quella ispanica (2,9% del totale), seguita dai neri (1,2%) e dai bianchi (0,8%). Giustizia: Rifondazione Comunista chiede carceri più umane
Il Messaggero, 25 luglio 2005
Nell’ultimo anno, nelle carceri abruzzesi si sono suicidati dieci detenuti. Un numero che rende la nostra regione la prima in Italia per suicidi all’interno degli istituti penitenziari. E così, dopo l’ultimo episodio avvenuto l’altro giorno a Castrogno, dove Vincenzo Donvito, 39 anni, barese, è stato trovato riverso nel bagno della cella, ormai senza vita, impiccato con un cappio rudimentale del lenzuolo del proprio letto alle sbarre della finestrella, da L’Aquila arriva un appello da parte di Rifondazione a migliorare le condizioni delle carceri. "Sovraffollamento, mancanza di cure mediche, grandi difficoltà per avere le misure alternative, lavoro esterno, affidamento ed altro ancora sono tutte componenti che spingono al suicidio - si legge in una nota -. Come Rifondazione abbiamo proposto la necessità, da parte della Regione, di dotarsi di un ufficio del garante per le persone sottoposte a misure restrittive. Perché la responsabilità di questi suicidi è un po’ di tutti!". Iraq: l'amministrazione Bush contro norme pro-detenuti
Agi, 25 luglio 2005
Nonostante sia ancora molto viva l’eco dello scandalo per le sevizie inflitte a prigionieri iracheni dai loro carcerieri americani nel famigerato penitenziario di Abu Ghraib, alle porte di Baghdad, l’amministrazione di George W. Bush starebbe dispiegando ogni sforzo pur di bloccare un disegno di legge che, se approvato, vieterebbe ai militari statunitensi di infliggere un "trattamento crudele, inumano o degradante" ai detenuti nonché di sottrarre questi ultimi ai controlli della Croce Rossa o di altri enti umanitari analoghi. È quanto denuncia oggi il quotidiano "The Washington Post", secondo il quale ancora l’altro ieri il vice presidente Dick Cheney avrebbe incontrato tre parlamentari repubblicani di primo piano per perorare con essi la linea del governo in materia, ed esercitare pressioni affinchè la appoggino: si tratta dei senatori John Warner della Virginia, John McCain dell’Arizona e Lindsay Graham della South Carolina, tutti membri della commissione Froze Armate della camera alta del Congresso federale Usa. L’eventuale varo della normativa a favore dei carcerati potrebbe avere immediati effetti concreti in Iraq, in Afghanistan e in strutture speciali di detenzione come il controverso campo speciale di prigionia annesso alla base della Marina Militare degli Stati Uniti a Guantanamo, enclave Usa all’estremità sud-orientale di Cuba: in esso sono rinchiusi centinaia tra sospetti miliziani dell’ex regime afghano dei Talebani o presunti guerriglieri di al-Qaeda, loro alleati. Immigrazione: don Cesare Lodeserto condannato a 1 anno e 4 mesi
Tg Com, 25 luglio 2005
Don Cesare Lodeserto, l’ex responsabile del centro di accoglienza "Regina pacis" di San Foca, in provincia di Lecce, è stato condannato a un anno e quattro mesi di reclusione con pena sospesa per i maltrattamenti ai danni di 17 immigrati durante un maxitentativo di fuga dal centro avvenuto il 22 novembre 2002. La sentenza è stata emessa dal giudice monocratico del tribunale di Lecce. Don Cesare Lodeserto era accusato di lesioni personali aggravate, abuso di mezzi di correzione, omissione di intervento per impedire maltrattamenti e falso. Il religioso è stato assolto da quest’ultima imputazione, mentre quella di abuso di mezzi di correzione è stata derubricata in violenza privata. Una vicenda che ha fatto molto discutere in Italia. In particolare, l’ex direttore del Centro di Permanenza Temporanea per immigrati era coinvolto in diversi filoni d’inchiesta. La condanna inflitta dal giudice di Lecce riguarda un’accusa di maltrattamenti nei confronti di 17 magrebini che tentavano la fuga dal centro. Ma il filone di indagine più clamoroso, quello che ha portato la vicenda di Lecce alla ribalta della cronaca nazionale, riguarda l’accusa di sequestro di persona, abuso dei mezzi di correzione, violenza privata e minacce ai danni di alcune donne rumene ospiti della struttura. Fu proprio dopo la loro denuncia che don Lodeserto venne arrestato lo scorso 11 marzo. Don Cesare passò prima alcuni giorni in carcere e poi gli furono concessi gli arresti domiciliari in un monastero benedettino e a casa della madre. Il 17 giugno successivo ottenne la revoca degli arresti domiciliari. Nei suoi confronti esiste anche l’accusa di peculato per la gestione dell’ente. Il 24 maggio di quest’anno don Lodeserto era stato condannato a otto mesi di reclusione, pena sospesa, per una presunta simulazione di reato risalente al 2001. Letteratura: addio a Bunker, lo scrittore a mano armata
Repubblica, 25 luglio 2005
Lo scrittore americano Edward Bunker, a dispetto del nome e del "curriculum" da duro ex galeotto, non era indistruttibile. A 72 anni se ne è andato in un giorno d’estate, in California. Martedì 19 luglio, per la precisione, dopo un’operazione dovuta a un cancro. Si trovava in ospedale, certo, ma i suoi giorni si sono conclusi da uomo libero. Che per un gangster del suo calibro, con alle spalle anni di prigione e una temporanea apparizione nella top ten dei più ricercati d’America per furti d’auto, traffico di stupefacenti e rapine a mano armata in banca, non è poco. Avrebbe potuto andargli peggio - ed era lui stesso a dirlo: "Ero certo di morire prima di compiere trent’anni". Invece a 38 anni uscì dalla prigione e si rifece una vita. È incredibile ma le agenzie in questi giorni non hanno battuto nulla, e alla voce "bunker", anche con la "b" minuscola, il motore di ricerca indica "zero risultati". Chissà se in epoca di censure, controlli e ossessioni paranoiche, anche il suo nome, per qualche insospettabile motivo, è stato messo al bando. Bandito. Tale fu, a onor del vero. Eppure le sue apparizioni in pubblico, a Festival Letteratura di Mantova, le sceneggiature dei suoi film, le sue interpretazioni nel ruolo di Mr Blue in Le Iene di Quentin Tarantino, i suoi libri, Da cane mangia cane, uscito in Italia nel 1999, a Educazione di una canaglia, del 2002, a Little boy blue, del 2003, a Come una bestia feroce e Animal Factory, entrambi del 2004, tutti editi da Einaudi, ebbero un successo che lui stesso non si aspettava. Specie in Europa, ma anche in Giappone e persino in Australia. Ne era divertito, emozionato a volte. Fra coloro a cui Bunker diceva di dovere di più c’è il re del noir James Ellroy. Fra coloro che lo amavano lo stesso Quentin Tarantino e Woody Allen. Sarebbe troppo facile cadere nella tentazione della retorica o nel cliché dello "scrittore maledetto" in versione splatter, con qualche banalità sulla poesia del gangster dall’infanzia difficile (figlio abbandonato di una ballerina di seconda fila di Busby Berkeley e di un direttore di scena alcolizzato) che ha trovato redenzione nella scrittura e in una tardiva paternità (a sessant’anni suonati Bunker è diventato padre). Sarebbe troppo facile, soprattutto dopo che certa cinematografia degli anni Novanta è riuscita a rovesciare, consapevolmente, lo splatter nella parodia di se stesso e a fare di quell’estetica una moda. Perché Bunker la violenza l’aveva subita e inferta davvero, non l’aveva solo descritta, fatta oggetto di letteratura, con tutta le furbesche finzioni del caso. Nessuna mitizzazione, per carità. Solo il tentativo di un ritratto senza aloni e di un commiato sobrio da un autore che ha saputo restituire uno dei volti della realtà. Con onestà, anche quando sembrava che la inventasse. La sua scrittura non aveva nulla di arbitrario. Era sempre una scrittura necessaria, perché - diceva - "non riesco a inventare niente, scrivo quello che è successo a me o a qualcuno che ho conosciuto dentro". "Avrei potuto giocare meglio le mie carte, senza dubbio - si legge in Educazione di una canaglia - e ci sono cose di cui mi vergogno, ma quando mi guardo allo specchio, sono fiero di quello che sono. I tratti del mio carattere che mi hanno fatto combattere il mondo sono gli stessi che mi hanno permesso di farmi valere". Non fosse che l’Fbi riuscì a mettergli le mani addosso, avrebbe potuto passare alla storia come un Arsenio Lupin, geniale nell’arte del furto perfetto e della fuga. Ma il suo genio fu la scrittura. Associazione Papillon: l’indultino ha peggiorato la vita dei reclusi
La Sicilia, 25 luglio 2005
Tante proposte per un unico destinatario: il detenuto. Un dossier minuzioso quello elaborato dall’associazione culturale Papillon, di cui è presidente Alfredo Maffi, indirizzato alle Giunte regionali, provinciali e dei Comuni della Sicilia oltre che ai parlamentari dell’Assemblea regionale siciliana. Maffi traccia un bilancio sulla realtà penitenziaria siciliana sottolineando come "negli ultimi mesi i detenuti di tutta la Sicilia e di tutta Italia sono stati costretti a protestare pacificamente raccogliendo attorno a loro consensi e dissensi nei vari ambienti politici e sociali. La nostra associazione - scrive - è stata promotrice di questa lunga battaglia riformatrice, evitando che durante il suo svolgimento accadessero incidenti. Quelle pacifiche proteste sono state un necessario atto di civiltà per richiamare alle sue responsabilità un mondo politico che sembra fatichi ad accorgersi che nella stragrande maggioranza delle duecento carceri italiane il diritto è stato in un certo modo "sospeso a tempo determinato", poiché tutto si può dire tranne che là dentro siano davvero perseguiti la rieducazione e la risocializzazione delle donne e degli uomini reclusi. Ci rendiamo conto che affrontare concretamente in Parlamento una riforma del nostro sistema penale e penitenziario non è cosa facile, ma non per questo è tollerabile il permanere di una situazione che ogni giorno scivola oltre i confini della legalità". "L’approvazione del cosiddetto "indultino" - aggiunge Maffi - evidenzia il suo carattere di legge/truffa che invece di alleggerire il sovraffollamento, non ha fatto altro che sovrapporre, peggiorandole, le già esistenti misure che prevedono l’affidamento in prova ai servizi sociali, per i residui di pena fino a tre anni, limitando così la già scarsa applicazione di tutte le altre misure alternative preesistenti". Da qui alcune proposte della sezione nissena dell’associazione Papillon, che nascono dall’esperienza vissuta di molti detenuti: "Lo stanziamento da parte del Ministero della Salute, in accordo con il Ministero della Giustizia, di almeno due terzi dei circa 80 milioni di euro della Cassa Ammenda a disposizione di interventi sanitari per i prossimi quattro mesi negli istituti penitenziari delle diverse regioni dove occorrerebbero più medici, più infermieri e più medicinali. L’istituzione di educatori e psicologi sia comunali che provinciali, per aumentare il numero degli educatori professionisti attraverso convenzioni. Una commissione di controllo per ogni consiglio comunale e provinciale che vigili sulle condizioni di vita non solo dei detenuti, ma anche dei lavoratori che operano all’interno delle carceri. Tutto ciò per compiere un’azione di trasparenza sulla realtà penitenziaria. E ancora: la possibilità di utilizzare una quota di lavoro a tempo determinato collegato all’attività amministrativa (cantieri, parchi, lavori stagionali). Questo provvedimento - conclude Maffi - potrebbe essere accompagnato da una qualche facilitazione per quelle imprese che si impegnano ad assumere un certo numero di detenuti ed ex detenuti". Intanto i detenuti del "Malaspina" di Caltanissetta potrebbero decidere nei prossimi giorni di attuare anche nel carcere nisseno lo sciopero del vitto come già accade in altri penitenziari italiani per protestare contro le condizioni dei reclusi. Valerio Martines Emarginazione: Rovigo; dalla regione Veneto arrivano 35 mila euro
Asca, 25 luglio 2005
Per sostenere il Comune di Rovigo, quelli limitrofi e gli enti del privato sociale nell’assistenza a persone che versano in stato di estrema povertà o senza fissa dimora nel territorio cittadino, la Giunta regionale, su proposta dell’assessore alle politiche sociali Antonio De Poli, ha assegnato 35 mila euro complessivi per il 2005 a un progetto d’intervento, presentato secondo le linee guida fissate con un provvedimento dello scorso gennaio, denominato "Nuovi orizzonti". Ne dà comunicazione lo stesso assessore De Poli ricordando la deliberazione è prevista dalla legge n 328 del 2000 all’articolo 28 e che i contributi complessivi a livello sono di 700 mila euro ripartiti tra i Comuni capoluogo di provincia del veneto per attivare e coordinare progetti e interventi di potenziamento dei centri e dei servizi di pronta accoglienza, di accompagnamento e di reinserimento sociale e lavorativo. Il progetto di Rovigo finanziato dalla Regione avrà una durata di 15 mesi e punterà a realizzare un centro di pronta accoglienza, interventi per l’emergenza freddo, inserimenti sociali e lavorativi, assistenza sociosanitaria integrata, rete istituzionale. "Nella nostra regione e anche a Rovigo - spiega De Poli - crescono forme di nuove povertà e di emarginazione sociale, soprattutto nei grandi comuni urbani, forme che riguardano soprattutto anziani e disabili abbandonati, disoccupati permanenti, alcolisti, tossicodipendenti, malati psichici, ex detenuti, donne e minori maltrattati, persone senza fissa dimora".
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